I diritti dei primogeniti

I diritti dei primogeniti

Questo breve studio è dedicato con sincero affetto a Concita e Danilo dei quali non potrei essere più amico o ai quali non potrei volere più bene se avessimo le medesime opinioni su tutto. La loro diversità di convinzioni è una fonte di ricchezza che sono contento di avere a mia disposizione. Dio vi benedica ragazzi.

Dove non specifico altrimenti, le citazioni sono tratte dalla Nuova Riveduta

Lo studio che segue è la versione semplificata, senza riferimenti al greco originale. Per la versione completa, leggi il pdf cliccando qui. 

            Non è forse vero che quando si parla della fede cristiana a volte si esagera nella lista delle cose da non fare, nella lista dei divieti?

            La realtà dei fatti, però, è che nella vita del credente invece, i diritti sono più dei doveri. Sebbene l’uomo istintivamente voglia guadagnarsi ciò che è suo, invece nella Sacra Scrittura, i credenti hanno dei privilegi che sono loro per il solo fatto di essere figli di Dio.

            Perché?

            Lavoro per la stessa azienda da vent’anni. Ci sono affezionato, mi piace. Sento mio il mio lavoro, la mia scrivania, le mie pratiche, il mio archivio. Anni fa accadde qualcosa, però. I figli dei miei titolari crebbero e cominciarono, uno ad uno (sono tanti), a venire a lavorare in azienda. Oggi lavorano tutti lì anche loro. Hanno delle buste paga molto più alte della mia ed orari molto più elastici. Usufruiscono delle auto e dei telefoni dell’azienda a loro piacimento. Possono stare su facebook durante l’orario di lavoro e comandano su tutti, compreso me – alla faccia della mia anzianità.

            Ed è giusto che sia così. Perché per quanto tempo io possa aver trascorso lì, per quanto io possa essere utile o immaginarmi indispensabile, io sarò sempre un estraneo e loro i figli.

            Per questo il Signore ci ha adottati, ci ha fatti suoi figli: perché non fossimo estranei ma avessimo diritto a tutti i privilegi che tale posizione comporta.

            Ma nell’antichità i diritti non erano uguali per tutti i figli. Per  ovvi motivi pratici la maggior parte dei diritti erano esclusivi del primogenito e la primogenitura era un vero e proprio privilegio.

            Per questo la Parola di Dio ci chiama figli di Dio (1 Giovanni 3:2) e ci definisce anche primogeniti (Ebrei 12:23) perché tutte le promesse di Dio ci appartengono di diritto (un diritto che Gesù ha acquisito per noi e che ci ha trasmesso adottandoci a Dio – vedi Romani 8:15, Galati 4:5) e non per alcun nostro particolare impegno. Infatti questo stato di privilegio la Scrittura lo chiama “grazia” (Efesini 2:8-9).

            Ma procediamo con ordine.

            Leggiamo nell’epistola ai Colossesi: 

Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati.  Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui.” (Colossesi 1:13-17)

             Questo inno cristologico è di una forza spaventosa. Paolo era una persona molto colta. Dovendo scrivere a dei Gentili, dei non ebrei, sulle cose che riguardavano Cristo e la nuova fede, doveva confrontarsi con individui intelligenti, probabilmente altrettanto colti quanto lui, che avvertivano il bisogno di comprendere a fondo la Verità in cui avevano creduto abbracciando la fede in Cristo. A costoro forse non bastava essere semplici, ma volevano crescere nella conoscenza di Dio (Colossesi 1:9-10). Alla base dell’epistola ai Colossesi doveva esservi il bisogno di trovare argomenti validi e sostenibili per far fronte alle obiezioni mosse dai colti, dagli “gnostici”, da chi magari conosceva gli scritti di un filosofo ebreo che discuteva brillantemente sul senso della Rivelazione di Dio al popolo ebraico, Filone alessandrino. Paolo doveva dare ai credenti di Colosse argomenti validi per spiegare il senso della fede in Cristo e metterli in condizione di rispondere adeguatamente a chi difendeva il valore di una qualche forma di pensiero filosofico, nel senso greco del termine.

            Vedere le affermazioni di Paolo in maniera astratta, al di fuori di questo contesto, ci farà perdere il vero senso di ciò che egli sta dicendo.

            Lo dirà Pietro più tardi, constatando l’uso improprio fatto da alcuni proprio degli scritti dell’apostolo ai Gentili:

“e considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza, come anche il nostro caro fratello Paolo vi ha scritto, secondo la sapienza che gli è stata data; e questo egli fa in tutte le sue lettere, in cui tratta di questi argomenti. In esse ci sono alcune cose difficili a capirsi, che gli uomini ignoranti e instabili travisano a loro perdizione come anche le altre Scritture.” (2 Pietro 3:15-16)

             Nel concreto, quando in Colossesi Paolo afferma, tra le altre cose, che Gesù è  “primogenito di ogni creatura” egli non sta dicendo, come alcuni frettolosamente ed al di fuori del contesto concludono, che Gesù sia stato creato, primo fra le creature di Dio, bensì sottolinea il ruolo, la posizione di Gesù rispetto all’intera creazione di Dio, la sua  preminenza. I  Colossesi ovviamente sapevano che il titolo messianico di “primogenito” spettava a Cristo. Lo deduciamo dalla maniera in cui Paolo sembra più ribadire che annunciare questa Verità.

            Rileggiamo attentamente il brano, nel contesto del quale è incastonata questa affermazione.

Egli è immagine del Dio invisibile,

primogenito di ogni creatura;

(traduzione mia)

 poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui.

            Il “poiché” che segue, è evidente, introduce la spiegazione del senso dell’affermazione che lo precede. Quindi, dopo aver detto che Gesù è “primogenito di ogni creatura” Paolo spiega il perché della signoria del Figlio di Dio sulla creazione. I motivi sono questi:

1. Egli è col Padre creatore di ogni cosa.

2. Egli è il motivo stesso della creazione.

3. Egli è colui che sostiene ogni cosa.  

            La Scrittura ribadisce gli stessi identici concetti altrove. In Ebrei infatti leggiamo:

“ … in questi ultimi giorni (Dio) ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è lo splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza.” (Ebrei 1:2-3)

             Egli è “erede di tutte le cose” è esattamente uguale a dire che egli è “primogenito”.

Per nostra comodità mettiamo a raffronto le affermazioni di Colossesi ed Ebrei in un prospetto sinottico.

 COLOSSESI EBREI
Egli è l’immagine del Dio invisibile Egli, che è lo splendore della sua gloria e impronta della sua essenza,
il primogenito di ogni creatura che egli ha costituito erede di tutte le cose
in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui mediante il quale ha pure creato i mondi. 

 (a dire il vero la forza della frase originale è qui piuttosto sfumata nella traduzione, ma è impossibile tradurre meglio la terminologia greca qui utilizzata)

tutte le cose sussistono in lui. sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza

             Sempre alla luce del “poiché” esplicativo di Colossesi, Paolo aggiunge una frase molto significativa: “Egli è prima di ogni cosa”. Gesù è – tempo presente! – prima di ogni cosa. Paolo non utilizza – credo volutamente – il tempo al passato, cioè “era”, ma sottolinea l’eternità del Figlio di Dio col tempo presente del verbo essere. Avrebbe potuto scrivere: “Egli è stato creato prima di ogni cosa”, ma non lo fa. Aveva utilizzato il verbo creare – non generare, che è diverso – appena due parole prima, ma qui preferisce dire di Gesù che egli è.

Giovanni apre il suo vangelo dicendo:

“Egli era in principio presso Dio. Tutto è per mezzo di lui e senza di lui non sarebbe stato nulla di ciò che è.” (la traduzione è mia)     

            Qui il vangelo parla del “Logos”, tradotto in italiano “Parola”. Del Logos Giovanni dice che “era”, sottolineando la sua eternità, la sua indipendenza da vincoli temporali. Nel momento in cui comincia a trascorrere il tempo, al momento della creazione – è questo cui ci rimanda il voluto riferimento “in principio” (vedi Genesi 1:1) il Logos di Dio era. Mentre delle cose create da lui, Giovanni ci dice che esse “sono” utilizzando in greco un’altra forma verbale che sottolinea il divenire. Per questo le normali traduzioni della Bibbia qui traducono:

“Egli era nel principio con Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta” (Nuova Diodati)   

            Tornando all’epistola ai Colossesi, quindi, Paolo utilizza il verbo essere applicandolo a Gesù nello stesso modo in cui fa il vangelo di Giovanni.

            Quindi non solo l’apostolo Paolo ci dice che Gesù è “primogenito”, ma premette un poiché alla spiegazione che darà lui stesso su cosa bisogna intendere con quel termine ed è chiaro da quanto abbiamo osservato che egli non vuole affermare che Gesù sia stato la prima creatura di Dio. Al contrario Egli è eterno, causa e motivo di ogni cosa che esiste. La sua primogenitura è legata al diritto di preminenza che Egli ha su tutta la Creazione.

            In diversi brani della Scrittura troviamo il termine “primogenito” per indicare non il fatto di essere stato il primo generato, nato, partorito.    

“Così dice il SIGNORE: Israele è mio figlio, il mio primogenito.” (Esodo 4:22)

             Qui è lampante che il termine è utilizzato in relazione ai privilegi che esso comporta.

“Io inoltre lo costituirò mio primogenito, il più eccelso dei re della terra.” (Salmo 89:27)

            Dall’interpretazione di quest’ultimo brano si riteneva che “primogenito” fosse un titolo messianico ed è per questo che Paolo non esita ad applicarlo e riferirlo a Gesù.

            L’apostolo scriveva ai Colossesi e questi di sicuro si stavano scontrando con chi aveva una certa conoscenza della filosofia ed anche di una certa filosofia “ebraica”, cioè elaborata da una contemplazione della Torah, della Legge mosaica stessa. I vocaboli scelti da Paolo e il modo in cui li usa, rispondono sia ai requisiti della fede ebraica, nel rispetto della continuità fra cristianesimo ed ebraismo, nella dimostrabile e dimostrata messianicità della persona di Gesù, rispondente alle prerogative veterotestamentarie, ma anche alla profonda analisi di Filone Alessandrino, le cui idee non possono non stare – in quale esatta misura non possiamo dirlo – alla base della forza delle affermazioni paoline.

            Filone visse ad Alessandria d’Egitto a cavallo tra il I secolo a.C. ed il I d.C. Fu un “filosofo” ebreo convinto del valore delle Scritture mosaiche che riteneva addirittura ispiratrici di quanto di buono avessero scritto i filosofi greci. Le sue speculazioni sul Messia sono troppo vicine alle parole di Paolo perché si possa credere che non vi sia una qualche relazione.

            Egli scriveva in greco e definiva il Messia “primo nato”, facendo riferimento ad Esodo 13:2. Ma Paolo, che è più attento alla terminologia biblica, trae invece spunto dal Salmo 89:27, che ho citato, ribadendo nell’epistola ai Colossesi che invece Gesù, in quanto Messia, è “primogenito”, rettificando, correggendo la prospettiva proposta da Filone.

            Filone parla inoltre del Figlio di Dio come della “divina parola, il primo ad avere avuto origine da lui”, cioè da Dio.

            La “filosofia” biblica di Filone, quindi, vede nel Messia (per lui figura non ancora comparsa) il divino Logos di Dio, prima creazione di Dio e creatore di ogni cosa. A questa credenza Paolo oppone, sullo stesso terreno della terminologia del filosofo alessandrino, una più esatta terminologia che chiarisce che il Logos non è divino, ma Dio e che non è creato, bensì increato, creatore di ogni cosa. E per questo, per contrastare la terminologia almeno imprecisa di Filone che definisce divina la Parola, Paolo afferma:

Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo; perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità.” (Colossesi 2:8-9)

             Paolo contrappone alla debole ed imprecisa affermazione di “divinità” tutta la forza della parola “Deità”, per affermare che Gesù, Logos (Parola) incarnato(a) di Dio (Giovanni 1:14), è anch’egli Dio. E ciò proprio in contrasto con quanto sosteneva la filosofia, la tradizione degli uomini, gli elementi del mondo, che non riuscivano ad immaginare che Gesù potesse essere Dio fatto uomo.

            Anche l’apostolo Giovanni non poteva non essere al corrente degli scritti di Filone. Ed è per questo che quando scrive il suo prologo al vangelo, egli precisa:

            “In principio era il Logos (la Parola) e il Logos era con Dio e il Logos era Dio.”

            (La traduzione è mia)

            Egli non afferma che “il Logos era divino”. Avrebbe potuto scrivere a quel modo, il greco lo consentiva e la terminologia di Filone forniva anche un ottimo spunto per farlo – se le sue concezioni sul Logos fossero state esatte, però.

            Invece Giovanni scrive che “il Logos è Dio”. E lo fa omettendo l’articolo determinativo davanti a “Dio” (Theos, in greco) ottenendo il duplice risultato nel greco originale di non identificare il Logos con “il Dio” con il quale egli era – che sarebbe stato disastroso – ma anche di affermare con forza che il Logos possiede la qualità di Dio, è Dio.  

            Posso dire la verità? I testimoni di Geova, senza la proprietà e l’eleganza della logica e retorica di Filone – che è da leggersi e che stupisce comunque per le sue profonde intuizioni sulla Parola di Dio – hanno fatto loro (inconsciamente, ne sono certo) le sue errate concezioni, travisando proprio quella terminologia (che in maniera fin troppo evidente non comprendono – e ciò traspare dalla loro traduzione) che Paolo ha così attentamente  utilizzato per confutarlo. Mi spiace averlo detto, ma trovo indispensabile questa puntualizzazione, visto che c’è chi va porta a porta a spiegare cose che non sa, accusando chi le sa di non capirle, atteggiandosi ad unici detentori della Verità della Scrittura.

               I diritti legati alla primogenitura spettano a Gesù in quanto Figlio di Dio. Ma in un certo senso, in quanto figli adottivi di Dio, anche i credenti hanno diritti sull’eredità di Dio.      

“Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli.” (Romani 8:29) 

“I molti fratelli” cui fa riferimento la Scrittura siamo noi credenti. 

“Voi vi siete invece avvicinati al monte Sion, alla città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste, alla festante riunione delle miriadi angeliche, all’assemblea dei primogeniti che sono scritti nei cieli, a Dio, il giudice di tutti, agli spiriti dei giusti resi perfetti, a Gesù, il mediatore del nuovo patto e al sangue dell’aspersione che parla meglio del sangue d’Abele.” (Ebrei 12:22-24) 

            Perché possiamo vantare dei diritti nei confronti di Dio?

            Quando a volte prometto qualcosa ai miei figli, puntualmente sanno come e quando rinfacciarmelo per ottenere quello che ho promesso. Qualcosa di simile accade con Dio. Egli ha promesso molte cose nella sua Parola a chi lo cerca, a chi crede in lui. Avere le cose che la Scrittura dice che sono dei credenti è un nostro diritto, diritto inteso quasi nel senso legale del termine. Ed è il Signore stesso che ce lo concede, riconosce e che vuole che noi lo esercitiamo.           

È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome […] Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo.” 

(Giovanni 1:11-12, 17) 

            Visto che la Parola di Dio ci dice che per la fede in Gesù Cristo noi possiamo divenire figli di Dio, è nostro diritto appellarci a questa promessa e farla nostra. La parola greca utilizzata qui nell’originale del vangelo viene tradotta dalla Nuova Riveduta con l’italiano “diritto”. Sebbene la Nuova Diodati renda qui il termine con “autorità”, come del resto è traducibile il vocabolo e come è opportuno tradurlo in altri brani della Scrittura, in questo caso, come altri (ad esempio 1 Corinzi 9:4-5, 12) la parola viene utilizzata in un contesto dove merita particolare evidenza la  sfumatura che implica l’esercizio di un diritto.

            A Greek-English Lexicon of the New Testament and other Early Christian Literature, di Walter Bauer, con l’intervento di F.W. Gingrich e Frederick Danker per la II edizione, The University of Chicago Press, 1979, descrive in un punto questo vocabolo col significato di: “qualcosa che è a disposizione di qualcuno, che è nella sua facoltà”.           

“… perché siete tutti figli di Dio per la fede in Cristo Gesù.” (Galati 3:26) 

            Ogni uomo può disporre delle promesse di Dio e farle sue. L’invito della Parola di Dio a ricevere l’amore che il Padre ci ha mostrato in Cristo è per ogni uomo, non per un’ elite: “… a tutti quelli che l’hanno ricevuto” scrive Giovanni. In altri punti la Scrittura ci dice che  “chiunque” accetta il Signore Gesù sarà salvato, aprendo così l’invito alla salvezza ad ogni uomo (Giovanni 3:15-16, 11:26, Atti 10:43, 13:39, Romani 10:11, 13).

            Ma avere una facoltà, un diritto, non vuol dire volersene avvalere e gli uomini molto spesso preferiscono proseguire per la propria strada, con la propria religione, assecondando i propri desideri malvagi, volendo sempre e comunque fare di testa propria, e, nella loro incredulità, non sono interessati al dono di Dio e le promesse che Lui ha fatto nella Sua Parola li lasciano indifferenti.

            Ma grazie a Dio per molti altri non è così e l’interesse per la Parola di Dio sta crescendo di giorno in giorno, in tutto il mondo.

            Lo status di figli di Dio ci mette in una posizione di privilegio, visto che, in quanto tali abbiamo diritto all’eredità del nostro Padre celeste. La Parola di Dio usa dei termini qui quasi legali.

            Visto il diffuso buonismo dei nostri giorni, credo di dover chiarire che, alla luce della Parola di Dio, gli uomini non siamo figli di Dio per natura, ma entriamo in questo stato di privilegio, l’abbiamo visto, se e quando crediamo in Cristo Gesù, lo accettiamo come nostro Salvatore personale.  

“Dio ha vivificato anche voi, voi che eravate morti nelle vostre colpe e nei vostri peccati, ai quali un tempo vi abbandonaste seguendo l’andazzo di questo mondo, seguendo il principe della potenza dell’aria, di quello spirito che opera oggi negli uomini ribelli. Nel numero dei quali anche noi tutti vivevamo un tempo, secondo i desideri della nostra carne, ubbidendo alle voglie della carne e dei nostri pensieri; ed eravamo per natura figli d’ira, come gli altri. Ma Dio, che è ricco in misericordia, per il grande amore con cui ci ha amati, anche quando eravamo morti nei peccati, ci ha vivificati con Cristo (è per grazia che siete stati salvati), e ci ha risuscitati con lui e con lui ci ha fatti sedere nel cielo in Cristo Gesù, per mostrare nei tempi futuri l’immensa ricchezza della sua grazia, mediante la bontà che egli ha avuta per noi in Cristo Gesù.” (Efesini 2:1-7) 

            Per mezzo della fede in Cristo, il Signore ci adotta come suoi figli. 

“In lui ci ha eletti prima della creazione del mondo perché fossimo santi e irreprensibili dinanzi a lui,avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà, a lode della gloria della sua grazia, che ci ha concessa nel suo amato Figlio.” (Efesini 1:4-6) 

            In quanto figli abbiamo diritto all’ “eredità”. Oggi è un po’ complesso comprenderlo, ma essere tagliati fuori dall’eredità non è cosa da nulla. Tanto è vero che il diritto italiano ha delle leggi che impediscono di diseredare interamente chi ha un diritto all’eredità, nella misura ovviamente proporzionale al grado di parentela.   

In lui siamo anche stati fatti eredi, essendo stati predestinati secondo il proposito di colui che compie ogni cosa secondo la decisione della propria volontà, per essere a lode della sua gloria; noi, che per primi abbiamo sperato in Cristo. In lui voi pure, dopo aver ascoltato la parola della verità, il vangelo della vostra salvezza, e avendo creduto in lui, avete ricevuto il sigillo dello Spirito Santo che era stato promesso, il quale è pegno della nostra eredità fino alla piena redenzione di quelli che Dio si è acquistati a lode della sua gloria. (Efesini 1:11-14) 

            Qui la Scrittura ci dice che siamo stati adottati, per mezzo di Gesù Cristo, e che per questo siamo figli di Dio. Ciò avviene per la Grazia di Dio – non vi sono meriti da parte nostra, l’uomo prende ciò che Dio promette, ma è il Signore che lo dà alla sua creatura per amore, come dono: noi non meritiamo la salvezza, ma la otteniamo per mezzo della fede in Gesù Cristo (Efesini 2:8-9).

            In Cristo siamo eredi e avendo creduto, riceviamo il “pegno”, la “caparra” dell’eredità futura, cioè lo Spirito Santo, fino alla piena redenzione che acquisiremo al ritorno di Cristo.

“ … ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l’adozione, la redenzione del nostro corpo. (Romani 8:23)

 

“Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore, che trasformerà il corpo della nostra umiliazione rendendolo conforme al corpo della sua gloria, mediante il potere che egli ha di sottomettere a sé ogni cosa. (Filippesi 3:20-21) 

            Mi piace moltissimo quest’ultimo brano della Scrittura. Qui Paolo ci informa che, avendo creduto in Cristo, abbiamo acquisito una cittadinanza celeste. (ho scritto uno studio intero su questo bellissimo argomento, disponibile sul mio sito. Clicca qui per leggerlo)

            Nel periodo in cui scrive Paolo, la cittadinanza romana era molto ambita: da alcuni era acquisita per diritto di nascita, ma da altri addirittura acquistata con danaro, tanto era preziosa. Quindi l’apostolo, scrivendo ai credenti della città di Filippi, era ben conscio di rivolgersi a gente che sapeva quanto importante fosse essere cittadini di una nazione forte e sicura.

            Chi è cittadino dello stato italiano sa quali doveri e diritti ciò comporta. Spesso ci lamentiamo, ma sostanzialmente la nostra nazione ci garantisce libertà ed uno stato di agio che in moltissime nazioni al mondo ci invidiano – o non vedremmo tutti questi sbarchi sulle nostre coste!

            Tanto di più la cittadinanza celeste di chi crede, accanto ai giusti doveri, conferisce degli inalienabili diritti. Questi diritti – fermi i doveri – sono nostri semplicemente in quanto cittadini del cielo.

            Io invito chi legge, qualora non si senta in questo stato di privilegio, ad appropriarsi delle promesse di Dio, a credere in Gesù ed esercitare il diritto che gli garantisce la Parola di Dio di divenire un figlio di Dio. L’eredità è la vita eterna in Cristo Gesù, che comincerà oggi, qui, su questa terra e che riceveremo in maniera perfetta al ritorno di Cristo. 

“Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui.”(Romani 8:17)

 

“Se siete di Cristo, siete dunque discendenza d’Abraamo, eredi secondo la promessa.” (Galati 3:29)

 

“… affinché, giustificati dalla sua grazia, diventassimo, in speranza, eredi della vita eterna.” (Tito 3:7)

 

“Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto quelli che sono poveri secondo il mondo perché siano ricchi in fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?” (Giacomo 2:5)

            Vi sono cittadini avveduti che si informano sui propri diritti, su tutti i privilegi che la loro cittadinanza (italiana, americana o inglese che sia) gli permette di avere. Fanno bene, è saggio fare in questo modo. Avere un privilegio e non sapere di averlo per poterlo esercitare equivale a non averlo affatto.

            Vi sono alcuni che sono ancora più avveduti e guardano oltre, all’eternità. Per questo vogliono essere informati sui diritti che garantisce la loro cittadinanza celeste ed i privilegi connessi alla loro condizione di figli di Dio. Questi studiano la Parola per apprendere quali sono le promesse di Dio fatte a chi ha creduto e le fanno loro, vivendo quotidianamente le benedizioni di Dio e attendendo il ritorno di Cristo per ricevere tutta l’eredità loro promessa dal Padre Celeste. Appartenere a questa categoria dovrebbe essere l’ambizione di ogni uomo che ama Dio.

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