Vangeli canonici e vangeli apocrifi

di Giuseppe Guarino

 

 

I Vangeli canonici

Con la definizione di Vangeli si indicano delle narrazioni della vita e degli insegnamenti di Gesù. Il termine deriva dal greco e rimanda all’idea di un annuncio di qualcosa di positivo, una “buona notizia”. Nella Bibbia troviamo 4 vangeli, all’inizio del Nuovo Testamento. Questi vengono tradizionalmente attribuiti a Matteo, Marco, Luca e Giovanni. I primi tre vengono definiti “vangeli sinottici” per via dell’evidente affinità fra i loro contenuti. Matteo e Marco sono scritti anonimi, ma vengono da sempre riferiti a questi due autori; non vi sono prove oggettive a favore o contro questa attribuzione tradizionale. Che Luca, il compagno di viaggio di Paolo sia l’autore del terzo vangelo si evince dai collegamenti fra il vangelo di Luca, gli Atti degli Apostoli – scritti dallo stesso autore del terzo vangelo – e gli scritti di Paolo. Giovanni è citato come autore del quarto vangelo dal redattore della versione finale giunta a noi. Queste narrazioni la Chiesa riconobbe come autentiche e come ispirate, aggiungendole all’Antico Testamento come Scritture allo stesso livello – ispirate – come quelle tenute sacre dal popolo ebraico ormai da tempi immemori.

Accanto a quelli canonici sono arrivati fino ai giorni nostri degli altri “vangeli”, altre narrazioni che riguardano i detti e i fatti della persona di Gesù, i cosiddetti “vangeli apocrifi”. Questi ultimi stanno godendo in alcuni ambienti di eccessivo credito, ed alcuni li considerano quasi i depositari di verità che il cristianesimo ha da tempo perduto se non addirittura nascosto o volutamente trascurato.

In questo articolo ne voglio discutere in maniera articolata.

I padri della Chiesa

Oltre gli scritti cosiddetti canonici del Nuovo Testamento, la Chiesa ha prodotto altri lavori degni di nota che testimoniano della fede cristiana in maniera semplice ma efficace.

La cosiddetta prima epistola di Clemente, è una accorata e bella lettera scritta dalla chiesa di Roma a quella di Corinto sul finire del primo secolo, verso il 95-96 d.C. Quindi addirittura prima della morte dell’apostolo Giovanni e forse della composizione dell’Apocalisse o dello stesso quarto vangelo – se diamo per buone le datazioni suggerite di alcuni per questi scritti. Questo scritto contiene libere citazioni di brani del Nuovo Testamento.

Vi sono ancora altri scritti degni di menzione. L’epistola di Diogneto, davvero molto bella e le lettere di Ignazio di Antiochia scritte a delle chiese mentre questo uomo di Dio veniva condotto al martirio. IDidaché che, come dice lo stesso titolo che in greco significa “insegnamenti”, contengono degli insegnamenti cristiani di base. L’epistola di Barnaba, scritta fra il 70 ed il 135 d.C. è davvero molto istruttiva. Significativa ed anche di rilevante valore storico è l’epistola di Policarpo, vescovo di Smirne. Questi scritti che ho citato vengono di solito raccolti sotto il titolo convenzionale di “padri apostolici”. Ne trovo la lettura interessante ed anche, in un certo senso, importante per l’attendibile testimonianza che tramandano notizie sulla cristiana delle origini.

Nel II secolo la dottrina cristiana e i primi passi della Chiesa sono testimoniati dagli scritti di diversi apologeti, difensori della fede dagli attacchi ideologici dei pagani, o dalle false accuse rivolte spesso ai cristiani. Non mancano i trattati scritti contro i falsi insegnamenti delle sette eretiche che prolificavano già nel primo e soprattutto nel secondo secolo.

Fra gli apologeti troviamo Giustino, Ireneo, Tertulliano, Atenagora, Ippolito, Teofilo. Citiamo ancora Cipriano, Novaziano, Clemente, Origene, Girolamo, Agostino e ve ne sarebbero molti altri, a sufficienza da riempire una biblioteca di tutto rispetto.

Questi scrittori vengono chiamati padri della Chiesa e la materia che li studia è la patristica. Nella Chiesa Cattolica sono oggetto di una venerazione a mio avviso eccessiva. Mentre d’altro canto, in ambiente protestante non sono spesso tenuti nella giusta considerazione. Sono convinto che una sana via di mezzo sia quella più giusta da percorrere e leggo questi scritti dando loro l’importanza che oggettivamente meritano.

I testi che ho citato sono facilmente rintracciabili. Se si conosce la lingua inglese, si trovano su internetsenza troppa difficoltà. In italiano si possono rintracciare in librerie specializzate. Le librerie delle Paoline sono particolarmente fornite.

Detto quanto sopra, ci rendiamo conto come i primi passi del cristianesimo furono accompagnati da un grande fermento culturale ed intellettuale.

Gli eretici, loro idee e i loro sforzi per creare documenti che le sostenessero

Nel leggere l’epistola ai Colossesi non ci può sfuggire il tono polemico di Paolo verso quelle correnti di pensiero che se gnostiche proprio non erano, certamente preludevano allo gnosticismo che avrebbe caratterizzato il principale movimento eretico del secondo secolo. Nell’epistola ai Galati i toni dello stesso apostolo sono forti contro chi egli accusa di predicare addirittura “un altro Evangelo”. Dice poi apertamente di alcuni: “Quei tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si travestono da apostoli di Cristo.” (2 Corinzi 11:13)

Giovanni, nella sua prima epistola, chiarisce l’autentica fede contro chi sosteneva l’eradicazionismo,insegnamento secondo il quale nel cristiano il peccato era eradicato, quindi estirpato nel senso che chi si era convertito a Cristo non avrebbe più peccato. L’apostolo scrive apertamente anche contro i docetisti, cioè coloro che non riconoscevano che il Signore si era realmente incarnato, divenendo veramente uomo, e sostenevano che quella di Gesù fosse soltanto un’apparenza di corporeità.

Sarebbe assurdo non pensare che i “falsi apostoli”, di cui parla anche il libro biblico dell’Apocalisse, questi eretici, non abbiano lasciato, così come gli autori “ortodossi”, dei loro scritti. Lo stesso Paolo si curava di firmare personalmente le proprie epistole e fa chiaro riferimento a tentativi di plagio.

Marcione, Valentino, Basilide sono solo alcuni dei nomi di questi antichi eretici giunti fino a noi e lo gnosticismo era il modo in cui veniva definita genericamente la loro eresia, assurda per dottrine e prassi, ma allora in grado di minacciare seriamente la Chiesa nascente.

Visto il contesto culturale davvero infuocato in cui muoveva i primi passi il cristianesimo, perché ci stupiamo se vengono scoperti oggi altri scritti, non canonici, ma soprattutto eretici, composti in quel periodo? Molti dei quali la stessa Chiesa primitiva ci ha informato, perché le erano noti. Questi resoconti erano di solito composti sotto falso nome, spacciati per opere apostoliche; ma allora, come lo sono oggi, riconosciuti come dei miseri falsi, furono condannati al silenzio ed all’oblio per la totale assenza di alcun vero significato storico e religioso e composti con l’unico scopo di sostenere l’assurdo credo di questa o quella setta.

Molte narrazioni

Il proliferare di altri vangeli nell’antichità è abbondantemente corroborato da varie fonti. La più autorevole e significativa è lo stesso terzo vangelo.

Luca infatti premette: “Poiché molti hanno intrapreso a ordinare una narrazione dei fatti che hanno avuto compimento in mezzo a noi, come ce li hanno tramandati quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola, è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine, illustre Teofilo, perché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate.” (Luca 1:1-4)

Eppure nonostante le varie narrazioni esistenti, la Chiesa ha – all’unanimità – confermato: (1) l’autenticità, (2) l’autorità e (3) l’ispirazione divina dei solo quattro vangeli detti per questo motivo canonici.

Vi erano altri scritti, più o meno completi. Forse molte raccolte di detti di Gesù. Chissà quanto materiale è andato perduto. Se diamo credito alle parole di Luca, vi erano molte narrazioni sulla vita di Gesù più antiche della sua. Si tratta, quindi, di circostanze storico letterarie ben note. Eppure, nonostante ciò, periodicamente sembra riscoprirsi questo o quel “vangelo” ed è subito polemica perché è come se la Chiesa avesse nascosto per secoli la verità storica su Gesù e gli eventi allora accaduti e questa sia stata finalmente – rocambolescamente e fortuitamente – riportata alla luce in un “vangelo” ritrovato.

Il Vangelo di Giuda

Il ritrovamento e la pubblicazione del famoso Vangelo di Giuda suscitò a suo tempo un certo clamore. Per meglio venire incontro alle necessità commerciali si preferì, a mio avviso, non dare troppa importanza al dato oggettivo che l’autentico valore di questo scritto sia storico che religioso era ed è praticamente nullo. 1) Si trattava infatti di un clamoroso falso. 2) Sosteneva idee assurde. 3) Non ci riferisce alcuna informazione attendibile sulla persona di Gesù. Questo era conosciuto nel periodo post-apostolico, insieme ai tanti altri scritti d’origine spuria e faziosi nei contenuti. Considerazioni dello stesso tenore possono riferirsi anche agli altri “vangeli” non canonici. Questi in realtà non meriterebbero nemmeno il titolo di “vangelo”, ma sono comunque chiamati così, specificando che sono “apocrifi”, non appartengono al canone delle Scritture ispirate.

Le dottrine gnostiche erano irrimediabilmente lontane dalla Verità dell’Evangelo: erano tanto complesse quanto assurde e non possono in nessun modo rintracciarsi negli scritti ufficiali della Chiesa. Da qui il bisogno di opere spacciate per apostoliche. Ireneo, vescovo di Lione nel secondo secolo, scrisse un trattato monumentale, in cinque libri, contro l’eresia gnostica. Egli conosceva il Vangelo di Giuda, quindi quest’ultimo deve essere stato composto prima del 170 d.C. Nel paragrafo trentunesimo del libro primo della sua monumentale opera, egli scrive: “Essi affermano che Giuda il traditore era perfettamente al corrente di queste cose, e che solo lui, conoscendo la Verità come nessun altro, portò a compimento il mistero del Tradimento; per mezzo di lui tutte le cose, terrene e celesti, furono gettate nella confusione. Essi hanno prodotto una storia inventata di questo tipo, che essi chiamano il Vangelo di Giuda”.

La Chiesa riconosce i Vangeli canonici

I motivi che ci convincono del valore dei vangeli che troviamo nella Bibbia sono tanti. Nel I secolo non vi era alcuna organizzazione della Chiesa come la conosciamo noi oggi. Vi erano delle comunità indipendenti sparse per il mondo. Sebbene intrattenessero rapporti fra di loro (Vedi la lettera di Clemente del I secolo) non vi era nemmeno l’ombra di una organizzazione paragonabile a quella, ad esempio, della Chiesa Cattolica. Il fatto che tutte le chiese abbiano finito per accettare i quattro vangeli come ispirati ed autorevoli è quindi un dato molto significativo. Nessuna autorità centrale può avere imposto una tale scelta, ma vi deve essere stata la convinzione della loro origine apostolica. Per Luca deve essere stata fondamentale l’avere seguito Paolo nei suoi spostamenti. Per Giovanni, come capiamo anche dalla chiusa del suo vangelo, vi deve essere stata una cerchia di fedeli che rendevano personalmente testimonianza al suo ministero. Il vangelo di Marco sembra sia stato sanzionato dalla predicazione di Pietro. Matteo è una questione a sé, ma non vi sono stati dubbi sulla sua autenticità. Non credo che sia un caso che anche oggi nessuna delle tantissime e variegate realtà religiose del cristianesimo sollevi alcun dubbio sull’ispirazione dei quattro vangeli canonici. Il verdetto della Chiesa primitiva è molto importante, perché è un fatto che nessuna generazione che seguì poteva avere altrettanti validi elementi per giudicare cosa avesse autentica origine apostolica e cosa fosse solo un misero tentativo di imitazione mal riuscito. Ma anche il consenso della Chiesa nei secoli non può non essere altrettanto rilevante.

I vangeli sono un chiaro prodotto del I secolo e con ogni probabilità sono stati tutti scritti prima della distruzione di Gerusalemme e del tempio per mano dei romani, evento che condusse alla dispersione degli ebrei fino alla costituzione dello stato di Israele nel 1948.

Il Vangelo di Giovanni

Sono ormai passati gli anni in cui l’entusiasmo – forse quasi il delirio – razionalista di alcuni gli faceva sostenere che il vangelo di Giovanni fosse stato scritto nel II secolo. L’ipotesi poggiava sul fatto che questo vangelo presenterebbe una teologia troppo avanzata per il I secolo e quindi doveva per forza trattarsi di un prodotto della Chiesa organizzata del II secolo spacciato per un’opera dell’apostolo Giovanni.  Una valutazione meno pessimista avrebbe fatto comprendere che Giovanni era il capolavoro letterario e religioso che la Chiesa ha sempre sostenuto che fosse. Alla sua autenticità rendevano testimonianza Papia e Policarpo, che avevano personalmente conosciuto l’apostolo Giovanni e Ireneo che aveva conosciuto Policarpo. Va aggiunto che le ambientazioni di questo vangelo, gli eventi che ruotano attorno alla vita del tempio di Gerusalemme ed alle festività ebraiche, ì dettagli, i particolari, sono chiaramente opera di un testimone oculare ebreo, qualcuno che ha realmente visto quei luoghi e quegli eventi descritti così vividamente nel quarto vangelo. I riferimenti alle feste ebraiche e il loro intrecciarsi con il ministero di Gesù è troppo rispondente per essere opera di un non ebreo. Le ambientazioni sono a favore di una datazione che precede l’anno 70 d.C., la distruzione del tempio e della città.

La qualità del greco del IV vangelo manda fuori strada alcuni, facendo supporre che questo sia stato composto dopo l’Apocalisse. Infatti il vangelo mostra un greco molto migliore e attento dell’ultimo libro della Bibbia. In questa idea sfugge, però, l’ovvio. Se l’imprigionamento a Patmos è avvenuto dopo l’anno 90, immaginiamo che l’apostolo Giovanni che tutta la sua vita è stato a contatto con il mondo greco e con quella lingua, abbia aspettato i suoi 90 anni per mettersi a studiare grammatica e scrivere un vangelo migliore dell’Apocalisse? La realtà dei fatti è che, come si capisce anche dalla chiusa del vangelo, qualcuno ha assistito l’apostolo nella redazione del vangelo; qualcuno che non era presente quando scriveva l’Apocalisse. Il vangelo poi doveva essere stato frutto di una lunga attenta riflessione e raccolta di idee ed anche di altro materiale scritto, magari dello stesso apostolo. L’Apocalisse invece è frutto di una Rivelazione e richiede che questa sia stata scritta in brevissimo tempo e in condizioni meno agevoli. La cosa più straordinaria sul dibattito riguardante la datazione di Giovanni si interruppe bruscamente con la scoperta del papiro 125. Questo frammento preserva una parte del IV vangelo (in fronte retro) ed è stato datato al più tardi al 125 d.C. Sono comunque dell’opinione che la datazione generalmente accettata sia troppo pessimistica, come altri ben più competenti di me hanno proposto. Basta comunque a confermare con dati oggettivi che Giovanni è stato scritto prima dell’anno 100 d.C. La Chiesa non è stata ingannata da qualche abile falsario e non ha imposto uno scritto pseudonimo per dare fondamento ai propri insegnamenti, come alcuni ipotizzavano. Esattamente il contrario: la Chiesa ha accettato uno scritto autenticamente apostolico, dall’innegabile oggettivo valore intrinseco, sul quale ha basato il proprio insegnamento e sviluppato la propria dottrina. I molti vangeli apocrifi e gnostici che si ispirano a questo capolavoro letterario, sono delle imitazioni davvero di pochissimo valore al suo confronto.

Storicamente il vangelo di Giovanni mantiene il suo status di resoconto di un testimone oculare (come ribadisce l’apostolo nella sua epistola) mentre i vangeli gnostici ed apocrifi che ad esso si ispirano, rimangono solo il parto di menti perverse che per il proprio tornaconto aggiustavano la verità storica secondo la loro fantasia — mi si scuserà se dico pane al pane, vino al vino?

I sinottici

Diverse le problematiche dei sinottici. Considerati nel loro insieme questi mostrano una caratteristica che è stata il rebus di studiosi di intere generazioni. Intere porzioni di questi scritti sono praticamente identiche. Il problema sinottico, come viene definito, non è di facile risoluzione. Si è ipotizzato che un vangelo sia servito per la stesura dell’altro; ma è a mio avviso inverosimile stante lo stato del testo. E’ invece più logico pensare che gli evangelisti abbiano potuto attingere a documenti più antichi di loro sulla cui autorità i tre erano indipendentemente certi. Luca avrà potuto servirsi dei documenti in possesso di Paolo. Sappiamo infatti che l’apostolo portava con sé diversi scritti. Matteo invece era lui stesso un apostolo. Marco sembra abbia raccolto le memorie di Pietro. Sarebbe ingenuo pensare che non circolassero nella cerchia degli apostoli “appunti” sui detti o i fatti che riguardavano Gesù. L’utilizzo di queste “fonti” andate perdute è marchio di autenticità ed apostolicità dei sinottici. Le differenze fra i vari vangeli motivano il loro esistere nelle nostre Bibbie ed è impossibile non ammettere che senza uno dei vangeli la cristianità avrebbe perso qualcosa: il quadro non sarebbe stato completo.
Sono per una datazione dei sinottici antecedente all’anno 70. Per tantissimi motivi.

Matteo

Non vi sono prove certe sull’attribuzione di questo vangelo all’apostolo Levi, detto Matteo. Quindi sarebbe inutile insistere su un tale argomento visto il senso della nostra discussione. La Chiesa primitiva doveva avere la certezza che tale scritto avesse autorità apostolica, vista l’unanimità con la quale è stato accettato ed il prestigio del quale ha goduto come testo cristiano anche presso la comunità ebraica. Esiste infatti un Matteo ebraico, reperto interessantissimo di un possibile originale del Vangelo trasmesso nella tradizione cristiana solo in greco. Per approfondimenti, ho scritto un articolo in proposito (Il vangelo ebraico di Matteo – Matteo ha davvero scritto il suo vangelo in ebraico? Il prof. George Howard ha pubblicato il testo ebraico di Matteo tramandato in un trattato del XIV secolo.)

Matteo ha evidenti tracce di un forte sentimento ebraico inconcepibile da parte di un non ebreo. Le genealogie all’inizio del suo vangelo vogliono dimostrare che Gesù è discendente di Davide e di Abraamo. La stessa espressione iniziale “Libro della genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abrahamo” rispecchia la mentalità semitica dove il termine “figlio” è utilizzato nel senso di “discendente” che non è proprio della lingua greca nella quale il vangelo ci è giunto ma della mentalità ebraica che deve essere stata dell’autore. Continuando ad esaminare così, rapidamente, la narrazione di questo vangelo salta agli occhi come l’autore sia perfettamente a conoscenza delle usanze ebraiche sul fidanzamento e sulle previsioni della Legge mosaica, evidenti nella descrizione dei dettagli della condotta di Giuseppe quando apprende che Maria, sua promessa sposa, è incinta. L’affermazione che Gesù sarebbe stato chiamato Nazareno (Mt. 2:23) e che ciò adempie quanto detto dai profeti poteva essere scritto solo da un ebreo, infatti noi non ebrei ci scervelliamo da oltre duemila anni per capire cosa volesse dire, mentre era chiaro che un ebreo scriveva ad altri ebrei sapendo che essi avrebbero compreso benissimo ciò che diceva. Il vangelo di Matteo è totalmente intriso di cultura ebraica: è citata, richiamata, implicita, salta agli occhi persino nella traduzione. Stando al discorso profetico di Matteo è impossibile pensare che questo vangelo sia stato scritto dopo la distruzione di Gerusalemme del 70 d.C.

Il mio semitismo preferito lo troviamo in Matteo 5:15 che legge: ” … non si accende la lampada, e si mette sotto il moggio” (versione di Giovanni Diodati). La frase risente dell’uso ebraico della congiunzione, assolutamente inesistente in greco. E’ per questo che le traduzioni più recenti mettono da parte la traduzione letterale del brano per renderne chiaro il significato inteso dall’autore di lingua ebraica: “non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente” (versione Nuova Riveduta).

Un semitismo culturale molto importante lo troviamo poco dopo, ancora nelle parole di Gesù: “Voi avete udito che fu detto: “Ama il tuo prossimo ed odia il tuo nemico” (Matteo 5:43). Questo riferimento ha senso solo per un ebreo che sa che questo era l’insegnamento degli esseni, setta ebraica non sopravvissuta alla distruzione dello stato ebraico. Fino alla scoperta della biblioteca di Qumran questa affermazione fatta da Gesù era per noi un mistero e non sapevamo a chi si indirizzasse la sua aperta polemica.

Potremmo andare avanti per molto, con esempi su esempi, perché è fin troppo chiaro che l’autore di Matteo potrebbe anche non essere l’apostolo citato nel Nuovo Testamento, ma di sicuro è un ebreo, un ebreo che poteva attingere alle stesse fonti scritte ed orali a disposizione di Marco e di Luca – e quindi ragionevolmente anche di Paolo. Un individuo perfettamente informato, al corrente di dettagli molto specifici sul ministero di Gesù. Io mi arrischio a fare un’affermazione davvero audace: viste le circostanze sopra descritte, visto che la tradizione cristiana e persino ebraica (per quanto ne sappiamo) attribuisce all’unanimità il primo vangelo a Matteo, ebreo ed apostolo di Gesù, io sono convinto che l’onere della prova spetta a chi sostiene il contrario.

Carsten Peter Thiede e Matthew D’Antona hanno scritto un libro intitolato “Testimone oculare di Gesù”, un testo divulgativo sulla materia dei vangeli che però raggiunge ottimi livelli anche tecnici. Thiede propone la ridatazione del Papiro 64, il papiro Magdalen, a prima dell’anno 70 d.C. e scrive lo definisce “la prima prova materiale che il Vangelo secondo Matteo è un racconto di un testimone oculare, scritto da contemporanei di Cristo”, p.15. In realtà si tratterebbe solo della conferma di quanto a mio avviso già storicamente attestato dalla testimonianza della Chiesa e dalle evidenze interne del testo stesso del primo vangelo.

Marco

Difficile immaginare uno scritto più semitico di Marco. La lingua e cultura ebraica indossano in questo vangelo un leggero soprabito del greco nel quale questo vangelo è giunto a noi! Leggiamo l’affascinante racconto di Jean Carmignac. “Per facilitare il confronto fra i nostri Vangeli e i testi ebraici di Qumran, ho provato, semplicemente per mio uso personale, a vedere che cosa avrebbe dato Marco ritradotto nell’ebraico di Qumran. Pensavo che questa traduzione sarebbe stata molto difficile a causa delle notevoli differenze fra il pensiero semitico e quello greco. Così fui stupefatto nel constatare che la traduzione era, al contrario, estremamente facile … Le enormi difficoltà che mi aspettavo erano state già tutte risolte dal traduttore ebreo-greco, che aveva trasposto parola per parola e aveva conservato in greco lo stesso ordine delle parole voluto dalla grammatica ebraica”. La nascita dei vangeli sinottici, pag. 7-8.

Con questi elementi a nostra disposizione è impossibile pensare di attribuire anche a Marco una data di composizione che superi il 70 d.C. Si tratta di uno scritto perfettamente in armonia con lo stile letterario della prima metà del primo secolo e composto all’interno della cerca ebraica. L’unanime accettazione della Chiesa di questo scritto unita a questo fatto, viste anche le affinità con gli altri vangeli di Luca e Matteo, ci conferma l’attendibilità storica della narrazione di Marco: la sua contemporaneità agli eventi che descrive, la sua autorità apostolica.

Il greco del Nuovo Testamento

In un certo senso Eusebio vuole giustificare lo stile semplice, rozzo persino agli occhi del mondo greco, dei vangeli. “Questi uomini di Dio veramente pii ed ispirati, gli apostoli del nostro Salvatore, i quali vissero una vita irreprensibile, dotati di ogni virtù nelle loro menti, ma semplici nel loro linguaggio, in quanto facevano affidamento alla divina e meravigliosa potenza concessa loro, non sapevano come, né tentarono di abbellire i loro insegnamenti con l’arte della ricercatezza della composizione”, Storia Ecclesiastica, Libro III, Capitolo XXIV

Il fatto è che il greco era una lingua – un po’ come il nostro italiano – che diveniva particolarmente sofisticata e ricercata nella forma scritta. Il greco dei classici aveva creato degli schemi molto sofisticati che però erano lontani dal greco Koiné che invece era parlato ed utilizzato in forma scritta nelle terre ellenizzate dall’impero fondato da Alessandro Magno. Il greco era certamente conosciuto e parlato anche nella Galilea dove vissero Gesù e gli apostoli, come lo è l’inglese oggi. Spero che gli ebrei non parlassero il greco come noi italiani parliamo oggi l’inglese: i vangeli, così come gli altri scritti neotestamentari, sembra ci diano prova che essi riuscivano decisamente meglio di noi. Per quanto però potessero avere dimestichezza con quella lingua, essa veniva parlata al di fuori dei suoi confini nazionali, spesso per fini commerciali e difficilmente gli apostoli potevano aver avuto interesse a leggere i classici greci. Molto verosimilmente conoscevano la versione greca dell’Antico Testamento che già allora godeva di prestigio.

Luca

Il marchio di autenticità di Luca è evidente dalle sue peculiarità linguistiche. Lo scritto comincia con una formula scritta in un greco più sofisticato di quello che abbiamo incontrato nei vangeli di Matteo e Marco, per non parlare di quello di Giovanni. Che sia esistito o meno un Teofilo poco importa, lo stile letterario è puramente greco e non ebraico. Eppure nonostante ciò Luca ha poi, nel seguito della sua narrazione, più ebraismi di Matteo e Marco.

Ciò implica dei fatti oggettivi.

Innanzi tutto l’autore del terzo vangelo aveva accesso a documenti in lingua ebraica ai quali hanno attinto anche gli altri sinottici, ma che forse ha reso in maniera più letterale. Se ciò è vero e colleghiamo il libro di Luca a quello degli Atti degli Apostoli “Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare … ” (Atti 1:1). Se consideriamo che gli Atti degli Apostoli si concludono … o meglio non si concludono: la narrazione, infatti, si arresta ed è facile dedurre che l’autore non avesse più nulla da narrare al tempo passato. “E Paolo rimase due anni interi in una casa da lui presa in affitto, e riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento”. (Atti 28:30-31)
Da questa chiusa del libro è facile argomentare che la sua composizione deve essere avvenuta dopo due anni della prigionia a Roma dell’apostolo, ma prima della sua eventuale liberazione o del suo martirio; viceversa Luca ne avrebbe parlato.

Il consenso della Chiesa sull’autorevolezza di questo scritto la troviamo nello stesso Nuovo Testamento. In una epistola di Paolo. In 2 Corinzi 8:18, scrive l’apostolo: “E noi abbiamo mandato con lui (con Tito) il fratello (Luca) la cui lode è per l’evangelo in tutte le chiese.”
Il fratello menzionato da Paolo ed associato a Tito è Luca, evidente dalle parti narrare in prima persona nel libro degli Atti. Non possiamo sottovalutare l’importanza del fatto che quando Paolo scriveva l’epistola ai Corinzi, Luca fosse già conosciuto “in tutte le chiese” a motivo del suo Vangelo. E’ un’affermazione importante ed una testimonianza di non poco conto. In varie versioni bibliche il testo è totalmente diverso dalla traduzione (mia) che ho proposto.
Il testo greco originale di questo brano legge: “συνεπέμψαμεν δὲ μετ᾿ αὐτοῦ τὸν ἀδελφὸν οὗ ὁ ἔπαινος ἐν τῷ εὐαγγελίῳ διὰ πασῶν τῶν ἐκκλησιῶν”.
La Riveduta Luzzi traduce: “E assieme a lui abbiam mandato questo fratello, la cui lode nella predicazione dell’Evangelo è sparsa per tutte le chiese”. Il testo originale, però, non dice “questo” fratello, bensì “il” fratello. La frase “nella predicazione”, però, non c’è nell’originale.
La Nuova Riveduta traduce: “Insieme a lui abbiamo mandato il fratello il cui servizio nel vangelo è apprezzato in tutte le chiese”. La parola “servizio” traduce male la parola che nell’originale invece è “lode”. La parola “apprezzato” non è nel testo greco.
Il tentativo, lo capisco, è quello di dare un significato alla frase di Paolo; ma un significato che non sia quello che semplicemente ha se tradotta letteralmente.
Una traduzione letterale di 2 Corinzi 8:18, e, secondo me, più corretta, la troviamo nella versione della CEI: “Con lui (con Tito) abbiamo inviato pure il fratello (Luca) che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo”.

Il Vangelo di Luca precede quindi la composizione degli Atti di qualche tempo, sebbene non sappiamo quanto. Di sicuro è stato scritto prima che Paolo partisse per il suo terzo viaggio missionario e scrivesse la sua seconda epistola, cioè tra il 54 ed il 58 d.C., con sufficiente anticipo perché la sua opera si diffondesse in maniera tanto estesa da motivare l’affermazione dell’apostolo.

Non solo non è convincente una data di composizione per il terzo vangelo posteriore al 70 d.C. ma considerazioni interne al suo testo ed al Nuovo Testamento, alla testimonianza della Chiesa, sono più che indizi, vere  proprie prove di una composizione più antica.

Assurdità nei contenuti dei vangeli apocrifi

Altri scritti gnostici riportati alla luce nel secolo scorso sono il cosiddetto Vangelo di Tommaso, il Vangelo di Filippo, il Vangelo dei Nazareni, il Vangelo agli Ebrei, il Vangelo di Pietro e diversi altri.

Nonostante l’entusiasmo di qualche commentatore di testi apocrifi, che, ovviamente, non può non tirare l’acqua al proprio mulino, l’interesse storico e religioso di questi scritti è legato esclusivamente alla loro antichità. Se non fossero così antichi, il loro valore intrinseco – altro non sono che dei clamorosi falsi – non li avrebbe resi più degni di attenzione di un opuscoletto lasciato sul nostro parabrezza per informarci sul fatto che gli alieni che ci hanno creato hanno anche costruito le piramidi egiziane.

Nonostante la loro antichità, questi documenti non possono intaccare, se non agli occhi dei poco informati, l’attendibilità delle narrazioni dei testi canonici su Gesù e della dottrina apostolica: sono solo voci dal passato, isolate e discordanti tra loro.

Facciamo un esempio concreto che spieghi la forte ostilità della chiesa primitiva verso le eresie e i testi che le sostenevano e anche il disagio, il visibile fastidio della Chiesa odierna quando vengono gratuitamente – anzi, al contrario, proprio e soprattutto per guadagno –  attaccate le nostre Verità più care.

Immaginiamo che fra duemila anni degli archeologi rinvengano i libri e le testimonianze sull’olocausto e lo ritengano un evento storico sufficientemente attestato. Ma poi, per caso, un archeologo rinviene un altro documento, un singolo documento, che nega la realtà storica di quell’evento e, in base a quel singolo documento, si sostiene che l’olocausto non sia mai avvenuto.

Sulla scorta di poco attendibili documenti – sebbene antichi – o delle fantasiose teorie di alcuni, non si può negare l’essenza della fede trasmessa dai testimoni oculari di Gesù nel Nuovo Testamento!

Ho letto i Vangeli Apocrifi. Li trovo interessanti: attestano le varie eresie dei primi secoli. In particolare quella gnostica, che fioriva in Egitto. E, visto che il clima egiziano, secco e caldo, facilita la conservazione dei manoscritti antichi, alcuni documenti che ne confermano l’esistenza sono tornati alla luce.

Visto che alcuni sostengono che Gesù fosse sposato alla Maddalena perché lo attesta un “vangelo” scritto da un anonimo che si spaccia per l’apostolo Filippo (l’informazione proviene, quindi, già da uno scritto che si presenta subito come un falso) non possiamo non dare uno sguardo anche alle incredibili assurdità che troviamo in altri punti di questo stesso racconto – chiamarlo vangelo a me sembra davvero troppo. Nel paragrafo 17 di questo scritto leggiamo: “Taluni hanno detto che Maria concepì dallo Spirito Santo. Essi sono in errore. Essi non sanno quello che dicono. Quando mai una donna ha concepito da una donna.” Citazione tratta dal “Vangelo di Filippo” nell’edizione contenuta nella raccolta “I Vangeli Apocrifi”, Einaudi Tascabili, 1990, pag.513. Visto che la parola “spirito” in ebraico è di genere femminile, secondo alcune assurde credenze gnostiche lo Spirito Santo era donna e questo spiega il senso della frase che abbiamo appena letto. Nella stessa opera che ho appena citato, a pagina 521, paragrafo 55, leggiamo un fatto che tanto scalpore ha suscitato: “La Sofia, che è chiamata sterile, è la madre degli angeli. La consorte di (Cristo è Maria) Maddalena. (Il Signore amava Maria) più di tutti i discepoli e la baciava spesso sulla (bocca).”

Un’assurdità dietro l’altra. Che peso possiamo dare ad un’affermazione inserita in un contesto del genere? Anche il bacio in bocca, nell’incredibile ricerca di complessità filosofica, non è inteso, in questo contesto, come invece potremmo intenderlo noi oggi. Infatti lo stesso scritto, in un altro passo, ci spiega cosa sia veramente questo “bacio” di cui si parla. “(Colui che si nutre) dalla bocca, se di lì è uscito il Logos, dovrà essere nutrito dalla bocca, e diventare “perfetto”. Perché il perfetto diventa fecondo per mezzo di un bacio, e genera. Per questo motivo anche noi ci baciamo l’un l’altro, e concepiamo l’uno dall’altro, per opera della grazia che è in noi.”

La dottrina gnostica è complicatissima. Questi due paragrafi, insieme a quanto detto sul vangelo di Giuda, credo ne abbiano dato, seppure in breve, un’idea.

Conclusioni

I tentativi di discreditare la fede che così meravigliosamente ci è stata tramandata nelle pagine del Nuovo Testamento non hanno alcun concreto fondamento storico o religioso e la Chiesa deve ribadirlo forte e chiaro. Ma forse, mi permetto di dire, alla fine certe argomentazioni convincono soltanto chi va a caccia di scuse per non credere o per volere credere a modo proprio.

I vangeli canonici sono ancora oggi, insieme agli altri libri raccolti nel Nuovo Testamento, la testimonianza più attendibile all’autentica essenza dei fatti della fede cristiana.

Ho già citato Eusebio di Cesarea. Egli considera così la questione sui libri “apocrifi”: “Noi possiamo ben distinguere fra i libri (del Nuovo Testamento) e quelli che gli eretici propongono sotto il nome degli apostoli, come i vangeli di Pietro, Tommaso e Matteo ed altri oltre questi che contengono gli Atti degli Apostoli di Andrea o Giovanni, ed altri ancora, che nessuno nella successione ecclesiastica ha mai citato nei propri scritti: e in verità la loro natura e stile sono molto diversi da quelli degli scritti degli apostoli, i sentimenti e lo scopo di ciò che in essi viene proposto devia il più possibile dalla sana ortodossia e ciò prova che sono opere fantasiose di uomini eretici. Quindi tali scritti non sono da annoverarsi nemmeno fra le opere spurie, ma debbono rifiutarsi interamente in quanto opere assurde e malvagie”. Eusebio di Cesarea, Storia Ecclesiastica, Libro III, Capitolo XXV.

Questa era la posizione della Chiesa. Questa è anche la posizione della Chiesa di oggi. E’ un atteggiamento che difende l’attendibilità degli elementi della nostra fede contro degli scritti che compaiono solo in ambienti votati a minare le certezze dei credenti a favore delle opinioni di uomini empi, motivati da chissà quali interessi personali.

Se il nostro interesse è storico-scientifico, lo studio di questi antichi scritti ci offre l’opportunità di conoscere meglio l’ambiente culturale in cui mosse i primi passi la fede cristiana. Il valore archeologico di alcuni ritrovamenti è difficile da sottostimare e la testimonianza di questi reperti è davvero molto affascinante ed importante sotto tanti aspetti. Pensare però di rinvenire negli apocrifi i semi di un cristianesimo autentico andato perduto, non ha nessuna giustificazione storica, letteraria o di qualsiasi altro genere e se ciò è promosso da alcuni, ciò lo dobbiamo, oggi come allora, ai tempi quando gli eretici diedero vita a questi scritti, alla ricerca ad ogni costo di un interesse personale e motivazioni non del tutto intellettualmente e moralmente oneste.


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