La cristologia di Ebrei 1:1-3

di Giuseppe Guarino

Presento uno studio sui primi tre versi dell’Epistola agli Ebrei. Spero vi sarà utile.

Traduzione (mia) in italiano di Ebrei 1:1-3.

  1. In molte volte e in molti modi, anticamente, Dio parlò ai padri per mezzo dei profeti. 2. In questi ultimi giorni ha parlato a noi nel Figlio, il quale ha costituito erede di ogni cosa, per mezzo del quale ha anche creato il mondo. 3. Egli, che è lo splendore della sua gloria e l’immagine della sua persona, sostenendo ogni cosa con la parola della sua potenza, avendo fatto, per mezzo di se stesso, la purificazione dei nostri peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi.

I primi versi di questo scritto sono totalmente al di fuori dei canoni delle altre epistole del Nuovo Testamento, tanto diversi da mettere persino in discussione il fatto che esso sia un’epistola e considerare seriamente di trovarci davanti ad un breve trattato o persino un sermone. Ciò sarebbe possibile, però, se non fossero presenti più in là dei chiari riferimenti che ci fanno subito scartare questa prima sensazione per confermare l’opinione tradizionale che è riflessa nel titolo che troviamo di solito nelle nostre Bibbie e che ne dà anche una breve descrizione: “Epistola agli Ebrei”.

Il fatto che questa epistola sia indirizzata a degli ebrei convertiti al cristianesimo sembra evidente dai troppi riferimenti specifici all’interno del testo e dallo stesso motivo portante di tutto lo scritto: il Nuovo Patto in Cristo sostituisce definitivamente quello Vecchio dato al popolo ebraico tramite Mosè nella Legge.

Poi per sottolineare, se ve ne fosse bisogno, quanto la Parola di Dio sia universale e perfetta, veramente “utile ad insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, affinché l’uomo di Dio sia compiuto” (2 Timoteo 3:16-17) dovremmo aggiungere che, dal contenuto di tale scritto, la Chiesa di Cristo ha tratto grande beneficio.

Per chiarire subito la superiorità del nuovo patto, l’autore punta subito a dimostrare la diversità del tramite di questa nuova alleanza, Gesù, rispetto ai profeti del passato.

Volendo schematizzare il primo verso, questo apparirà straordinariamente chiaro:

In molte volte e in molti modi anticamente Dio parlò ai padri per mezzo dei profeti.
In questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio

In molte volte e in molti modi

è un ovvio cenno alla gradualità della Rivelazione, al percorso della stessa da Abramo a Mosè, da Mosè ai profeti, volendola tracciare in grandi linee. La parola “profeta” va qui intesa in maniera generica, come il tramite umano attraverso il quale Dio ha parlato. Ecco subito il riferimento alla parola, tramite la quale Dio si rende comprensibile, si avvicina e rivela alla sua creatura.

La rivelazione è avvenuta in tempi diversi ed in modi diversi. In questa precisazione è come se si volesse parlare dell’inizio di un cammino, un cammino che ha visto la crescita della conoscenza di Dio e del Suo piano per l’umanità, in un crescendo. L’autore, assistito dallo Spirito Santo di Dio, ha già chiaro in mente dove ci vuole portare ed ogni frase tende subito con grande intelligenza a tracciare i primi tratti del suo disegno.

“anticamente”

A quel tempo, i profeti non esistevano più in Israele da secoli ormai e lo studio degli Scribi e dei Dottori della Legge era per la comprensione della Rivelazione data nell’Antico Testamento.

“Dio parlò”

E’ una considerazione ovvia dell’autore. Egli da per scontato che coloro che leggeranno quanto scrive, i primi destinatari della sua “lettera”, sanno che Dio ha parlato, si è Rivelato. Oggi non possiamo darlo per scontato in chi ci legge. La certezza che nella Scrittura, negli autori sacri, Dio stesso parli è messo in discussione da molti. Persino chi vive una forma di cristianesimo, a volte non concorda con una tale ovvia verità comune alla fede ebraica e cristiana: Dio ha parlato. Nell’epoca in cui viviamo, pervasa da un forte sentimento sincretista e da un relativismo ormai assoluto e onnipresente, una verità tanto semplice diventa complicata e difficile da comunicare. Eppure la semplicità della Scrittura è disarmante e chi si dice cristiano deve seriamente valutare se lo è davvero o solo all’apparenza, negando la rivelazione di Dio.
Il riferimento al linguaggio richiama subito alla mente dello studioso della Scrittura il prologo del Vangelo di Giovanni. Si tratta di un collegamento assolutamente pertinente. Infatti l’inizio di Giovanni e quello di Ebrei sono perfettamente complementari. Giovanni si sofferma sul ruolo di Colui tramite il quale Dio si rivela in maniera definitiva. In Ebrei ne viene sottolineata la natura.

“ai padri”

Ecco uno dei primi indizi che motivano l’indirizzo dell’epistola a degli ebrei convertiti al cristianesimo. La terminologia “ai padri” è evidentemente ebraica, e richiama proprio la discendenza nazionale dei destinatari con i primi depositari delle rivelazioni divine. Sembra anche evidente da questo termine che anche l’autore appartenga al popolo ebraico. Da qui la deduzione – con altri indizi – che Paolo abbia potuto essere l’autore di questa epistola. Personalmente, nonostante questa posizione non sia oggi la più in voga, credo molto plausibile l’autorità paolina di Ebrei. Se il lettore ritiene il silenzio iniziale determinante – è  certamente anomalo, a dir poco, se confrontato con le altre epistole di Paolo – lo invito a non essere così frettoloso: semmai tale omissione iniziale ha solo reso più popolare la negazione dell’autenticità dell’attribuzione a Paolo di questo scritto di quanto non sia successo per le altre tredici epistole, l’autenticità delle quali, nonostante i chiari riferimenti iniziali e finali, diversi hanno comunque messo in discussione.

“per mezzo dei profeti”

In un certo senso Abramo fu un profeta, lo fu anche Mosè, ecc… Profeta è chiunque è stato usato da Dio come tramite per rivelare la Sua Parola agli uomini. L’affermazione dell’autore non è da riferirsi agli scritti dei “profeti” rinvenuti nella Scrittura. L’autore di Ebrei si riferisce all’interezza della Rivelazione dell’antico patto, infatti scrive che in vario modo ed in tempi diversi. Ciò include Elia, Mosè, Geremia, Malachia, tutti gli uomini di Dio che sono stati canale delle parole di Dio per il suo popolo.

 “In questi ultimi giorni”

Il significato escatologico di questa espressione è evidente: il  riferimento è ai giorni del Messia. Tantissimi i riferimenti biblici in proposito.

Isaia 2:2: “Avverrà, negli ultimi giorni, che il monte della casa del SIGNORE si ergerà sulla vetta dei monti, e sarà elevato al di sopra dei colli; e tutte le nazioni affluiranno a esso.

Daniele 2:28: “ma c’è un Dio nel cielo che rivela i misteri, ed egli ha fatto conoscere al re Nabucodonosor quello che deve avvenire negli ultimi giorni“.

Osea 3:5: “Poi i figli d’Israele torneranno a cercare il SIGNORE, loro Dio, e Davide, loro re, e ricorreranno tremanti al SIGNORE e alla sua bontà, negli ultimi giorni“.

Gli ultimi tempi sono i nostri e lo sono anche teologicamente: è con i giorni del Cristo e la predicazione del Vangelo che è seguita che la rivelazione definitiva di Dio agli uomini si è manifestata.

Giovanni 1:14: “la Parola si è fatta uomo ed ha dimorato fra noi.

“ha parlato a noi”

La Rivelazione, avvenuta in modi e tempi diversi, tramite i santi uomini di Dio, oggi, nei giorni del Messia, arriva al suo completamento nel Figlio di Dio, Parola incarnata, perfetta rivelazione dell’invisibile Padre e della Sua volontà.

Quello che era in embrione nell’Antico Testamento, in Cristo trova il suo compimento e completamento; persino il suo senso.

“per mezzo del Figlio”

Il testo originale, come spesso accade, ci dice qualcosa in più della traduzione di questa frase.

Il greco qui infatti è “ἐν υἱῷ”.

Per mezzo del figlio” è probabilmente il modo migliore per rendere al lettore italiano in maniera intellegibile il senso delle parole in greco. Però è anche vero che sfugge nella traduzione il senso dell’intenzione dell’autore. Egli infatti ci tiene a sottolineare la natura del tramite della rivelazione negli ultimi tempi.

Gesù non è semplicemente un altro profeta, come quelli tramite i quali Dio ha parlato in passato, egli è Figlio di Dio, il suo rapporto con il Padre è unico. Giovanni lo definisce “l’Unigenito Figlio di Dio”: nessuno è Figlio di Dio nel senso in cui lo è Gesù.

La lingua greca è stupenda e permette di trasmettere dei significati davvero profondi. La Rivelazione in Cristo era diversa e definitiva proprio per chi Egli era; infatti, fatta quest’affermazione, nei versi che seguono viene spiegata in dettaglio, rendendo chiaro l’intento dell’autore ed il senso della menzione del Figlio anche al lettore attento della traduzione. Le sfumature delle lingue originali della Bibbia sono molto belle, preziose, e studiarle è un privilegio e certamente ci fa comprendere tanti dettagli interessanti. Ma che il lettore della Parola di Dio non penda dalle bocche di coloro che conoscono le lingue originali della Bibbia, ma dipenda dallo Spirito Santo! Se infatti la nostra autentica conoscenza delle Scritture dipendesse dalla conoscenza delle lingue originali, come mai tutti gli ebrei non si convertono a Cristo? Come mai Biglino attacca l’autorità della Bibbia?

Grazie a Dio abbiamo molti studiosi che non producono teorie sensazionalistiche, che conoscono le lingue originali ed hanno prodotto versioni affidabili che SONO la Parola di Dio ed in ogni senso possono essere lette con profitto e studiate con ottimi risultati. In tutto il mondo, in quasi tutte le lingue, sforzi di traduzione indipendenti hanno portato a versioni bibliche sostanzialmente concordanti. La King James Version e la Diodati risalgono allo stesso periodo e sono due Bibbie affidabilissime. La KJV è la versione che preferisco. La Nuova Diodati, la Nuova Riveduta sono ottime versioni. Trovo molto buona la CEI, con la quale in diversi piccoli dettagli mi sono scoperto di concordare.

Torniamo all’esegesi del testo.

Sulla unicità del Figlio, nel suo rapporto di mediatore fra Dio e l’uomo, la Scrittura ne parla ampiamente.

“Nessuno è salito in cielo, se non colui che è disceso dal cielo: il Figlio dell’uomo che è nel cielo” (Giovanni 3:13).

“Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità son venute per mezzo di Gesù Cristo. Nessuno ha mai veduto Iddio; l’unigenito Figliuolo, che è nel seno del Padre, è quel che l’ha fatto conoscere” (Giovanni 1:17-18).

L’affermazione di Giovanni ricalca da vicino l’introduzione dell’epistola agli Ebrei ed anche qui si sottolinea l’unicità della Rivelazione in Cristo il quale non solo ha portato la “grazia e la verità”, ma ha anche fatto conoscere in se stesso il Padre, ha reso in ogni senso visibile l’invisibile Dio : “…chi vede me, vede Colui che mi ha mandato” (Giovanni 12:45)

Ebrei continua in maniera stupenda, con un inno cristologico di grandissimo significato.

“il quale ha costituito erede di ogni cosa, per mezzo del quale ha anche creato il mondo”

Le parole qui ricalcano un concetto già espresso altrove nel Nuovo Testamento. “tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. (Colossesi 1:16). Gesù è il mezzo attraverso il quale è stata creata da Dio ogni cosa ed anche il senso, il significato, il principio di tutto ed il fine di tutto, il primo e l’ultimo – Vedi Apocalisse 3:14, 21:6 e 22:16.

E’ meravigliosa l’armonia della Scrittura. Mettiamo a raffronto Ebrei e Colossesi 1:15-16.

Egli è l’immagine del Dio invisibile, Figlio,
il primogenito di ogni creatura; il quale ha costituito erede di ogni cosa,
poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui per mezzo del quale ha anche creato il mondo.

Il termine “primogenito” in Colossesi non riferisce all’origine del Figlio di Dio, ma, per dirlo con le stesse parole della Scrittura, ai privilegi che erano legati alla primogenitura, in quanto Figlio e perciò erede di ogni cosa.

Anche i credenti, in questo senso, veniamo definiti “primogeniti”. Vedi Ebrei 12:23. Ciò perché siamo anche noi figli di Dio, adottati a Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo, e quindi co-eredi. Che meraviglioso privilegio appartenere a Cristo!

In Giovanni 1, lo sappiamo, viene visto ampiamente il ruolo di Gesù nella creazione del mondo. Vale la pena dare un’occhiata. Visto che non immagino una lettura di questo mio commento che non sia al fine di studio, permettetemi una traduzione più complessa del prologo del Vangelo di Giovanni.

In principio era il logos.

Il logos era con Dio.

Il logos era Dio.

Egli era in principio con Dio.

Tutto è stato creato per mezzo di lui

e senza di lui non esisterebbe nulla di ciò che è stato portato all’esistenza”.

Giovanni introduce nel suo vangelo un termine che risultava allora molto familiare ai greci. Egli infatti parla di un logos, il quale era lì al principio di tutte le cose con Dio, dal quale era distinguibile personalmente, sebbene fosse egli stesso Dio – Giovanni 1:1.

Le Bibbie in genere traducono “logos” con l’italiano “parola”. La chiesa romana traduce “Verbo”, seguendo la lezione della versione latina del vangelo. Verbo ha il vantaggio di essere un termine maschile, come logos, ma ritengo più adatta la traduzione “parola”.

Sebbene il termine logos sia greco, il concetto che esprime nel vangelo è profondamente ebraico.

Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è colui che lo ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18).

Già Filone alessandrino, ebreo studioso dell’Antico Testamento secondo i canoni biblici, ma a tutti gli effetti un “filosofo” se lo vogliamo inserire nel contesto dell’Alessandria d’Egitto dove visse a cavallo fra il primo secolo avanti Cristo e il primo secolo dopo Cristo, accusava i greci di dovere all’influenza degli scritti di Mosè le più lucide affermazioni dei loro filosofi sulla Divinità. Anche Filone faceva riferimento ad un logos nelle sue imponenti opere in difesa del pensiero giudaico. Da altre fonti ci giunge notizia che la cultura ebraica parla di Memra (traducibile in greco logos, in italiano “parola”) come manifestazione visibile del Dio (veterotestamentario) invisibile. Insomma, come dicevo, parola greca, concetto ebraico.

In questo fermento culturale ebraico e greco sulle riflessioni che riguardavano la trascendenza di Dio, si inserisce Giovanni in maniera prepotente, affermando qualcosa che avrebbe sconvolto sia gli ebrei sia i greci: il logos era Dio e si era incarnato in Gesù di Nazareth!

Il cristianesimo aveva compiuto quello che era l’inevitabile passo seguente della riflessione ebraica. Filone definiva il logos divino, prima creazione di Dio e modello di quella in cui viviamo. Il giudaismo si era reso conto che era stato il logos, nell’aramaico dei Targumin ebraici chiamato memra, ad essere apparso come Dio nell’Antico Testamento. Ma Giovanni sconvolge tutto presentando un logos increato, Dio, ma soprattutto diventato uomo nel Gesù riconosciuto dai cristiani come il Messia, ma rifiutato come tale dalle istituzioni ebraiche del tempo, cioè dal giudaismo ufficiale.

Il risultato sarà che l’ebraismo abbandonerà completamente l’approfondimento su tali tematiche. In un balzo di presunzione potremmo dire che, con la definitiva apparizione del Dio-logos, in realtà, non c’era più spazio per ulteriori sviluppi  su tale argomento.

E la Parola si è fatta carne ed ha abitato fra di noi, e noi abbiamo contemplato la sua gloria, come gloria dell’unigenito proceduto dal Padre, piena di grazia e di verità“. (Giovanni 1:14)

Queste parole dovevano assumere un incredibile significato sia per le orecchie dell’ebreo sia per quelle del greco. Sono convinto che il Signore avesse veramente preparato il mondo di allora per essere nelle condizioni culturali ottimali per una efficace diffusione del messaggio evangelico.

 Egli, che è lo splendore della sua gloria e l’immagine della sua persona,”

Un Figlio riflette di solito le qualità del Padre. Se il padre è uomo, uomo sarà anche il figlio. Se una scimmia genera, la scimmia generata sarà anch’essa una scimmia. Dio ha generato – non creato! – un Figlio che è anch’Egli Dio.

Giovanni chiama il Signore l’Unigenito Figlio di Dio, ciò a distinguere apertamente il rapporto unico di figliolanza fra Padre e Figlio. Anche i credenti infatti sono chiamati apertamente figli di Dio, anche nello stesso Vangelo del discepolo amato – sebbene con un termine greco diverso, non distinguibile nella traduzione.

Vedi Giovanni 1:12, ἔδωκεν αὐτοῖς ἐξουσίαν τέκνα Θεοῦ γενέσθαι

Confrontato con 1:18, ὁ μονογενὴς υἱὸς ὁ ὢν εἰς τὸν κόλπον τοῦ πατρὸς

In italiano.

Verso 12, ha dato loro l’autorità di diventare figlio di Dio

Verso 18, il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre

Noi diventiamo figli di Dio. L’autorità ci viene data, non è qualcosa che possiamo fare autonomamente. Abbiamo tale autorità in forza delle promesse della Parola di Dio. Invece il Figlio è tale, non lo diventa, ed è Unigenito e la sua comunione con il Padre è perfetta.

Altre parti della Scrittura definiscono il nostro rapporto di figliolanza col nostro Padre celeste derivante dal suo averci adottato. Gli uomini non nasciamo per natura figli di Dio. Al contrario, la nostra natura sottoposta al peccato ci allontana da Dio. Ma in Cristo, mediante la fede e l’opera di rigenerazione dello Spirito Santo, Dio ci adotta, donandoci lo status di figli di Dio. “… avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà”. (Efesini 1:5). Nell’epistola ai Romani la riflessione sulle conseguenze della nostra adozione allo stato di figli di Dio è davvero stupenda: “Se siamo figli, siamo anche eredi; eredi di Dio e coeredi di Cristo, se veramente soffriamo con lui, per essere anche glorificati con lui“. (Romani 8:17)

L’apostolo Paolo ai Colossesi disse di Gesù: “Egli è l’immagine dell’invisibile Dio”. (Colossesi 1:15). E questa sua affermazione è perfettamente coerente con quanto leggiamo qui in Ebrei.

Ebrei è più preciso, dettagliato. L’autore usa due espressioni fortissime.

ὃς ὢν ἀπαύγασμα τῆς δόξης – egli è lo splendore della sua gloria.

L’idea dell’originale, la reciprocità della parola ἀπαύγασμα che può riferirsi sia al raggio emesso che alla fonte di tale emanazione è significativa. Fu attingendo a questo concetto che Gesù venne definito, non a caso dai padri greci, come “luce da luce”, un termine che perfettamente spiega nella nostra lingua l’affermazione di Ebrei (anche alla luce di Giovanni 1:4 e segg.) Il termine ἀπαύγασμα parla di manifestazione.

χαρακτὴρ τῆς ὑποστάσεως αὐτοῦ – l’immagine della sua persona.

Il χαρακτὴρ (caracter) era l’immagine impressa, come, ad esempio, quella ricavata su una moneta. In questo senso, Gesù è la manifestazione visibile di Dio invisibile, cioè tramite lui il Dio che è invisibile, in quanto dimora nella dimensione spirituale, diviene visibile in Gesù, Dio nel mondo fisico e, quindi, visibile.

Δόξης – gloria – indica le qualità di Dio, che sono perfettamente e totalmente rappresentate in Gesù, che è Dio. ὑποστάσεως – persona – indica la natura di Dio, anch’essa perfettamente manifestata in Gesù, che è Dio.

Il quadro è quindi completo: Gesù è, in ogni senso, la perfetta rivelazione di Dio.

Il tutto è perfettamente riassunto nella frase di Paolo:

Il lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità” (Colossesi 2:9)

Gesù, Figlio Unigenito di Dio è tale per la sua stessa natura. Non vi è mai stato un momento quando egli non fosse tale. Possiamo dirlo con le stesse parole che incontriamo più in là sempre in Ebrei, dove l’immutabilità della sua persona è stabilita con un’affermazione solenne e diretta. Ebrei 13:8.

“sostenendo ogni cosa con la parola della sua potenza,” 

Questa affermazione della Scrittura è davvero molto profonda. Non solo Dio è, per mezzo di Gesù Cristo, logos (Parola) di Dio, creatore di ogni cosa. Egli è anche colui che ha il controllo su ogni cosa. Anche questo controllo sulla creazione avviene tramite Gesù. Tale è la potenza ascritta al Figlio di Dio – addirittura quella di sostenere l’intero universo che ha creato – che non credere nella sua Deità, ma accettare tutte queste affermazioni sulla sua gloria, significa far scadere il cristianesimo nel politeismo. L’unità di Dio è mantenuta nella trinità, e disintegrata dalla sua negazione. Davanti alle affermazioni della Scrittura sulla divinità di Gesù, l’unica spiegazione lucida che salva l’unità senza negare l’interezza della rivelazione sulla natura del Figlio di Dio – e dello Spirito Santo – è proprio la spiegazione trinitaria. Negando la Trinità si pensa di salvaguardare l’unità di Dio, ma non ci si accorge invece di distruggerla e di far scadere il cristianesimo dalla sua meravigliosa unicità: Dio stesso si fa uomo e salva lui stesso la sua creatura pagando il prezzo  per la sua ribellione.

Spesso gli uomini ci sentiamo come sballottati qua e là da un “destino” che non ha apparentemente nessun significato comprensibile. Ebbene, nella Parola di Dio invece impariamo che tutto è nelle mani del nostro Signore, Creatore e sostenitore di ogni cosa. Se una meteora non colpisce il nostro pianeta non è un caso. Se nessuna catastrofe è tanto grande da distruggere questo mondo non è un caso. È Dio che preserva quanto lui stesso ha creato. Dice bene mia mamma: “non si muove foglia che Dio non voglia”. È un detto popolare che veramente trova un suo fondamento nelle Sacre Scritture.

“avendo fatto, per mezzo di se stesso, la purificazione dei nostri peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi.”

Ecco che adesso l’epistola tocca quello che sarà un argomento che verrà approfondito nelle pagine che seguiranno: il sacrificio offerto da Cristo Gesù sulla croce per la salvezza dell’umanità. È un sacrificio volontario, fatto per amore; è perfetto e, quindi, unico e definitivo. È un sacrificio che ha permesso di vincere la morte e a Gesù di sedere alla destra del Padre. In ciò si avverano le parole del profeta: “Il SIGNORE ha detto al mio Signore: «Siedi alla mia destra finché io abbia fatto dei tuoi nemici lo sgabello dei tuoi piedi»”. (Salmo 110:1)
Cristo Gesù è colui che è morto e, ancor più, è risuscitato, è alla destra di Dio e anche intercede per noi” (Romani 8:34). Vedi anche: Efesini 1:20, Colossesi 3:1.
Più avanti la stessa epistola ribadirà ed amplierà questo concetto.