Pleroma: in Cristo tutta la Pienezza

di Giuseppe Guarino

Pleroma, è una parola greca che viene tradotta di solito “pienezza” riferita in più brani del Nuovo Testamento a Gesù. Lo studio che segue è tratto dal mio libro nel quale presento la traduzione in italiano dal testo greco di Colossesi (Clicca qui se vuoi leggere la traduzione dell’epistola online) arricchito di note e approfondimenti.

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Pleroma

Una parola che colpisce è Pleroma (πλήρωμα) che, seguendo l’esempio di altri traduttori, ho reso con l’italiano “pienezza”.

Già in Colossesi 1:19 il termine viene utilizzato da Paolo con una forza che lascia intendere una sorta di significato teologico già proprio del termine, che se non è noto ai cristiani di Colosse, Paolo lo introduce e spiega.

Egli scrive infatti che la “pienezza” , non parte degli attributi divini, manifestazioni specifiche del divino, come immaginavano gli gnostici con le loro “emanazioni”, ma la loro totalità risiedono stabilmente, dimorano, in Cristo.

L’utilizzo del vocabolo arriva alla fine di un crescendo dell’inno cristologico che lo precede e deve quindi intendersi come riassuntivo e conclusivo di quanto detto. Insomma: pleroma racchiude il tutto e l’assoluto che rappresenta il Cristo.

 

13Egli, il Padre, ci ha riscossi dall’autorità delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio, (14nel quale abbiamo la redenzione, per mezzo del suo sangue, la remissione dei peccati).

15Egli è l’immagine dell’invisibile Dio,

il primogenito di ogni creatura (16perché in lui sono state create tutte le cose – le cose nei cieli e le cose sulla terra, cose visibili e cose invisibili, siano troni, signorie, potenze o autorità – tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui).

17Egli è prima di tutto,

e tutte le cose sussistono in lui.

18 Egli è il capo del corpo (la Chiesa)

È colui che è il principio,

il primogenito dai morti (affinché egli detenga il primato in ogni cosa).

19 Poiché in lui si è compiaciuta di dimorare tutta la pienezza.

 

Lo stesso termine “pleroma” lo troviamo anche negli scritti dell’apostolo Giovanni. Esiste un oggettivo, naturale collegamento, un parallelismo, un vicendevole completarsi delle affermazioni fatte qui da Paolo e da Giovanni nel prologo del suo Vangelo.

In Colossesi Paolo spiega ed enuncia. In Giovanni, l’apostolo semplicemente testimonia: “E della sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto…” (Giovanni 1:16).

Analizziamo questo meraviglioso inno cristologico in dettaglio. Noteremo con grande naturalezza quanto le parole di Paolo si completino e concordino con quelle di Giovanni.

Gesù è “l’immagine dell’invisibile Dio”. Giovanni afferma lapidario: “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è colui che lo ha fatto conoscere.” (Giovanni 1:18). Le parole di Giovanni meriterebbero un approfondimento che spieghi la parola greca con la quale egli chiude questa sua meravigliosa affermazione: “ἐξηγήσατο”. Questo vocabolo non viene certamente usato a caso ed è connesso all’uso specifico del termine “parola”, logos, per definire il carattere di rivelazione di Dio proprio del Figlio. “Parola” (λόγος) di Giovanni corrisponde al termine Immagine (εἰκὼν), rappresentazione visibile, usato qui da Paolo.

Il fatto che Dio sia invisibile lo ribadisce l’apostolo quando dice altrove che egli “abita una luce inaccessibile che nessun uomo ha mai visto né può vedere” (1 Timoteo 6:16).

Eppure Gesù disse “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Giovanni 14:9).

Chi attacca la dottrina trinitaria non capisce quanto essa sia profonda e scritturale. Gesù è Dio visibile nel mondo materiale, immagine del Dio invisibile che dimora il mondo spirituale a noi inaccessibile. Lo Spirito Santo è il tramite fra i due, Colui che invisibile opera in maniera visibile nella Chiesa e in coloro che cercano Dio e ne invocano la presenza.

Gesù è ancora definito “il primogenito di ogni creatura”. Alcuni errando vedono in questa affermazione un accenno al fatto che Gesù sia la prima creazione del Padre. La parola greca utilizzata per “primogenito”, però, è “prototokos” “πρωτότοκος”, che è un chiaro riferimento messianico – Salmo 89:27 (in alcune Bibbie 89:28).

Filone alessandrino, vissuto a cavallo fra il I secolo a.C. e quello d.C., credeva che il logos fosse la prima creatura di Dio e per questo lo definiva non πρωτότοκος bensì πρωτόγονος. Visto che non lo credeva Dio, bensì “divino” lo definiva θεῖος λόγος. Giovanni invece nel suo prologo, definisce il logos apertamente θεὸς, Dio, alla luce della maggiore rivelazione che ne ha rispetto al filosofo ebraico di Alessandria. L’apostolo può inoltre aggiungere un dato importante che Filone ignorava: “il logos” si era fatto uomo in Gesù di Nazareth – Giovanni 1:14.

L’attributo messianico di Primogenito riferito a Gesù ne definisce il ruolo di preminenza sull’intera creazione. Paolo non lascia però luogo a fraintendimenti, egli stesso ne spiega il senso al verso 16: “perché in lui sono state create tutte le cose – le cose nei cieli e le cose sulla terra, cose visibili e cose invisibili, siano troni, signorie, potenze o autorità – tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. Facendo eco alle parole di Giovanni (1:3, Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui, e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta.) egli chiarisce che Gesù è il Creatore e il fine ultimo di tutta la creazione.

Paolo non lascia spazio a fraintendimenti nelle menti dei Colossesi sul fatto che le gerarchie e le frammentazioni della divinità immaginate dagli gnostici sono solo menzogne e che Cristo è il centro e il capo di tutto.

Ribadisce: “Egli è prima di tutto, e tutte le cose sussistono in lui”.

La potenza del nostro Signore!

Qui la forza del tempo presente del verbo essere in greco, non solo parla di preesistenza, ma di eternità: Egli è prima di tutto. Gesù, logos di Dio, Dio stesso fattosi uomo, è, da ogni eternità e per ogni eternità.

Due cose vanno notate. 1. Per ribadire che il Figlio di Dio non è stato creato, Paolo dice che prima di tutte le cose “egli è”. Non “era”. Ma “è”. Non è stato creato prima di tutte le cose, ma è già da prima che tutte le cose fossero create. 2. L’utilizzo del verbo essere per farci comprendere che il Figlio di Dio non ha avuto inizio, non è stato creato, ma esiste, è, è fondamentale perché la lingua non ci consente di avere accesso ad un linguaggio tanto sofisticato da definire in altro modo altrettanto inequivocabilmente l’eternità del logos. “Eternità” infatti in sé e per sé, non basta come termine. Esso infatti può anche riferirsi a ciò che ha avuto inizio ma non avrà fine. Per questo Gesù affermò: “Prima che Abraamo nascesse IO SONO” (Giovanni 8:58).

In Ebrei 1 troviamo dei concetti che riprendono quanto detto qui in Colossesi.

Ebrei 1:1-3, “Dio, dopo aver anticamente parlato molte volte e in svariati modi ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo di suo Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, per mezzo del quale ha anche fatto l’universo. Egli, che è lo splendore della sua gloria e l’impronta della sua essenza e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver egli stesso compiuto l’espiazione dei nostri peccati, si è posto a sedere alla destra della Maestà nell’alto dei cieli”.

Che meravigliosa armonia nella Parola di Dio. La contemplo ormai da oltre quarant’anni e ne rimango continuamente stupito e meravigliato.

L’affermazione: “tutte le cose sussistono in lui” trova un’altra maniera di proporsi in “sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza”.

Allo stesso modo come il termine Primogenito di Colossesi 1:15, che troviamo anche in Ebrei 1:6, viene ulteriormente spiegato nell’affermazione che il Figlio di Dio è “erede di tutte le cose”.

L’inno cristologico continua estendendo la supremazia di Gesù dall’eternità alla sua manifestazione storica. Egli è capo della Chiesa, il primo fra i risorti, perché in ogni cosa egli detiene la preminenza, il primo posto.