Quando è stato scritto il vangelo di Luca?

di Giuseppe  Guarino

Questo articolo è in parte tratto dal mio libro 7Q5 Il Vangelo a Qumran?

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Quando sono stati scritti i vangeli?

È una domanda alla quale si cerca di rispondere in maniera soddisfacente da secoli. Non ci illudiamo: nonostante il tono da oracolo che assumono alcuni critici nel formulare le loro tesi e alcuni testi nel proporle, nessuno può essere dogmatico su una questione che riguarda dei documenti tanto antichi, scritti in un periodo storico fondamentalmente davvero poco conosciuto, composti in lingua greca da autori semiti e, infine, a rendere la cosa ancora più complessa, diffusi inizialmente, senza una regia centralizzata, fra le variegate ed indipendenti comunità cristiane del primo e secondo secolo.

Molti dei capisaldi della critica liberale del XIX e XX secolo sono ormai datati e difficilmente sostenibili alla luce delle più recenti scoperte archeologiche e filologiche; eppure li troviamo regolarmente ribaditi per mettere in discussione l’autorità degli scritti considerati sacri dalle confessioni cristiane.

“Si è dato per scontato che, se il Vangelo secondo Marco fosse stato composto  approssimativamente verso il 70 d.C., il Vangelo secondo Matteo sarebbe stato scritto intorno all’anno 80 d.C. Schadewaldt (importante filologo classico contemporaneo) riconosce che “questo errore nella storia della tradizione” – come egli lo definisce – “era piuttosto frequente negli studi classici, finche i filologi, diversamente dagli studiosi del Nuovo Testamento, non migliorarono le loro conoscenze”. Carsten P. Thiede e Matthew D’Ancona, Testimone oculare di Gesù, Edizioni Piemme, pag.25.

È facile supporre che per degli ebrei, popolo così legato alla cultura dello scritto, deve essere stato naturale trascrivere e raccogliere subito i detti di Gesù, i suoi insegnamenti, gli eventi che hanno caratterizzato il suo ministero, e farlo nella loro lingua natia, l’ebraico. Che gli apostoli fossero delle persone con una buona istruzione, sebbene di umili origini, è innegabile; basta considerare i libri del Nuovo Testamento scritti da Giacomo, Giovanni, Pietro, Giuda, i quali si cimentano in quella che non era nemmeno la loro lingua natia, ottenendo in questa prospettiva dei risultati davvero notevoli, anche dal punto di vista squisitamente letterario.

Il prologo di Luca è importantissimo nel contesto di questa discussione.

Poiché molti hanno intrapreso a ordinare una narrazione dei fatti che hanno avuto compimento in mezzo a noi, come ce li hanno tramandati quelli che da principio ne furono testimoni oculari e che divennero ministri della Parola, è parso bene anche a me, dopo essermi accuratamente informato di ogni cosa dall’origine, di scrivertene per ordine, illustre Teofilo, perché tu riconosca la certezza delle cose che ti sono state insegnate”. (Luca 1:1-4)

Il greco colto dell’inizio del vangelo di Luca cozzerebbe con la dipendenza dalla lingua ebraica delle altre porzioni del suo scritto, se non fosse per il fatto che ciò è spiegabile nella condotta dell’evangelista e nel suo interesse a recuperare informazioni attendibili per la redazione del suo vangelo. Paradossalmente Luca è additato come lo scritto che presenta il maggior numero di semitismi, mostra cioè una più evidente dipendenza dalla lingua e cultura ebraica rispetto agli altri sinottici, Matteo e Marco. Tale fenomeno trova la sua semplice motivazione se immaginiamo che l’autore di questo vangelo abbia tradotto con cura e rispetto i documenti in lingua ebraica, ma anche le narrazioni orali dei testimoni che deve aver consultato, ai quali ha attinto per i detti di Gesù e gli eventi della sua vita.

C’è un’affermazione nel Nuovo Testamento davvero degna di seria nota, e che riguarda proprio il vangelo di Luca, senz’altro rilevante nel contesto della nostra discussione. La rinveniamo in una epistola di Paolo. In 2 Corinzi 8:18, scrive l’apostolo: “E noi abbiamo mandato con lui (con Tito) il fratello (Luca)  la cui lode è per l’evangelo in tutte le chiese” (la traduzione dal greco è mia).

Il fratello menzionato da Paolo ed associato a Tito è Luca. Ciò è dimostrabile anche dalla parte finale della narrazione del libro degli Atti degli Apostoli, dove il racconto in prima persona fa intendere che l’autore del libro si sia associato a Paolo nei suoi spostamenti e dal prosieguo della citazione dalla seconda epistola ai Corinzi: “non solo, ma egli è anche stato scelto dalle chiese come nostro compagno di viaggio in quest’opera di grazia, da noi amministrata per la gloria del Signore stesso e per dimostrare la prontezza dell’animo nostro.” (2 Corinzi 8:9)

Possiamo concludere che quando l’apostolo Paolo scriveva quell’epistola, Luca era già conosciuto “in tutte le chiese” a motivo del suo Vangelo. È un’affermazione importante e una testimonianza di non poco conto.

Eppure, nelle versioni oggi comunemente disponibili, il testo è totalmente diverso  dalla traduzione (mia) che ho proposto.

Il testo greco originale di questo brano legge: “συνεπέμψαμεν δὲ μετ᾿ αὐτοῦ τὸν ἀδελφὸν οὗ ὁ ἔπαινος ἐν τῷ εὐαγγελίῳ διὰ πασῶν τῶν ἐκκλησιῶν”.

La Riveduta Luzzi traduce: “E assieme a lui abbiam mandato questo fratello, la cui lode nella predicazione dell’Evangelo è sparsa per tutte le chiese”. Il testo originale, però, non dice “questo” fratello, bensì “il” fratello. La frase “nella predicazione” non c’è nell’originale.

La Nuova Riveduta traduce: “Insieme a lui abbiamo mandato il fratello il cui servizio nel vangelo è apprezzato in tutte le chiese”. La parola “servizio” traduce male la parola che nell’originale invece è “lode”. La parola “apprezzato” non è nel testo greco.

Il tentativo, lo capisco, è quello di dare un significato alla frase di Paolo. Ma forse nel farlo, assecondando visioni preconcette che ritengono impossibile la composizione del vangelo di Luca già in un’epoca tanto remota, non si rischia di allontanarsi dal semplice e immediato senso letterale della frase dell’apostolo? È per questo motivo che, in via generale, quindi, con le dovute eccezioni ed una ovvia ragionevole (sana) flessibilità, prediligo di solito le traduzioni letterali.

Una traduzione letterale di 2 Corinzi 8:18, e, secondo me, più corretta, la troviamo nella versione della CEI: “Con lui (con Tito) abbiamo inviato pure il fratello (Luca) che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo”.

Se riteniamo autentico il prologo di Luca alla sua narrazione evangelica e non un artificio letterario, il suo essersi diligentemente informato presso i testimoni oculari per proporre una narrazione accurata ed attendibile, colloca l’opera dell’evangelista nel periodo apostolico e tale datazione spiegherebbe benissimo l’affermazione di Paolo nella sua lettera, altrimenti di difficile comprensione.

Proprio negli stessi scritti di Luca abbiamo un’altra conferma.

Leggendo gli Atti degli Apostoli, notiamo subito nell’introduzione che, sebbene questo libro si trovi nelle nostre Bibbie dopo il vangelo di Giovanni, esso è stato composto dal medesimo autore del terzo vangelo e in un secondo momento rispetto a quello.

Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare … ” (Atti 1:1)

Un altro punto fermo della nostra discussione è che gli Atti degli Apostoli si concludono … o meglio non si concludono: la narrazione, infatti, si arresta ed è facile dedurre che l’autore non avesse più nulla da narrare al tempo passato.

E Paolo rimase due anni interi in una casa da lui presa in affitto, e riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento”. (Atti 28:30-31)

Da questa conclusione del libro è facile argomentare che la sua composizione deve essere stata completata circa due anni dopo l’inizio della prigionia a Roma dell’apostolo, ma prima della sua eventuale liberazione o del suo martirio; viceversa Luca ne avrebbe certamente parlato.

Tenendo presente quanto detto, risulta evidente l’antichità del terzo Vangelo, che precede la composizione degli Atti di qualche tempo, sebbene non sappiamo quanto tempo prima sia stato scritto. Di certo prima che Paolo partisse per il suo terzo viaggio missionario e scrivesse la sua seconda epistola, cioè tra il 54 ed il 58 d.C. E con sufficiente anticipo perché la sua opera si diffondesse in maniera tanto estesa da motivare l’affermazione dell’apostolo.