Gli ultimi 12 versi di Marco

di Giuseppe Guarino

 

Il cosiddetto “lungo finale”, la conclusione tradizionale del vangelo di Marco, con cui la maggior parte di noi è familiare, si trova nella stragrande maggioranza dei manoscritti del Nuovo Testamento. La sua omissione, auspicata da una certa critica, si basa sia sul supporto esterno – in particolare di due antichi codici onciali – sia, ma forse soprattutto, su considerazioni interne riguardanti il testo: la maggior parte degli studiosi concorda infatti che l’autore di questa conclusione del vangelo non sia lo stesso autore del resto di Marco.

John W. Burgon scrisse un intero libro su questo argomento, difendendo la paternità e l’autorità degli ultimi dodici versetti di Marco.

Come cristiano – e non come critico, perché tale non sono – io mi pongo una semplice domanda: perché il lungo finale è ancora incluso nelle Bibbie che traducono il testo moderno? Perché non concludono il vangelo al v.8 come sostengono che si concludesse originariamente?

Se i critici e i manoscritti che supportano l’omissione di questa porzione delle Scritture fossero nel giusto, ciò implicherebbe che:

  1. Marco abbia concluso il suo vangelo al v.8. “E uscite fuggendo dal sepolcro, perché un gran tremore e stupore le aveva colte; e non dissero niente a nessuno, perché avevano paura.
  2. la conclusione originale di questo vangelo sia andata persa.

Oltre al supporto schiacciante dei manoscritti per la conclusione tradizionale di Marco, è stata citata da antichi cristiani come Papia, Giustino Martire, Ireneo, Taziano (nel suo Diatessaron), Tertulliano, Ippolito, Epifanio, il che fa risalire l’esistenza del testo che conosciamo ai primi passi del cristianesimo.

Riguardo alla testimonianza a favore dell’omissione, ci sono alcuni fatti che devono essere presi in seria considerazione riguardo ai campioni della sua omissione: il codice Vaticano, chiamato anche B e il codice Sinaitico, identificato con la prima lettera dell’alfabeto ebraico א (alef), entrambi risalenti alla prima metà del IV secolo.

Il Codice Vaticano, proprio nel punto in cui questi versetti avrebbero dovuto trovarsi, ha uno “spazio vuoto, ampiamente sufficiente a contenere i versetti. La colonna in questione è l’unica vuota in tutto il manoscritto”. Dean Burgon, The Traditional Text, p. 298.

Da aggiungere a questo strano caso, c’è il fatto che lo stesso scriba che ha copiato B “sembra aver cancellato il foglio originariamente scritto dallo scriba di א e averlo sostituito con il foglio come lo abbiamo ora, scritto da lui stesso… Così siamo portati non solo a concludere che la testimonianza di א non sia qui indipendente da quella di B, ma a sospettare che questo foglio possa essere stato cancellato e riscritto per conformarsi al contenuto della parte corrispondente di B.” The Traditional Text, p. 299.

Lo spazio vuoto in B è dovuto al fatto che la conclusione che conosciamo si trovava nel manoscritto dal quale è stato copiato? Perché lo scriba di B la ha omessa?

Allo stesso tempo, se lo scriba di B ha dovuto modificare la testimonianza di א per concordare con la sua omissione, non siamo autorizzati a concludere che Marco 16:9-20 fosse anche nel manoscritto dal quale è stato copiato il codice Sinaitico?

Se gli ultimi 12 versi di Marco si trovavano nei manoscritti usati per copiare i codici Vaticano e Sinaitico, ciò significa che almeno due manoscritti più antichi di loro concludevano il secondo vangelo come succede nelle nostre Bibbie oggi.

Questi fatti sono contro la conclusione tradizionale del vangelo di Marco o piuttosto contro l’affidabilità e persino l’onestà del lavoro di chi ha copiato א e B?

Bruce Metzger scrive: “la conclusione più lunga, sebbene presente in una varietà di testimonianze, alcune delle quali antiche, deve anche essere giudicata, sulla base di prove interne, come secondaria.” A Textual Commentary on the Greek New Testament, p.104.

Sulla base delle stesse considerazioni, chiamate “prove interne”, l’autenticità di Giovanni 21, di alcune lettere di Paolo, di 2 Pietro, viene messa in discussione. Diamo uno sguardo poi a Deuteronomio 34. Questo capitolo fa parte del Pentateuco, mentre è chiaro che Mosè non può esserne stato l’autore. Eppure nessuno oserebbe togliere questo brano dalle loro Bibbie.

Vi è un motivo se il secondo Vangelo non menziona il nome di chi lo ha scritto. Lo attribuiamo a Marco, per tradizione, da sempre; ma in realtà non vi è un nome citato che ne assuma la paternità. Quindi se anche il medesimo individuo non fosse materialmente colui che ha scritto l’intero Vangelo, cosa cambierebbe? Quando la Chiesa venne chiamata a inserirlo all’interno dei testi canonici, a ritenerlo ispirato, lo fece senza esitazione. E lo fece nella forma completa che conosciamo: 16 capitoli e l’ultimo si conclude con il v. 20. Che alcuni isolati manoscritti possano avere apportato delle variazioni contro il consenso unanime del resto delle prove e le evidenze della Chiesa primitiva, ciò può solo implicare l’inaffidabilità di tali testimoni.

Le differenze linguistiche di Marco 16:9-20 con il resto del vangelo possono essere dovute al tema trattato, al fatto che sia un epilogo. Anche l’introduzione di questo vangelo, sebbene breve, stacca dal resto del testo. Insomma, anche per esperienza personale dico che giudicare un testo dal suo contenuto in modo tanto soggettivo lascia il tempo che trova.

Una famosa scuola di studiosi aveva datato il Vangelo di Giovanni al II secolo d.C. rinnegandone l’origine apostolica, perché la sua “dottrina” era troppo avanzata perché questo testo fosse opera della Chiesa del primo secolo. Orbene, la scoperta di alcuni manoscritti, risalenti alla fine del I secolo, ha chiuso la questione in maniera definitiva e la datazione tradizionale del quarto vangelo è stata ampiamente provata.

Basandoci solo sulle prove oggettive esterne, che è l’unica cosa sicura da fare, non vi è oggettivamente alcun valido motivo per l’omissione di questa porzione delle Scritture.

Questa è un’immagine del codice Sinaitico. Questa pagina è stata sostituita a quella originale dallo stesso scriba del codice Vaticano che l’ha riscritta con caratteri più grandi rispetto a quelli del resto del manoscritto. Nella copia originale di Sinaitico vi era la conclusione tradizionale di Marco e questa è stato il modo in cui la si è rimossa, alterando volontariamente la testimonianza di questo antico codice.

Le due immagini rappresentano il codice Vaticano. Notiamo lo spazio insolito lasciato alla fine del Vangelo di Marco. Scrivendo con la grandezza dei caratteri e lo stile dello scriba si è aggiunta la conclusione, gli ultimi 12 versi incriminati, e ci stanno perfettamente! Questi quindi erano nel manoscritto – più antico! – dal quale B è stato copiato.

 

Concludendo, la verità è che non eravamo presenti quando i vangeli canonici furono accolti come Scrittura e che allora si era in una posizione migliore per discernere ciò che aveva origine apostolica ed era autentico da ciò che non lo era.

Ireneo, vescovo di Lione nel II secolo, è un testimone molto affidabile. Così lo sono gli altri credenti dei primi secoli che abbiamo menzionato e che citano questa porzione della Scrittura.

Quando poi consideriamo il comportamento dello scriba (o degli scribi) dei manoscritti Vaticano e Sinaitico, possiamo davvero considerare attendibile la loro testimonianza contro l’autenticità di un testo che stanno chiaramente e volontariamente omettendo? Io credo di no.

Non sappiamo cosa sia successo. Quali circostanze hanno cambiato lo stile dell’autore di Marco. Potrebbero essere state le fonti. (Ricordiamo che non era un testimone oculare.) È abbondantemente chiaro che il Vangelo sinottico doveva avere accesso a documenti che non esistono più. Possiamo facilmente concludere che lo stile di Marco potrebbe essere semplicemente cambiato qui a causa della narrazione e delle fonti a sua disposizione.

Inoltre, come ha dimostrato Dean Burgon nel suo libro, il cambiamento nel vocabolario non è stato così drastico e questo potrebbe essere un ulteriore prova della autenticità della chiusa tradizionale di Marco.

 

Perché questo articolo e perché il libro che ho scritto in difesa del “testo tradizionale” del Nuovo Testamento?

  1. Perché se aprite la vostra Bibbia oggi in questo brano troverete delle note che ne mettono in dubbio l’autenticità. Però chi le scrive: o tace o ignora quanto io ho evidenziato in questo articolo.
  2. Perché se cercate su wikipedia leggerete: “Questi dodici versetti, anche detti «finale lungo di Marco» (per distinguerli dai finali alternativi, il «finale corto di Marco» ed il Freer Logion), sono ormai considerati e ritenuti un’interpolazione non autentica e successiva alla stesura, dalla quasi totalità degli studiosi”. https://it.wikipedia.org/wiki/Marco_16:9-20 (consultato l’8 giugno 2023).
  3. Perché un’altra parte della Scrittura fortemente attaccata, la storia dell’adultera, Gv 7:53-8:11, è omessa o marchiata come non autentica sempre con maggiore decisione. Il testo greco SBL che è forse quello più usato per dispositivi Android la omette, mentre chiude Marco interpolando un brano che non ha nessuna autorità apostolica e lascia tra doppia parentesi quadra la chiusa tradizionale, che comunque ancora riporta.
  4. Perché qualcuno deve informare il lettore medio della Bibbia e chi crede comunque nella sua Ispirazione e Preservazione, facendo si che vi sia una resistenza a concedere spazio alla critica distruttiva che, purtroppo, invece, troppo spesso ha l’ultima parola sul testo delle Bibbie più recentemente prodotte.

Alcuni dovrebbero stare molto attenti nel maneggiare il testo sacro. Le parole dell’Apocalisse, infatti, valgono per tutto il testo delle nostre Bibbie: “Io lo dichiaro a ognuno che ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali le piaghe descritte in questo libro e, se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della città santa, delle cose scritte in questo libro.” (Apocalisse 22:19-20)

 

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