di Giuseppe Guarino
Siamo cittadini del cielo, ma ciò quali privilegi e quali obblighi comporta? Ciò e ben spiegato nelle pagine del Nuovo Testamento.
Di seguito potrete leggere il libro.
Qualora vogliate acquistarlo in formato cartaceo, questi sono i link:
Amazon | Ibs-Feltrinelli |
CITTADINANZA CELESTE – IL LIBRO
INDICE
Prefazione
Introduzione
PARTE I – PRIVILEGI DI UN CITTADINO DEL CIELO
1. Siamo figli di Dio
2. Siamo re e sacerdoti
3. Abbiamo la vita eterna
4. Lo Spirito Santo dimora in noi
5. Abbiamo libero accesso alla presenza di Dio
6. I nostri peccati sono tutti perdonati
7. Abbiamo pace
8. Abbiamo speranza
9. Abbiamo gioia
10. Siamo ambasciatori del regno di Dio
11. Abbiamo un deposito in Cielo
PARTE II – GLI OBBLIGHI DI UN CITTADINO DEL CIELO
12. Obblighi o libera scelta?
13. Battezzarci
14. Conformarci alla Parola di Dio
15. Amare Dio, il prossimo e i fratelli
16. Essere testimoni di Cristo
17. Servire Dio servendo gli altri
18. Parlare la lingua
19. Pagare le tasse
20. Essere in pace con gli altri
Conclusione
Prefazione
Nel 2010 ero impegnato in una chiesa dove a volte sostituivo il pastore. Un mercoledì portai uno studio sulla nostra cittadinanza nei cieli ispirandomi al famoso brano di Filippesi dove viene menzionata.
Mi piacque molto e per anni è rimasto nella mia mente, come se avessi prima o poi dovuto riproporlo.
Si tratta, come spesso dico vantandomi delle cose che scrivo, di nulla di nuovo. Non dico infatti nulla che ogni lettore della Bibbia non sappia. Ma mi piace riunire i concetti, ordinarli ed esporli. Magari anche con un pizzico di intento evangelistico ed apologetico.
Lo studio originale era poco più che uno schema del quale mi servii per insegnare quel mercoledì, mentre il libricino che tenete in mano è figlio di diverse riflessioni nate col tempo o anche discutendo con dei fratelli – fino a pochi minuti fa una sorella mi ha ricordato che la testimonianza è uno dei compiti di chi appartiene al regno di Dio.
Voglia il Signore che anche questo modesto sforzo possa risultare alla Sua Gloria e all’avanzamento del Suo Regno.
Giuseppe Guarino
Introduzione
Il testo biblico che ha ispirato questo studio è
Filippesi 3:20, “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore”.
L’idea dietro una parola così importante come cittadinanza era ben nota ai cristiani che abitavano la città di Filippi, ai quali Paolo indirizza la sua epistola. Ciò ne spiega l’uso da parte dell’apostolo.
Anche oggi, parlare di cittadinanza a un cittadino americano, italiano, o in generale a dei cittadini di una nazione ricca e prospera ha senso. Di solito essi sono coscienti dei privilegi che garantisce il loro status. Magari non ha invece molto significato per quei poverini condannati all’interno di stati totalitari, il cui unico sogno è fuggire dalla propria nazione. Basta pensare oggi ai migranti che disperatamente fuggono dalle nazioni di origine per cercare una nuova vita in una nazione europea – cercano una cittadinanza nuova, una nuova patria che sia degna di questo nome, che possa dargli più della terra che si lasciano alle spalle.
I filippesi devono aver goduto di un buon trattamento all’interno dell’impero romano, del quale facevano parte. Conoscevano benissimo quanto fosse importante essere cittadino romano e quanto questo potesse garantire una vita più pacifica e, soprattutto, da persone libere. Chiunque di noi oggi difficilmente sarebbe disposto a barattare una cittadinanza italiana, tedesca o francese per una congolese o nigeriana.
Comunque, non tutti coloro che vivevano all’interno dei confini dell’impero romano avevano il privilegio della cittadinanza. Quindi l’analogia di Paolo si adatta perfettamente a un contesto dove la cittadinanza era un privilegio.
Paolo era un cittadino romano. Questo gli permise una differenza di trattamento quando si trovò davanti alle autorità.
In Atti 22:27-28 leggiamo: “Il tribuno andò da Paolo, e gli chiese: “Dimmi, sei romano?” Ed egli rispose: “Sì”. Il tribuno replicò: “Io ho acquistato questa cittadinanza per una grande somma di denaro”. E Paolo disse: “Io, invece, l’ho di nascita”.
Anche la cittadinanza celeste è un “privilegio” e ha un prezzo. Perché essa non è automatica, la cittadinanza celeste non è propria di ogni uomo solo per diritto di nascita, ma possiamo comunque ottenerla grazie all’opera di redenzione di Cristo Gesù. Infatti Il prezzo per la nostra cittadinanza celeste è stato pagato da Cristo Gesù!
La nascita è il modo più naturale nelle nostre nazioni occidentali per essere cittadini di questa o quella nazione. Così non è nel regno “dei cieli”.
Mentre i discendenti di Israele fanno parte del popolo di Dio per diritto di nascita, per noi, non ebrei, questo diritto non è automatico. Ma è possibile grazie all’opera compiuta da Gesù, nostro Signore e Salvatore.
Giovanni 1:11-13, “È venuto in casa sua e i suoi non l’hanno ricevuto; ma a tutti quelli che l’hanno ricevuto egli ha dato il diritto di diventar figli di Dio: a quelli, cioè, che credono nel suo nome; i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio.”
Con la Grazia che ha portato l’incarnazione del Figlio di Dio, noi “stranieri” abbiamo addirittura il “diritto” di diventare figli di Dio, se accettiamo Gesù, il Messia che Israele ha rigettato. Il testo dice “a tutti quelli che l’hanno ricevuto” quindi nessuno è escluso. L’invito che Dio rivolge oggi lo rivolge a tutti, a chiunque: la porta è aperta e dipende solo da noi quindi appropriarci di questo “diritto”, di questo vero e proprio “privilegio”.
Ogni nazione ha le sue leggi. Se si viene a conoscenza di una legge che ci garantisce un diritto e non ne approfittiamo sarà solo colpa nostra. Secondo la legge del regno di Dio se riceviamo Gesù abbiamo il diritto di diventare figli di Dio.
Nell’era della grazia in cui viviamo (Giovanni 1), noi entriamo a fare parte della famiglia di Dio mediante la nuova nascita – l’abbiamo appena letto: i quali non sono nati da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d’uomo, ma sono nati da Dio. Per natura, quindi, non siamo figli di Dio, ma se accogliamo Gesù nel nostro cuore, il suo Spirito dà vita al nostro e ci rende figli di Dio.
Giovanni 3:3, “Gesù gli rispose: “In verità, in verità ti dico che se uno non è nato di nuovo non può vedere il regno di Dio”.
Consideriamo velocemente cosa comporta la nostra cittadinanza celeste che, come la cittadinanza di una nazione terrena, prevede obblighi, ma garantisce anche diritti e privilegi.
Discuteremo prima di alcuni privilegi; dico alcuni, perché sono davvero tanti, come tanti sono i benefici dell’appartenere ad un regno tanto glorioso. Poi parleremo degli “obblighi”.
Nel regno di Dio, i privilegi e i diritti sono di gran lunga superiori agli obblighi.
Così non è spesso nella nostra cittadinanza terrena, dove pagare tasse sembra il risultato più evidente della nostra appartenenza allo stato italiano e non ci sentiamo mai di ricevere un corrispettivo pari allo sforzo economico e sociale che ci viene richiesto. Scusate se parlo con tanta franchezza – forse non dovrei.
Ma abbiamo più di un motivo per essere invece assolutamente e totalmente entusiasti di essere cittadini del Cielo!
Nella Sacra Scrittura, in particolare nel Nuovo Testamento, leggiamo di tutte le benedizioni che appartengono a chi crede nel Signore Gesù e lo riceve come personale Salvatore e Signore della propria vita.
Ognuna di quelle benedizioni ci appartiene ed è per questo che la lettura e lo studio della Parola di Dio ci edifica, ci conforta e ci rende consapevoli di chi adesso siamo in Cristo.
Discuterò alcuni privilegi, ma invito il lettore ad individuarne altri nel suo studio personale della Bibbia e magari annotarli nello spazio per le note che troverà alla fine di questo libricino.
Come ogni cittadinanza, anche quella del cielo implica degli “obblighi”. Si tratta, però, di qualcosa che ci viene “imposto” in maniera diversa da come accade nella nostra cittadinanza terrena.
Ricordo quando da piccolo portavo mio figlio al parco. Era ovvio che dovevo per forza mettere dei paletti al modo in cui lui poteva divertirsi. Giocavo con lui spingendo l’altalena, giocavamo a calcio, stavo di sotto quando si arrampicava da qualche parte, per attutire le sue cadute, se vi fossero state. Avevamo un orario di arrivo e un orario in cui bisognava tornare a casa per cena.
Nel mondo in cui viviamo le regole vengono malviste. A ognuno piace fare di testa propria, il che sostanzialmente equivale a voler essere Dio di se stessi.
Tempo fa mi colpì il comportamento di un mio conoscente. Era molto critico della morale cristiana e gli piaceva un po’ fare quello che voleva. Poi un giorno lo vidi arbitrare una partita di calcio semiprofessionistica: era un arbitro severissimo. Questa cosa mi fece riflettere molto. E fui contento che non fosse lui Dio, perché al posto di quel Dio che lui criticava, lui sarebbe stato – oltre che imperfetto – durissimo e inflessibile.
Ma grazie a Dio di essere un Dio giusto, ma anche d’amore.
Vi è un motivo se nella Bibbia si parla di “conversione”, di un cambio di rotta, addirittura di una inversione di marcia, necessario per vedere le cose nella prospettiva giusta, quella di Dio. Si tratta del repentino cambiamento di prospettiva, che ci fa capire che la via lontano da Dio porta solo alla morte, che Dio ci ama e che la Sua Parola è tutta concepita per il nostro bene e per darci vita.
Capito questo, convertendoci, vediamo tutto il mondo in un modo diverso. La prospettiva di Dio diventerà la nostra prospettiva e capiremo il perché di tante cose.
Atti 3:19, “Ravvedetevi dunque e convertitevi, perché i vostri peccati siano cancellati”.
Molte persone immaginano che dall’obbedire ai comandamenti dipenda la loro salvezza. È vero esattamente il contrario.
Efesini 2:8-10, “Infatti è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio.
Non è in virtù di opere affinché nessuno se ne vanti; infatti siamo opera sua, essendo stati creati in Cristo Gesù per fare le opere buone, che Dio ha precedentemente preparate affinché le pratichiamo”.
Amo questo brano della Scrittura.
Il Signore ci salva per Grazia, mediante la Fede: è un suo dono. Una volta salvati, siamo nuove creature in Cristo Gesù e il risultato visibile sono le nostre buone opere.
È quando siamo in Cristo che la nostra mente è rinnovata, il nostro cuore cambiato, grazie all’opera dello Spirito Santo, capiamo che la Sua Parola ci conduce alla vita, è lì per guidarci in ogni bene e ci sforziamo di essere obbedienti. Non è uno sterile aderire a norme e precetti, ma comprendere l’utile nostro personale e del prossimo che consegue alla nostra obbedienza a Dio.
I brani della Scrittura da citare sono tanti. Sono tutti belli, perché ci ricordano la parte più bella della nostra fede, l’annuncio dell’evangelo, che significa appunto buona notizia, al quale credendo siamo entrati a far parte della famiglia di Dio.
Geremia 24:7, “Darò loro un cuore per conoscere me che sono il SIGNORE; saranno mio popolo e io sarò loro Dio, perché si convertiranno a me con tutto il loro cuore”.
Se il nostro cuore si volge a Dio comprendiamo il suo Amore e sappiamo che è questo il motivo di ogni sua azione nei nostri confronti, di ogni comandamento e insegnamento impartito da Gesù: dalla Creazione, alla Redenzione e persino al Giudizio.
Nell’Antico patto Dio aveva scritto la sua Legge sulla pietra. Ma nel nuovo patto ciò che era esteriore diviene intimo e spirituale, personale, riguarda il rapporto che il credente ha con Dio stesso, che chiamiamo per questo “Padre”.
Geremia 31:33, “ma questo è il patto che farò con la casa d’Israele, dopo quei giorni”, dice il SIGNORE: “io metterò la mia legge nell’intimo loro, la scriverò sul loro cuore, e io sarò loro Dio, ed essi saranno mio popolo”.
Questo brano parla dei tempi dei Messia, i giorni che stiamo vivendo noi, dopo la manifestazione del Figlio di Dio, Gesù di Nazareth.
Ecco che per il credente ciò che all’uomo lontano da Dio sembra folle è per lui invece perfettamente chiaro.
Romani 12:2, “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza quale sia la volontà di Dio, la buona, gradita e perfetta volontà”.
In parole povere, volendo ricondurre il nostro discorso al suo punto d’inizio diremo che tutto dipende dalla nostra identità. Se quel passaporto di cittadinanza celeste che ho disegnato in copertina ci riguarda, la nostra identità è definita: siamo dei figli di Dio. Il resto è tutto davvero una conseguenza.
Nelle pagine che seguono vedremo in dettaglio di cosa stiamo parlando.
PARTE I
Privilegi di un cittadino del Cielo
1. Siamo figli di Dio
Efesini 1:5, “avendoci predestinati nel suo amore a essere adottati per mezzo di Gesù Cristo come suoi figli, secondo il disegno benevolo della sua volontà”.
1 Giovanni 3:1, “Vedete quale amore ci ha manifestato il Padre, dandoci di essere chiamati figli di Dio! E tali siamo”.
Non possiamo chiamare Dio “Padre” se non siamo sui figli. Neanche nell’Antico Testamento i santi di Dio si rivolgevano a Dio come “Padre”. Oggi invece possiamo! Egli infatti ci ha “adottati”, dice la Scrittura, proprio perché non è per diritto di nascita che siamo figli, ma possiamo diventare tali – in Cristo!
Leggendo i libri di Genesi ed Esodo mi sono accorto che Mosè si rivolgeva a Dio chiamandolo “Signore” e nessuno nell’Antico Testamento lo chiama “Padre”. Alla fine di questo libricino troverai un’appendice dove discuto di questo meraviglioso dettaglio in una maniera un po’ più tecnica.
Non solo adesso siamo figli, ma facciamo addirittura parte della “chiesa dei primogeniti che sono scritti nei cieli” (Ebrei 12:23). La primogenitura implicava ai tempi in cui scriveva Paolo tutti i diritti dell’eredità del padre: così è anche per noi, che siamo adesso: “eredi di Dio e coeredi di Cristo” (Romani 8:17).
Se siamo cittadini del cielo i nostri nomi sono scritti nella sua anagrafe!
“rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli” (Luca 10:20)
Paolo spiega a lungo ciò che accade a noi credenti una volta che accettiamo il Cristo che la nazione di Israele ha rigettato, ma cui una minoranza ha comunque creduto.
Efesini 2:11-19, 11Perciò ricordatevi che un tempo voi gentili (non ebrei) di nascita… 12eravate senza Cristo, estranei dalla cittadinanza d’Israele e estranei ai patti della promessa, non avendo speranza ed essendo senza Dio nel mondo. 13Ma ora, in Cristo Gesù, voi che un tempo eravate lontani, siete stati avvicinati per mezzo del sangue di Cristo. 14Egli infatti è la nostra pace, colui che ha fatto dei due popoli uno e ha demolito il muro di separazione, 15avendo abolito nella sua carne l’inimicizia, la legge dei comandamenti fatta di prescrizioni, per creare in se stesso dei due un solo uomo nuovo, facendo la pace, 16e per riconciliare ambedue (giudei e gentili) con Dio in un sol corpo per mezzo della croce, avendo ucciso l’inimicizia in se stesso. 17Ed egli venne per annunziare la pace a voi che eravate lontani e a quelli che erano vicini, 18poiché per mezzo di lui abbiamo entrambi accesso al Padre in uno stesso Spirito. 19Voi dunque non siete più forestieri né ospiti, ma concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio”.
Eravamo naufraghi in un mondo di dolore e confusione, ma Cristo ci ha salvato e accolti, ci ha adottati per essere suoi figli, membri della sua famiglia a tutti gli effetti.
Qualcuno riesce ad immaginare un privilegio più grande di questo? È il primo e tutti gli altri ne sono la diretta e naturale conseguenza.
2. Siamo re e sacerdoti
Qui si parla di un privilegio secondo solo a quello dell’essere figli di Dio. Infatti, come Cristo è Re e Sacerdote, così lo siamo anche noi.
1 Pietro 2:9, “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa“.
Nella Chiesa che si definisce Cattolica ma è invece più Romana che cattolica (cioè universale) solo una parte dei credenti ha il compito di essere “sacerdote”, mentre nel Nuovo Testamento questo compito e privilegio è di tutti i figli di Dio.
Infatti, non essendovi più i sacrifici previsti nell’Antico Testamento, avendo Cristo offerto un unico, perfetto, irripetibile sacrificio per togliere il peccato (vedi tutta l’epistola agli Ebrei), la Scrittura ci dice che “Per mezzo di Gesù, dunque, offriamo continuamente a Dio un sacrificio di lode: cioè, il frutto di labbra che confessano il suo nome” (Ebrei 13:15).
Tecnicamente, per contrapporlo al sacerdozio particolare dell’antico patto e a quello cattolico, quello descritto nella Bibbia si chiama sacerdozio universale.
Oltre che sacerdoti, siamo anche re. Perché, “Certa è quest’affermazione: se siamo morti con lui, con lui anche vivremo; se abbiamo costanza, con lui anche regneremo” (2 Timoteo 2:11-12).
3 . Abbiamo la vita eterna
Giovanni 3:16, “Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna.”
Queste misere spoglie mortali un giorno cesseranno di vivere. Già da adesso Dio ci dona la vita eterna, quella vita che non avrà mai fine e che soprattutto è vita vera, perché vissuta con Dio, in Dio, per Dio. La Parola utilizza il tempo presente per questa meravigliosa realtà che è la vita vera, la vita con Dio, che per il credente comincia già su questa terra e che con la morte prosegue alla presenza stessa di Dio, in attesa della resurrezione.
Per sottolineare come il nostro corpo sia solo una nostra dimora temporanea in più punti la Scrittura lo paragona a una tenda, la forma di dimora più transitoria che si possa immaginare.
2 Corinzi 5:1-2, “Sappiamo infatti che se questa tenda, che è la nostra dimora terrena, viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli. Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste“.
Poi al ritorno di Gesù, queste nostre spoglie mortali saranno resuscitate, con un corpo simile al suo, a quello che egli aveva dopo la sua resurrezione. Con quest’ultimo atto la nostra redenzione sarà completa.
1 Corinzi 15:50-53, “Ora io dico questo, fratelli, che carne e sangue non possono ereditare il regno di Dio; né i corpi che si decompongono possono ereditare l’incorruttibilità. Ecco, io vi dico un mistero: non tutti morremo, ma tutti saremo trasformati, in un momento, in un batter d’occhio, al suono dell’ultima tromba. Perché la tromba squillerà, e i morti risusciteranno incorruttibili, e noi saremo trasformati. Infatti bisogna che questo corruttibile rivesta incorruttibilità e che questo mortale rivesta immortalità.”
Che parole meravigliose di speranza troviamo nella Scrittura:
1 Tessalonicesi 4:13-18, “Fratelli, non vogliamo che siate nell’ignoranza riguardo a quelli che dormono, affinché non siate tristi come gli altri che non hanno speranza. Infatti, se crediamo che Gesù morì e risuscitò, crediamo pure che Dio, per mezzo di Gesù, ricondurrà con lui quelli che si sono addormentati. Poiché questo vi diciamo mediante la parola del Signore: che noi viventi, i quali saremo rimasti fino alla venuta del Signore, non precederemo quelli che si sono addormentati; perché il Signore stesso, con un ordine, con voce d’arcangelo e con la tromba di Dio, scenderà dal cielo, e prima risusciteranno i morti in Cristo; poi noi viventi, che saremo rimasti, verremo rapiti insieme con loro, sulle nuvole, a incontrare il Signore nell’aria; e così saremo sempre con il Signore. Consolatevi dunque gli uni gli altri con queste parole“.
Questo è quello che Dio ha preparato per i suoi figli, per i cittadini del cielo. Ci appartiene: se vogliamo questa speranza può essere nostra, decidendo di entrare a far parte del regno di Dio.
4. Lo Spirito Santo dimora in noi
Galati 4:6, “E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: “Abbà, Padre“.
Nemmeno i “santi” dell’antico patto avevano un privilegio talmente grande: essere loro stessi il tempio di Dio, la dimora dello Spirito Santo.
Efesini 1:13-14, “In lui anche voi, dopo aver udita la parola della verità, l’evangelo della vostra salvezza, e aver creduto, siete stati sigillati con lo Spirito Santo della promessa; il quale è la garanzia della nostra eredità, in vista della piena redenzione dell’acquistata proprietà a lode della sua gloria“.
Abbiamo creduto alla parola dell’evangelo, alla buona notizia che in Cristo è la salvezza, che il prezzo del riscatto per la nostra libertà è stato pagato da lui, che lui è morto al posto nostro, lo Spirito Santo viene a dimorare in noi. La Scrittura lo definisce la caparra, in attesa della redenzione completa, anche del nostro corpo, che sarà nostra al ritorno di Gesù.
1 Corinzi 6:19-20, “O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti siete stati comprati a caro prezzo“.
Già Giovanni Battista preannunciò che con Gesù, Figlio di Dio fatto uomo, i rapporti fra Dio e gli uomini sarebbero cambiati radicalmente.
“Poiché la legge è stata data per mezzo di Mosè; la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo” (Giovanni 1:17).
“Il giorno seguente, Giovanni vide Gesù che veniva verso di lui e disse: “Ecco l’Agnello di Dio, che toglie il peccato del mondo! Questi è colui del quale dicevo: “Dopo di me viene un uomo che mi ha preceduto, perché egli era prima di me”. Io non lo conoscevo; ma appunto perché egli sia manifestato a Israele, io sono venuto a battezzare in acqua”. Giovanni rese testimonianza, dicendo: “Ho visto lo Spirito scendere dal cielo come una colomba e fermarsi su di lui. Io non lo conoscevo, ma colui che mi ha mandato a battezzare in acqua, mi ha detto: “Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo”. E io ho veduto e ho attestato che questi è il Figlio di Dio” (Giovanni 1:29-34).
Gesù quindi promise la venuta dello Spirito Santo che avrebbe seguito la sua assunzione in cielo.
“Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi” (Giovanni 14:15-17) .
“Vi ho detto queste cose, stando ancora con voi; ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Giovanni 14:26-27).
Ogni cosa a suo tempo. Gesù aveva parlato ai suoi discepoli affinché al tempo stabilito capissero come il piano di Dio non era un incidente, ma il consiglio onnisciente di Dio che tracciava il destino delle loro vite e di coloro che tramite la loro testimonianza si sarebbero convertiti in futuro.
Dopo la sua resurrezione il Signore apparve loro e gli disse esattamente cosa fare.
“Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare, fino al giorno che fu elevato in cielo, dopo aver dato mediante lo Spirito Santo delle istruzioni agli apostoli che aveva scelti. Ai quali anche, dopo che ebbe sofferto, si presentò vivente con molte prove, facendosi vedere da loro per quaranta giorni, parlando delle cose relative al regno di Dio. Trovandosi con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere l’attuazione della promessa del Padre, “la quale”, egli disse, “avete udita da me. Perché Giovanni battezzò sì con acqua, ma voi sarete battezzati in Spirito Santo fra non molti giorni” (Atti 1:1-5).
E così accadde nel giorno della Pentecoste, come sappiamo.
Con la presenza dello Spirito Santo in noi i credenti pregustano la presenza di Dio che vivranno perfettamente un giorno, dopo che il Signore ci avrà addotti a sé, al suo ritorno.
Per oggi, viviamo in questa grazia, secondo quanto ci invita a fare Paolo.
2 Corinzi 13:13,
“La grazia del Signore Gesù Cristo
e l’amore di Dio
e la comunione dello Spirito Santo
siano con tutti voi”.
5. Abbiamo libero accesso alla presenza di Dio
Quanto è difficile in Italia farsi ricevere da un politico, anche per il più urgente bisogno sociale a meno che non si sia in periodo di elezioni. Eppure la nostra cittadinanza celeste ci garantisce libero e costante accesso alla presenza di Dio stesso!
Ebrei 10:19, “Avendo dunque, fratelli, libertà di entrare nel luogo santissimo (il cielo stesso, la presenza di Dio) per mezzo del sangue di Gesù”.
E non ci sono modelli da riempire, né trafile burocratiche da fare! Le nostre richieste vengono presentate immediatamente da noi stessi al nostro Signore.
Giovanni 16:23, “In verità, in verità vi dico che qualsiasi cosa domanderete al Padre nel mio nome, egli ve la darà.”
È in virtù del fatto che oggi siamo veramente figli che possiamo chiamare Dio “Padre” nostro e che, in quanto figli, non dobbiamo chiedere a nessuno il permesso prima di entrare alla presenza del “Padre celeste”.
6. I nostri peccati sono tutti perdonati
Colossesi 2:13-14, “Voi, che eravate morti nei peccati e nella incirconcisione della vostra carne, voi, dico, Dio ha vivificati con lui, perdonandoci tutti i nostri peccati; egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce.”
Chi dice che vi sono peccati per i quali il credente deve “espiare” o che la sua salvezza non è completa, sbaglia. Il nostro perdono, la nostra redenzione non dipende da ciò che noi abbiamo fatto ma da quello che Gesù ha fatto: lui è morto per noi – perché noi potessimo vivere! Ha pagato il prezzo del nostro riscatto – perché eravamo schiavi del peccato, ma lui ci ha resi liberi, veramente liberi!
Giovanni 8:36, “Se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete veramente liberi“.
L’uomo vuole sempre capire cosa deve fare. E si complica la vita. Ma è orgoglio: perché vogliamo fare da noi stessi. È mancanza di fede: perché non si vuol credere alla semplicità e potenza del Vangelo.
I religiosi giudei erano campioni di regole e regolette. Interrogano Gesù e lui gli spiega la via di Dio. Ma loro non riescono a svuotarsi di se stessi per affidarsi totalmente a Dio.
Giovanni 6:28-29, “Gli chiesero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». Gesù rispose e disse loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato».”
Troppo facile?
È un problema di fede, credere o non credere, affidarsi o non affidarsi.
2 Re capitolo 5,
“1 Naamàn, comandante dell’esercito del re di Aram… era lebbroso… 9Naamàn arrivò con i suoi cavalli e con il suo carro e si fermò alla porta della casa di Eliseo. 10Eliseo gli mandò un messaggero per dirgli: «Va’, bàgnati sette volte nel Giordano: il tuo corpo ti ritornerà sano e sarai purificato». 11Naamàn si sdegnò e se ne andò dicendo: «Ecco, io pensavo: «Certo, verrà fuori e, stando in piedi, invocherà il nome del Signore, suo Dio, agiterà la sua mano verso la parte malata e toglierà la lebbra».”
L’uomo ha sempre la propria idea di salvezza. Ma è Dio che dobbiamo ascoltare e semplicemente accettare il suo semplice piano d’amore. Qualcuno provò a farlo ragionare: come oggi fanno i testimoni della fede facendo eco alle parole di Gesù: «Non ti ho detto che se credi, vedrai la gloria di Dio?»” (Giovanni 11:40).
Continua così la narrazione di 2 Re 5, “13Gli si avvicinarono i suoi servi e gli dissero: «Padre mio, se il profeta ti avesse ordinato una gran cosa, non l’avresti forse eseguita? Tanto più ora che ti ha detto: «Bàgnati e sarai purificato»». 14Egli allora scese e si immerse nel Giordano sette volte, secondo la parola dell’uomo di Dio, e il suo corpo ridivenne come il corpo di un ragazzo; egli era purificato.”
Come può testimoniare chi ha creduto, anche nella vita di te che leggi può accadere quanto promesso nella parola di Dio: Credi e vedrai la Gloria di Dio (Giovanni 11:40).
7. Abbiamo pace
Romani 5:1, “Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore”
La pace di Dio non è assenza di guerra o di conflitti, difficoltà, prove in genere. È lo Shalom ebraico, uno stato di forza e serenità interiore che solo la presenza di Dio può darci e che non dipende dalle circostanze ma dalla assoluta speranza nella perfezione della meravigliosa opera di Dio.
Questo tipo di pace non è di questo mondo e non può darcela niente e nessuno se non il Signore.
Giovanni 14:27, “Vi lascio pace; vi do la mia pace. Io non vi do come il mondo dà. Il vostro cuore non sia turbato e non si sgomenti.”
Si tratta di qualcosa che a volte supera l’umana comprensione.
Quando tutte le circostanze dovrebbero vederci afflitti, abbattuti, scoraggiati, in Dio riusciamo a trovare pace.
Quando Paolo scrisse l’epistola ai Filippesi era in carcere. Eppure, in quei momenti riusciva a scrivere
“Non siate in ansietà per cosa alcuna, ma in ogni cosa le vostre richieste siano rese note a Dio mediante preghiera e supplica, con ringraziamento. E la pace di Dio, che sopravanza ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesú” (Filippesi 4:6-7).
8. Abbiamo speranza
Romani 15:13, “Or il Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e di ogni pace nella fede, affinché abbondiate nella speranza, per la potenza dello Spirito Santo.”
Abbiamo un detto dalle mie parti: “chi di speranza vive, disperato muore”. E, a seconda di chi o cosa è l’oggetto della nostra speranza, questo può rispondere a verità. Se speriamo solo in questa vita, se poniamo tutta la nostra fiducia nell’uomo, quasi sicuramente ne saremo delusi; su questa terra e soprattutto nella vita che verrà.
Ma se poniamo la nostra fede in Dio e speriamo in lui, il Signore non ci deluderà.
“ma quelli che sperano nel SIGNORE acquistano nuove forze, si alzano a volo come aquile, corrono e non si stancano, camminano e non si affaticano” (Isaia 40:11).
Cos’è la speranza per noi credenti?
È attesa. È fiducia. Noi che speriamo in Dio, attendiamo fiduciosi l’avverarsi delle Sue promesse.
In questo mondo non vi è speranza. Nella migliore delle ipotesi riusciamo a godere dei piaceri di questa vita, avremo un buon lavoro e andremo in pensione. Ma poi verrà la morte. E cosa dopo la morte? Alcuni dicono il nulla. Ma non è così.
Ebrei 9:27, “Come è stabilito che gli uomini muoiano una volta sola, dopo di che viene il giudizio”.
Prima di conoscere Cristo tutti noi eravamo senza speranza. L’uomo di oggi mente a se stesso negando questo fatto. Si stordisce di piaceri e nell’esaltazione di se stesso per evitare di pensare. Ma se un malato mente a se stesso e semplicemente agisce come se non avesse in sé alcun male, è destinato alla morte. Allo stesso modo fa l’uomo quando si illude che questa vita possa avere un senso lontano da Dio
Efesini 2:12, “ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo“.
In Dio la nostra vita trova un senso, in Lui abbiamo speranza, vita e ogni cosa. Ogni nostro bene è nascosto in Lui e un giorno sarà nostro.
Tito 1:2, “nella speranza della vita eterna promessa prima di tutti i secoli da Dio, che non può mentire“.
Ebrei 6:19, “Questa speranza la teniamo come un’àncora dell’anima, sicura e ferma”.
Ebrei 10:23, “Manteniamo ferma la confessione della nostra speranza, senza vacillare; perché fedele è colui che ha fatto le promesse“.
La nostra speranza e vera e sicura, perché è fondata su Dio, che è fedele e che agirà secondo quanto ha promesso nella Sua Parola.
9. Abbiamo gioia
La felicità è un sogno ambito da molti, raggiunto da pochi e per pochi istanti. Ma la gioia è uno stato psicologico e spirituale molto più profondo e duraturo, costante, perché ha come fonte Dio e non le circostanze che ci circondano.
Romani 14:17, “perché il regno di Dio non consiste in vivanda né in bevanda, ma è giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo”.
Si tratta quindi di qualcosa che non riguarda il materiale, ma lo spirituale, di profondo e vero.
La gioia fa parte del frutto dello Spirito Santo, è un risultato della sua dimora in noi.
Galati 5:22, “Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo”.
La consapevolezza di essere adesso figli di Dio e delle meravigliose promesse che sono nostre, produce naturalmente uno stato di benessere interiore che nasce dallo sguardo proteso verso l’eternità, oltre le miserie di questa vita.
1 Pietro 1:8, “Benché non l’abbiate visto, voi lo amate; credendo in lui, benché ora non lo vediate, voi esultate di gioia ineffabile e gloriosa”.
Una delle frasi più belle della Scrittura la troviamo La consapevolezza di chi siamo ci permette di affrontare questa vita con nuove energie.
Neemia 8:10, “perché la gioia del SIGNORE è la vostra forza”.
Ciò ci rende veramente forti, capaci di affrontare ogni difficoltà e vivere con quel senso di soddisfazione che spesso neanche le persone ricche e benestanti riescono ad avere.
Filippesi 4:11, “ho imparato a essere contento nello stato in cui mi trovo”.
Quando siamo consapevoli che ogni cosa buona è un dono di Dio potremo guardare alla realtà che ci circonda in maniera diversa. Ogni difficoltà è uno scalino che ci porta più in alto. Ogni prova serve a renderci più atti a servire il Signore. Questa consapevolezza ci permette veramente di affrontare ogni giorno con questa calma interiore e serenità che possiamo definire gioia – sebbene a volte il linguaggio umano non riesca appieno a descrivere certi stati d’animo di assoluta, inspiegabile quiete che la fede nel nostro Dio e la Sua presenza soltanto, tramite il Suo Spirito, possono donare al nostro cuore.
10. Siamo ambasciatori del regno di Dio
I credenti sono a tutti gli effetti un corpo diplomatico in una terra straniera, rappresentanti ufficiali del regno di Dio.
1 Pietro 2:11, “Carissimi, io vi esorto, come stranieri e pellegrini, ad astenervi dalle carnali concupiscenze che danno l’assalto contro l’anima”
Visto che abitiamo lontani dalla nostra patria celeste, possiamo considerarci stranieri e pellegrini in questo mondo. Ma sappiamo che quando il nostro mandato si sarà completato, raggiungeremo la nostra patria per dimorarvi per sempre. Questo si che è un pensionamento!
2 Corinzi 5:1, “Sappiamo infatti che se questa tenda che è la nostra dimora terrena viene disfatta, abbiamo da Dio un edificio, una casa non fatta da mano d’uomo, eterna, nei cieli.”
Ebrei 13:14, “Perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura.”
In questo mondo potremmo definirci come degli ambasciatori, dei rappresentanti della nostra patria celeste.
2 Corinzi 5:20, “Noi dunque facciamo da ambasciatori per Cristo, come se Dio esortasse per mezzo nostro; vi supplichiamo nel nome di Cristo: siate riconciliati con Dio.”
Efesini 6:20, “per il quale sono ambasciatore in catene, perché lo annunzi francamente, come conviene che ne parli.”
Quanto è importante per un corpo diplomatico tenere alto il nome e il prestigio della patria di provenienza! Così noi dobbiamo essere ambasciatori degni dell’incarico che abbiamo ricevuto.
Avete mai vissuto all’estero? In Italia ci lamentiamo sempre delle pecche della nostra nazione – e io non faccio eccezione. Ma se siamo all’estero e incontriamo un altro italiano è una grande gioia. Ci mettiamo a parlare, ridiamo e parliamo della nostra terra. E’ un momento di gioia. Quasi quasi ricordiamo solo le cose belle e sentiamo ancora di più la mancanza. Quanto di più gioiamo quando incontriamo un altro cittadino del cielo.
E siccome sappiamo che nel nostro regno si sta bene, c’è pace, amore. Sappiamo che nelle nazioni di questo mondo si soffre e sta male. Per questo offriamo a tutti l’opportunità di avere anche loro una cittadinanza migliore, celeste, eterna.
11. Abbiamo un deposito in Cielo
Oggi non esiste nessuno che non abbia un conto corrente. Non vi è nessuno che non lavori per cercare di accumulare un po’ di ricchezza personale per poter vivere al meglio.
Tutto lecito.
Ma per il credente, per chi spera di abitare un giorno nella Gerusalemme celeste (Apocalisse 21:2) è molto bello sapere che già da oggi, con la sua condotta, con la sua pazienza, sofferenza, testimonianza; in parole povere, onorando il vangelo, stiamo accumulando lì il nostro vero tesoro.
Gesù disse, “Non vi fate tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine guastano, e dove i ladri sfondano e rubano, anzi fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non sfondano e non rubano. Perché dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore” (Matteo 6:19-21).
Ovviamente Gesù, parlando dei tesori celesti non intendeva parlare di ricchezze nel senso materiale del termine, bensì spirituale.
Un giorno tutti dovremo abbandonare ciò che abbiamo accumulato su questa terra. Nulla di male a ricercare un certo benessere con un lavoro onesto, anche in vista della generazione che seguirà alla nostra, di chi ci lasceremo dietro. Ma è proprio vero che da questo mondo non potremo portare via nulla. Quanto è saggio quindi depositare sul nostro conto corrente celeste. Perché, come dice Gesù, il cuore è dove sono le nostre cose, i nostri tesori, le nostre ricchezze.
C’è un detto dalle mie parti, davvero molto brutto: “è tuttu pessu”, in siciliano; che corrisponde all’italiano “è tutto perso!”
In un certo senso ciò potrebbe anche essere vero. Ricorda molto il pessimismo del libro dell’Ecclesiaste, “Vanità delle vanità; tutto è vanità», Che vantaggio ha l’uomo da tutta la sua fatica in cui si affatica sotto il sole?” (Ecclesiaste 1:3).
Questa, però, è una prospettiva che riguarda chi non ha una speranza migliore, che supera i miseri confini di questa vita. Per noi invece il Signore ci dice per bocca di Paolo, “Perciò, fratelli miei carissimi, state saldi, irremovibili, abbondando del continuo nell’opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore” (1 Corinzi 15:58).
Del resto ciò non era sfuggito nemmeno all’autore dell’Ecclesiaste (forse il mio libro dell’Antico Testamento preferito). Dopo avere osservato attentamente la crudezza della realtà terrena dell’uomo e del suo destino, egli conclude: “Temi DIO e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto dell’uomo. Poiché DIO farà venire in giudizio ogni opera, anche tutto ciò che è nascosto, sia bene o male” (Ecclesiaste 12:13-14).
Quella dei cittadini del cielo è davvero una speranza meravigliosa, che dà un senso a tutto e copre la futilità di questa esistenza con la gloria della vita eterna che il Signore ha promesso a coloro che gli ubbidiscono.
Parte II
Gli obblighi di un cittadino del cielo
12. Obblighi o libera scelta?
Rileggendo il mio studio mi sono reso conto che la parola “obbligo” per un non credente, possa apparire altrettanto pesante come “comandamento”. Ma in realtà, per chi crede, per chi è cittadino del cielo, obbligo è sinonimo di desiderio e comandamento è sinonimo di ricerca del bene personale e del prossimo.
Il timore di Dio è alla base del nostro desiderio di piacergli. Capire, renderci conto che Lui è Dio, che ci ama, ci protegge, ci salva, si cura di noi quotidianamente, fa nascere in noi il desiderio, anche il bisogno, di fare ciò che Lui ritiene giusto, essendo Lui la misura della giustizia e della santità.
Fondamentalmente Dio non obbliga nessuno. Ognuno è libero di scegliere la propria strada, di fare ciò che vuole. Ma il credente sa che spesso ciò che vogliamo noi finisce per arrecarci un danno, mentre la volontà di Dio è sempre per il nostro bene e, cosa meravigliosa, anche per chi ci sta accanto e chi ci circonda.
Se diciamo di obbedire al comandamento è perché la nostra natura umana vorrebbe andare da tutt’altra parte e quindi questo sforzarci, volontariamente, lo definiamo obbedienza.
Ed è proprio perché la nostra mente spesso vaga per tutt’altri sentieri che non sono quelli della giustizia che vogliamo sapere quale sia il pensiero di Dio, il piano di Dio per noi, per poterlo vivere. Ottenendo l’utile personale di vivere la vita come va vissuta e di essere in accordo con il nostro Creatore.
Nonostante in ogni modo venga promossa la ribellione verso i genitori ed esaltata la sregolatezza, se un figlio o una figlia vivono all’interno di un contesto familiare sano, con genitori onesti e premurosi, si attiverà naturalmente in tenera età un processo di apprendimento su ciò che va fatto e ciò che non va fatto, caratterizzato da un forte desiderio di compiacere la figura genitoriale e creare il massimo dell’armonia nella relazione con lei/lui. Negli anni il processo di apprendimento si trasforma in processo imitativo, dove si vuole essere come i genitori, dove si vedono in loro i giusti atteggiamenti nell’affrontare la vita.
Questo l’ideale di ciò che dovrebbe essere e, se posso aggiungere una nota partigiana, all’interno delle famiglie cristiane governate dall’amore di Dio, ancora oggi ciò è una realtà.
In maniera simile, per chi è cristiano si innesta un rapporto con Dio basato sulla fiducia e sull’amore. La correzione e il comandamento allora diventano atti d’amore per il nostro stesso bene.
Certo, non è facile; la nostra natura è incline alla ribellione e all’egoismo.
Gli essere umani naturalmente tendiamo a voler essere Dio di noi stessi, a decidere noi ciò che è giusto o sbagliato. Ciò lo facciamo mediante l’esperienza, gettandoci a capofitto in quello che vogliamo fare. Ma siccome la vita non è per nulla facile, e nel campo giochi dove ognuno è Dio di se stesso e centro dell’universo, non si scherza, le conseguenze possono essere mortali, a volte ci rendiamo conto di avere imboccato la strada sbagliata dopo molta sofferenza. Ad alcuni viene porta l’occasione di tornare indietro, altri si spingono caparbi fino a conseguenze estreme, rosi dal di dentro dai demoni che ritenevano loro amici, o persino al loro servizio e che, alla fine, considerando la loro condizione, scoprono invece essere i loro padroni più crudeli e letali.
Nessuno obbedendo ai propri genitori è finito a drogarsi in un vicolo, o a prostituirsi per strada, o a rubare, o a uccidere. E quand’anche i genitori di questo mondo non siano in grado di fornirci le giuste istruzioni per vivere bene, per ignoranza o persino cattiveria, Dio è il nostro perfetto e amorevole genitore. Dio è lo standard assoluto di giustizia e il comandamento è l’atto d’amore di un genitore onnisciente che vuole risparmiare al proprio figlio di essere la rovina di se stesso.
Ma, come dicevamo la nostra natura è ribelle. Non serve un trattato di filosofia per saperlo, basta guardarci dentro. Ed è per questo che a chi crede Dio dà un aiuto importante, fondamentale, la presenza del suo Spirito.
Se la nostra natura è ribelle, Dio la cambia. Se il nostro cuore è duro, Dio lo cambia.
Lo Spirito di Dio è Dio in noi, che ci trasforma, cambia la nostra mente, persino i nostri desideri.
Abbiamo citato ampiamente i brani che ci dicono come si diventa figli di Dio. Ecco, un figlio vuole obbedire al genitore e lo imita, per diventare come lui.
Ecco quindi che è impropriamente che parlo di obblighi per il cittadino del cielo, perché, in quanto alla nostra natura umana abbiamo bisogno di sforzarci a conformarci alla volontà di Dio, ma per quanto riguarda il nostro spirito, esso desidera di adempiere la volontà di Dio, conoscerla e farla sempre di più sua regola di vita e di condotta quotidiana.
Questa precisazione è doverosa: dove chi si ribella vede un comandamento noioso e impositivo da parte di Dio, il cristiano vede un’opportunità di fare la cosa giusta, portando un po’ di Dio su questa terra attraverso la sua obbedienza.
13. Battezzarci
Il primo passo di obbedienza nella vita di un credente è il battesimo.
Dopo che Pietro espose il vangelo per la prima volta, nel giorno della Pentecoste, “Udite queste cose, essi (coloro che avevano ascoltato) furono compunti nel cuore, e dissero a Pietro e agli altri apostoli: “Fratelli, che dobbiamo fare?” E Pietro a loro: “Ravvedetevi e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati, e voi riceverete il dono dello Spirito Santo” (Atti 2:37-38).
Noi che viviamo in un paese cattolico siamo abituati a vedere battezzare i bambini, ma quello non è il battesimo previsto dalla Scrittura. La Bibbia ci dice che per prima cosa dobbiamo ravvederci e poi battezzarci.
Battezzarsi non è un’opzione, ma è obbedire ad un comando specifico della Parola di Dio. Lo stesso Gesù iniziò il suo ministero terreno solo dopo essersi battezzato. E fu al suo battesimo che il Padre lo riconobbe pubblicamente come suo figlio.
“Allora Gesù dalla Galilea si recò al Giordano da Giovanni per essere da lui battezzato. Ma questi vi si opponeva dicendo: “Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?” Ma Gesù gli rispose: “Sia così ora, poiché conviene che noi adempiamo in questo modo ogni giustizia”. Allora Giovanni lo lasciò fare. Gesù, appena fu battezzato, salì fuori dall’acqua; ed ecco i cieli si aprirono ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui. ed ecco una voce dai cieli che disse: “Questo è il mio diletto Figlio, nel quale mi sono compiaciuto” (Matteo 3:13-17).
Lo stesso Gesù fu obbediente e, nonostante l’imbarazzo di Giovanni, si battezzò, manifestando pubblicamente la sua fede in Dio.
Nella Chiesa Cattolica Romana il battesimo viene amministrato per aspersione e non per immersione, come si è invece usi fare nelle altre confessioni di fede, compresa la Chiesa Ortodossa. Così veniva amministrato in origine, perché la stessa parola greca dalla quale deriva la parola battesimo, significa proprio immersione.
Sempre la Chiesa Cattolica attribuisce al battesimo un potere quasi “magico”, quello di togliere il peccato originale nel bimbo battezzato e conferire la nuova nascita. Vi è una tendenza nella Chiesa: quando va via la vera spiritualità, la si sostituisce con la ritualità.
La nuova nascita è operata dallo Spirito Santo nel cuore della persona che sinceramente si ravvede. E dopo questa meravigliosa esperienza, il primo passo di obbedienza è il battesimo.
Come Pietro stesso spiega, forse proprio per spiegarlo a chi poteva aver frainteso, “… acqua che era figura del battesimo – che non è eliminazione di sporcizia dal corpo, ma la richiesta di una buona coscienza verso Dio…”. (1 Pietro 3:21).
Insomma, con il battesimo non ci si lava via i peccati, ma obbediamo al comando del Signore e manifestiamo pubblicamente il vostro intento di servire Cristo.
Cercando di essere coerenti con il tono di questo nostro scritto diremo che la conversione, esserci ravveduti ed avere ricevuto il sigillo dello Spirito Santo significa entrare a far parte della famiglia di Dio ed entrare in possesso della cittadinanza celeste promessa, ma il Battesimo è la cerimonia pubblica che lo rende noto a tutti.
14. Conformarci alla Parola di Dio
In quanto cristiani abbiamo l’obbligo di conoscere ed obbedire la Parola di Dio.
Giacomo 1:22, “Ma mettete in pratica la parola e non ascoltatela soltanto, illudendo voi stessi.”
Matteo 7:24, “Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica sarà paragonato a un uomo avveduto che ha costruito la sua casa sopra la roccia.”
In qualsiasi nazione, che si conoscano o meno le leggi non è un problema di chi le fa o ha il compito di farle rispettare. In Italia diciamo: “la legge non ammette ignoranza”. E in qualsiasi nazione decente, osservare la legge non potrà che fare bene a se stessi ed alla comunità.
La cosa più bella però che riguarda il regno di Dio è che le leggi sono basate su un principio molto speciale: l’amore.
Giovanni 14:23, “Gesù gli rispose: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l’amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui.”
Matteo 22:36-40, “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?” Gesù gli disse: “”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti“.
Giovanni 13:34-35, “Io vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri. Come io vi ho amati, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri“.
A prescindere dalle convinzioni personali, politiche o religiose, qualcuno può credere che se le parole di Gesù fossero messe in pratica dagli uomini il mondo non diventerebbe letteralmente un paradiso in terra?
Non ci sarebbe più fame, perché ognuno si assicurerebbe che l’altro avesse abbastanza cibo.
Non ci sarebbe guerra, perché nessuno avrebbe il coraggio per qualsiasi motivo di alzare la mano contro il proprio fratello.
Non ci sarebbero contese, prevaricazioni, ecc…
Ma l’uomo è egoista, malvagio, cerca il proprio personale interesse e non quello dell’altro.
Gesù ci invita a guardare oltre. Essendo rappresentanti in terra del regno di Dio, quindi di una realtà migliore, abbiamo il dovere di essere all’altezza di tale privilegio e fare la differenza.
Abbiamo un bell’esempio nella Bibbia: Daniele.
Daniele era poco più che un ragazzino quando venne deportato in Babilonia. Nonostante fosse lì, in una terra straniera, e fosse ancora un adolescente, “Daniele prese in cuor suo la decisione di non contaminarsi con i cibi del re e con il vino che il re beveva” (Daniele 1:8). Ciò per obbedire alle previsioni della legge di Mosè. Ebbene, a causa della sua obbedienza, Dio benedisse Daniele e i tre suoi compagni che lo affiancarono nella sua determinazione a rimanere fedele a Dio in maniera straordinaria.
Se c’è una cosa che ho imparato in tanti anni di fede è che l’obbedienza porta la benedizione di Dio.
Qualcosa di meraviglioso accade nel regno di Dio.
Se nell’antico patto, quello dato da Dio a Mosè le leggi furono scritte su tavole di pietra e poi anche nella Torah, la Legge, i primi cinque libri della Bibbia, così non è nel regno.
È vero che la Parola scritta ci illumina, ci fa conoscere la perfetta volontà di Dio, ma la nostra obbedienza non è uno sterile aderire a regole e divieti.
In questo periodo sto leggendo Isaia con grande attenzione ed entusiasmo. I profeti dell’Antico Testamento erano degli uomini che richiamavano il popolo all’autentico spirito della Legge di Dio, alla vera spiritualità contrapposta alla sterile religiosità nella quale l’uomo ha così naturalmente la tendenza a naufragare. Anche Gesù contestò ai religiosi del suo tempo di essere degli ipocriti. La parola ipocriti è riconducibile al teatro greco, alla maschera che gli attori indossavano per impersonare questo o quel personaggio. In ogni tempo l’uomo ha la naturale tendenza a “recitare” la religione, a compiere azioni e rituali che forse di per sé non sono sbagliati se rispecchiano un autentico sentimento religioso, ma che spesso finiscono per diventare fini a se stessi, mezzi per “recitare” la parte del religioso.
Dio non ama questo tipo di atteggiamento. Leggete cosa disse Gesù ai farisei. Li definì addirittura “sepolcri imbiancati”.
Dio ha in mente per noi qualcosa di vero, di personale, di profondo, spirituale.
Quello che aveva promesso per mezzo dei profeti, oggi lo vediamo nella realtà interiore della Chiesa di Cristo.
Ebrei 8:10-12, “10Questo dunque sarà il patto che farò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore, io porrò le mie leggi nella loro mente e le scriverò nei loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo. 11E nessuno istruirà più il suo prossimo e nessuno il proprio fratello, dicendo: “Conosci il Signore!”. Poiché tutti mi conosceranno, dal più piccolo al più grande di loro, 12perché io avrò misericordia delle loro iniquità e non mi ricorderò più dei loro peccati e dei loro misfatti”.
Cosa significa che Dio ha scritto la sua legge nei nostri cuori? Significa che vogliamo fare ciò che è giusto perché lo identifichiamo come tale e non perché ci viene imposto dall’esterno.
Nel nuovo patto in Gesù, in questa Grazia che ci ha salvato e reso cittadini del regno dei cieli, noi comprendiamo che il comandamento non è un sadico imporsi di Dio sull’uomo ma necessario per evitare che egli sbagli e si allontani dal bene e da Dio.
Del resto anche su questa terra gli stati nella loro imperfezione promulgano delle leggi che servono a salvaguardare la loro popolazione. E di solito è utile per tutti osservare la legge.
Tanto più utile è osservare i perfetti comandamenti di Dio.
Romani 7:12, “la legge (di Mosè) è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono”.
La legge mosaica aveva molti precetti, ma proprio perché oggi lo Spirito di Dio dimora in noi e la legge di Dio è scritta nei nostri cuori, non abbiamo più bisogno di elenchi di cose da fare o non fare, perché lo Spirito Santo stesso ci guida e ci fa desiderare di agire per il bene nostro, per amore di Dio e del prossimo.
15. Amare Dio, il prossimo e i fratelli
Il Nuovo Testamento dice qualcosa di sconvolgente di Dio.
1 Giovanni 4:8, “Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore”.
Dio è amore e è l’unica sorgente dell’amore vero. Oggi viviamo in un mondo dove la parola “amore” è letteralmente abusata e utilizzata per sentimenti e azioni che con l’amore non hanno nulla a che vedere. Tempo fa guardandomi intorno feci una considerazione che postai su facebook: “Da quando l’amore è diventato semplicemente la sensazione di piacere che ci comunica la presenza dell’altro?”
L’amore vero è qualcosa di più. Tempo fa ho pubblicato un libro dove ho analizzato la questione un po’ più da vicino, anche ispirato dalle parole di un rabbino che spiegava il meraviglioso concetto di amore trasmesso dalla lingua ebraica della Bibbia.
Per rimanere in casa nostra è Paolo che ci spiega cos’è l’amore vero, quello che viene da Dio e che Dio ci insegna.
“L’amore è paziente, è benevolo; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non addebita il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa” (1 Corinzi 13:4-7).
Tutti conosciamo i dieci comandamenti. Su di essi Gesù ci insegna una lezione che non potrà mai tramontare.
Marco 12:28-31, “Uno degli scribi che li aveva uditi discutere, visto che egli aveva risposto bene, si avvicinò e gli domandò: “Qual è il più importante di tutti i comandamenti?” Gesù rispose: “Il primo è: “Ascolta, Israele: Il Signore, nostro Dio, è l’unico Signore: AMA dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la mente tua, e con tutta la forza tua”. Il secondo è questo: “AMA il tuo prossimo come te stesso”. Non c’è nessun altro comandamento maggiore di questi”.
Tutto il resto è conseguenza dell’amore che abbiamo per Dio e per il prossimo.
Il nemico dell’uomo non è necessariamente il “male”, piuttosto l’indifferenza, l’assenza di amore per Dio e per gli altri – oggetti visibili del nostro amore sui quali concretizziamo l’amore che abbiamo per il Dio invisibile.
Che l’amore sia basilare e non un dettaglio secondario, lo cogliamo anche nel nostro linguaggio quotidiano. Se di un uomo viene detto che “ama” la sua famiglia, ciò accade perché si nota la dedizione costante che egli mette nel curarsi dei suoi cari. Se diciamo di qualcuno che “ama” il suo lavoro è perché lo vediamo farlo con attenzione e massima cura.
Se amiamo Dio si vedrà. Ne osserveremo i comandamenti e vivremo cercando la Sua presenza in ogni modo.
Il mondo di oggi è totalmente perso nell’indifferenza nei confronti di Dio. Ciò non significa non credere alla sua esistenza, ma il non interessarsi a includerlo nel nostro cammino di vita per renderlo partecipe e protagonista delle nostre giornate. Se si ama qualcuno lo si vuole accanto, gli si parla, si ascolta, si trascorre tempo con Lui. Se diciamo di credere in Dio ma non ci interessiamo a Lui, magari è vero, crediamo che lui esista, ma non lo amiamo.
L’apostolo Giacomo in proposito scrisse qualcosa di molto forte che deve farci riflettere.
“Tu credi che c’è un solo Dio, e fai bene; anche i demòni lo credono e tremano. Insensato! Vuoi renderti conto che la fede senza le opere non ha valore?” (Giacomo 2:19-20)
Un cittadino del cielo ama Dio, perché la sua intera vita è vissuta alla presenza del Padre celeste.
Amare il prossimo è la diretta conseguenza dell’amare Dio. Se amiamo Dio amiamo anche coloro che lui ama e Dio ama ogni essere umano di un amore immenso, infinito, inspiegabile ma vero e concreto. Per via di questo amore ha dato suo Figlio affinché potessimo essere salvati, riconciliati a Lui, potessimo recuperare quella comunione con lui che il peccato ha distrutto.
Giovanni 3:16, “Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.
Gesù ci ha detto che questo stesso amore che il Padre e Lui hanno avuto per noi, noi dobbiamo dimostrarlo ai fratelli.
“Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni 13:34-35).
Nella sua prima epistola lo stesso apostolo amato tornerà su questo argomento spiegando come l’amore per il fratello sia evidenza dell’amore per Dio. È inoltre degno di nota il fatto che è l’amore che abbiamo gli uni per gli altri che farà sì che si riconosca che noi siamo veri discepoli di Cristo. Non la nostra cultura biblica, i nostri titoli, ma l’amore: stiamo davvero attenti a questo dettaglio e ricordiamoci che è un comandamento del Signore e non un suggerimento. I cittadini del cielo si conformano alle regole del cielo.
L’amore è più della stessa speranza e della stessa fede. Lo dice Paolo chiudendo il suo meraviglioso capitolo sull’amore – 1 Corinzi 13:13.
Visto che stiamo parlando degli “obblighi” del credente, credo sia opportuno chiudere questo paragrafo citando Paolo.
Romani 13:8, “Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge”.
16. Essere testimoni di Cristo
Ognuno di noi ha dei doni, dei talenti, che mette al servizio di Dio nella Chiesa. Ognuno di questi doni caratterizza il nostro contributo al corpo di Cristo. Ma testimoniare di Cristo è il primo e più importante “obbligo” per il credente che origina dall’amore che egli sente per chi non ha creduto all’evangelo, per chi non è salvato.
Atti 1:8, “ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra”.
Il Vangelo di Cristo (Romani 1:9) è la buona notizia della salvezza in Lui. Viviamo in un mondo dove sembra che non si sentano altro che brutte notizie. Ma ai credenti, alla Chiesa, è affidata la diffusione di una buona notizia.
Lo so cosa accade nel credente, sono un credente anche io. Quando accettiamo Cristo, abbiamo in noi quel fuoco che arde per la Verità e iniziamo a testimoniare di Gesù, della salvezza, della Verità con tutti quelli che incontriamo e che conosciamo. Quindi ci scontriamo con l’indifferenza dei più e il nostro entusiasmo si raffredda. Siamo esseri umani.
1 Pietro 3:15-16, “ma glorificate il Cristo come Signore nei vostri cuori. Siate sempre pronti a render conto della speranza che è in voi a tutti quelli che vi chiedono spiegazioni. Ma fatelo con mansuetudine e rispetto…”.
La questione è la speranza. Noi in Cristo abbiamo speranza. Ma chi è nel mondo non ha speranza. Può non conoscere la Verità, non essere conscio di cosa sia che manca nella sua vita e gli provoca quel disagio più o meno evidente nei suoi comportamenti, e ciò genera in loro il rifiuto iniziale a sentire qualcuno che gli dice: io ho la soluzione ai tuoi problemi. Difatti Pietro dice: “fatelo con mansuetudine e rispetto”. Ricordatevi che una volta eravamo come loro e qualcuno ci ha amato al punto di sopportare che ci infastidissimo o cercassimo in ogni modo di non parlare di questioni che riguardassero la religione.
Efesini 2:12-13, “ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo”.
Per questo l’amore per il prossimo adempie la legge come abbiamo letto nel paragrafo precedente – Romani 13:8. Se amiamo il prossimo e noi abbiamo una speranza in noi che lui non ha, che lo separa da Dio, che lo destina alla morte eterna per salvarlo dalla quale Cristo è morto, adempiere al comandamento del Signore di essere suoi testimoni diventa naturale.
17. Servire Dio servendo gli altri
Ognuno di noi è chiamato a servire all’interno della comunità cristiana in base al dono ricevuto da Dio.
La logica del regno è così distante da quella del mondo, direi che è totalmente ribaltata.
Gesù ci spiega come funziona nel regno,
Matteo 20:25-28, “Voi sapete che i principi delle nazioni le signoreggiano e che i grandi le sottomettono al loro dominio. Ma non è così tra voi; anzi, chiunque vorrà essere grande fra voi, sarà vostro servitore e chiunque fra voi vorrà essere primo, sarà vostro servo; appunto come il Figlio dell’uomo non è venuto per essere servito ma per servire e per dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”.
Lo stesso Gesù ha dato l’esempio, facendosi nostro servo!
Uno dei brani più belli in assoluto del Nuovo Testamento si trova in Filippesi capitolo 2.
“Abbiate in voi lo stesso sentimento che già è stato in Cristo Gesù, il quale, essendo in forma di Dio, non considerò qualcosa a cui aggrapparsi tenacemente l’essere uguale a Dio, ma svuotò se stesso, prendendo la forma di servo, divenendo simile agli uomini; e, trovato nell’esteriore simile ad un uomo, abbassò se stesso, divenendo ubbidiente fino alla morte e alla morte di croce. Perciò anche Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio delle creature (o cose) celesti, terrestri e sotterranee, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre” (Filippesi 2:5-11)
Gesù stesso si è fatto uomo lasciando la gloria del Cielo per “servire” noi, morendo sulla croce per la nostra salvezza. Non è poca cosa quando ci invita ad avere gli uni per gli altri questo stesso amore che lui ha avuto per noi.
“Vi do un nuovo comandamento: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, anche voi amatevi gli uni gli altri. Da questo conosceranno tutti che siete miei discepoli, se avete amore gli uni per gli altri” (Giovanni13:34-35)
Il desiderio quindi di servirci gli uni gli altri dovrebbe nascere spontaneo, essere inevitabile conseguenza di ciò.
Visto però che spesso abbiamo bisogno che la Parola di Dio ci ricordi chi siamo e il compito al quale siamo chiamati, Paolo ricorda ai Galati,
“…servite gli uni gli altri per mezzo dell’amore” (Galati 5:13)
Giovanni è molto spirituale e nella sua epistola ci insegna con meravigliose parole.
“Se uno dice: “Io amo Dio”, ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto. Questo è il comandamento che abbiamo ricevuto da lui: che chi ama Dio ami anche suo fratello” (1 Giovanni 4:20-21).
Amiamo il Dio invisibile amando il nostro fratello, che ben vediamo! E siccome a volte possiamo essere duri di comprendonio la Parola di Dio spiega praticamente di cosa si sta parlando qui – perché gli uomini per natura (chi scrive per primo) siamo così brani nella teoria ma poi nella pratica siamo pieni di scuse.
“Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità” (1 Giovanni 3:17-18).
“Se un fratello o una sorella non hanno vestiti e mancano del cibo quotidiano, e uno di voi dice loro: “Andate in pace, scaldatevi e saziatevi”, ma non date loro le cose necessarie al corpo, a che cosa serve?” (Giacomo 2:15-16).
Penso che la Scrittura è chiara sia in linea teorica che pratica.
Per il servizio, Dio ha dato a ognuno di noi dei doni e utilizzarli per il bene comune significa farli fruttare. Stando attenti che se possiamo fare e non facciamo, non saremo meno colpevoli. Il servizio agli altri consiste nel servire con le specifiche caratteristiche che ciascuno di noi ha.
Io ad esempio amo leggere, scrivere e studiare le lingue e Dio mi ha sempre dato il modo e io sono stato (più o meno: confesso la mia pigrizia) disponibile a mettere le mie capacità al servizio della Chiesa e degli altri.
Alcuni membri della Chiesa sono chiamati a dei servizi speciali e a ruoli fondamentali per il buon funzionamento del corpo che è la Chiesa.
”Ora vi è diversità di carismi, ma vi è un medesimo Spirito. Vi è diversità di ministeri, ma non v’è che un medesimo Signore. Vi è varietà di operazioni, ma non vi è che un medesimo Dio, il quale opera tutte le cose in tutti. Ora a ciascuno è data la manifestazione dello Spirito per il bene comune. Infatti, a uno è data, mediante lo Spirito, parola di sapienza; a un altro parola di conoscenza, secondo il medesimo Spirito; a un altro, fede, mediante il medesimo Spirito; a un altro, carismi di guarigione, per mezzo del medesimo Spirito; a un altro, potenza di operare miracoli; a un altro, profezia; a un altro, il discernimento degli spiriti; a un altro, diversità di lingue e a un altro, l’interpretazione delle lingue; ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole” (1 Corinzi 12:4-11).
“È lui che ha dato alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e dottori, per il perfezionamento dei santi in vista dell’opera del ministero e dell’edificazione del corpo di Cristo” (Efesini 4:11-12).
Nessuna distinzione fra “clero” e “laici” ma ripartizione di compiti. Lo Spirito Santo è Colui che amministra i doni nella Chiesa e questi non stabiliscono gradi o livelli, ma la maniera in cui possiamo servire Dio e il Corpo di Cristo.
Capire qual è il proprio talento e farlo fruttare per il bene comune è una responsabilità personale del credente. Riguarda lui e nessun altro, perché ciascuno dovrà dare personalmente conto a Dio del proprio operato e non di quello degli altri. Quando si è stabilmente inseriti in una chiesa locale – il luogo perfetto per la propria crescita spirituale e per mettere a frutto i propri doni – Dio saprà confermare i doni che ciascuno di noi ha tramite altri fratelli con maggiore esperienza.
Non parliamo di teoria. In quarant’anni di fede ho visto doni nascere e crescere in chiesa e poi risultare in benedizioni abbondanti per il Corpo di Cristo in modo meraviglioso.
L’obbedienza è seguita dalla benedizione, anche nel sottometterci all’opera dello Spirito Santo in noi che si manifesta con i suoi meravigliosi e variegati doni.
18. Parlare la lingua
Un cittadino italiano deve conoscere la lingua italiana. Vi sono nazioni dove la cittadinanza non può essere acquisita da stranieri se non dopo avere superato degli esami di lingua e storia.
I cristiani devono parlare la lingua della sapienza, attraverso l’insegnamento e la guida dello Spirito Santo.
1 Corinzi 2:13, “e noi ne parliamo non con parole insegnate dalla sapienza umana, ma insegnate dallo Spirito, adattando parole spirituali a cose spirituali.”
Dobbiamo parlare il linguaggio della verità,
Efesini 4:25, “Perciò, bandita la menzogna, ognuno dica la verità al suo prossimo perché siamo membra gli uni degli altri.”
Dobbiamo parlare la lingua dell’Evangelo della pace e riconciliazione a Dio attraverso Gesù Cristo.
1 Tessalonicesi 2:4, “ma come siamo stati approvati da Dio che ci ha stimati tali da poterci affidare il vangelo, parliamo in modo da piacere non agli uomini, ma a Dio che prova i nostri cuori.”
Dobbiamo essere miti. Non giudicare frettolosamente. Tenere a bada la lingua.
Tito 3:2, “che non dicano male di nessuno, che non siano litigiosi, che siano miti, mostrando grande gentilezza verso tutti gli uomini.”
Giacomo 4:11, “Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi dice male del fratello, o chi giudica il fratello, parla male della legge e giudica la legge. Ora, se tu giudichi la legge, non sei uno che la mette in pratica, ma un giudice. Uno soltanto è legislatore e giudice, colui che può salvare e perdere; ma tu chi sei, che giudichi il tuo prossimo?.”
1 Pietro 3:10, “Infatti: “Chi vuole amare la vita e vedere giorni felici, trattenga la sua lingua dal male e le sue labbra dal dire il falso”
19. Pagare le tasse
Come potremmo sperare che una nazione prosperi, sia ben organizzata e pronta a soddisfare i bisogni dei suoi cittadini, difendere i propri confini, avere una salda economia e politica se quest’ultimi non pagano le loro tasse?
La stessa logica si applica alla Chiesa. Possiamo avere idee divergenti circa l’ammontare del contributo. Nella mia esperienza con le chiese americane e inglesi, ho visto che la misura della decima è un ottimo principio ed è anche scritturale.
Malachia 3:8, “L’uomo può forse derubare Dio? Eppure voi mi derubate. Ma voi dite: “In che cosa ti abbiamo derubato?” Nelle decime e nelle offerte.”
Ma l’obbligo è morale e personale.
Il nostro contributo nella Chiesa poi non può limitarsi all’apporto economico. Per alcuni, di questi tempi, sarebbe persino comodo se fosse così. Se è vero che il tempo è danaro, deve davvero avere il valore più alto fra i beni dei nostri giorni. Perché oltre al danaro la cosa che con maggiore riluttanza la gente oggi è disposta a mettere a disposizione è proprio il tempo.
Per questo, il nostro tempo, proprio perché è una risorsa così importante, è vitale che venga messo al servizio della causa dell’Evangelo.
Credo che per trovare la gioia di dare, basti semplicemente considerare che tutto ciò che abbiamo, soldi e tempo inclusi, è per dono di Dio e che Dio non si stanca mai di donarci liberalmente. Se siamo figli, imitiamo nostro padre, Dio, e come Lui dobbiamo imparare a dare con gioia.
Atti 20:35, “In ogni cosa vi ho mostrato che bisogna venire in aiuto ai deboli lavorando così, e ricordarsi delle parole del Signore Gesù, il quale disse egli stesso: ‘Vi è più gioia nel dare che nel ricevere‘”.
20. Essere in pace con gli altri
Uno dei brani meno compresi e strumentalizzati della Scrittura è Giacomo 5:16, che legge,
“Confessate dunque i vostri peccati gli uni agli altri” (Giacomo 5:16).
La parola del originale utilizzata qui non è propriamente quella che di solito viene usata e tradotta con “peccati”, cioè amartia (ἁμαρτία), bensì paraptomata (παραπτώματα) che allora, giustamente, Diodati tradusse con “falli” e che oggi potremmo tradurre con “mancanze”.
Nello verso precedente a questo si parla di peccati nel senso stretto del termine e l’originale è appunto amartia.
“…se egli ha commesso dei peccati, gli saranno perdonati” (Giacomo 5:15).
Ciò cui fa riferimento qui il testo di Giacomo non è la confessione auricolare al prete, i peccati la Bibbia ci dice che possiamo confessarli a Dio, ma qualcosa di molto importante e profondo che riguarda la prassi cristiana e i rapporti fra credenti.
Gesù ne aveva parlato ai suoi discepoli.
“Se dunque tu stai per offrire la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia lì la tua offerta davanti all’altare, e va’ prima a riconciliarti con tuo fratello; poi vieni a offrire la tua offerta” (Matteo 5:23-24).
Dobbiamo essere capaci di saper ammettere i nostri sbagli e “confessarli”, ammetterli, è questo il significato di questo vocabolo, e saper chiedere perdono.
Fu lo stesso Gesù a spiegare a chi ha subito il torto come deve comportarsi con il fratello che viene ad ammettere il proprio errore e riconciliarsi.
“Allora Pietro si avvicinò e gli disse: “Signore, quante volte perdonerò mio fratello se pecca contro di me? Fino a sette volte?” E Gesù a lui: “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette” (Matteo 18:21-22).
Gesù nel Padre nostro ci insegnò a dire: “rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Il prosieguo di quanto Gesù dice a Pietro nel Vangelo spiega chiaramente cosa significa perdonare e cosa significa rimettere un debito – qui inteso certamente in senso spirituale, ma che Gesù spiega in maniera molto pratica, affinché nessuno possa fraintendere e lo fa proprio toccando una parte delicata della nostra persona, il portafoglio!
“Perciò il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi. Avendo cominciato a fare i conti, gli fu presentato uno che era debitore di diecimila talenti. E poiché quello non aveva i mezzi per pagare, il suo signore comandò che fosse venduto lui con la moglie e i figli e tutto quanto aveva, e che il debito fosse pagato. Perciò il servo, gettatosi a terra, gli si prostrò davanti, dicendo: “Abbi pazienza con me e ti pagherò tutto”. Il signore di quel servo, mosso a compassione, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Ma quel servo, uscito, trovò uno dei suoi conservi che gli doveva cento denari; e, afferratolo, lo strangolava, dicendo: “Paga quello che devi!” Perciò il conservo, gettatosi a terra, lo pregava dicendo: “Abbi pazienza con me, e ti pagherò”. Ma l’altro non volle; anzi andò e lo fece imprigionare, finché avesse pagato il debito. I suoi conservi, veduto il fatto, ne furono molto rattristati e andarono a riferire al loro signore tutto l’accaduto. Allora il suo signore lo chiamò a sé e gli disse: “Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel debito, perché tu me ne supplicasti; non dovevi anche tu aver pietà del tuo conservo, come io ho avuto pietà di te?” E il suo signore, adirato, lo diede in mano degli aguzzini fino a quando non avesse pagato tutto quello che gli doveva. Così vi farà anche il Padre mio celeste, se ognuno di voi non perdona di cuore al proprio fratello” (Matteo 18:23-35).
Perché è inoltre scritto: “con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi” (Matteo 7:2)
E se agiremo così adempiremo la legge dell’amore.
“Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge.” (Romani 13:8)
Conclusione
I privilegi di essere cittadini del cielo sono molti di più di quanti ne ho elencati, e persino l’obbedienza alla Parola di Dio diventa fonte di benedizione perché porta benefici alla nostra vita. Gli obblighi stessi quindi diventano, nella logica del regno, privilegi.
La Scrittura ha una lunga lista di promesse che sono nostre se decidiamo di far parte del regno di Dio. Benefici che cominciano in questa vita – spesso, non sempre, onestamente – ma che certamente dureranno per sempre quando saremo nella nostra patria celeste.
Il brano che segue riprende e spiega cosa significa diventare parte del regno di Dio, cittadini del Cielo.
Efesini 2:11-19, “Perciò, ricordatevi che un tempo voi, stranieri di nascita, chiamati incirconcisi da quelli che si dicono circoncisi, perché tali sono nella carne per mano d’uomo, voi, dico, ricordatevi che in quel tempo eravate senza Cristo, esclusi dalla cittadinanza d’Israele ed estranei ai patti della promessa, senza speranza e senza Dio nel mondo. Ma ora, in Cristo Gesù, voi che allora eravate lontani siete stati avvicinati mediante il sangue di Cristo. Lui, infatti, è la nostra pace; lui che dei due popoli ne ha fatto uno solo e ha abbattuto il muro di separazione abolendo nel suo corpo terreno la causa dell’inimicizia, la legge fatta di comandamenti in forma di precetti, per creare in sé stesso, dei due, un solo uomo nuovo facendo la pace; e per riconciliarli tutti e due con Dio in un corpo unico mediante la sua croce, sulla quale fece morire la loro inimicizia. Con la sua venuta ha annunziato la pace a voi che eravate lontani e la pace a quelli che erano vicini; perché per mezzo di lui gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito. Così dunque non siete più né stranieri né ospiti; ma siete concittadini dei santi e membri della famiglia di Dio.”
Daniele è un profeta molto importante nella Bibbia. Una delle profezie che rinveniamo nel libro che porta il suo nome copre l’intera storia dell’umanità ed è la fonte per la terminologia di “regno di Dio” e “regno dei cieli” – soggetto della predicazione di Gesù durante il suo ministero terreno,
“Dopo che Giovanni fu messo in prigione, Gesù si recò in Galilea, predicando il vangelo di Dio e dicendo: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; ravvedetevi e credete al vangelo” (Marco 1:14-15).
Israele non credette al vangelo del regno e ciò causò tutto ciò che ne è seguito. Gesù stesso lamentò l’incredulità del suo popolo.
“Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Infatti vi dico che da ora in avanti non mi vedrete più, finché non direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” (Matteo 23:37-39)
“… finché non direte: “Benedetto colui che viene nel nome del Signore!” significa che Israele riconoscerà il Messia atteso al ritorno di Gesù in gloria.
“Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero…” (Apocalisse 1:7)
Andiamo a vedere di cosa parla Daniele, nel secondo capitolo del suo libro – che consiglio al lettore di leggere (e, meglio ancora, studiare) per intero. Qui citerò solo le parole dette dal profeta per spiegare la profezia che era stata data in sogno al re di Babilonia, Nabucodonosor.
Daniele 2:31-45, “Tu, o re, guardavi, ed ecco una grande statua; questa statua, immensa e d’uno splendore straordinario, si ergeva davanti a te, e il suo aspetto era terribile. La testa di questa statua era d’oro puro; il suo petto e le sue braccia erano d’argento; il suo ventre e le sue cosce di bronzo; le sue gambe, di ferro; i suoi piedi, in parte di ferro e in parte d’argilla. Mentre guardavi, una pietra si staccò, ma non spinta da una mano, e colpì i piedi di ferro e d’argilla della statua e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l’argilla, il bronzo, l’argento e l’oro e divennero come la pula sulle aie d’estate. Il vento li portò via e non se ne trovò più traccia; ma la pietra che aveva colpito la statua diventò un gran monte che riempì tutta la terra. Questo è il sogno; ora ne daremo l’interpretazione al re. Tu, o re, sei il re dei re, a cui il Dio del cielo ha dato il regno, la potenza, la forza e la gloria; e ha messo nelle tue mani, tutti i luoghi in cui abitano gli uomini, le bestie della campagna e gli uccelli del cielo, e ti ha fatto dominare sopra tutti loro: la testa d’oro sei tu. Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, di bronzo, che dominerà sulla terra; poi vi sarà un quarto regno, forte come il ferro; poiché, come il ferro spezza e abbatte ogni cosa, così, pari al ferro che tutto frantuma, esso spezzerà ogni cosa. Come i piedi e le dita, in parte d’argilla da vasaio e in parte di ferro, che tu hai visto, così sarà diviso quel regno; ma vi sarà in esso qualcosa della consistenza del ferro, poiché tu hai visto il ferro mescolato con la fragile argilla. Come le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte d’argilla, così quel regno sarà in parte forte e in parte fragile. Hai visto il ferro mescolato con la molle argilla, perché quelli si mescoleranno mediante matrimonio, ma non si uniranno l’uno all’altro, così come il ferro non si amalgama con l’argilla. Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto e che non cadrà sotto il dominio d’un altro popolo. Spezzerà e annienterà tutti quei regni, ma esso durerà per sempre, proprio come la pietra che hai visto staccarsi dal monte, senza intervento umano, e spezzare il ferro, il bronzo, l’argilla, l’argento e l’oro. Il gran Dio ha fatto conoscere al re quello che deve avvenire d’ora in poi. Il sogno è vero e sicura è la sua interpretazione”.
La statua simboleggia dei regni, i vani sforzi dell’uomo di governare e portare pace e giustizia in questo mondo. Dico “vani” perché la statua poggia su piedi di argilla: è destinata a cadere.
Alla fine sarà Dio stesso, il Dio del cielo, il Sovrano di ogni cosa, a instaurare il suo regno, perfetto ed eterno. Il regno del Messia, quello la cui manifestazione attendeva Israele – ma solo a parole; perché quando Gesù comparve sulla scena, gli uomini erano troppo indaffarati con i loro piani e la loro idea di Dio e del suo regno per riconoscere in Gesù il Salvatore del mondo.
Dopo la sua resurrezione i discepoli chiesero al Signore Gesù:
“Quelli dunque che erano riuniti gli domandarono: “Signore, è in questo tempo che ristabilirai il regno a Israele?” Egli rispose loro: “Non spetta a voi di sapere i tempi o i momenti che il Padre ha riservato alla propria autorità. Ma riceverete potenza quando lo Spirito Santo verrà su di voi, e mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra” (Atti 1:6-8).
Ecco che Gesù ci dice che non sappiamo quando si manifesterà quel regno del quale già possediamo la cittadinanza, e, nel tempo che manca alla sua comparsa, ci lascia un compito: essere suoi testimoni.
Non sta a noi sapere quando Lui ritornerà, quindi ci invita a stare pronti, perché potrebbe accadere in ogni istante. Ciò significa si attendere il suo ritorno, ma anche prepararci ad incontrarlo anche prima, se per caso lasceremo questa vita prima che egli sia tornato.
2 Corinzi 5:2-10, “Perciò in questa tenda gemiamo, desiderando intensamente di essere rivestiti della nostra abitazione celeste, se pure saremo trovati vestiti e non nudi. Poiché noi che siamo in questa tenda, gemiamo, oppressi; e perciò desideriamo non già di essere spogliati, ma di essere rivestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita. Or colui che ci ha formati per questo è Dio, il quale ci ha dato la caparra dello Spirito. Siamo dunque sempre pieni di fiducia, e sappiamo che mentre abitiamo nel corpo siamo assenti dal Signore (poiché camminiamo per fede e non per visione); ma siamo pieni di fiducia e preferiamo partire dal corpo e abitare con il Signore. Per questo ci sforziamo di essergli graditi, sia che abitiamo nel corpo, sia che ne partiamo. Noi tutti infatti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male”.
In un mondo di cattive notizie è bello essere portatori di una “buona notizia” – è questo il significato della parola “evangelo”.
La gente si aggrappa a questa esistenza transitoria. Purtroppo per quanto bene si possa vivere, ammesso che ci si riesca, non durerà per sempre. E ammesso che si viva per questa vita soltanto, convinti che non ve ne sia un’altra, ci sarà sempre quel momento in cui ci si fermerà, considererà tutto e si sentirà la profonda mancanza di un senso. Perché l’essere umano senza Dio e che non mira all’eternità, è un essere senza scopo, con un vuoto dentro incolmabile. Mi spiace dover dire che chi non concorda con questo purtroppo mente a se stesso e un giorno dovrà fare i conti con questa sua menzogna.
I credenti sanno bene cosa è cambiato nelle loro vite e come oggi la prospettiva sia diversa e la loro vita adesso abbia un senso e una speranza vera.
Prima: Eravamo senza Cristo… senza speranza e senza Dio nel mondo (Efesini 2:12).
Dopo, adesso: non vediamo l’ora di andare ad abitare nel cielo e godere per sempre di persona dell’amore immenso di Dio (2 Corinzi 5:2). Nel frattempo viviamo questa vita con gioia e amore sapendo che ha uno scopo e un senso, in Dio.
Di recente ho visionato la pubblicità dello stato del Canada. Un vero e proprio invito, che promette lavoro, nuove opportunità.
Se può farlo il Canada posso farlo anche io. Consideri quindi il lettore questo libro come un invito, se non l’ha già fatto, a unirsi alla cittadinanza celeste. Gli garantisco che non se ne pentirà.
Filippesi 3:20, “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli, da dove aspettiamo anche il Salvatore, Gesù Cristo, il Signore”.