di Giuseppe Guarino
Il Nuovo Testamento preserva moltissimi vocaboli ebraici, nonostante sia stato scritto in greco. Ma non preserva il Tetragramma, il nome di Dio, in nessuna forma.
Il movimento dei Testimoni di Geova sostiene che una congiura – ordita da chi e perché non si capisce – che ha tolto il “nome di Dio” che certamente faceva parte del testo originale del Nuovo Testamento.
Si tratta di meno che una teoria. Infatti, non è spiegabile perché i copisti si siano presi la briga di conservare così tanti vocaboli ebraici fedelmente e abbiano deciso di cancellare il nome di Dio da tutti i libri del cristianesimo primitivo. Tra l’altro la chiesa non aveva nei primi secoli un’organizzazione centralizzata e i libri del Nuovo Testamento non viaggiavano come oggi tutti insieme, ma separatamente. Fu solo secoli dopo che venne fissato un canone e definito il numero dei 27 libri che oggi noi riteniamo ispirati.
C’è da aggiungere che abbiamo oltre 6000 manoscritti e frammenti di manoscritti in greco del Nuovo Testamento e non vi è alcuna traccia neanche in uno d’essi, neanche in un solo libro, del “nome di Dio”.
La versione Vulgata in latino è preservata in circa 8000 manoscritti antichi. Anche lì, nessuna traccia.
Insomma più che una teoria, quella della possibile presenza del Tetragramma negli originali del Nuovo Testamento è un sogno infranto – nato quando le evidenze ancora lasciavano spazio a supposizioni e teorie, crollato con le scoperte più recenti di manoscritti biblici e con un’analisi accurata delle evidenze a nostra disposizione.
Come sappiamo, la versione greca dei LXX aveva tradotto il Tetragramma con Signore (Kyrios in greco). “Signore” era la traduzione di “Adonai” che era la prassi leggere ad ogni occorrenza del Tetragramma, considerato troppo sacro per essere pronunciato anche durante la lettura della Scrittura.
Questa prassi di utilizzare Kyrios, Signore, viene mantenuta anche nel Nuovo Testamento.
E a proposito della presenza o meno del nome di Dio, voglio riproporre quanto ho scritto in merito alla parola greca “pantokrator” (παντοκράτωρ), cioè “onnipotente” che troviamo nel libro dell’Apocalisse.
Il contesto in cui esso viene utilizzato è solenne, in armonia con la forza di un’espressione di questo genere. Al di fuori dell’Apocalisse, il Nuovo Testamento lo riporta soltanto in 2 Corinzi 16:18.
“Io sono l’alfa e l’omega”, dice il Signore Dio, “colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente” (Apocalisse 1:8).
Giovanni prese in prestito la parola “pantokrator” dai brani dell’Antico Testamento dove i LXX avevano reso così l’espressione ebraica che le nostre Bibbie traducono in italiano “SIGNORE degli Eserciti” ovvero “Eterno degli Eserciti”.
In Nahum 2:13, ad esempio, la LXX riportava Kyrios Pantokrator (κύριος παντοκράτωρ), letteralmente: “Signore Onnipotente”.
Perché questa scelta da parte dei traduttori in greco dell’Antico Testamento?
Pantokrator “(che pure è stato usato per tradurre Sebaoth anche nei libri più antichi) interpreta l’espressione nel significato più universale: non nel significato originario di <<Dio degli eserciti (di Israele)>>, che dà al suo popolo la vittoria sui nemici, bensì nel senso di <<Dio dominatore di tutte le potenze terrestri e celesti.>> […] l’evoluzione di significato dell’espressione ebraica Sebaoth ha la sua continuazione nella parola greca, che fu scelta per tradurlo (o addirittura coniata a questo scopo)…” Orsolina Montevecchi, Bibbia e papiri, Luce dai papiri sulla Bibbia greca, pag. 39..
Le affermazioni di questa studiosa gettano luce sul fenomeno della cultura religiosa ebraica che si spinge al di fuori dei suoi confini, per divenire la cultura propria di chiunque voglia avvicinarsi alla fede del Dio unico ebraico.
In questo contesto non sarà inopportuno notare un ulteriore dettaglio nelle parole dell’Apocalisse: quando Giovanni si riferì a Dio come Colui “che è, che era e che viene”, esprimeva una valenza che mostra l’evoluzione universalistica di un termine ebraico, simile a quella che ha portato alla nascita ed uso di “pantokrator”.
L’apostolo Giovanni conosceva il Tetragramma, YHVH (in ebraico יהוה), il Nome di Dio rivelato a Mosè nell’Antico Testamento, ma anziché proporlo nell’originale, in Apocalisse preferisce trasmetterne il significato al lettore di lingua greca.
Le quattro consonanti ebraiche vengono vocalizzate nel testo Masoretico, ed aggiungendo semplicemente le vocali alla sequenza delle consonanti, avremo nel nostro alfabeto YeHoVaH.
In proposito Asher Intrater, ebreo messianico, dice qualcosa che può spiegare il perché delle parole dell’apostolo Giovanni: “Aggiungendo le vocali “e”, “o”, “a” alle consonanti YHVH, si ottiene il nome YeHoVaH. In questa struttura verbale, la “e” (sh’va) indica il tempo versale futuro, la “o” (holom) il presente e la “a” (patach) il passato, dando al nome YeHoVaH il significato di “Egli sarà, Egli è, Egli era”: in altre parole, l’Eterno” Asher Intrater, “Chi ha pranzato con Abrahamo?”, Edizioni Perciballi, novembre 2012, p.162.
Potremmo quindi ipotizzare che Giovanni stesse letteralmente traducendo ed universalizzando l’espressione ebraica Adonai Sebaot tradotta di solito nell’Antico Testamento “Signore degli Eserciti” quando scrive:
ὁ ὢν καὶ ὁ ἦν καὶ ὁ ἐρχόμενος, יהוה (Adonai)
ὁ παντοκράτωρ צבאות (Sabaot)
Il nome di Dio quindi si trova nel Nuovo Testamento.
Lo si trova interpretato nella sua universalità e nella sua manifestazione storica, Gesù, l’Emmanuel, il Dio con noi.
Con l’ebraico che cede il posto al greco, c’è un’altra lezione molto importante da imparare: non è santo in sé e per sé il suo Nome – le consonati o il suono che si emettono per pronunciarlo – ma è Santo il Dio che quel nome indica e descrive, che lo chiamiamo יהוה o Kyrios, Signore, Dio, Padre o in un altro dei nomi che la Scrittura gli attribuisce, la risposta verrà da Lui al cuore che grida a Lui sincero.
“… se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato” (Romani 10:9).
Questo articolo è tratto dal mio corso introduttivo al greco biblico.
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