Il buon samaritano

IL BUON SAMARITANO di Giuseppe Guarino

Il buon samaritano

L’amore è uno degli argomenti più discussi dell’intera storia dell’umanità. Sembra essere importante per ogni categoria di esseri umani, ricchi, poveri, filosofi e banchieri. E, nonostante se ne discuta da millenni, non sembra che si sia esaurita la voglia di parlarne. Anche la Bibbia ne parla e lo fa con un’affermazione lapidaria: “Dio è amore”. A suo tempo valuteremo la grandezza di una tale verità.

Come accade per altre tematiche, Gesù dice la sua ed è interessante – ed istruttivo, senz’altro – cercare di afferrare il senso delle sue parole, quello più evidente e, se vi riusciamo, quello più profondo. Spesso ci aspettiamo che Dio si mostri a noi, ci spieghi, si manifesti, in un qualche modo. A volte vorremmo avere delle risposte concrete a domande concrete. Questo è proprio quanto accade nell’incontro fra Gesù ed un religioso in cerca di risposte che finirà per rivelarsi una “lezione d’amore”.

Luca 10 dal verso 25 al 37:

25Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?». 26Gesù gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?». 27Costui rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente e il prossimo tuo come te stesso». 28E Gesù: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai». 29Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?». 

I dottori della legge mosaica erano persone erudite. Da una parte un po’ vittime dell’orgoglio che era motivato dalla loro posizione sociale e dalla loro cultura, ma dall’altra anche studiosi autentici della Parola di Dio. Il protagonista chiama Gesù, Maestro. Egli ne riconosce l’autorità, sebbene non avesse compreso di essere davanti ad un maestro, ma al Maestro, l’autore stesso delle Legge mosaica. La domanda che fa è pertinente ed in armonia con la logica ebraica – ed anche comune – del fare per avere. Nella domanda che pone l’uomo qualcosa non funziona, e Gesù lo evidenzia subito, domandando a sua volta all’uomo cosa dice la Legge, le Scritture che egli ritiene autorevoli e Parola di Dio, in proposito. Il dottore risponde bene e Gesù si limita a commentare: «Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai».

Qualcosa non va però nel cuore dell’uomo. La mente magari sa, ma il cuore è distratto, e la coscienza viene risvegliata dalla semplice risposta del Signore.

Poi, però, come per cercare una scappatoia ad una coscienza non proprio netta, il dottore chiede ancora: “chi è il mio prossimo?

Con quella semplice domanda si butta la zappa sui piedi, come si dice dalle mie parti. Si scava la fossa con le sue stesse mani, si dice altrove.

Gesù infatti insegnerà a quell’uomo in maniera inequivocabile sia chi è lui veramente sia chi è il suo prossimo.

30Gesù rispose: “Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. 32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. 33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione. 34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui. 35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all’albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno. 

La via che collegava Gerusalemme a Gerico era piuttosto trafficata.

Un uomo la percorreva, andando a Gerico quando dei briganti lo assalirono, lasciandolo in fin di vita.

Chi passa da lì? Proprio un sacerdote, una figura importantissima del clero giudaico. Ma che fa? Passa dall’altra parte della strada e magari accelera il passo impaurito: è in missione per conto di Dio e non può essere distratto. Passa allora un levita, altra figura importante nel servizio del tempio. Ma anche lui doveva sentirsi troppo preso dalle cose di Dio per fermarsi a dare una mano all’uomo che giaceva a terra sanguinante.

Che ci facevano su quella strada proprio un sacerdote ed un levita? Sembra che a Gerico vi fosse un archivio di scritti curato proprio dal clero giudaico e ciò motivava il loro frequente transitare per quella strada. Simone Paganini parla di Gerico come di una “città dominata dalla classe sacerdotale e dotata di una propria biblioteca”, Gesù, Qumran e gli esseni, p.79

Il tono volutamente “polemico” di Gesù, sull’insensibilità evidente di chi serve Dio ma dimentica il prossimo non deve essere stato molto piacevole per un uomo “collega” di sacerdoti e leviti, appartenente fondamentalmente alla loro stessa categoria.

Ma Gesù non si limita a questo, rincara la dose.

“Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n’ebbe compassione”.

Chi erano i samaritani?

Moltissimi anni prima, quasi un millennio prima della nascita di Gesù, il grande regno creato da Davide e mantenuto da Salomone, alla morte di quest’ultimo venne diviso in due regni, per conflittualità legate alla successione al trono. Al nord nacque il regno di Israele, con capitale Samaria e a sud il regno di Giuda, con capitale Gerusalemme. Nel 722 a.C. gli assiri distrussero il regno di Israele, ne deportarono il popolo in massa e colonizzarono il territorio, come era loro costume fare. Il popolo che nacque da questo mescolarsi di israeliti ed assiri fu proprio quello dei samaritani. Questi ultimi venivano guardati con sufficienza, se non addirittura con disprezzo dai giudei del sud – lì erano i settentrionali oggetto di intolleranza!

Ma davanti a Dio gli uomini sono tutti uguali. Dio non ha riguardo alla qualità delle persone (Atti 10:34): estrazione sociale, colore della pelle, nazionalità… Per Lui siamo tutti ugualmente degni di attenzione e di cura. Gesù stesso meravigliò la donna samaritana rivolgendole la parola (Giovanni 4).

Un altro schiaffo all’orgoglio del dottore della legge. Non solo i suoi “colleghi” avevano fatto la cosa sbagliata, ma era stato giusto un samaritano, uno considerato come la parte più spregevole della società in cui viveva, ad aver fatto la cosa giusta.

Gesù gli aveva dato tanto di riflettere con le sue parole. L’aveva fatta con una storia verosimile e, mi si permetta di dirlo, forse raccontando una storia vera – perché qui il testo non sembra introdurre apertamente una parabola.                                  

36Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?». 37Quegli rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso».

Qui la parola prossimo appare nella sua intercambiabilità. Cioè, se è vero che l’uomo a terra era il prossimo di chi passava da lì, era anche vero che chi passava era a sua volta il prossimo dell’uomo ferito. Anche questo potrebbe avere rilevanza; il messaggio sembra essere: “oggi è lui a terra sanguinante, domani potresti esserci tu in quella situazione”. Ed è anche questa la lezione dell’amore per il prossimo, la solidarietà reciproca di cui TUTTI, nessuno escluso, abbiamo, in qualche momento della nostra vita, bisogno disperato. Dovremmo tutti essere pronti ad aiutare tutti per essere certi che qualcuno aiuti noi se e quando servirà. Utopistico come concetto. Per questo è un “comandamento” di Dio, qualcosa che ci viene imposto da chi ha una prospettiva perfetta e sa ciò che è bene per noi e per l’umanità in genere.

Il sermone sulla montagna dei primi capitoli di Matteo è anch’esso piuttosto utopistico. Ma se tutti vivessimo le parole di Gesù la terra sarebbe un paradiso! I comandamenti di Dio sono tutti buoni, siamo noi esseri umani ad essere malvagi!

In questo caso specifico, ed in tutti i casi in cui l’uomo trascura il semplice ma fondamentale comandamento di amare il prossimo, il nostro egoismo, ben motivato, razionale, spiegabile in maniera sofisticata e filosofica, trionfa sul bene comune, dell’altro, facendo di noi un essere peggiore e rendendo chi ci circonda a loro volta peggiori: la diffusione dell’indifferenza, parola che ad alcune latitudini è sinonimo di odio, ci rende carnefici oggi, ma ci prepara molto probabilmente ad essere vittime domani.

Gesù risponde di nuovo alla domanda del dottore della Legge con un’altra domanda. Lo fa perché quel uomo ha già tutte le risposte e forse, proprio come quel sacerdote e quel levita, (come noi, come me che scrivo e come te che leggi?) ha solo bisogno di affrontare la realtà e mettere da parte le scuse – che non convincono del resto neppure se stesso, da qui il senso di colpa ed il bisogno di giustificarsi.

Il cuore del samaritano non era indurito come quello degli altri che avevano transitato per quella via. Egli “ebbe compassione”. L’azione è preceduta dalla disponibilità di cuore. La nostra generazione come mai forse prima, ha il cuore indurito, non prova compassione. La realtà dei nostri giorni sembra ci stia anestetizzando, ci stia immunizzando dall’amore – quello vero – e siamo incapaci di provare l’amore disinteressato per l’altro che il comandamento di Dio ci invita invece a mettere in atto: AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO. Non fargli quello che non vorresti che lui facesse a te e fai a lui quello che vorresti che lui facesse a te. Gesù stesso ne parla apertamente in questi termini nei vangeli, no?

Il comandamento biblico dice: “ama”.

Ma come si può imporre l’amore o l’azione di amare?

La lingua ebraica nella quale viene originariamente coniato il comandamento è una lingua “d’azione”, dove i verbi la fanno da padrone. Allora il comandamento di Dio è azione. “Ama” significa “compi azioni d’amore”. La riflessione filosofica viene dopo, non riguarda il comandamento. Questo lo approfondirò negli articoli che verranno.

Oggi si sottovaluta l’importanza di mandare le cose a memoria. Eppure le cose importanti vanno mandate a memoria. Passerà tempo, ma le digeriremo, le capiremo, e dopo averle ripetute tante volte, forse finiremo per ripeterle con consapevolezza. Per alcune cose, imparare a memoria e ripetere a memoria è un: imparare e ripetere finché non si capisce il senso di ciò che si è imparato.

Ripeto a me stesso da anni: Ama il prossimo tuo come te stesso. Più lo ripeto, più lo capisco. E più capiamo questa espressione, più capiamo l’Amore vero.