I due traditori: gli apostoli Giuda e Pietro

I due traditori: gli apostoli Giuda e Pietro

di Giuseppe Guarino

Durante gli ultimi giorni di vita di Gesù accaddero molte cose. In particolare, due persone a lui molto vicine, due dei suoi stessi prescelti, gli voltarono le spalle, lo tradirono.

“Quando fu sera, si mise a tavola con i dodici discepoli. Mentre mangiavano, disse: “In verità vi dico: Uno di voi mi tradirà”. Ed essi, profondamente rattristati, cominciarono a dirgli uno dopo l’altro: “Sono forse io, Signore?” Ma egli rispose: “Colui che ha messo con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. ” (Matteo 26:20-23)

La cosa più triste qui è che Gesù parli apertamente di ciò che sarebbe accaduto da lì a breve e che Giuda, il quale aveva già preso accordi con il clero giudaico (vedi Matteo 26:14-16) non solo non viene toccato dalle parole del Signore, ma ne è addirittura quasi irritato. Il traditore si sarebbe reso conto di ciò che aveva fatto soltanto dopo. Ma era troppo tardi. La disperazione si impossessa di lui e, prima cerca di liberarsi del danaro ricevuto in cambio del tradimento del suo maestro, e poi si toglie la vita.

Anche lui come gli altri aveva seguito Gesù. Era appartenuto alla cerchia più intima di chi lo seguiva, era stato un apostolo. Eppure la sua avidità e la sua cecità avevano avuto la meglio su di lui, portandolo alla distruzione.

Purtroppo Giuda Iscariota è uno dei personaggi più negativi che troviamo nella Scrittura. E, in merito a ciò, è doveroso aprire una parentesi. Il cosiddetto “Vangelo di Giuda” è uno scritto gnostico risalente al II secolo d.C. È opera di una setta chiamata dei “cainaniti”, i quali, con una serie di complicati, ma fondamentalmente insensati ragionamenti pseudofilosofici, rileggevano il ruolo dei malvagi. In particolare, fanno di Giuda quasi un eroe, il più illuminato dei discepoli di Gesù. La Chiesa del II secolo relegò tali assurdità – che nemmeno il nome di eresie meritano – all’unico luogo dove meritano di stare: nel dimenticatoio. Il clima secco dell’Egitto ha permesso ad una copia di uno scritto propagandistico di questa setta di sopravvivere fino ai giorni nostri e, con grande intelligenza commerciale, a chi ha visto possibilità di guadagno, di pubblicarlo sotto il nome di “vangelo di Giuda”. Si tratta ovviamente di un ritrovamento dall’immenso valore storico – vista l’età del reperto. Ma dal punto di vista dei contenuti, non ha più valore di un opuscoletto della chiesa di Scientology dei nostri giorni. Nel II secolo, nella sua monumentale opera “contro le eresie”, Ireneo, vescovo di Lione, condanna apertamente questa setta ed i suoi scritti propagandistici. Ireneo era stato discepolo di Policarpo, a sua volta istruito da Giovanni, l’apostolo autore del quarto Vangelo, ed è comprensibile quindi quanto sia attendibile la sua testimonianza circa l’autentica dottrina della Chiesa. Chiusa parentesi.

Matteo ci parla anche di un altro traditore. Un altro individuo che tradì Gesù in maniera aperta e vergognosa.

Pietro, rispondendo, gli disse: “Quand’anche tu fossi per tutti un’occasione di caduta, non lo sarai mai per me”. Gesù gli disse: “In verità ti dico che questa stessa notte, prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte.” (Matteo 26:33-34)

Da lì a poco Gesù venne arrestato, grazie all’intervento decisivo di Giuda che condusse le autorità nel luogo in cui si trovava il loro maestro. Pietro da lontano lo seguì, per vedere cosa gli sarebbe accaduto.

Pietro, intanto, stava seduto fuori nel cortile e una serva gli si avvicinò, dicendo: “Anche tu eri con Gesù il Galileo”. Ma egli lo negò davanti a tutti, dicendo: “Non so che cosa dici”. Come fu uscito nell’atrio, un’altra lo vide e disse a coloro che erano là: “Anche costui era con Gesù Nazareno”.  Ed egli negò di nuovo giurando: “Non conosco quell’uomo”. Di lì a poco, coloro che erano presenti si avvicinarono e dissero a Pietro: “Certo anche tu sei di quelli, perché anche il tuo parlare ti fa riconoscere”. Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: “Non conosco quell’uomo!” In quell’istante il gallo cantò. Pietro si ricordò delle parole di Gesù che gli aveva dette: “Prima che il gallo canti, tu mi rinnegherai tre volte”. E, andato fuori, pianse amaramente.” (Matteo 26:69-75)

Questi due uomini si ritrovarono soli con il dolore per la propria condotta. Spesso purtroppo ci si rende conto del male che si è fatto soltanto dopo, come se una droga avesse annebbiato la propria mente e, svanendo i suoi effetti, si tornasse lucidi e si comprendesse realmente la gravità di ciò che si è fatto.

Ciò accade ad ogni uomo, prima o poi nella propria vita. E sono due le possibili scelte che gli si prospettano.

Allora Giuda, che l’aveva tradito, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì, e riportò i trenta sicli d’argento ai capi dei sacerdoti e agli anziani, dicendo: “Ho peccato, consegnandovi sangue innocente”. Ma essi dissero: “Che c’importa? Pensaci tu”. Ed egli, buttati i sicli nel tempio, si allontanò e andò a impiccarsi.”  (Matteo 27:3-5)

Giuda fece una scelta stupida ed inutile. Avrebbe dovuto aver fede, aspettare. Forse se invece di agire tanto frettolosamente fosse rimasto e andato ai piedi della croce a chiedere perdono avrebbe sentito le parole del suo maestro: “Gesù diceva: “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno“. (Luca 23:34) Avrebbe capito che anche lui era fra coloro che non sapeva ciò che faceva ed avrebbe avuto una seconda possibilità. Ma gli mancò la fede, volle fare da sé: essere suo stesso giudice e carnefice, quando invece il giudizio ultimo delle nostre azioni, anche di quelle nostre, proprie, è comunque sempre di Dio.

Pietro pianse, dice la Scrittura, “pianse amaramente”. E attese, dopo il suo pianto, il perdono e la risposta del Suo Signore. Che magari non arrivò subito, ma arrivò. Come arrivò il dialogo fra Pietro e Gesù riportato alla fine del Vangelo di Giovanni, che si conclude con un semplice invito di Gesù a Pietro: “seguimi”.

Pietro predicò per primo l’evangelo nel giorno della Pentecoste. Ebbe un ruolo fondamentale nella Chiesa primitiva e le sue due epistole ci mostrano la maturità che raggiunse, proprio grazie alle  difficili esperienze che aveva attraversato a causa della sua fragilità ed irruenza.

La differenza nella vita non è ciò che facciamo. Nessuno di noi è perfetto e più inseguiamo la perfezione, più a volte ci troviamo impantanati nei nostri errori e nelle nostre debolezze.

La verità è che ciò che può fare la differenza in un uomo, ciò che può aprire la porta del cielo e da peccatori sconfitti può fare di noi cristiani vincitori, è un pianto, un ravvedimento sincero ed il desiderio di seguire Gesù. E la scelta è soltanto nostra.