Commentario all’epistola dell’apostolo Giacomo

Commentario all’epistola dell’apostolo Giacomo

di Giuseppe Guarino

Leggendo l’epistola di Giacomo sulla mia versione preferita, la King James Version inglese, sono stato colpito dalla profondità di questo scritto, di solito noto per l’apparente contraddittorietà con gli scritti di Paolo dove viene esaltata la fede. Spero di comunicare al lettore le benedizioni che ho ricevuto e dargli un pretesto per rileggere questa meravigliosa porzione della Parola di Dio.

Introduzione

Si ritiene, a mio avviso correttamente, che l’epistola di Giacomo sia fra gli scritti più antichi del Nuovo Testamento.

Giacomo è l’apostolo citato nei Vangeli fra gli Apostoli del Signore e più volte tirato in causa nel libro degli Atti in relazione alla vita della chiesa di Gerusalemme (Atti 15). E’ lui citato da Paolo come colonna della Chiesa, insieme a Pietro e Giovanni, in Galati 2:9. E’ lui che Paolo incontra prima del suo arresto e viaggio verso Roma, Atti 21:18.

Inutile approfondire più di tanto sulla sua persona, visto che lui stesso non lo fa, presentandosi semplicemente come “servo di Dio e del Signore Gesù Cristo”, Giacomo 1:1. Utilissimo invece approfondire i contenuti di ciò che lo Spirito Santo lo ha guidato mettere per iscritto. Perché la più grande aspirazione di chi scrive delle cose di Dio, anche la mia, è far si che chi scrive scompaia, che il Signore soltanto sia creduto ed esaltato e il popolo di Dio benedetto.

Capitolo 1

1:1 Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù che sono disperse nel mondo: salute.

Giacomo è il primo vescovo e capo della chiesa di Gerusalemme, fratello del Signore.
La sua epistola ha tutte le tracce interne di una antichità che fa precedere il periodo della nascita della diffusione della fede cristiana fra i gentili, i non ebrei. Egli scrive chiaramente agli ebrei della dispersione, gli ebrei convertiti a Cristo che vivono al di fuori dei confini dello stato di Israele e comunque fuori dalla comunità cristiana di Gerusalemme.

2 Considerate una grande gioia, fratelli miei, quando vi trovate di fronte a prove di vario genere,
3 sapendo che la prova della vostra fede produce costanza.
4 E la costanza compia in voi un’opera perfetta, affinché siate perfetti e completi, in nulla mancanti.

La prova è un momento difficile della vita del cristiano. Nei momenti in cui essa si presenta, si corre il rischio di sentirsi disorientati. La Parola di Dio ce ne spiega il senso e ci permette di affrontarla con un atteggiamento diverso da quello di chi non ha la fede. La prova diventa un momento di crescita, di maggiore consapevolezza ed addirittura una opportunità.

– La PROVA produce

COSTANZA e la costanza porta alla

PERFEZIONE, ad uno stato in cui non vi è altro da aggiungere alla nostra maturità di credenti.

5 Ma se qualcuno di voi manca di sapienza, la chieda a Dio che dona a tutti liberamente senza rimproverare, e gli sarà data.6 Ma la chieda con fede senza dubitare, perché chi dubita è simile all’onda del mare, agitata dal vento e spinta qua e là. 7 Non pensi infatti un tal uomo di ricevere qualcosa dal Signore, 8 perché è un uomo dal cuore doppio instabile in tutte le sue vie.

A volte non è facile capire il senso della sofferenza, anche per un credente. Ciò richiede sapienza, un discernimento spirituale che durante la prova ci dia la forza di comprendere, di vedere oltre e trovare la forza per affrontarla, nella certezza che ciò ci farà, anche se dolorosamente, crescere come cristiani.

La fede è essenziale nell’avvicinarci a Dio con le nostre richieste. Se dubitiamo non riceveremo. È tanto semplice apparentemente quanto praticamente difficile. Per questo, come gli apostoli, preghiamo: Signore, aumentaci la fede. Anche la fede viene da Dio ed a Lui dobbiamo ricorrere per averla e mantenerla. Lo stesso Giacomo dirà che “ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall’alto

9 Or il fratello di umili condizioni si glori della sua elevazione, 10 e il ricco del suo abbassamento, perché passerà come un fiore di erba. 11 Infatti, come si leva il sole col suo calore ardente e fa seccare l’erba, e il suo fiore cade e la bellezza del suo aspetto perisce, così anche il ricco appassirà nelle sue imprese.

La differenza di condizione sociale oggi, nelle nostre società occidentali, non è particolarmente sentita, non è così marcata come nelle società di altri tempi o di altre zone del pianeta. Un livellamento sociale ha visto – grazie a Dio – la scomparsa dell’apartheid in Sud Africa, o, in anni ancora più remoti, l’abolizione della schiavitù in America. Ma per alcuni popoli le problematiche di classe sono ancora una realtà, come in India ad esempio. Leggendo un libro scritto da una mia amica circa un suo viaggio in India, ho scoperto che ancora oggi, le differenze di classe, nonostante i tentativi di eradicarle, esistono ancora.
Ebbene, qui Giacomo lo dice apertamente: non ti sentire speciale se sei ricco, abbi comunque consapevolezza che, in quanto essere umano, la tua condizione è transitoria. E poi aggiunge per il povero, di non sentirsi schiacciato dalla sua condizione ma di sentire il suo essere importante nell’elevazione che si ha dalla condizione di credente, di figlio di Dio. Sembra strano ma a volte un basso ceto sociale può produrre un sentimento di abbassamento tale da far perdere la dignità personale, l’autostima all’individuo, al punto da sentirsi in qualche modo adeguatamente in uno stato di inferiorità. Ciò non può riguardare il credente. Dio ci eleva ad uno stato di dignità eguale al ricco, ed umilia il ricco portandolo allo stato di uguaglianza davanti a Dio del povero. Siamo davanti alla Parola di Dio che dichiara apertamente l’uguaglianza sociale per ogni uomo, un ideale che verrà ripreso e rielaborato in chiave sociale nelle migliori dichiarazione dei diritti umani, come ad esempio la Costituzione degli Stati Uniti d’America, non a caso scritta da uomini che ben conoscevano la Parola di Dio.

12 Beato l’uomo che persevera nella prova, perché, uscendone approvato, riceverà la corona della vita, che il Signore ha promesso a coloro che l’amano.

Fatte queste premesse e cioè che:

– la prova affina la nostra fede

– che Dio ci dona la sapienza per capire il senso della prova e quindi affrontarla con consapevolezza

– che nella prova siamo tutti uguali

Stabilito questo, l’apostolo conclude: Beato chi persevera nella prova.

Non siamo beati perché affrontiamo la prova, ma se perseveriamo nella prova.

La prova è permessa da Dio. La possiamo considerare un esame per avanzare di grado nell’economia del regno di Dio. In qualsiasi lavoro per aumentare di grado è necessario sostenere degli esami, essere pronti ed affrontarli con successo. Lo stesso nella vita del cristiano: non possiamo sperare di crescere, di ricevere da Dio incarichi e responsabilità maggiori se non abbiamo dimostrato la nostra fedeltà.

13 Nessuno, quando è tentato dica: “Io sono tentato da Dio”, perché Dio non può essere tentato dal male, ed egli stesso non tenta nessuno. 14 Ciascuno invece è tentato quando è trascinato e adescato dalla propria concupiscenza. 15 Poi quando la concupiscenza ha concepito, partorisce il peccato e il peccato, quando è consumato, genera la morte.

Non confondiamo la prova con la tentazione. La tentazione viene dalla nostra natura carnale sottoposta al peccato. In questo caso la lotta viene dalla nostra natura carnale. L’apostolo Paolo lo ricorda nella sua epistola ai Romani.

L’apostolo Giovanni ricorda ai credenti che se sbagliano abbiamo un avvocato presso il Padre, il quale intercede per noi, Gesù che ha pagato ed espiato la pena che era nostra.

Allo stesso tempo, Giovanni ci spiega che non possiamo perseverare nel peccato, peccare volontariamente, scientemente e continuamente.

Il cristiano pecca, cade, ma un conto e’ un errore, tutt’altra cosa e’ il peccato come scelta.

Nell’attribuire a Dio la tentazione, l’uomo e’ come se riconoscesse una certa fatalita’ e dignita’ ed una giustificazione al proprio peccato, discolpandosi. Giacomo ci dice che non e’ questo l’atteggiamento che noi credenti dobbiamo avere. La tentazione e’ propria della condizione umana e dobbiamo stare attenti.

– la concupiscenza

partorisce

– il peccato

quando e’ consumato genera

– la morte

La Parola di Dio e’ così in armonia all’interno delle sue parti che, negli anni dei miei studi, ho imparato che il miglior commentario alla Bibbia e’ la Bibbia stessa. Se non vogliamo fraintendere cosa dice Giacomo facciamo bene attenzione a ciò che dice Paolo e Giovanni e gli altri brani della Scrittura e tutto ci apparirà in una immagine sempre più nitida della rivelazione di Dio.

16 Non lasciatevi ingannare, fratelli miei carissimi; 17 ogni buona donazione e ogni dono perfetto vengono dall’alto e discendono dal Padre dei lumi, presso il quale non vi è mutamento né ombra di rivolgimento.

Non facciamoci ingannare: il problema non è Dio, ma il cuore dell’uomo. Ogni cosa buona viene da Dio, ma noi uomini abbiamo pervertito ogni cosa ed il disegno perfetto di Dio, come umanità ed anche singolarmente, ognuno di noi, con le nostre azioni.

Molta gente preferisce dare a Dio la colpa per i mali dell’umanità, non percependo la semplice verità che è proprio il contrario: è l’assenza di Dio il problema! Togliendo Dio dall’equazione dell’esistenza non riusciamo a trovare un senso a nulla e tutto va a rotoli. Se questo non è un dato di fatto per molti, è perché ci si ostina ad essere spiritualmente ciechi e sordi, ci si accontenta di essere ciechi e sordi, ma non si vuole vedere e tendere l’orecchio per capire che Dio esiste e che parla. Parla nella Sua Parola, parla nella croce di Cristo, parla nei cuori di ognuno!

18 Egli ci ha generati di sua volontà mediante la parola di verità, affinché siamo in certo modo le primizie delle sue creature.

Se l’uomo da sé non riesce a percepire tutte queste verità, invece l’uomo spirituale, nato di nuovo per mezzo dello Spirito Santo, l’uomo che ha ascoltato e creduto la Parola della Verità, l’evangelo della nostra salvezza, le conosce bene.

La vecchia Diodati usa un’espressione forte per l’uomo non rinnovato dalla presenza di Dio nella sua vita, definendolo “uomo animale”. In realtà si tratta di una descrizione non priva di valore. L’uomo stesso oggi si crede soltanto un animale diverso dagli altri che popolano il nostro pianeta per il suo livello di intelligenza. E tale e’, e pure meno, se non recupera quella scintilla di divino che e’ in lui e che veramente lo rende “immagine” di Dio.

L’uomo che recupera la sua originaria dignità vissuta nell’Eden, all’alba della creazione, ha bisogno che la verità dell’evangelo gli apra gli occhi e che lo Spirito Santo vivifichi il suo spirito, che può metterlo in contatto con il divino.

Ecco che l’uomo “animale” diviene uomo “spirituale”.

In questo senso siamo “primizie” delle sue creature, perché recuperando la comunione con il nostro creatore da una parte recuperiamo l’intento di Dio per l’uomo quando lo ha creato, e dall’altra, e forse soprattutto, rappresentiamo l’annuncio di ciò che Dio completerà un giorno, al ritorno del suo Figlio Gesù Cristo.

19 Perciò, fratelli miei carissimi, sia ogni uomo pronto ad ascoltare, lento a parlare e lento all’ira,

Io credo che sia essenziale credere che la Bibbia e’ la Parola di Dio per avere il desiderio di continuare a leggerla e studiarla. Io sono uno che parla troppo in fretta, ascolto troppo poco e, ciliegina sulla torta, mi irrito con molta facilità. Riconosco alla Parola la Sua autorità divina e piuttosto che chiuderla e passare oltre, cerco di farne tesoro. E mi dico: Giuseppe, cerca di parlare meno, ascoltare di piu’ e di stare calmo. Se lo faccio, come già altre volte nella vita ho potuto constatare, l’utile sarà solo mio.

Alcuni alzano gli occhi al cielo e dicono: lo vedi Signore quanto sono bravo, ho fatto questo o quello!

Perdonatemi se mi permetto, ma questo non e’ l’atteggiamento giusto. Dio non mi dice di ascoltare molto, parlare poco perche’ così poi mi da la caramellina perche’ ho fatto il bravo bimbo. L’utile e’ mio. Se ascolto bene la voce di Dio che mi dice: mangia tutto quello che vuoi, ma proprio quell’albero – fatti il favore! – lascialo perdere, l’utile e’ mio. Non aggiungo e non tolgo nulla a Dio.

Qualcosa accade anche a livello spirituale, ovviamente. Perche’ se ascolto la voce di Dio e credo che non per sadismo ma per Amore vuole dirigere il mio cammino, allora significa che in me e’ accesa la scintilla della fede. E se vi e’ fede in me e fiducia in Lui allora quel legame rotto per via della ribellione si sta ricucendo, il mio cuore e’ aperto alla Sua presenza. E se il cuore si apre a Lui si chiude al resto e lo Spirito Santo, Dio stesso in noi, regna e ci guida ben oltre l’esteriore obbedienza a questo o quel precetto e non avremo piu’ bisogno persino che qualcuno ci insegni cosa e’ giusto o sbagliato, perche’ la Legge di Dio sarà impressa nei nostri cuori ed i nostri desideri diventeranno desiderare ciò che Dio desidera. E’ questa l’unione intima che Gesu’ aveva con il Padre e che con lo Spirito il nostro spirito può gustare.

20 perché l’ira dell’uomo non promuove la giustizia di Dio.

Vedi Giuseppe, quando ti incavoli dopo tre minuti non vai da nessuna parte, anzi, vai proprio dalla parte sbagliata. Perche’ la tua ira vuole farsi giustizia da se e se ti fai giustizia da te, promuovi la giustizia di Giuseppe, e non quella di Dio. Voi non avete idea di quanto questa porzione della Parola di Dio io abbia bisogno di farla mia, capirla, digerirla e viverla. Perche’ non basta la teoria nella fede cristiana. Teologi e conoscitori della Parola di Dio se ne trovano in quantità, ma facitori… Dio abbia pietà di noi! E soprattutto di noi intellettuali della Parola, noi che la studiamo. Ci aiuti il Signore a non gonfiarci della nostra conoscenza e dimenticare la quotidianità.

21 Perciò, deposta a ogni lordura e residuo di malizia, ricevete con mansuetudine la parola piantata in voi, la quale può salvare le anime vostre.

Qui la parola “perciò” ci fa capire che si sta per tirare le somme di quanto detto fino ad ora, per arrivare alle conclusioni cui ci conducono le premesse fatte fin qui.

E’ come dire: alla luce di quanto abbiamo detto fino ad ora, cominciamo tutto daccapo, lasciamoci il passato e la vecchia vita dietro e accettiamo la Parola di Dio, l’evangelo della nostra salvezza.

Questo verso ha una forza espressiva incredibile. “La parola piantata in voi” traduce un termine greco che compare qui per l’unica volta in tutto il Nuovo Testamento. Ciò ne rende difficile la traduzione certa – tradurre non e’ un compito facile! Eppure, grazie al contesto, ai brani paralleli che troviamo altrove nella Parola di Dio, credo che il significato dell’espressione di Giacomo sia chiaro.

Leggendo l’Esodo scopriamo che Dio incide su tavole di pietra la sua Legge. Probabilmente pensiamo: allora non avevano carta, non vi era altro materiale di scrittura. Non e’ proprio così.

Il papiro in Egitto veniva utilizzato quasi mille anni prima di Mose’. I piu’ antichi esemplari di scrittura su papiro che sono sopravvissuti sono dei trattati di matematica e medicina risalenti a 1700-1800 anni prima di Cristo. Questi esemplari sono potuti sopravvivere grazie alle condizioni climatiche dell’Egitto, caldo e secco. Infatti la maggior parte dei papiri antichi degli albori del cristianesimo vengono proprio da quelle località. Sarebbe ingenuo pensare che il papiro, o supporti di scrittura simili esistessero solo in Egitto.

Le tavolette, e’ vero, erano in uso in antico oriente già dal IV millennio a.C. Ed e’ proprio grazie alla loro potenziale durata che possediamo intere biblioteche, come quella di Ebla, 2500 a.C. circa, che conserva migliaia di testi incisi su tavolette.

Anche molto dopo, fino ai tempi del faraone Akenathon del Nuovo Regno egiziano, la corrispondenza fra re veniva affidata a tavolette e non a papiri – nonostante i papiri fossero ampiamente usati.

Il codice di Ammurabi e’ una stele, e raccoglie una serie di leggi, incise sulla pietra.

Incidere sulla pietra delle parole significa dar loro il senso della loro importanza, della loro immutabilità.

Per questo anche la Legge mosaica, i dieci comandamenti, vennero incisi su pietra, erano decreti immutabili.

Nel nuovo patto la Legge di Dio e’ scritta nei nostri cuori. Non vi sono piu’ tavole di pietra sulle quali Dio la ha incisa, ma la ha scritta nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo e ciò non la rende meno immutabile e definitiva. Non piu’ tavole di pietra, ma il cuore dell’uomo.

Romani 10:8-10, “… ‘La parola è presso di te, nella tua bocca e nel tuo cuore’. Questa è la parola della fede, che noi predichiamo; poiché se confessi con la tua bocca il Signore Gesù, e credi nel tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato. Col cuore infatti si crede per ottenere giustizia e con la bocca si fa confessione, per ottenere salvezza

La parola di Dio scritta nel cuore del credente, nato di nuovo per mezzo dello Spirito Santo, e’ un segno dell’età messianica.

Geremia 31:33, “Ma questo è il patto che stabilirò con la casa d’Israele dopo quei giorni”, dice l’Eterno: “Metterò la mia legge nella loro mente e la scriverò sul loro cuore, e io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo…”

Questo brano e’ ripreso in Ebrei 8 e riferito proprio al nuovo patto in Cristo, che oggi noi credenti stringiamo con Dio per mezzo di Gesu’, sigillandolo con lo Spirito Santo della promessa.

La parola di Dio “può” salvare le nostre anime, dice Giacomo. Il “può” italiano rende solo parzialmente la forza della parola greca originale. Potremmo infatti anche tradurre “ha la potenza necessaria per salvare le anime vostre”.

La parola di Dio e’ vivente e potente. Ma. C’e’ un “ma”.

Possiamo andare dal medico. Il medico può aiutarci, dirci cosa fare per guarire. Poi invece usciamo dal suo studio e facciamo come se non ci avesse detto nulla. Un mio amico e collega, anni fa, mi rimarra’ sempre impresso, fece delle analisi di routine che allarmarono il suo medico, il quale, accoratamente gli disse di stare attento all’alimentazione perche’ il suo colesterolo era davvero troppo alto ed era esposto seriamente al rischio di un infarto. Il mio amico era un uomone alto un metro e novanta, magro, in perfetta forma fisica. Si, aveva sentito l’avvertimento del medico, ma non riusciva a vedere il pericolo pendente su di lui e continuò ad alimentarsi in maniera sbagliata. Ricordo come se fosse ieri il momento il cui entrò in ufficio con quel dolore al petto e la corsa in ospedale che ho fatto in auto con lui pregando che potessimo arrivare in ospedale in tempo, l’ansia delle ore che seguirono quando era in terapia intensiva e, grazie a Dio, il grande sollievo quando fu fuori pericolo.

Le parole del suo medico potevano risparmiargli tutto ciò. C’erano le analisi, lo studio e l’esperienza di quell’uomo a sostegno. Ma noi uomini siamo testardi e non ci rendiamo davvero conto del nostro stato se non quando siamo agli estremi.

Allo stesso modo la Parola di Dio e’ potente e può salvare chiunque crede. Ma non tutti credono e quindi non tutti vengono salvati.

Gesu’ stesso, ci raccontano i Vangeli, “non fece lì (a Nazaret) molte opere potenti, a causa della loro incredulità.” (Matteo 13:58)

Era Gesu’ a non avere la potenza per operare i miracoli? Certamente no. Ma l’incredulità dell’uomo arresta l’opera di Dio.

Spesso Gesu’ diceva: “sia fatto secondo la tua fede”. Questa espressione riguarda tristemente anche chi non crede. Per chi dice: “Dio non esiste, Dio non salva, Dio mi ha abbandonato, dov’e’ Dio?, ecc…”, anche per loro viene fatto secondo la loro fede. Mi rendo conto di dire qualcosa di forte, ma vorrei scuotere la coscienza di chi legge e non crede o peggio crede l’opposto di ciò che si deve credere per permettere a Dio di operare nelle nostre vite.

L’affermazione dell’epistola agli ebrei davvero significativa, un monito all’uomo di ogni tempo al quale e’ presentata la parola del Vangelo. “Infatti a noi come pure a loro è stata annunziata la buona novella, ma la parola della predicazione non giovò loro nulla, non essendo stata congiunta alla fede in coloro che l’avevano udita”. (Ebrei 4:2)

Molto meglio fare nostre le parole di un’altra epistola:

1 Tessalonicesi 2:13: “Anche per questo non cessiamo di render grazie a Dio perché, avendo ricevuto da noi la parola di Dio, l’avete accolta non come parola di uomini, ma come è veramente, quale parola di Dio, che opera efficacemente in voi che credete.”

Quanto e’ saggio per ogni uomo raccogliere l’invito di Gesu’ rivolto a suo tempo al suo discepolo Tommaso: “non essere incredulo, ma credente.” (Giovanni 20:27)

22 E siate facitori della parola e non uditori soltanto, ingannando voi stessi.

C’e’ un’espressione che si usa dalle mie parti e che mi sembra davvero azzeccata: le chiacchiere stanno a zero!

In questa epistola Giacomo vuole sottolineare un fatto molto importante: se crediamo veramente nella parola, mettiamola in pratica. Piu’ avanti dirà: fammi vedere la tua fede con le opere che fai.

Se la nostra fede non e’ accompagnata da un concretizzarsi nella nostra quotidianità, probabilmente ci stiamo solo prendendo in giro, non crediamo davvero, la Parola non e’ scritta nei nostri cuori e non abbiamo veramente creduto. Giacomo non sta condannando nessuno, ma ci invita ad una seria introspezione e, se siamo credenti, ci spinge a fare, fare, fare, dimostrando anche agli altri, a chi ci circonda, quale energia positiva può produrre la nostra fede.

Spesso si dice che Paolo e Giacomo siano in contrasto nei loro insegnamenti. Non concordo. Paolo infatti scrisse chiaramente la medesima cosa: “Noi infatti in Spirito, mediante la fede, aspettiamo la speranza della giustizia, 6 poiché in Cristo Gesù né la circoncisione, né l’incirconcisione hanno alcun valore, ma la fede che opera mediante l’amore.” (Galati 5:5-6)

23 Poiché, se uno è uditore della parola e non facitore, è simile a un uomo che osserva la sua faccia naturale in uno specchio; 24 egli osserva se stesso e poi se ne va, dimenticando subito com’era.

In parole povere, se non agiamo in quanto cristiani ma tali ci sentiamo per qualche motivo, siamo solo persone che alla prima distrazione scordano chi un attimo prima hanno pensato o detto di essere, ed agiamo come chiunque altro, come un non credente.

Sono parole forti. Per ognuno.

Notiamo questo in Giacomo:

  1. Si rivolge alla Chiesa, a chi già crede e fa parte del corpo visibile di Cristo. Questo ci deve far riflettere.
  2. Presenta una fede che con la pratica deve mostrare la teoria o non serve proprio a nulla,

25 Ma chi esamina attentamente la legge perfetta, che è la legge della libertà, e persevera in essa, non essendo un uditore dimentichevole ma un facitore dell’opera, costui sarà beato nel suo operare.

Che parole stupende: “legge perfetta”, “legge della libertà”. Non siamo piu’ sotto la legge mosaica (Galati 5:1, 13, 14), ma i comandamenti di Dio sono scritti nei nostri cuori (Ebrei 8) ed e’ la libertà che abbiamo, guidati dallo Spirito Santo, che ci spinge ad operare le opere di Dio (Galati 5:16, 25).

26 Se qualcuno fra voi pensa di essere religioso, ma non tiene a freno la sua lingua, certamente egli inganna il suo cuore, la religione di quel tale è vana. 27 La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puro dal mondo.

Non credo ci sia molto da capire. Piuttosto, c’e’ molto da fare a livello di introspezione, di coscienza di se stessi e di obbedienza, nel darsi da fare per mettere a frutto la fede in noi, non soffocarla, ma renderla il carburante che alimenta il nostro desiderio di aiutare il prossimo, di esserci quando c’e’ qualcosa di giusto e buono da fare!

“Servite gli uni gli altri per mezzo dell’amore”. (Galati 5:13)

 

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