Chi è il mio prossimo?

di Giuseppe Guarino

La bellissima copertina di Charlie Brown che ho scelto per questo mio studio/riflessione ci introduce ad un argomento fondamentale della condotta di ogni cristiano.

 

Chi è il mio prossimo?

Sembra una domanda persino stupida. Invece è davvero importante e da non sottovalutare. Come spesso accade la risposta è più semplice di quanto si possa immaginare. Con grande pazienza ed amore Gesù spiega, e ci spiega, con parole semplici concetti che, una volta illustrati da lui, diciamo nel nostro cuore: ma come facevo a non capirlo da me?

Dò per scontato che molte cose che dirò il credente le conosca già. Aggiungerò quindi qualche dato per approfondire il contesto nel quale Gesù insegna, così da dare qualcosa anche a chi di questa riflessione non avrebbe bisogno.

Luca 10:25-37

25 Ed ecco, un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova, dicendo: «Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?» 

I dotti della Legge erano esperti nella Torah, i primi cinque libri della Bibbia, e in generale nell’insegnamento delle Scritture ebraiche.

La domanda posta a Gesù da un uomo di tale importanza sembra persino ridicola. Il testo ci dice che il fine è “metterlo alla prova”. Forse, però, dietro l’atteggiamento pubblico, tenuto per cercare di mantenere il proprio rango, da “rabbi a rabbi”, il dottore vuole veramente conoscere il pensiero di Gesù. Gli ebrei amavano gli scambi di idee ed il dialogo. Le diverse opinioni non erano motivo di divisioni insanabili. Notate infatti come leggendo il Nuovo Testamento è evidente che Sadducei, Farisei, Scribi, ecc… tutte fazioni con idee divergenti sull’interpretazione della Rivelazione, rimanevano comunque parte integrante del giudaismo del secondo tempio. Il modo in cui pone la domanda il “dottore”, la maniera in cui la fa propria, potrebbe anche essere il frutto di una profonda crisi personale e la richiesta sincera di una risposta che risolva il dramma di un’anima in tormento. Forse quest’uomo osserva tutte le clausole della Legge, si sforza di fare la volontà di Dio, è erudito, sa di esserlo, ma in qualche modo sente che questo non basta. Magari avrà sentito parlare di “vita eterna” da Gesù e vuole chiarimenti da parte sua e lo fa nascondendosi dietro una sfida per non sembrare debole agli occhi dei suoi correligionari. Come Nicodemo si nascondeva andando da lui di notte, forse quest’uomo si nasconde dietro un atteggiamento per non perdere il prestigio della sua condizione.

26 Gesù gli disse: «Nella legge che cosa sta scritto? Come leggi?» 

Gesù è l’uomo più saggio che sia mai esistito. Gli fa a sua volta una domanda, come per dire al suo interlocutore: lo sai che devi fare o in tutta una vita di studio non hai capito nulla? E il dottore deve rispondere per non perdere la faccia.

27 Egli rispose: «Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutta la forza tua, con tutta la mente tua, e il tuo prossimo come te stesso». 

Il dottore della Legge cita appunto la Torah, i precetti dati da Dio a Mosè e da Mosè al popolo, quelli che conosce di sicuro a memoria.

Un importante appunto. Siamo abituati a considerare l’amore come un sentimento, qualcosa che proviamo. Nella Bibbia l’amore non è visto come il sentimento e basta. E’ un’azione. Amare il prossimo come noi stessi non implica di struggersi nel proprio cuore per il prossimo, ma il compiere azioni di amore verso gli altri come le compiamo quotidianamente verso noi stessi. La Bibbia non è un libro di filosofia e qui non si fa del romanticismo, ma l’insegnamento di Gesù mira al concreto, a cambiare sì dal di dentro l’uomo, ma affinché ciò si realizzi concretamente nella quotidianità dei rapporti interpersonali. Ad amare in astratto siamo bravi tutti!

28 Gesù gli disse: «Hai risposto esattamente; fa’ questo, e vivrai». 

Spesso abbiamo le risposte ai nostri quesiti sotto il nostro stesso naso, ma: o non ce ne rendiamo conto o preferiamo ignorarle.

29 Ma egli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è il mio prossimo?» 

Il dottore della Legge non ha fatto una bella figura. Ha fatto una domanda con una risposta ovvia, una risposta che lui stesso ha fornito. In qualche modo adesso prova a salvare la faccia. Ma, alla fine di questo racconto, si renderà conto che sarebbe stato molto meglio per lui se non avesse posto la prima domanda e ancora di più questa seconda.

30 Gesù rispose: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico, e s’imbatté nei briganti che lo spogliarono, lo ferirono e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. 31 Per caso un sacerdote scendeva per quella stessa strada, ma quando lo vide, passò oltre dal lato opposto. 32 Così pure un Levita, giunto in quel luogo, lo vide, ma passò oltre dal lato opposto. 

La via che collegava Gerusalemme a Gerico era piuttosto trafficata. Era un percorso importante. La classe sacerdotale che abitava a Gerico era una fazione opposta a quella gerosolomitana. Ma avevano anche loro a cuore la salvaguardia del patrimonio religioso ebraico. A questo fine i sacerdoti di Gerico e quelli del tempio crearono insieme un archivio proprio a Gerico delle Scritture e dei tesori del giudaismo per preservarli da eventuali pericoli scaturenti dalle forze di occupazione romana.

Questo spiega perché sacerdoti e leviti percorrano questa strada. Scrive Simone Paganini, dal quale ho appreso le informazioni che ho riportato sopra, nel suo “Gesù, Qumran e gli esseni”, p.79, che Gerico era una “città dominata dalla classe sacerdotale e dotata di una propria biblioteca”.

Gesù colpisce nel vivo il cuore del dottore della Legge. Non gli parla di un caso astratto, ma concreto. Secondo me il racconto di Gesù potrebbe addirittura non essere fantastico: nella sua onniscienza il Signore potrà aver riportato alla memoria un evento realmente accaduto del quale il dottore della Legge sapeva o era stato testimone oculare. Non sarebbe scritturalmente impossibile – vedi Giovanni 1:48.

Sacerdoti, Leviti, dottori della Legge, ecc… tutte persone importanti, coinvolte nel culto del tempio e nella preservazione della tradizione giudaica, dedite allo studio delle Scritture e osservanti la Legge. Nessuno si ferma a soccorrere un pover’uomo in difficoltà – e che difficoltà! Con le sue parole Gesù dà letteralmente uno schiaffo morale al dottore della Legge, quando dice:

33 Ma un Samaritano, che era in viaggio, giunse presso di lui e, vedendolo, ne ebbe pietà; 

Tutti quegli uomini religiosi, il fiore della cultura e del pensiero ebraico, coloro che dovevano illuminare Israele, avevano fallito nel primo e più importante comandamento della Legge mosaica. E chi si ferma a soccorrere l’uomo? Un samaritano.

I samaritani erano considerati dai giudei credenti di seconda categoria, non erano puri Israeliti.

Il popolo di Samaria, terra a nord di Giuda, era nato dopo la disfatta delle tribù di Israele nel 722 a.C. per mano degli Assiri. Questi, particolarmente crudeli, avevano deportato il meglio del popolo, come loro costume, e lasciato la parte più povera della gente nel territorio messo a ferro e fuoco. Questa terra era quindi divenuta oggetto di colonizzazione da parte degli stessi assiri che col tempo si mischiarono con i nativi, dando vita al popolo samaritano, mal visto dai giudei del sud.

(La piantina qui sopra è tratta da Wikipedia. Mostra i due regni di Giuda ed Israele, nati dopo la morte di Salomone. Israele cadde per mano degli assiri, appunto nel 722 a.C. Nei libri dei profeti leggiamo il perché di una così grande disfatta. Giuda a sud resistette alla furia assira, ma cadde per mano di Nabucodonosor, come leggiamo in Daniele, Geremia, ed altri libri dell’Antico Testamento, nel 586 a.C. Ma con la disfatta babilonese e l’illuminato regno del persiano Ciro, il popolo ebbe il permesso di ricostruire città e tempio di Gerusalemme. Così il regno di Giuda risorse letteralmente dalle proprie ceneri e, sebbene sottoposto ai vari grandi imperi del passato (persiano, greco e romano), riuscì a mantenere la propria integrità nazionale e religiosa. Fino al 70 d.C., anno in cui Gerusalemme ed il tempio vennero di nuovo rasi al suolo e cominciò la diaspora terminata nel 1948 con la costituzione dello stato di Israele.)

Immaginate il sentimento di quel dotto quando Gesù marchia come trasgressori della Legge le più alte cariche religiose del clero ebraico e plaudiva facitore della più importante delle Leggi bibliche un samaritano – l’ultima ruota del carro.

34 avvicinatosi, fasciò le sue piaghe versandovi sopra olio e vino, poi lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. 35 Il giorno dopo, presi due denari, li diede all’oste e gli disse: “Prenditi cura di lui; e tutto ciò che spenderai di più, te lo rimborserò al mio ritorno”. 36 Quale di questi tre ti pare essere stato il prossimo di colui che s’imbatté nei ladroni?» 37 Quegli rispose: «Colui che gli usò misericordia».

“Prossimo”, come anche “ospite”, è una parola che può usarsi in maniera reciproca. Il samaritano era quindi il prossimo dell’uomo aggredito e viceversa, l’uomo aggredito era il prossimo del samaritano. Alla luce di ciò le parole di Gesù diventano ancora più significative: c’è uguaglianza nel nostro stato di esseri umani. Gesù infatti non chiede chi fosse il prossimo del samaritano o dei rappresentanti del clero, ma di colui che si era imbattuto nei ladroni.

Gesù gli disse: «Va’, e fa’ anche tu la stessa cosa».

Noi “uomini di chiesa”, “religiosi”, noi che ci diciamo “cristiani” dobbiamo stare attenti a non trascurare di mettere in pratica l’amore per il prossimo. La nostra religiosità, il nostro sapere, la nostra reputazione, non può farci ritenere santi abbastanza, spirituali abbastanza, da mettere da parte il comandamento più importante della Parola di Dio. In generale, il nostro stato di grazia con Dio non deve farci inorgoglire, riempire di noi stessi, guardare agli altri dall’alto in basso, ma rendere più umili ed obbedienti. Se valiamo di più, o pensiamo di valere di più; se sappiamo, o pensiamo di sapere più degli altri, allora mettiamoci al servizio degli altri.

“Ma Gesú disse loro: «I re delle nazioni le signoreggiano, e coloro che esercitano autorità su di esse sono chiamati benefattori. Ma con voi non sia cosí; anzi il piú grande fra di voi sia come il minore e chi governa come colui che serve. Chi è infatti piú grande chi siede a tavola, o colui che serve? Non è forse colui che siede a tavola? Eppure io sono in mezzo a voi come colui che serve.” (Luca 22:25-27)

Il nostro testo continua così.

35 e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» 37 Gesù gli disse: «”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente“. 38 Questo è il grande e il primo comandamento. 39 Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso“. 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».  (Matteo 22:35-40)

Quando nessuno ci guarda, quando nessuno sa, quando gli unici occhi sono quelli della nostra coscienza e di Dio, è quello il momento della verità.

Personalmente non ho la coscienza del tutto pulita, so di avere sbagliato molte volte. Molte altre volte ho fatto bene ed ho subito delle conseguenze negative per aver fatto del bene. Perché spesso fare bene significa esporsi, personalmente ed emotivamente.

A volte infatti facciamo bene e ci scontriamo con chi è ingrato, con chi sputa sulla mano che tendiamo per aiutare. A volte subentra una certa stanchezza e ci chiediamo persino se ne valga davvero la pena per certe persone. In questi giorni anche io – che sono un essere umano – mi sono chiesto quanto e se ne vale la pena, visti alcuni tristi recenti eventi personali.

Eppure, si. Ne vale la pena. Fare bene è sempre la scelta giusta. Farlo a prescindere, pensando che il bene lo meritano tutti fino a prova contraria – e non viceversa. E ciò anche se non avremo il plauso di nessuno: la gente oggi vi potrà marchiare come stupidi, ingenui nella migliore delle ipotesi, illusi; potrà persino immaginare che nascondiate un qualche secondo fine – in un mondo dove nessuno fa nulla per nulla; e chi avrà beneficiato del vostro intervento potrà persino dirvi apertamente: “chi t’aveva chiesto niente?” (a me è successo)

Eppure le parole di Giacomo echeggiano sempre nella mia mente.

La religione pura e senza macchia davanti a Dio e Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puro dal mondo.” (Giacomo 1:27)

Per alcune persone sono buono, per altre cattivo; alla maggior parte sono indifferente. Ho fatto il meglio che ho potuto nella mia vita, ma non mi illudo di aver fatto bene o meglio di altri. Ma posso testimoniare la veridicità della Parola di Dio ed esorto ognuno a cercare con tutto il cuore di vivere una fede che si manifesti anche in atti d’amore verso il prossimo. Non per ricevere alcuna pacca sulla spalla da altri uomini, o perché si spera nella gratitudine futura di chi ha beneficiato del nostro intervento, ma perché il Signore ci comanda di fare così. Notate Infatti che nella storia riportata dal vangelo di Luca non ci viene detto cosa accade dopo; se l’uomo sia stato o meno grato al samaritano, se questi avrà mostrato la sua riconoscenza o, una volta stato bene, sia andato via senza nemmeno curarsi di dirgli un grazie. Ciò è omesso, credo, proprio perché il nostro comportamento verso il prossimo non deve essere finalizzato ad un guadagno, anche morale, né deve mirare a creare uno stato di debito in chi ha beneficiato del nostro aiuto. C’è un detto molto bello: “fai bene e scorda.” La nostra retribuzione è nascosta in Dio e si paleserà al momento opportuno, in questa vita o nella prossima, come ci assicurano le parole di Gesù. Il nostro compito è solo obbedire ed esercitare amore sincero e disinteressato per chi il Signore mette sul nostro cammino.

il Padre tuo, che vede nel segreto te ne darà la ricompensa palesemente.” (Matteo 6:4)

Per chiudere questa riflessione, in maniera un po’ inusuale, allego il link ad un brano di Keith Green, musicista cristiano, che negli anni ’80 scrisse questa bella canzone basata sulla storia raccontata da Gesù. Buona visione e buon ascolto.

 

 

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