All posts by Giuseppe Guarino

Corso di Inglese files audio

Corso di inglese di Giuseppe Guarino. Files AUDIO

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Lezione 1

Intermezzo: Introduce Yourself

Lezione 2

Lezione 3

Lezione 4

Intermezzo: Introduce Yourself

Intermezzo: Numbers

Intermezzo: Time

Lezione 5

Lezione 6

Intermezzo: la famiglia

Lezione 7

Intermezzo: Essere o Avere?

Lezione 8

 

 

 

 

Isaia 9:5 e la Deità del Figlio di Dio

di Giuseppe Guarino

Sto studiando Isaia in una edizione multilingue molto bella (italiano, greco, latino ed ebraico interlineare) edita dalle Paoline. Il contatto con l’originale ebraico, ma anche con una versione così antica come la LXX è davvero emozionante, significativo, ci fa scoprire dettagli non subito evidenti nella traduzione. Qui esamino l’affermazione “Dio Potente” di Isaia 9:5.

Copertina di 'Isaia'

Isaia 9:5

“Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace…”

L’interpretazione messianica di questo brano è praticamente unanime. Esso è attribuito al Cristo che è Consigliere Ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace…

Gesù quindi è Dio. Ciò è inteso anche nell’Antico Testamento – come persino gli ebrei messianici di lingua ebraica credono, e proprio sulla scorta di affermazioni del tenore di Isaia 9 e altri brani messianici di questo libro meraviglioso.

Quando ai Testimoni di Geova viene presentato questo passo della Scrittura, ovviamente essi hanno da ridire, cercano delle scappatoie, delle possibili soluzioni che facciano dire alla Bibbia ciò che il loro organo direttivo sostiene, quello che l’organizzazione insegna – è la loro prassi.

I semplici cadono vittime di un errore che un esegeta, ma anche un intelligente lettore serio e motivato della Bibbia non può permettersi di commettere.

Chi legge la Bibbia, se ritiene che essa sia la Parola di Dio, la legge per capire cosa dice e conformare il proprio pensiero al suo insegnamento. Procedere in senso inverso, cioè trovare ogni possibile spiegazione per aggirare il senso letterale ed evidente di un brano per rimanere alle proprie idee preconcette è proprio la strada da non percorrere, è quella che ci allontana dalla Verità e da Dio.

Isaia insegna che il Messia è Dio?

La semplice risposta è: si.

Lo apprendiamo semplicemente leggendo il brano. Definire il bimbo nato, il figlio dato, come Dio (potente) già dovrebbe bastarci a farci ritenere che egli sia Dio.

A volte può sfuggire una semplice immediata regola per la comprensione di un testo: il testo dice quello che dice. Ma è proprio la prima da tenersi in considerazione. Poi, ovviamente, vanno considerati contesto, storico e letterario, circostanze, ecc.

I Testimoni di Geova mi hanno detto che Gesù è “dio potente” e non l’Iddio Onnipotente. Eppure la Traduzione del Nuovo Mondo traduce “Dio potente” qui, con la D maiuscola. Non è “un dio”, non è “divino”, è Dio, e Dio potente.

In ebraico Dio potente è

Nel nostro alfabeto:

El Ghibbor

Se questa affermazione non fa del Messia Dio, come possiamo spiegare che la stessa, la medesima, identica, poco più avanti, in Isaia 10:21 è inequivocabilmente riferita a Dio, a יהוה (Geova)?

Isaia 10:20-21 dice così:

“In quel giorno il residuo d’Israele e gli scampati della casa di Giacobbe smetteranno di appoggiarsi su colui che li colpiva, e si appoggeranno con sincerità sul SIGNORE (יהוה), sul Santo d’Israele.  Un residuo, il residuo di Giacobbe, tornerà al Dio potente (אל גבור)”.

La Traduzione del Nuovo Mondo traduce così:

“Quel giorno i rimanenti d’Israele e i superstiti della casa di Giacobbe non si appoggeranno più a chi li colpiva, ma si appoggeranno a Geova, il Santo d’Israele, con fedeltà. Solo quelli che rimarranno, il resto di Giacobbe, torneranno dal Dio Potente“.

Geova è Dio potente (אל גבור); il Messia è Dio potente (אל גבור). Due più due fa quattro. Chi si vuole convincere a ogni costo che faccia cinque è il problema, non il dato oggettivo che il risultato sia quattro.

Per l’ennesima volta rimando al mittente quel fastidioso: Svegliatevi!

 

 

 

 

Il ritorno del Signore nella chiesa primitiva

di Giuseppe Guarino

(tratto ed adattato dal mio libro: “Il ritorno di Gesù”)

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Leggo cose incredibili sulle profezie bibliche.  Eppure l‘insegnamento della Chiesa primitiva è sopravvissuto in molti testi, facilmente reperibili oggi grazie a internet. E’ vero che vi sono opinioni contrastanti su alcuni dettagli (minori, a mio avviso), ma vi è un’unanime visione d’insieme nelle chiese evangeliche circa gli eventi che precederanno il ritorno di Gesù e questa visione rispecchia la fede della Chiesa cristiana fin dai suoi albori: smettiamo di imputare tutte le colpe del cristianesimo al Concilio di Nicea!

Questo articolo vuole dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la coerenza dell’interpretazione “futuristica” delle Scritture  circa il ritorno di Gesù e la realtà della manifestazione dell’Anticristo che lo precederà.

***

Questo libro non sostiene alcuna teoria nuova o interpretazioni sensazionalistiche della Parola di Dio.

La cosa più bella che qualcuno possa dire dei miei libri è che non vi è nulla di nuovo, nulla che già non si sapeva e che la Chiesa non abbia insegnato fin dalle origini. Abbiamo anche visto che quanto abbiamo detto è condiviso anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica – purtroppo poco conosciuto, se non ignorato del tutto, dai fedeli di quella confessione.

In questo paragrafo voglio dimostrare la continuità di quanto abbiamo detto qui con quello che insegnava la chiesa primitiva.

I cosiddetti “padri della Chiesa” sono di solito sopravvalutati – a mio avviso, ovviamente – dalla Chiesa Cattolica, ma allo stesso tempo troppo trascurati dalle altre confessioni. Credo che una saggia via di mezzo sia da preferire – come spesso accade nella vita.

Una cosa è certa: gli scritti dei cristiani dei primi secoli sono una preziosa testimonianza alla Verità, seconda sola al Nuovo Testamento.

Vediamo cosa hanno da dire questi antichi testimoni della nostra fede sul ritorno di Gesù e sugli eventi ad esso collegati.

1 Clemente risale al 95/96 d.C. Si tratta di una lettera scritta dalla chiesa di Roma a quella di Corinto. Qui vi rinveniamo l’attesa del ritorno di Gesù.

Ed egli ci preannuncia “Ecco, il Signore viene e la sua ricompensa con lui per rendere a ciascuno secondo le proprie opere”.

Il Didachè è uno dei miei scritti preferiti. Non si conosce esattamente la sua data di composizione, perché nell’antichità questa non veniva indicata. Alcuni, ed io concordo, pensano che questo scritto sia molto antico, almeno nella sua essenza. Vi è chi lo data nel 50 d.C., quindi contemporaneo degli scritti apostolici del Nuovo Testamento. Altri però si spingono oltre, nel primo secolo ed alcuni fino al 150 d.C.

Negli ultimi giorni i falsi profeti ed i corruttori abbonderanno, ed a causa di ciò le pecore saranno tramutate in lupi e l’amore diverrà odio. L’iniquità crescerà, e loro odieranno, perseguiteranno e si tradiranno a vicenda. E il seduttore del mondo apparirà come un figlio di Dio e farà segni e prodigi e la terra gli sarà data nelle mani e commetterà delle abominazioni come non ne sono state mai fatte prima. Tutta l’umanità sarà messa a dura prova e molti si apostateranno e periranno. Ma chi persevererà nella propria fede sarà salvato dal maledetto. E allora apparirà un segno della verità: prima il segno del cielo che si aprirà e quindi il segno del suono di una tromba e per terza cosa, la resurrezione dei morti, ma non di tutti, piuttosto, come è stato detto, il Signore verrà e tutti i suoi santi con lui. Quindi il mondo vedrà il Signore venire sulle nuvole del cielo”.

La chiesa primitiva aveva una visione molto sobria delle profezie bibliche, ma anche molto chiara. L’insegnamento era incentrato sull’attesa del ritorno del Signore e sul giudizio che sarebbe seguito – non è forse questo che leggiamo nella Scrittura!? Vi era inoltre questo accostamento fra il ritorno di Gesù e la comparsa dell’Anticristo che l’avrebbe di poco preceduto.

Non credo vi sia una confessione cristiana che non possa sottoscrivere quanto affermato dal Didachè sul ritorno di Gesù e questa continuità della fede credo che sia davvero importante. Non determinante, ma di sicuro non trascurabile.

La cosiddetta Epistola di Barnaba è stata composta in un qualche periodo fra il 70 ed il 135 d.C. Si tratta di uno scritto di straordinaria bellezza. Tra le tante belle testimonianze della fede cristiana leggiamo: “il giorno è vicino quando tutto perirà insieme al maligno. Il Signore è vicino con la sua ricompensa”.

Le citazioni le ho tratte da The Apostolic Fathers – Second Edition – Translated by J.B. Lightfoot and J.R. Harmer, Edited and Revised by Michael W. Holmes, Baker Book House, Second printing, August 1990. La traduzione dall’inglese è mia.

Gli scritti che ho citato fin qui fanno parte dei cosiddetti Padri Apostolici. Si tratta di una raccolta facilmente reperibile anche in lingua italiana. La consiglio a chi volesse approfondire la stupenda semplicità e forza della fede della Chiesa del primo e secondo secolo.

Nella seconda metà del secondo secolo cominciano le conversioni di intellettuali, che trovano nel cristianesimo una fede che riesce a rispondere alla domande più profonde degli uomini.  Questi intellettuali, una volta divenuti cristiani, diventano per inclinazione quasi naturale, degli apologeti, cioè dei difensori della fede cristiana in un mondo totalmente immerso in una cultura greco-pagana.

Giustino morì martire e visse fra il 110 ed il 165 d.C. Lui fu proprio un apologeta e lo fu sia con i pagani che con gli ebrei. Il suo “Dialogo con Trifone giudeo”, è un capolavoro che consiglio a tutti di leggere. Oltre questo, ci sono giunte due sue apologie. Traggo un brano dalla prima.

Visto quindi che noi proviamo che tutte le cose che sono già successe sono state predette dai profeti prima che avvenissero, noi dobbiamo per forza di cosa anche che allo stesso modo che le cose predette ma non ancora successe, sicuramente accadranno… Perché i profeti hanno predetto due sue venute: la prima, che è già avvenuta, quando è comparso come un uomo disprezzato e sofferente, ma la seconda quando, secondo la profezia, egli verrà dal cielo in gloria, insieme alle orde angeliche, quando anche resusciterà i corpi di tutti gli uomini che sono vissuti, e rivestirà coloro che ne sono degli di immortalità …

Ippolito visse fra il 170 ed il 236. Sebbene fosse originario dell’oriente si trasferì e visse a Roma. Egli scrisse un interessantissimo trattato sull’Anticristo.

Ippolito concorda sul fatto che per l’ultima delle settanta settimane profetiche di Daniele 9 sia riservato un avveramento futuro, scrivendo: “…l’ultima settimana che vi sarà alla fine del mondo intero”.

Non solo il suo scritto è utile, risulta addirittura prezioso; è anche molto bello. Questo è quanto egli afferma: “Due avventi del nostro Signore e Salvatore sono descritti dalle Scritture. Uno è la sua incarnazione, che è avvenuta senza onore a motivo della sua umiliazione, come Isaia ne aveva parlato tempo addietro… Ma la sua seconda venuta è annunciata come gloriosa, quando scenderà dal cielo con i suoi angeli, e nella gloria del Padre, come disse il profeta: ‘vedrete il Re in gloria’ e ‘io vidi uno come un Figlio dell’uomo che veniva con le nuvole del cielo’”. Ippolito cita Isaia 53:2-5, 33:17 e Daniele 7:13-14.

La fede della Chiesa oggi è la stessa della Chiesa di duemila anni fa. Non esistono denominazioni o confessioni, ma solo individui che vivono questa speranza ed altri che la trascurano – e ciò all’interno di tutte le chiese. Difatti, nella parabola delle dieci vergini – che rappresentano la chiesa al ritorno di Cristo – la metà viene colta di sorpresa, viene trovata impreparata, dalla seconda venuta del Signore come Re e Giudice di questo mondo.

Ireneo fu vescovo di Lione e visse fra il 120 ed il 202 d.C. La sua maestosa opera Contro le Eresie è un’apologia della fede autentica della Chiesa contro le dottrine gnostiche in ben cinque volumi. Sebbene la profezia non sia l’argomento principale del suo scritto, troviamo dei riferimenti al ritorno del Signore ed alle profezie connesse a quel evento.

Nel quinto libro leggiamo: “Anche Daniele, il quale attendeva con trepidazione la fine dell’ultimo regno, i dieci re, fra i quali il regno degli uomini sarebbe stato diviso, e fra i quali comparirà il figlio della perdizione, dichiara che le dieci corna sorgeranno dalla bestia, e che un altro piccolo corno sorgerà fra loro… per tre anni e sei mesi, tempo durante il quale egli regnerà sulla terra… Ora tre anni e sei mesi costituiscono la metà della settimana”.

Anche Ireneo riferiva l’avverarsi della profezia sull’ultima settimana di Daniele riferita al periodo subito precedente il ritorno di Gesù. La sua testimonianza è di particolare rilievo perché egli era stato discepolo di Policarpo, che aveva conosciuto personalmente l’apostolo Giovanni, autore dell’Apocalisse.

Le citazioni delle opere di Giustino, Ippolito ed Ireneo le ho tratte dall’opera in dieci volumi Ante-Nicene Fathers, Hendrickson Publishers, first printing 1994. La traduzione è mia.

Come ci si renderà conto facilmente, ho imparato dalla Chiesa primitiva la semplicità e la potenza di una fede viva e vera nella certezza della veridicità della Parola di Dio, che ci promette che un giorno Gesù ritornerà. Il resto sono dettagli, interessanti, ma spesso troppo enfatizzati e discussi fino ad estremi che mi sembra ci facciano perdere di vista l’oggetto autentico ed il senso delle profezie contenute nella Bibbia: “la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia”. (Apocalisse 19:10)

Girolamo nacque nel 347 e morì nel 420 d.C. Il suo lavoro più famoso è la sua traduzione della Bibbia in latino, la cosiddetta Vulgata. Ma egli scrisse anche un commentario al libro di Daniele, che ho letto e studiato nella traduzione di Gleason L. Archer (1916-2004), pubblicato originariamente nel 1958 dalla Baker Book House. Il commentario di Girolamo è senza dubbio il migliore e più completo che io abbia mai letto sul libro di Daniele. Ed è, a mio avviso, anche il più autorevole.

Il suo commento ai capitoli due e sette di Daniele confermano quanto abbiamo detto in questo nostro studio.

Noi dobbiamo inoltre concordare con l’interpretazione tradizionale di tutti i commentatori della Chiesa Cristiana i quali affermano che alla fine del mondo, quando l’impero romano sarà stato distrutto, vi saranno dieci re che si spartiranno il mondo romano fra di loro. Quindi un undicesimo re comparirà… questi è l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che si spingerà fino ad osare sedere nel tempio di Dio e innalzarsi come un Dio”.

Continua l’autorevole interprete: e i santi “… gli saranno dati nelle mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo. ‘Tempo’ equivale ad ‘anno’. La parola  ‘tempi’, secondo la lingua ebraica (che ha anche il numero duale) rappresenta ‘due anni’. La metà di un anno significa ‘sei mesi’. Durante questo periodo i santi saranno in potere dell’Anticristo…”.

Questa la testimonianza della Chiesa delle origini. Questa la testimonianza e l’attesa della Chiesa da sempre: MARANATHA.

Non lasciamoci ingannare da chi ostenta solo sicurezza ma non proclama Verità, ma solo opinioni senza fondamento.

Giona: dove stai andando?

di Giuseppe Guarino

GIONA

DOVE STAI ANDANDO?

 

Premessa. Ho predicato su questo brano della Scrittura il 16 Maggio 2010 ad Higher Praise Christian Fellowship. Questo è lo studio biblico basato su quella predica.

La Chiamata

Giona 1:1-3

La parola del SIGNORE fu rivolta a Giona, figlio di Amittai, in questi termini: “Alzati, va’ a Ninive, la gran città, e proclama contro di lei che la loro malvagità è salita fino a me”. Ma Giona si mise in viaggio per fuggire a Tarsis, lontano dalla presenza del SIGNORE. Scese a Iafo (o Ioppe, la moderna Jaffa), dove trovò una nave diretta a Tarsis e, pagato il prezzo del suo viaggio, si imbarcò per andare con loro a Tarsis, lontano dalla presenza del SIGNORE. 

Giona è il più “strano” dei profeti dell’Antico Testamento.

Egli nacque nel Regno di Israele, a at Gat-Efer1, una città situata a nord, non lontano da Nazaret. Si fa menzione di Giona in 2 Re 14:25, che parla del re Geroboamo II, “Egli ristabilì i confini d’Israele dall’ingresso di Camat al mare della pianura, come il SIGNORE, Dio d’Israele, aveva detto per mezzo del suo servitore il profeta Giona, figlio di Amittai, che era di Gat-Efer.

Egli visse durante il regno di Geroboamo II, re di Israele dal 786 al 746 a.C.

Ricordo al lettore che dopo la morte di Salomone, Israele venne diviso in due regni a seguito di lotte di successione al trono. A nord 10 tribù formarono il regno di Israele. A sud quello di Giuda, fedele alla discendenza di Davide e con capitale Gerusalemme.

Ai   giorni di Giona Ninive era la magnifica capitala dell’impero Assiro. Era più, proprio nel cuore della più terribile potenza pagana del tempo, che Dio lo inviava a compiere la sua missione di profeta.

Gesù menziona molte volte Giona, confermando sia la sua reale esistenza sia l’autenticità del contenuto del libro biblico che ne porta il nome.

Ninive si trovava a nord est di Israele. Era vicino la città di Assur, dalla quale l’Assiria stessa derivava il suo nome ed affondava le sue antiche origini. La particolare posizione di questo regno, sempre aperto a scorrerie nemiche, lo aveva reso particolarmente militarizzato.

Nel 722 a.C., qualche anno dopo la chiamata di Giona, gli assiri avrebbero invaso il regno di Israele. Seguendo la loro prassi oltremodo crudele, avrebbero condotto schiavi in Assiria la parte migliore del popolo, facendo di Samaria una colonia dalla quale trarre ricchezza e risorse.

La devastazione assira segnò la fine definitiva del regno di Israele, che non sarebbe più risorto.

Il regno di Giuda invece durò fino al 586 a.C., quando Nebucadnesar, re di Babilonia distrusse Gerusalemme e il tempio eretto da Salomone, deportando il popolo in massa nella sua patria.

La figura qui sotto l’ho trovata sul sito www.genealogynation.com . Illustra perfettamente l’estensione della potenza assira.

Ninive era una città molto trafficata, un centro commerciale e politico. Di sicuro doveva essere una città maestosa a vedersi per palazzi ed edifici pubblici, ed un notevole centro commerciale. La potremmo paragonare alla città di New York dei nostri tempi: l’individuo si sente schiacciato dalla maestosità delle costruzioni, dall’imponenza e grandezza della città, vera e propria dimostrazione del potere e ricchezza di una nazione.

Il sentimento di disagio di Giona è comprensibile. Ninive rappresentava tutto ciò che contrastava alla Legge del suo Dio ed un nemico per il suo popolo.

E’ facile oggi per noi giudicarlo negativamente, mentre leggiamo comodamente la nostra Bibbia seduti sul divano del nostro salotto. Ma come vi sentireste oggi se il Signore vi dicesse personalmente di andare a predicare

l’Evangelo in Cina, o in Pakistan, o Iraq, dove sareste nella migliore delle ipotesi disprezzati e derisi, nella più probabile, invece, semplicemente uccisi.

Giona aveva tutte le buone, possibili, ragionevoli, razionali, plausibili scuse per non volere andare.

Giona quindi scese a Iafo2, dove trovò una nave e si imbarco con direzione Tarsis. Come si vede dalla veduta satellitare, Tarsis è giusto dalla parte opposta rispetto a Ninive. Dio gli aveva detto di andare ad Est e lui era andato ad Ovest, più lontano che poteva.

Nota storica:

Iafo è il nome ebraico di questa città. Ioppe, come la chiama il Nuovo Testamento, è il corrispettivo greco. Jaffa il suo nome oggi. E’ una città molto importante nella Bibbia. Essa si trovava non lontano da Gerusalemme. Il suo porto venne utilizzato per l’importazione del materiale servito per la costruzione del tempio di Salomone a Gerusalemme. 2Croniche 2:16, noi, dal canto nostro, taglieremo del legname del Libano, quanto te ne occorrerà; te lo spediremo per mare su zattere fino a Iafo, e tu lo farai trasportare a Gerusalemme”. Questo porto fu importante anche per la ricostruzione del second tempio, quando il re persiano lo permise, anni dopo la devastazione operata dai babilonesi. Esdra 3:7, Diedero del denaro agli scalpellini e ai falegnami, dei viveri, delle bevande e dell’olio ai Sidoni e ai Tiri perché portassero per mare sino a Iafo del legno di cedro del Libano, secondo la concessione che Ciro, re di Persia, aveva loro fatta”.  Questa città è menzionata nel libro degli Atti degli Apostoli. Vale la pena ricordare che fu lì che Pietro ebbe la sua visione circa la chiamata dei Gentili. Vedi Atti 11.

A questo punto della nostra analisi del testo, poniamoci una domanda:

Stiamo davvero andando da qualche parte se non andiamo dove Dio ci ha detto di andare?

Giona scoprirà presto che la risposta a questa domanda è: No!

Giona 1:4-9

“Il SIGNORE scatenò un gran vento sul mare, e vi fu sul mare una tempesta così forte che la nave era sul punto di sfasciarsi. I marinai ebbero paura e invocarono ciascuno il proprio dio e gettarono a mare il carico di bordo, per alleggerire la nave. Giona, invece, era sceso in fondo alla nave, si era coricato e dormiva profondamente.

Il capitano gli si avvicinò e gli disse: “Che fai qui? Dormi? Àlzati, invoca il tuo dio! Forse egli si darà pensiero di noi e non periremo”.

Poi si dissero l’un l’altro: “Venite, tiriamo a sorte e sapremo per causa di chi ci capita questa disgrazia”. Tirarono a sorte e la sorte cadde su Giona.

Allora gli dissero: “Spiegaci dunque per causa di chi ci capita questa disgrazia! Qual è il tuo mestiere? Da dove vieni? Qual è il tuo paese? A quale popolo appartieni?”

Egli rispose loro: “Sono Ebreo e temo il SIGNORE, Dio del cielo, che ha fatto il mare e la terraferma”.

 

Giona era un profeta dell’Altissimo. Non poteva esservi luogo dove poteva sperare di nascondersi da Dio. E comunque, lui era perfettamente cosciente di essere nell’errore. E, anche nella più incredibile delle circostanze, quando tutto quello che desiderava era soltanto essere un anonimo passeggero a bordo di una nave, alla fine, egli si ritrova a dare testimonianza circa il suo Dio.

Alcuni cristiani vogliono rimanere anonimi, vivendo le loro vite senza essere disturbati dai loro obblighi morali verso la Parola di Dio e verso gli altri, nella testimonianza della loro fede.

Ma come diceva bene il mio pastore: “i cristiani non sono agenti segreti”!

Gesù disse:: “Voi siete la luce del mondo. Una città posta sopra un monte non può rimanere nascosta, e non si accende una lampada per metterla sotto un recipiente; anzi la si mette sul candeliere ed essa fa luce a tutti quelli che sono in casa.Matteo 5:14-15.

Giona non andò dove il Signore l’aveva mandato. Ma Dio gli mostrò, dandoci un esempio, che se non vai dove Dio vuole che tu vada, tu non stai andando da nessuna parte.

Un’altra riflessione.

Dobbiamo renderci conto che il modo nel quale rispondiamo alla chiamata di Dio avrà delle ripercussioni sulle vite della gente che si trova attorno a noi. Parenti, amici, madre, padre, coniuge, figli. Tutte le relazioni importanti della nostra vita saranno influenzate dal nostro essere o non essere obbedienti alla chiamata del Signore.

Credo sia particolarmente adatto in questo contesto quel nostro detto: “siamo tutti sulla stessa barca!”

Vi è un accordo silenzioso nella società di oggi sul fatto che tutto accade per caso. Le persone meno istruite reagiscono con una più o meno cosciente dipendenza dalla superstizione. I più istruiti mostrano un comportamento scettico.

Il cristiano deve dipendere dalla Parola di Dio. Perché come disse un mio carissimo amico: “Non è una coincidenza ma un disegno”.

Il cristiano sa che nulla accade per caso. Dio ha un piano.

La Bibbia dice: “Or sappiamo che tutte le cose cooperano al bene di quelli che amano Dio, i quali sono chiamati secondo il suo disegno.”, Romani 8:28.

E’ molto meglio seguire le direttive di Dio piuttosto che affidarci al nostro giudizio, facendo quello che pensiamo sia meglio o più comodo, visto che potremmo ritrovarci in delle circostanze dove non ci rimane altro che gridare a Dio. Perché è proprio questo che accadde a Giona.

Giona 1:10-16

“Allora quegli uomini furono presi da grande spavento e gli domandarono: “Perché hai fatto questo?” Quegli uomini infatti sapevano che egli fuggiva lontano dalla presenza del SIGNORE, perché egli li aveva messi al corrente della cosa.

Poi gli dissero: “Che dobbiamo fare di te perché il mare si calmi per noi?” Il mare infatti si faceva sempre più tempestoso.

Egli rispose: “Prendetemi e gettatemi in mare, e il mare si calmerà per voi; perché io so che questa gran tempesta vi piomba addosso per causa mia”.

Tuttavia quegli uomini remavano con forza per raggiungere la riva; ma non riuscivano, perché il mare si faceva sempre più tempestoso e minaccioso.

Allora gridarono al SIGNORE e dissero: “SIGNORE, non lasciarci perire per risparmiare la vita di quest’uomo e non accusarci del sangue innocente; poiché tu, SIGNORE, hai fatto come ti è piaciuto”.

Poi presero Giona, lo gettarono in mare e la furia del mare si calmò.

Allora quegli uomini furono presi da un grande timore del SIGNORE; offrirono un sacrificio al SIGNORE e fecero dei voti.”

La “follia” di Giona lo aveva condotto fino a quel punto. E, alla fine, volente o nolente, si ritrovò a dovere testimoniare di Dio a degli stranieri, che credettero persino alle sue parole. L’unico in vero pericolo finì per essere lui e lui soltanto.

Giona 2:1

“Il SIGNORE fece venire un gran pesce per inghiottire Giona: Giona rimase nel ventre del pesce tre giorni e tre notti.”

La Bibbia non parla qui di una balena e non ho idea da dove questa credenza sia originata. Si trattava di un “gran pesce”. Una balena, tecnicamente parlando, non è nemmeno un pesce. E’ stato detto che la Bibbia sia qui in errore perché dice che una balena ha inghiottito un essere umano intero, cosa impossibile. Ma di errata c’è soltanto l’idea di chi crede che la Bibbia parli di una balena, perché non è così.

Gesù parla di questa rocambolesca avventura! Leggiamo infatti nel Nuovo Testamento: “Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell’uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti”. Matteo 12:40.

Nelle parole di Gesù che cita Giona per nome e parla del dettaglio della sua incredibile circostanza, abbiamo un’ulteriore conferma dell’autenticità della narrazione che stiamo considerando. Questa autenticità è messa in discussione da alcuni studiosi, ma non me la sento di dare credito nemmeno al più grande degli studiosi a discapito dell’insegnamento del Signore!

Adesso, nel buio del ventre di un pesce, sperduto nel mezzo del mare, terrorizzato, scoraggiato, senza alcuna via di fuga, disperato, Giona comprende cosa aveva fatto e che l’unica cosa sensata che gli rimaneva da fare era cercare il Signore affinché lo perdonasse ed aiutasse.

Concludo questa meditazione con la preghiera di Giona. Spero che ci possa aiutare a meditare sulla condizione delle nostre vite adesso – prima di ritrovarci anche noi nel ventre del pesce! – e spingere a cercare di capire qual è la volontà di Dio per le nostre vite.

Alla fine tutto ciò che dobbiamo fare è essere un po’ meno come Giona e più come Gesù.

Giona capitolo 2

“Dal ventre del pesce Giona pregò il SIGNORE, il suo Dio, e disse:

“Io ho gridato al SIGNORE, dal fondo della mia angoscia, ed egli mi ha risposto; dalla profondità del soggiorno dei morti ho gridato e tu hai udito la mia voce.

Tu mi hai gettato nell’abisso, nel cuore del mare; la corrente mi ha circondato, tutte le tue onde e tutti i tuoi flutti mi hanno travolto.

Io dicevo: “Sono cacciato lontano dal tuo sguardo! Come potrei vedere ancora il tuo tempio santo?”

Le acque mi hanno sommerso; l’abisso mi ha inghiottito; le alghe si sono attorcigliate alla mia testa.

Sono sprofondato fino alle radici dei monti; la terra ha chiuso le sue sbarre su di me per sempre; ma tu mi hai fatto risalire dalla fossa, o SIGNORE, mio Dio!

Quando la vita veniva meno in me, io mi sono ricordato del SIGNORE e la mia preghiera è giunta fino a te, nel tuo tempio santo.

Quelli che onorano gli idoli vani allontanano da sé la grazia;

ma io ti offrirò sacrifici, con canti di lode; adempirò i voti che ho fatto. La salvezza viene dal SIGNORE”.

E il SIGNORE diede ordine al pesce, e il pesce vomitò Giona sulla terraferma.”

 

The Lord of the Torah and the Father of Grace

The Lord of the Torah and the Father of Grace

by Giuseppe Guarino

Two years ago, I read the books of Genesis and Exodus with great excitement and attention. I used a very good edition that had the Italian translation – my language – Greek and Hebrew.

During this wonderful reading, among the many personal blessings, I noticed something which I had never noticed before.

1.The way God calls himself.

2. The way God tells others to call him.

3. The way Moses addresses God when he talks to him.

I believe all the students of the Word have noticed how God is called YHWH (יהוה) from the first chapters of the Bible, even though this name is revealed to Moses through the Angel of the LORD, YHWH-MLHK (מלאך יהוה) in Exodus 3:14.

The questions in my mind are the same every time I consider this fact.

Was God already known by this Name? Or is it used simply because the Torah was written after the Name had been revealed to Moses?

Both these questions are legitimate for someone who wants to learn more about God and about his Word. Because, if there is one thing I have learned in my many years of Bible studying is that no detail of the Word is meaningless. One word instead of another, a name, every details of the biblical narratives are there because the Holy Spirit wants to tell us or teach us something.

For example, the connection between the divine Name and the way the “special” messenger of God is called is no coincidence: YHWH-MLHK (מלאך יהוה), the Angel of the LORD, becomes a personal name that both identifies and describes – a common thing with biblical names.

The way God calls himself

In a world worshipping many gods, people being devoted to this or that divinity, Moses has the need to identify the God who sends him to deliver his people.

“God said to Moses, “I am who I am.” (אהיה אשׁר אהיה) Then he said, “You will say thus to the children of Israel: ‘the I AM (אהיה) has sent me to you.’” God also said to Moses: ”Thus you will say to the children of Israel: “The LORD (יהוה), the God of your fathers (אלהי אבתיכם), the God of Abraham (אלהי אברהם), the God of Isaac (אלהי יצחק) and the God of Jacob (אלהי יעקב) has sent me to you.” Such is my name forever; so I will be invoked from generation to generation.” (Exodus 3:14-15)

God says about himself: I AM (אהיה) as if he wants to refuse a name and a similar way to identify himself, because HE IS and has life in himself. He is the only true God.

Later, in the same book of Exodus we find a statement which gives us a bit more light about this name,.

“God spoke to Moses and said to him, I am the LORD (יהוה). I appeared to Abraham, to Isaac, and to Jacob as God Almighty (שׁדי אל). But I was not known to them by the name YHWH (יהוה).” (Exodus 6:2-3)

 

The way God tells others to call him.

If I can say about myself: “I am”, others can say about me: “He is.”

The same happens when God says of Himself: I AM (אהיה). Other will say of Him that: HE IS. Some say this is the literal meaning behind the Tetragram (יהוה).

We read in the Jewish Encyclopedia, (www.jewishencyclo-pedia.com/articles/11305-names-of-god),

“In appearance, Yhwh (יהוה) is the third person singular imperfect “ḳal” of the verb הוה (“to be”), meaning, therefore, “He is,” or “He will be,” or, perhaps, “He lives,” the root idea of the word being, probably, “to blow,” “to breathe,” and hence, “to live.” With this explanation agrees the meaning of the name given in Ex. iii. 14, where God is represented as speaking, and hence as using the first person—”I am” (היהא, from היה, the later equivalent of the archaic stem הוה). The meaning would, therefore, be “He who is self-existing, self-sufficient,” or, more concretely, “He who lives,” the abstract conception of pure existence being foreign to Hebrew thought.”

The natural consequence is that when speaking of God, the God of Israel, he will be called יהוה.

Let us consider some biblical reference.

Exodus 6:10, “The LORD (יהוה) spoke to Moses…”

Telling events, the biblical text refers to God using the Tetragram.

Then Pharaoh called for Moses and Aaron, and said, Pray to the LORD (יהוה)…” (Exodus 8:8)

Moses added some verses later:

“…There is none like unto the LORD our God (אלהינו יהוה).”

Pharaoh himself calls God יהוה!

 

The way Moses addresses God when he talks to him.

This part is the one I consider most interesting and the one that caught my attention and made me stop and seriously consider the implications of the biblical text.

When Moses speaks directly to God, how does he address him?

And Moses returned to the LORD (יהוה), and said, Lord (אדני), why have you treated this people ill? Why then have you sent me?” (Exodus 5:22)

In this context it can be said that it is a bit improperly that we call יהוה the Tetragram, since אדני, Adonai, Lord, is a name of God with four letters too.

Lord, אדני, Adonai, is, just like אלהים, Elohim, a plural. It is in a special relation with יהוה, since, as we all know, the Jews read Adonai the occurrences of יהוה in the Tanakh.

I believe that the Jewish reverence for the divine names is more appropriate than the liberty with which we Gentiles use them. This might be a reason why God did not let the correct pronunciation of his name be known to us, meanwhile I am pretty sure it is known among the Jews.

The dialogue occurring in Exodus 5:22 between God and Moses is wonderful. Moses addresses God as “Lord”, he does not identify him pronouncing his name but recalls the intimate relationship he has with his God. Moses calls God “Lord”, אדני, because we are for him and not He for us.

This helped realize the magnitude of what had happened through the wonderful work of Jesus.

For the law was given by Moses, but grace and truth came by Jesus Christ.” (John 1:17)

Jesus granted us a new privilege, which not even Moses seemed to have. In fact, when the Lord taught us to pray, he told us to call God “our Father” (אָבִינוּ), thus defining our relationship with Him as His sons and daughters.

He was in the world, and the world was made by him, and the world knew him not. He came unto his own, and his own received him not. But as many as received him, to them gave he power to become the sons of God, even to them that believe on his name:  Who were born, not of blood, nor of the will of the flesh, nor of the will of man, but of God.” (John 1:10-13)

A second and a third time, Moses addresses God directly in the book of Exodus.

And the LORD (יהוה) descended in the cloud, and stood with him there, and proclaimed the name of the LORD (בשׁם יהוה). And the LORD (יהוה) passed by before him, and proclaimed, The LORD (יהוה), The LORD God (יהוה אל), merciful and gracious, longsuffering, and abundant in goodness and truth And Moses made haste, and bowed his head toward the earth, and worshiped. And he said, If now I have found grace in your sight, O Lord (אדני), let my Lord (אדני), I pray you, go among us. For it is a stiffnecked people. And pardon our iniquity and our sin, and take us for your inheritance.” (Exodus 34:5, 6 – 8, 9)

Reading the book of Exodus, Moses never addressed God as יהוה. For three times he addresses God as אדני.

 

Conclusions

The Bible was not written for theology purposes. But to instruct and bless us in a practical way that we can experience daily and personally.

The study of the original languages should go in this direction – but, it often doesn’t and biblical students enjoy technical discussions more than edifying ones. Including myself. Anytime I can I make amends, sharing the personal blessings I receive when studying the Word in the original languages.

It is an amazing blessing to consider the wonderful state of Grace we can experience thanks to our Savior Jesus Christ: The Law put man in relation to God, showing His Holiness and Lordship. But it is Grace that makes us His children.

For you did not receive the spirit of bondage again to fear, but you received the Spirit of adoption by whom we cry out, “Abba, Father.” (Romans 8:15)

“Abba” (אאב) is Aramaic, intimate, for Father. It was simply transliterated by Paul in Greek Αββα.

This is the result of the wonderful work of redemption in Christ and the precious ministry of the Holy Spirit in us.

For through Him (Christ) we both (Jews and non-Jews) have access by one Spirit to the Father.” (Ephesians 2:18)

 

 



ANTICRISTO: “Mitologia cristiana” vs. “neo gnosi giudaico-cristiana”

ANTICRISTO

“Mitologia cristiana” vs. “neo gnosi giudaico-cristiana”

di Giuseppe Guarino

Testo: 1 Giovanni 2:18-19

Ieri per la prima volta, mio malgrado, mi sono imbattuto nel video di Daniele Salomone pubblicato il 4 marzo 2019 che non avevo visto in precedenza e sono rimasto sconvolto.

Questo il link al video: https://youtu.be/2Fd6FpWRfHM.

Non seguo più Daniele da quando rigettò tempo fa la dottrina trinitaria con motivazioni assurde, sia dal punto di vista della dottrina biblica sia della storica cristiana. Infatti, non so come mai questo video sia comparso sul mio telefonino.

Non avrei avuto alcun interesse a scrivere nulla in proposito. Di video e testi contro la dottrina cristiana ve ne sono tanti, uno in più o in meno non credo possa fare la differenza. Brucia un po’, però, che a screditare la “Fede” sia un cristiano; ma anche a questo mi sto abituando: i peggiori attacchi spesso vengono dall’interno.

Questa affermazione è troppo: “la figura dell’Anticristo della dottrina, dell’escatologia cristiana è un tipo di anticristo di quella che noi oggi possiamo chiamare MITOLOGIA CRISTIANA. Perché è qualcosa che non è presente all’interno delle Scritture”.

Dopo un’affermazione tanto forte, mi sarei aspettato una valida argomentazione. Invece, Daniele riesce in unico video a dimostrare soltanto che:

– Non capisce il significato della parola Anticristo.

– Non capisce la lingua greca dell’originale della prima epistola di Giovanni, cosa intenda dire e come si debba e possa tradurre questo brano.

– Non perviene ad un’esegesi corretta di 1 Giovanni 2:18-19 che palesemente non ha proprio capito.

– Non conosce la storia della Chiesa, della Chiesa delle origini.

L’unica cosa quindi che Daniele riesce a dimostrare con questo video – che gli consiglio di rimuovere – è la propria ignoranza. E abbiamo tutti il diritto di essere ignoranti. Nessuno ce lo vieta. Ma non è sano mettersi in cattedra quando le cose non si sanno e puntare il dito in maniera perentoria contro la fede tradizionale della Chiesa, screditandola.  Purtroppo, come a volte accade, la giovane età, forse il troppo entusiasmo, il desiderio di dire la propria, nessuna seria supervisione al proprio lavoro, hanno portato questo autodefinitosi “libero pensatore” ad una drammatica sopravvalutazione delle proprie capacità.

Poi per dirla in maniera più semplice, come si dice a Catania, aggiungo una nota personale: “Daniele mi cascau do’ cori”. È brutto vedere tanto potenziale buttato via. Questa fretta di proporsi, di dire per forza qualcosa, di sbagliare in maniera così plateale, finiranno per portare Daniele ad avere reso inutile il suo lavoro ed i suoi sforzi. Purtroppo!

Comunque, mentre la convinzione della Chiesa sulla realtà dell’Anticristo degli ultimi tempi oggi potrebbe essere definita con questo neologismo (improprio e inadatto) “Mitologia Cristiana”, invece i contenuti degli insegnamenti fuorvianti ed errati di un certo tipo, si possono definire con termini già esistenti al tempo degli apostoli: eresia e apostasia. Ma visto che siamo in vena di inventare fantasiose definizioni, direi, tirando le somme su quello che ho visto fin qui di trovarci davanti ad una neo gnosi di tendenza giudaico-cristiana.

Cercherò di sfruttare questo mio articolo per affermare delle cose che possano fugare i dubbi che insegnamenti del tipo di Daniele possono creare nel credente semplice e fiducioso che si affida a chi si propone come detentore di una conoscenza più profonda della Scrittura per capire meglio la Rivelazione. Scrivo non per desiderio di contesa, ma per amore di questo tipo di credente che va tutelato e al quale, con ogni coscienza e amore cristiano, chi sa di più ha il dovere di sostenere e fortificare nella fede – e non sdirrubbarlo!

Andiamo con ordine e discutiamo ogni punto.

– Anticristo o l’Anticristo

1 Giovanni 2:18-19 legge così in greco:

Παιδία, ἐσχάτη ὥρα ἐστί, καὶ καθὼς ἠκούσατε ὅτι ἀντίχριστος ἔρχεται, καὶ νῦν ἀντίχριστοι πολλοὶ γεγόνασιν· ὅθεν γινώσκομεν ὅτι ἐσχάτη ὥρα ἐστίν.

Come si vede in questa versione manca l’articolo davanti alla parola “anticristo”, ἀντίχριστος. Però è doveroso aggiungere che nel Testo Maggioritario, il testo greco originale presente nella stragrande maggioranza dei manoscritti, l’articolo è presente e la lettura è: ὁ ἀντίχριστος. In realtà solo una manciata di manoscritti hanno la lettura senza l’articolo e sono: Vaticano, Sinaitico (corretto) e altri due codici. Il resto delle prove manoscritte è a favore della lettura con l’articolo.

Ma supponiamo che il testo corretto non abbia l’articolo. Cosa cambia? NULLA!

Girare e rigirare la questione sul testo originale, l’articolo c’è e non c’è e il senso dell’originale  sono solo gesti acrobatici e trucchi da prestigiatore per lasciare a bocca aperta il pubblico sprovveduto, ma non esegesi onesta e corretta.

Non ci può sfuggire il fatto che il testo senza articolo viene adottato dalla seguenti versioni e tradotto come segue:

Versione CEI: “Figlioli, questa è l’ultima ora. Come avete udito che deve venire l’anticristo, di fatto ora molti anticristi sono apparsi. Da questo conosciamo che è l’ultima ora.”

Nuova Riveduta 2006: “Ragazzi, è l’ultima ora. Come avete udito, l’anticristo deve venire, e di fatto già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora.”

Persino la Traduzione del Nuovo Mondo, quella dei Testimoni di Geova, traduce: “Figli miei, è l’ultima ora e, proprio come avete udito che deve venire l’anticristo, sono già comparsi molti anticristi.”

Ora, tutti questi traduttori non capiscono quello che invece Salamone capisce? No. È Salamone che non capisce il greco. Per portare un esempio nello stesso verso, ἐσχάτη, “ultima”, non ha l’articolo. Eppure è chiarissimo che l’articolo determinativo va premesso nella traduzione, come fanno tutti. Non ha senso infatti tradurre o comprendere che sia “ultima ora” o “un’ultima ora”, ma è “l’ultima ora”, a prescindere dalla presenza o meno dell’articolo.

Per rendersi conto di ciò che dico, vi sono due strade da percorrere. La prima, la più bella, leggere in greco originale gli scritti di Giovanni e stare attenti al senso che attribuisce ai vocaboli quando li dota o li priva dell’articolo. Spero che Daniele questo l’abbia fatto. Se non l’avesse fatto, il “libero pensatore” dovrebbe un attimo ridimensionarsi. Poi c’è un modo più semplice, che permette di spiegare a chi vuole capire in maniera autorevole cosa significa in greco privare un sostantivo dell’articolo.

La Greek Grammar Beyond the Basics di Daniel B. Wallace è uno dei testi più autorevoli in materia di comprensione del testo Greco del Nuovo Testamento. Sull’articolo si trovano oltre cento pagine che lo spiegano e lo illustrano sia dal punto di vista teorico, ma anche con un copioso numero di esempi pratici.

Wallace ci spiega lapidariamente ciò che è ovvio a chi ha dimestichezza con il testo greco del Nuovo Testamento:

“La funzione dell’articolo non è principalmente di rendere qualcosa definita che altrimenti sarebbe indefinita…Vi sono almeno dieci modi in cui un sostantivo in greco può essere definito senza l’articolo”, pag. 209.

L’assenza dell’articolo può significare tre cose in greco:

– il sostantivo è definito – esattamente come se ci fosse!

– indefinito – nel tradurre, in parole povere, aggiungiamo l’articolo indeterminativo.

– con forza qualitativa.

Quando Daniele propone la traduzione “Anticristo”, probabilmente non si rende conto che non è sgrammaticato, ma sta facendo della parola un nome: Anticristo. Sta utilizzando una terminologia che sconfessa ciò che poi sostiene – ed è grave che lo faccia senza rendersene conto. Perché è proprio davanti ai nomi che si può omettere l’articolo senza renderli, ovviamente, indefiniti.

Ho scritto una monografia sull’articolo in greco, basata sulla mia esperienza diretta di lettura del testo biblico in greco, ricca di esempi. Lo si può acquistare su Amazon seguendo questo link: www.amazon.it/dp/B08RT19J4F o leggere gratuitamente sul mio sito web.

Quindi nessun errore di traduzione nelle versioni in italiano, ma perfetta comprensione del testo. Che il greco abbia o meno l’articolo, la versione corretta, che trasmette la corretta comprensione della parola è “l’anticristo”. Se qualcuno non lo percepisce è un problema suo; non del testo, né dei traduttori.

L’analisi del testo di Daniele continua aggiungendo errori su errori. Con tono di sufficienza viene detto che il termine “anticristo” si trova soltanto nelle epistole di Giovanni. Dice ancora Salomone: “Nell’Apocalisse la parola Anticristo non figura, quindi è la nostra interpretazione che ci fa comprendere arbitrariamente che la figura del falso profeto, la bestia sia l’Anticristo”.

“Alleluia” si trova solo nell’Apocalisse. Eppure è uno dei vocaboli più usati nelle nostre chiese.

“Messia” lo troviamo soltanto due volte in tutto il Nuovo Testamento, sempre nel Vangelo di Giovanni.

Solo Giovanni chiama Gesù “logos”, Parola.

La realtà dei fatti è che nella Scrittura più termini descrivono spesso una stessa cosa, evento, circostanza, persona.

Per questo nell’Apocalisse ad un certo punto Giovanni scrive: “Il gran dragone, il serpente antico, che è chiamato diavolo e Satana, il seduttore di tutto il mondo, fu gettato giù; fu gettato sulla terra, e con lui furono gettati anche i suoi angeli. ” In diverse parti della Scrittura il diavolo è definito con termini diversi e allora qui Giovanni fa un chiaro riepilogo affinché nessuno fraintenda che diavolo, satana, seduttore di tutto il mondo, il serpente antico, il gran dragone, altri non sono che il medesimo individuo.

Quello che Daniele non capisce è proprio che il vocabolo “Anticristo” che poi è divenuto preponderante nell’uso diffuso dei commentatori cristiani per identificare il medesimo individuo di Apocalisse e di altri brani escatologici, descrive una caratteristica principale di questo individuo descrivendolo.

Egli è anti-cristo, contro Cristo. Egli è avversario, ma un uno qualunque, bensì l’avversario. Come quando diciamo di Satana che è il nemico: abbiamo molti nemici, ma egli è il nemico. Allo stesso modo, vi sono molti che con le loro menzogne sono contro Cristo, ma sono manifestazioni parziali di quella finale manifestazione dell’anticristo, del nemico, avversario di Cristo che comparirà agli ultimi tempi.

Leggiamo cosa scrive Paolo ai Tessalonicesi: “Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione,  l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio. ”

Vedete qui quanti nomi vengono dati a quell’individuo che si manifesterà prima del ritorno del Signore in gloria? Li troviamo alcuni solo qui. Addirittura “figlio della perdizione” altrove è riferito al traditore Giuda.

Eppure qui, per chi legge il greco troviamo il sinonimo perfetto, il corrispettivo al di fuori degli scritti di Giovanni del termine “anticristo” ed è “avversario”. Nella versione si può anche capire, dal contesto, ma nell’originale è lampante.

In greco infatti “avversario” è “̔ ἀντικείμενος”. Nel nostro alfabeto: anti-cheimenos. Vedete quella parolina “anti” che ha in comune con “anticristo”? In greco indica contrapposizione. Fortunatamente la nostra lingua ha ereditato dei vocaboli dal greco che la incorporano e ciò ci rende più facile capire di cosa parliamo. Basta considerare vocaboli come :  antibiotico, antitesi, antipiretico, ecc. Leggiamo cosa dice la Treccani online in proposito, perché approfondendo l’italiano capiremo perfettamente – in questo caso – il senso del greco.

“dal greco antì ‘contro’, è usato in parole composte in cui il secondo elemento può essere un sostantivo (antincendio, antiruggine), un aggettivo (antigiuridico, anticlericale), un participio presente (antiabbagliante, antiappannante) e assume diversi significati.

  • Opposizione, avversione, antagonismo verso qualcosa

antipapa, antischiavista, antidemocratico

  • Attitudine a combattere o prevenire qualcosa

antiallergico, antisettico, antispasmodico

  • Capacità di evitare o impedire qualcosa

anticoagulante, antifurto, antisismico

  • Contraddizione, contrasto, o anche indipendenza da qualcosa (con significato simile all’alfa privativo, ➔a-)

antiestetico, antistorico

  • Posizione contraria, movimento in senso opposto, posizione speculare

anticiclone, antipodi.”

https://www.treccani.it/enciclopedia/anti_%28La-grammatica-italiana%29/

Paolo e Giovanni dicono la stessa cosa. Quel individuo è Avversario e Anticristo.

Il fatto è che mentre il vocabolo ἀντικείμενος è stato tradotto con “avversario”, ἀντίχριστος è stato invece translitterato nel nostro vocabolario, divenendo praticamente il nome identificativo nella prassi cristiana di quell’individuo definito altrove in altro modo.

La parola “battesimo” è una translitterazione del greco e non la sua traduzione, ma è da sempre universalmente accettata. Lo stesso vale per “Messia” o “Cristo”, che sono due vocaboli non tradotti. Se dovessimo tradurre dovremmo dire “Unto”. Ma l’uso cristiano ha reso “Cristo” e “Messia” termini comuni che racchiudono in sé tutta la forza del significato originale che ci dà l’idea che Gesù non è un unto, ma l’unto.

L’esegesi fatta dei brani da parte di Salomone che lo portano a concludere che “Anticristo” è “colui che afferma che Gesù è Dio ma nega che sia uomo” è assurda, errata. Proprio non c’è né capo né coda nel modo in cui viene gestita l’esegesi del testo.

Tanto per spiegare in maniera semplice cosa vuol dire Giovanni, tanto perché capisca anche lui da che parte sta trattando il testo biblico, la lingua greca e la storia della Chiesa in questo modo, io attualizzerei le parole dell’apostolo Giovanni in questo modo.

Prima le leggiamo, poi le spiegherò, attualizzando l’esegesi alla casistica che ci sta confrontando.

“Ragazzi, è l’ultima ora. Come avete udito, l’anticristo deve venire, e di fatto già ora sono sorti molti anticristi. Da ciò conosciamo che è l’ultima ora. Sono usciti di mezzo a noi, ma non erano dei nostri; perché se fossero stati dei nostri, sarebbero rimasti con noi; ma ciò è avvenuto perché fosse manifesto che non tutti sono dei nostri. ”  (1 Giovanni 2:18-19)

Spiegazione, applicando il testo alla circostanza che ci sta davanti.

“è l’ultima ora. Null’altro delle profezie si avvererà se non ciò che riguarda l’immediatezza del ritorno di Gesù. E avete sentito che prima del ritorno di Cristo comparirà quel nemico di Cristo, quell’avversario, l’anticristo. Ecco, già oggi lo spirito che opererà in lui è già all’opera  fra coloro che si mescolano a noi, fanno finta di essere dei nostri e poi si rivelano affermando delle menzogne che nella sostanza negano Cristo”.

Degli evangelici dicono tutti peste e corna. Nessuno è perfetto, ci mancherebbe. Io stesso mi dissocio da certi comportamenti. Ma il puro spirito delle chiese evangeliche è conforme al vangelo e alla Parola di Dio. C’è a chi piace usare le chiese evangeliche per cercare consensi e un pubblico. Poi però comincia a disprezzare e insinuare delle menzogne e dei dubbi nei semplici credenti. Questo comportamento subdolo, questa dissimulazione,  è lo spirito dell’anticristo all’opera. Questo diceva Giovanni.

Mi dispiace moltissimo che tutte le parole che Salamone riferisce agli gnostici possano perfettamente riferirsi a lui e la sua falsa gnosi è una subdola mistificazione dell’interpretazione della Scrittura che punta dritta a trovare consensi e destabilizzare i credenti evangelici.

L’ignoranza sulla storia della chiesa e la pretesa di potere “ribaltare” tutto ciò che fino ad oggi si è creduto è la perfetta conclusione di una disastrosa disquisizione.

Quella che viene definita Mitologia Cristiana è la fede della Chiesa da sempre. E mi chiedo se prima di parlare di gnosi, chiesa primitiva e Bibbia, Daniele abbia mai letto gli scritti dei primi cristiani. Se lo avesse fatto si sarebbe accorto che questa “mitologia”, come la chiama lui è invece la fede autentica della Chiesa come lui non riesce, per sua miopia, a vedere nelle Sacre Scritture.

Il Didachè, uno scritto che rispecchia in maniera molto primitiva il credo della Chiesa, tanto che alcuni lo hanno addirittura datato addirittura al 50 d.C.

Leggiamo nella parte finale di questo scritto:

“E allora apparirà il seduttore del mondo, come un figlio di Dio, e “farà segni e prodigi” e tutta la terra gli sarà data nelle mani, ed egli commetterà delle abominazioni come non ve ne sono mai state prima. Allora tutta l’umanità sarà sottoposta ad una prova tremenda e molti “apostateranno” e periranno; ma coloro che “persevereranno” nella loro fede “saranno salvati” dal maledetto. E “allora appariranno i segni” della verità: prima il cielo si aprirà, poi il segno del suono di una tromba, e poi la resurrezione dei morti – ma non di tutti. Piuttosto come è detto: “Il Signore verrà e tutti i suoi santi con lui”. Quindi il mondo “vedrà il Signore venire con le nuvole del cielo”.

Ippolito è un cristiano d’origine orientale vissuto nel terzo secolo a Roma. Egli è annoverato fra i padri della Chiesa. Ha scritto tra l’altro un trattato intitolato su “Cristo e l’anticristo”. Era di lingua greca e sarei davvero curioso di sapere cosa ne avrebbe pensato di certi “deliri” sulla sua lingua.

Citiamo un brano soltanto: “Osserviamo in dettaglio cosa dice Daniele nelle sue visioni… egli mostra anche la venuta dell’Anticristo negli ultimi tempi, e la fine dell’intero mondo”.

Consiglio la lettura degli scritti di Ippolito, che ci ha lasciato anche parte di un commento al libro del profeta Daniele.

Ireneo fu vescovo di Lione fra il 120 ed il 202 d.C. La sua opera in cinque libri “Contro le eresie” rappresentò il colpo di grazia alle eresie gnostiche. Questo autore cristiano è particolarmente importante perché egli fu discepolo di Policarpo, il quale aveva conosciuto l’apostolo Giovanni e, quindi, le sue affermazioni – ad esempio come quella sull’autenticità dell’Apocalisse e la sua attribuzione all’apostolo Giovanni – risultano di particolare importanza.

Nel libro V dell’opera, dal capitolo 25 in avanti, attribuisce apertamente le parole di Paolo ai Tessalonicesi sull’Avversario che siederà nel tempio di Dio proprio all’anticristo. Poi parla del libro di Daniele e lo collega agli eventi degli ultimi tempi.

“… per tre anni e sei mesi…egli regnerà su tutta la terra. Di lui l’apostolo Paolo, parlandone nella sua seconda epistola ai Tessalonicesi, e allo stesso tempo dichiarando il motivo della sua comparsa, dice così: “e quel malvagio sarà rivelato, il quale il Signore Gesù ucciderà con lo spirito della sua bocca, e distruggerà con la potenza del suo ritorno”.

Ireneo mette in relazione l’ultima settimana del profeta Daniele (Daniele 9) gli eventi descritti da Paolo ai Tessalonicesi, Daniele 2 e Daniele 7, con l’Apocalisse: “in una maniera più chiara Giovanni, nell’Apocalisse, ha detto ai discepoli del Signore cosa accadrà negli ultimi giorni, e circa i dieci re che sorgeranno, fra i quali l’impero che ogni regna sulla terra sarà diviso.”

Girolamo è l’autore della prima versione in latino dell’Antico Testamento direttamente dagli originali in ebraico. Egli visse fra il 347 ed il 420 d.C. Fra le sue opere un commentario a Daniele, particolarmente pregevole per l’accuratezza dell’esposizione sia dal punto di vista esegetico, sia per l’accuratezza della ricerca storica, sia per l’imparzialità con la quale vengono riportate le varie teorie all’interno della Chiesa circa l’escatologia cristiana.

Nel commentare al capitolo 7 di Daniele egli scrive: “…tutti i regni saranno distrutti, a causa della blasfemia dell’Anticristo”.  Egli più un là scriverà: “e non vi è alcun dubbio che i santi avranno il regno dopo l’Anticristo”. Sempre nel commento scrive: “L’Anticristo farà guerra ai santi e li vincerà…”

Commentando Daniele 9, le settanta settimane, al verso 27 scrive: “durante i rimanenti tre anni sotto l’Anticristo il sacrificio e l’offerta cesserà. Ma quando Cristo tornerà ed ucciderà il malvagio con il soffio della sua bocca…”

Porfirio era un filosofo pagano che nell’antichità negava che nella Bibbia vi fossero autentiche profezie. Per questo denigrava le profezie contenute nel libro di Daniele, dicendo che questo libro fosse solo una frode, una messa in scena, che spacciava per profezie delle cose scritte soltanto dopo che gli eventi descritti si erano in realtà verificati – tecnicamente si parla di profezie post-eventum. Girolamo rivendica l’autenticità delle profezie bibliche e ribadisce la convinzione della Chiesa sulla manifestazione dell’Anticristo che precederà il ritorno di Gesù.

Ora, ci deve invitare a riflettere il fatto che:

Quella che viene definita Mitologia Cristiana non è un tardo sviluppo della fede, ma, come abbiamo visto, qualcosa che riguarda la Chiesa dagli albori. Tutti gli scritti della cristianità antica parlano dell’Anticristo ed affiancano la terminologia di 1 Giovanni con Daniele, 2 Tessalonicesi, e Apocalisse.

Erano i pagani e gli increduli a mettere in dubbio l’escatologia cristiana. È davvero triste assistere oggi ad un attacco dall’interno,  da personaggi che bollano la credulità del credente e si ritengono depositari di una migliore conoscenza di quella della Chiesa universale dagli albori. Visto che gli attacchi vengono dall’interno, possiamo dire di trovarci davanti ad un revival di gnosticismo con caratteristiche giudaico-cristiane che attualizza lo spirito dell’anticristo la cui esistenza veniva denunciata da Giovanni proprio in 1 Giovanni 2:18-19.

Shalom

Giovanni 3:16

Giovanni 3:16

La potenzialità del greco originale della frase, letta anche alla luce del forte pragmatismo ebraico.

di Giuseppe Guarino

Le sfaccettature intraducibili di una lingua sono fra le motivazioni principali che ti spingono a studiarla e che rendono, in un certo senso, divertente farlo.

In inglese amo l’uso dello slang. In una conversazione informale piuttosto che dire “it is all right for me”, preferisco senz’altro “I am cool with that”.

Il greco biblico è un fenomeno diverso. Ovviamente. Per certi aspetti più complesso, dal punto di vista squisitamente linguistico. Ma ciò lo rende solo più affascinante. Più dell’ebraico biblico che è standardizzato dai millenni che l’hanno fissato nella forma che troviamo nel Tanakh – così chiamano gli ebrei l’Antico Testamento.

Il greco biblico è spesso chiamato koinè. Si tratta, però, della versione di quest’ultimo in uso nel 250 a.C. ad Alessandria d’Egitto, quando vennero per la prima volta tradotti i cinque libri di Mosè.

Questo greco venne ripreso, ampliato e adattato al testo biblico dai traduttori degli altri libri dell’Antico Testamento e divenne persino la lingua di alcuni testi ebraici – come ad esempio il libro dei Maccabei.

In questo contesto sarebbe fuori luogo descrivere “cosa” è accaduto in pratica, ricorrendo a vari esempi. Ci basterà stabilire il perché e tutto sarà ovvio.

Gli autori del Nuovo Testamento sono tutti di prima lingua ebraica. Scrivono si storie ed eventi occorsi in un contesto ebraico. Riportano discorsi e dialoghi che hanno avuto luogo in lingua ebraica (o aramaica).

Il loro greco non può essere puro, non può non risentirne.

È un male?

No!

È un bene!

La ricchezza del greco biblico, nel quale è stato scritto il Nuovo Testamento, raccoglie la profonda solennità dell’ebraico per renderla universale: apre letteralmente la porta della salvezza ai non Giudei!

Giovanni 3:16 è la più universale delle affermazioni che troviamo nella Bibbia.

La riporto: “Perché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.

Non ho imparato il greco se non proprio per il piacere di leggere il Nuovo Testamento in originale. Utilizzando lo stesso metodo che avevo fatto mio anni prima con l’inglese, ho lavorato ai vocaboli e alle frasi fino a quando sono stato capace di leggere e capire senza dover necessariamente ricorrere ad alcuna traduzione dei termini che incontravo. Insomma, leggevo il greco in greco – come dico io spesso.

Leggendo Giovanni 3:16 mi sono accorto di comprenderlo in maniera leggermente diversa da come viene comunemente tradotto in italiano. Non proprio in maniera “diversa” però; forse potrei dire: più ricca e completa. Ciò spesso accade quando una lingua offre delle sfumature che non sono traducibili, dei significati più ampi di un vocabolo, che l’autore usa per poter dire più cose con una sola frase; dicendone una, in questo modo, non ne esclude l’altra.

Visto che ritengo che la conoscenza del greco sia un dono di Dio – perché non so nemmeno io come sono riuscito in questa piccola impresa, se non per la sua grazia. E visto che per me scrivere è la maniera più congeniale per esprimermi, ho deciso di mettere per iscritto e comunicare la meravigliosa profondità di significato di questo brano della Scrittura.

Non vi spaventate adesso se riporto il testo greco di Giovanni 3:16. Lo translittererò nel nostro alfabeto per poter permettere al lettore di leggerlo agevolmente – se non conosce il greco o l’ha studiato a scuola. Tradurrò inoltre parola per parola.

 

οὕτω γὰρ ἡγάπησεν ὁ Θεὸς τὸν κόσμον
uto gar egapesen o teos ton cosmon
così perché ha amato Dio il mondo
ὥστε τὸν υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ ἔδωκεν
oste ton uion autu  ton monoghene Edochen
che il Figlio suo l’Unigenito ha dato
ἵνα πᾶς ὁ πιστεύων εἰς αὐτὸν μὴ ἀπόληται
ina pas o pisteuon eis auton me apoletai
affinché chiunque crede in lui non perisca
ἀλλ᾿ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον
all’ eche zoen aionion
ma abbia vita eterna

 

Secondo me se non si apprezza la Bibbia è perché non la si conosce davvero.

A dire il vero, vi è un altro motivo che ho riscontrato che spinge la gente a volerla mettere da parte: non essere disposti ad accettare la sua autorità spirituale.

Dando per scontato che le Scritture non sono opera di uomini letterati o filosofi. Considerata inoltre la semplicità che caratterizza il linguaggio, la profondità di significato dei contenuti è davvero ancora più significativa.

Su Giovanni 3:16, come su molti altri versi della Bibbia, si potrebbe scrivere un libro intero!

Se dovessi tradurre questo brano in maniera letterale, lo tradurrei come lo rinveniamo praticamente in tutte le sue versioni. Ma se devo trasmettere l’interezza della percezione che ne ho quando lo leggo in greco, proporrei anche le seguenti alternative.

Perché è così che Dio ha mostrato al mondo di amarlo: ha dato suo Figlio, l’Unigenito, affinché tutti coloro che credono in lui non periscano ma abbiano vita eterna.

ovvero

Perché è in questo modo che Dio ha amato il mondo: ha dato il suo Unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna.

Voi chiederete: ma che cambia con la versione “tradizionale” del verso?

Nella Bibbia l’amore è un’azione. Lo è già dalla Genesi, dai Dieci Comandamenti, da quell’ “ama il prossimo tuo come te stesso” che troviamo nella Legge di Mosè espresso in una lingua che ne tramanda tutto il potenziale dinamismo e la forza che incide su chi ama e chi è amato, fino al punto che i due sono come fossero uno: io vedo me stesso nell’altro, non un altro, e mi comporto di conseguenza!

Imbevuti come siamo oggi di un sentimentalismo, che ereditiamo probabilmente proprio dai greci, corriamo il rischio di non percepire tutta la praticità e l’azione che richiede la Parola di dio quando ci parla di Amore o ci invita ad amare.

Mariti, amate le vostre mogli (Efesini 5:25) è un comandamento.

Ma non si dice forse: “nun se comanda o core”? Ovvero, “al cuor non si comanda”? E, allora, com’è possibile comandare l’amore e come può un uomo “costringersi” ad amare.

Il fatto è che la Scrittura qui non dice: “bruciate di passione per le vostre mogli”, come è tentato di capire chi si approccia all’amore come mero sentimento. Fu per questo che tempo fa una persona ebbe a chiedere perplessa: “Come si può imporre l’amore”?

L’amore inteso come squilibrio chimico, non lo puoi indurre. Ma quello non è amore vero. Ed è per questo che finisce: è infatti solo la sensazione di benessere che ricaviamo dalla presenza o la mancanza che sentiamo per l’assenza di una persona. Si tratta di amore “sensuale” e dipende dal piacere personale che ne ricaviamo.

La Scrittura parla di un altro tipo di amore. Un amore che è azione e che è dare.

Infatti Efesini 5:25 continua così,

Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei.

Quando Gesù dice,

Ama il prossimo tuo come te stesso

non si riferisce alla tenerezza astratta indotta dalle immagini che scorrono in tv o su facebook. Ma alla quotidianità! Gesù ci invita a trattare gli altri come noi vorremmo essere trattati dagli altri. Altrove infatti Gesù spiegò il concetto con altre parole,

Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro (Matteo 7:12)

Quindi l’amore non è un sentimento, o forse dovrei dire, non è un sentimento soltanto, ma è fare, fare bene, trattare il prossimo come fossimo noi stessi, trattarlo come vorremmo che ci trattasse.

Guardate la forza delle parole di Giovanni, altrove, nella sua prima epistola

“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli.  Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità”. (1 Giovanni 3:16-18)

L’Amore vero, l’Amore che viene da Dio e che Dio ci insegna, non è un’emozione da contemplare e di cui gioire finché dura, è azione, energia, agire.

Torniamo quindi a Giovanni 3:16. Leggendo questo brano in lingua originale – più che nella traduzione – percepisco tutta l’enfasi del testo sul “come”, sul “modo in cui” Dio ci ama.

Ciò è importante. Forse addirittura fondamentale. Perché, tutti sono d’accordo che Dio sia amore e che ci ama. Ma sempre meno persone comprendono che ci ha amato dando Suo Figlio Gesù Cristo, per la nostra salvezza.

Scrive infatti lo stesso Giovanni altrove.

In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. (1 Giovanni 4:9)

L’umanità di oggi è come quel figlio capriccioso o indolente al quale i genitori hanno dato e danno tutto, ma che trova sempre il modo per lamentarsi,

– perché non ha la moglie che desidera

– perché non ha marito

– perché non si guadagna abbastanza al lavoro

– perché la nostra erba è sempre meno verde di quella del nostro vicino

In realtà in questa vita ci sarà sempre qualcosa che non avremo e un motivo per il quale lamentarci.

Ma se non saremo grati a Dio per il meraviglioso dono di Suo Figlio, come speriamo di potere apprezzare tutti gli altri suoi doni o persino di riconoscerli come tali – il lavoro, la salute, la fede, ecc.

Giovanni 3:16 non ci dice soltanto “quanto” Dio ci ama, bensì come in concreto ci ha amato. Ci invita, inoltre, qualora non lo avessimo ancora fatto, ad accettare questo amore, credendo. Come ci mette anche in guardia dalle conseguenze per chi tale amore lo disprezza:

Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.  (Giovanni 3:17-18)