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I RE MAGI: chi erano?

I RE MAGI: chi erano? di Giuseppe Guarino

I magi li incontriamo leggendo le prime pagine del vangelo di Matteo. Queste figure sono da sempre parte dell’immaginario collettivo. Chi erano veramente?

Nel tradizionale arricchimento di dettagli proprio della tradizione cattolica, è stato aggiunto molto a quello che è il semplice resoconto biblico. Nella narrazioni tradizionali natalizie, i magi divengono i “re” magi e sono di solito considerati tre, tanti quanti sono i doni che portano al “re dei Giudei”. Nelle classiche rappresentazioni della natività sono vicini alla mangiatoia dove Gesù viene riposto subito dopo la sua nascita, mentre in realtà è verosimile leggendo il vangelo che questi giunsero soltanto qualche tempo dopo. Ad ognuno di loro la tradizione attribuisce un nome: Melchiorre, Baldassarre e Gaspare.

Per cercare la verità storica, o, almeno, per formulare una teoria plausibile su chi fossero realmente questi individui, dobbiamo, però, attenerci più strettamente al dato biblico.

Matteo li chiama “magi”. Nel greco originale del libro “μάγοι” (nel nostro alfabeto “magoi”) plurale di “μάγος” (magos). Si specifica soltanto che costoro venivano dall’oriente, ma intuiamo che costoro dovevano essere dei personaggi piuttosto importanti visto che viaggiavano con un seguito notevole, tanto che il loro ingresso nella città di Gerusalemme, sebbene questa fosse regolarmente visitata da forestieri, riuscì a provocare tanto trambusto da attirare l’attenzione dello stesso re Erode.

Ma come si spiega che costoro avessero avuto notizia della nascita di un “re dei Giudei”? E chi erano veramente?

A queste domande cercheremo di dare una risposta nelle pagine che seguono.

Matteo ha una espressione, sua caratteristica, che non rinveniamo negli altri libri del Nuovo Testamento, “il regno dei cieli”, che ricorre ben 31 volte, in vari punti: 3:2, 4:17, 4:23, 5:3, 5:10, 5:19, 10:7, ecc …

Questa non può che essere stata sviluppata da un concetto che troviamo espresso nel libro biblico del profeta Daniele, scritto, secondo la tradizione classica ebraico-cristiana, dall’omonimo eroe della cattività babilonese nel VI secolo a.C.

“Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto e che non cadrà sotto il dominio d’un altro popolo. Spezzerà e annienterà tutti quei regni, ma esso durerà per sempre”. (Daniele 2:44)

Non è, quindi, una coincidenza da sottovalutare il fatto che proprio nel libro di Daniele, e proprio al capitolo due, troviamo anche la menzione di una certa categoria di savi di corte babilonesi, definiti appunto “magi”.

“Il re fece chiamare i magi, gli incantatori, gli indovini e i Caldei perché gli spiegassero i suoi sogni. Essi vennero e si presentarono al re”. (Daniele 2:2 – Nuova Riveduta). La Nuova Diodati traduce “maghi”, ma il vocabolo originale è lo stesso.

Il libro di Matteo ci è arrivato in greco soltanto (se mai un originale ebraico di questo vangelo è mai esistito) e sebbene appaia verosimile che il suo autore abbia attinto a delle fonti scritte in lingua ebraica, non possiamo essere sicuri quale fosse la parola che corrisponde al corrispettivo vocabolo greco che egli utilizza.

In questo particolare frangente risulta molto utile consultare l’antica traduzione greca dell’Antico Testamento detta dei LXX (Settanta), nota anche col nome di Septuaginta. Che quest’ultima fosse conosciuta dall’autore di Matteo non solo è difficile da mettere in discussione, ma gliene viene fatta addirittura una colpa, in un certo senso, quando, per citare un esempio, questi riprende la lezione di quella traduzione per informare in lettore che nella nascita da una vergine si avverava la profezia messianica di Isaia 7:14 – vedi Matteo 1:23.

Leggendo la traduzione greca di Daniele 2:2, il termine tradotto “magi” o “maghi” in italiano, corrisponde, come in Matteo, alla parola greca μάγος.

Siamo andati oltre la coincidenza.

Dobbiamo chiarire che non sappiamo cosa implicasse esattamente il termine qui tradotto con l’italiano “magi”, né conosciamo i compiti, i ruoli o le competenze delle altre figure la cui presenza nella corte babilonese è segnalata nel libro di Daniele, e chiamate, a seconda della traduzione, astrologi, incantatori, indovini, caldei, ecc …

Sappiamo che costoro ricoprivano una posizione di rilievo nella corte babilonese. Erano depositari della tradizione, della scrittura e della vastissima cultura di quella antica e prestigiosa civiltà. Erano dei personaggi importanti sia dal punto di vista politico, per la loro influenza sul re e sulle sue decisioni, che intellettuale.

Il profeta Daniele era stato deportato ancora giovanissimo dalla Giudea alla corte babilonese nel 606 a.C. – Daniele 1. Qui eccelse subito per le sue straordinarie doti – Daniele 2.

Daniele ricoprì delle cariche molto importanti nell’apparato amministrativo statale babilonese prima e persiano poi. Nabucodonosor lo definisce capo dei saggi di Babilonia, Daniele 4:9.

In Matteo leggiamo: “Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode . Dei magi  d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo».”

Ma è verosimile che già in tempi così remoti si possedessero conoscenze scientifiche sufficienti per potere osservare o prevedere fenomeni astronomici? E come mai dalla comparsa di una stella, i magi dedussero che un re era nato in Giudea?

I sumeri vissero in città stato dell’antica Mesopotamia giungendo all’apice della loro civiltà fra il 3500 ed il 2000 a.C. Per quanto ne sappiamo furono loro ad inventare la scrittura, l’algebra e la geometria. Osservando il cielo, essi furono capaci di individuare i pianeti del sistema solare, eccezion fatta per Urano e Plutone, scoperti oltre cinque millenni dopo! Le loro osservazioni astronomiche li portarono, inoltre, a suddividere l’anno in 12 mesi di 30 giorni, elaborando un calendario lunare. Periodicamente, più o meno come facciamo noi oggi aggiungendo un giorno ogni quattro anni, essi aggiungevano un tredicesimo mese per far coincidere il calendario lunare con l’anno solare.

Furono sempre i sumeri che divisero il giorno in 24 ore –  in verità in due metà di 12 ore l’una. E siccome si basavano su un sistema di misura sessagesimale (come noi ci basiamo su un sistema decimale) suddivisero le ore in 60 minuti ed i minuti in 60 secondi.

Il popolo e la lingua dei sumeri andarono pian piano ad essere soppiantati a causa dell’infiltrazione nella bassa Mesopotamia di popoli d’origine semita. Sargon di Accad creò il primo impero di cui vi sia una traccia storica e dal quale discenderanno le potenze assire e babilonesi. Gli scribi del periodo accadico (2350-2200 a.C.) studiavano la lingua e i testi dei sumeri per meglio imparare a scrivere la loro. Centri di studio sorgevano nelle città di Mari ed Ebla, dove si formavano le classi intellettuali del tempo. Gli scavi archeologici condotti ad Ebla dall’università di Firenze, hanno riportato alla luce un tesoro di testi antichi.

La matematica era molto importante. Durante la III dinastia di Ur (2120-2000 a.C.) un codice di leggi affermava la sovranità dello stato, mentre la burocrazia era così fitta che persino una transazione così semplice come l’acquisto di una pecora richiedeva un contratto scritto. L’aritmetica era avanzata al punto che lo stato riusciva ad approntare le previsioni sui raccolti in base alle aree che destinava alle culture. Si riusciva così a stabilire in anticipo quali e quanti prodotti sarebbero stati disponibili negli anni a venire. L’apparato amministrativo statale riusciva a raccogliere le informazioni necessarie affinché si potessero inviare emissari in altre nazioni dove commercializzare i prodotti in eccedenza e procurarsi quelli mancanti.

magi

Sul sito del British Museum www.mesopotamia.co.uk, dal quale è tratta la foto qui sopra, sono disponibili degli importanti reperti archeologici. Qui sono pubblicate le foto ed i testi delle tavolette di Enuma Anu Enlil, che ci informano circa le conoscenze raccolte dai babilonesi durante secoli di paziente osservazione dei fenomeni astronomici. Una di queste tavolette, quella di Venere di Ammisaduqua, risale addirittura al XVII secolo a.C.

Altri documenti ci informano con certezza che nel II secolo a.C. questi astronomi orientali erano già arrivati alla convinzione che i pianeti girassero intorno al sole – Copernico arrivò alla stessa conclusione due millenni dopo! – e che le fasi lunari influenzassero le maree.

Potrei continuare, ma oggi su internet informazioni del tipo che sto elencando io sono facilmente reperibili.  Mi basta aver fatto comprendere al lettore che la scienza astronomica del tempo era sufficiente a rendere verosimile la narrazione del vangelo di Matteo.

Sebbene non sappiamo quali fossero le competenze specifiche dei “magi”, possiamo benissimo supporre che fossero, come le altre figure presenti alla corte babilonese, dediti alla conoscenza ed allo studio, uomini di scienza e di cultura, e che il loro titolo presupponesse un rango ed uno status sociale di un certo rilievo. E non vi sono elementi per dubitare che, come dice l’evangelista, questi fossero degli osservatori degli astri.

Se supponiamo che i magi della narrazione di Matteo sono i discendenti dei magi presenti alla corte babilonese, allora è molto probabile che le loro credenze sull’apparizione di un futuro re dei Giudei potessero essere dovute all’influenza della persona di Daniele, che proprio fra quei sapienti aveva goduto di particolare credito. Considerato poi che gli “astronomi” orientali avevano sufficienti conoscenze per prevedere con un certo anticipo eventi quali il passaggio di una cometa o altri fenomeni, come le eclissi, ad esempio, possiamo ipotizzare che, sapendo delle profezie messianiche di Daniele, spinti dalla loro cultura, avrebbero cercato di collegare la nascita del re Messia giudaico ad un fenomeno celeste straordinario.

Sarebbe sorprendente, anzi addirittura inspiegabile, che dei saggi orientali avessero percorso tanti chilometri nella certezza che un re fosse nato in una modesta nazione sul Mediterraneo, che lo cercassero addirittura per portargli dei doni tanto preziosi, e, infine, che fossero così sicuri della sua identità da riconoscerlo persino nel figlio di un falegname che dimorava in una modesta cittadina quale era Betlemme, se l’attesa di questo re Messia non fosse stata una credenza radicata nella loro cultura.

Quello di Matteo è un fatto storico che, a mio avviso, non si può spiegare in nessun altro modo soddisfacente – allo stato delle nostre conoscenze bibliche ma anche storiche – se non ricollegandolo proprio alla permanenza ed all’influenza di Daniele in Babilonia.

Un ultimo dettaglio: anche i magi, come era accaduto al profeta Daniele, ricevettero una rivelazione divina in sogno, Matteo 2:12.

Troppe coincidenze. È perciò almeno verosimile che la presenza dei magi nel Nuovo Testamento sia un’ulteriore possibile prova della realtà storica della persona di Daniele, come la Bibbia ce lo descrive, e dell’attendibilità delle sue profezie. Si deve inoltre notare l’attendibilità della Sacra Scrittura anche come documento storico, capace di tramandare fedelmente per oltre due millenni, delle informazioni che la storia ha riportato alla luce solo in epoca relativamente recente, grazie alle scoperte archeologiche del XIX e XX secolo.

P.S.

Nella mia discussione so di essermi mosso, in alcuni punti, all’interno di un campo che non è prettamente mio. Per questo ho pensato di chiedere l’opinione di un esperto in materia.      Ho perciò consultato un astronomo professionista, mio amico, attualmente impegnato in campo universitario ed osservazioni astronomiche a tempo pieno. La sua risposta è stata davvero incoraggiante e la sua mail si concludeva così: “La cosa più ragionevole è che questi magi siano stati degli “scienziati” dell’epoca (facevano scienza con le conoscenze e tecnologie che avevano ma, per esempio, alcuni astronomi dei millenni scorsi erano in grado di calcolare le date delle eclissi) e che abbiano collegato un evento astronomico insolito ad una profezia.

Se la profezia era di origine ebraica, e così sembra, e questi magi venivano da un paese diverso, è lecito chiedersi come mai abbiano cercato un Messia o un re in Giudea.

L’interpretazione che tu prospetti, cioè che l’influenza di Daniele presso i babilonesi abbia lasciato questa traccia, è molto interessante e verosimile”.

Riprendo questo articolo anche nel mio commentario al libro biblico di Daniele.

IL LIBRO DI DANIELE – Commentario  storico-profetico – di Giuseppe Guarino

Lo studio del libro del profeta Daniele è essenziale per una corretta comprensione delle profezie messianiche sia della prima venuta del Messia sia del suo ritorno. Il commentario raccoglie informazioni storiche che attestano l’affidabilità del testo biblico, prove patristiche dell’antichità dell’interpretazione dei brani messianici e collegamenti con le profezie del Nuovo Testamento.

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