una presa, l’altro lasciato

Una presa, l’altro lasciato

1

Il lampo improvviso e il fragore di quel tuono ruppe il silenzio e la quiete di quella notte di fine estate. Lo fece sobbalzare nel letto, interrompendo un sogno sicuramente piacevole, ma il cui ricordo di colpo era già svanito. Gli occhi adesso aperti non percepivano nulla nel buio ripristinato. La mano si protese verso la parte di letto dove era la moglie…

– Hai visto che lampo? E che tuono!

Non trovò nessuno e la domanda rimase senza risposta.

– Maria… – chiamò a voce alta.

Nessuna risposta.

– Vabbè, torno a dormire – disse, come a completare e chiudere la questione.

Si svegliò con la voce di Alexa che lo informava: “sono le sette del mattino, la temperatura fuori è di 18 gradi. La massima oggi sarà di 25 gradi, in aumento rispetto alla media dell’anno precedente di 2 gradi”.

Con gli occhi ancora socchiusi, Salvatore Papale si alzò dal letto per dirigersi in bagno, mentre Alexa, incurante, continuava a parlare.

Aver sciacquato il viso lo aveva senz’altro risvegliato.

– Maria… – chiamò. Ma non aggiunse altro, vedendo che la parte del letto di solito occupata dalla moglie era vuota e ricordò che lo era anche durante la notte, dopo quel dannato temporale che lo aveva svegliato.

– Maria… – cominciò a chiamare dirigendosi verso la cucina.

Ma della moglie nessuna traccia.

Andò in lavanderia. Nulla. In bagno era già stato. Uscì in terrazza, ma la serranda era ancora abbassata, l’aveva alzata lui e che senso aveva adesso andare fuori e chiamarla? Eppure lo fece.

Notò come tutto fosse perfettamente asciutto nonostante il temporale notturno.

– Dov’è Maria? – si chiese.

Tornò in camera da letto. Il pigiama di Maria stava sul letto. Non occorreva essere un genio per capire che si era vestita ed era uscita.

Il pensiero lo tranquillizzò, ma la sensazione che qualcosa non andasse non lo lasciava. Era qualcosa che conosceva. Aveva provato qualcosa di simile quella volta che avevano litigato di brutto e, rincasato, non l’aveva più trovata: aveva impacchettato tutto ed era andata dalla sorella, Carla. Che cosa c’era voluto per convincerla a tornare!

Ma stavolta non avevano litigato. Lui non se n’era reso conto, comunque. Spesso constatava l’insofferenza di Maria per comportamenti che per lui erano perfettamente normali. Forse aveva fatto, forse detto, qualcosa che l’aveva irritata al punto di farla andare via? Possibilissimo.

– Se ne rimanesse da sua sorella. Stavolta non vado a pregare nessuno e scusarmi di cose che non ho fatto.

Ma come spesso accade nelle coppie, certe risoluzioni stanno molto più tempo sulla bocca che nel cuore e nella mente.

– Pronto. Alfredo, sono Salvatore. Maria è lì?

– Salvo. Stavo per chiamarti, per sapere se Carla fosse lì da te.

– Appostu semu – concluse Salvatore.

– Salvo, sai che ti dico: magari non tornassero. Arrifriscu!

Alfredo non scherzava. Era un cinico che trasudava amarezza da tutti i pori: ce l’aveva con il mondo intero e manifestava questa insofferenza con chiunque incrociasse il suo cammino. Ciò lo rendeva simpatico a pochi; diciamo quasi a nessuno. E di sicuro non era simpatico a Salvatore, che doveva sopportarselo vicino ogni volta che sua moglie voleva stare con la sorella.

Carla compensava con suo marito. Era dolce, sempre sorridente. Chissà quale sadica ironia del destino spinge due persone così diverse ad attrarsi così tanto, al punto da decidere di unire il loro cammino. Era anche una donna molto bella, e con l’età sembrava che la sua giovialità avesse contribuito a preservare anche la dolcezza dei suoi tratti.

– Carla ha lasciato il cellulare a casa. Maria?

La domanda di Alfredo era lecita. Salvatore chiuse il telefono di casa senza dire altro – amava dare ad Alfredo ulteriori validi motivi per avercela con il prossimo.

Prese il suo cellulare sul comodino e chiamò quello della moglie.

– Squilla! – esclamò con sollievo.

Ma il suo entusiasmo divenne immediatamente preoccupazione quando sentì la vibrazione del telefono provenire dal cassetto del comodino di lei.

– Dove sei Maria?

Non si perse d’animo. Chiamò il cellulare di Carla. Squillava.

– Pronto.

Era la voce di Alfredo.

– Pronto.

Chiuse la comunicazione, con l’ennesima sensazione di fastidio per la scelta della cognata, che si era ostinata a sposare quel cretino.

Salvatore sedette sul letto. La sua semplice domanda esprimeva tutto lo smarrimento che l’aveva colto.

– Cosa faccio adesso?

 

 

2

 

 

 

La sala di attesa della Caserma di Polizia era piena di gente e il vocio era quasi assordante. Salvatore non aveva voglia di parlare, né di ascoltare; ma aveva compreso che si trovavano tutti lì per lo stesso motivo. A chi era scomparsa la moglie, a chi il marito, a chi i genitori e a chi un figlio.

Ormai era un giorno intero che non aveva notizie della moglie e la preoccupazione era davvero tanta. Di colpo erano scomparse tutte le liti, le incomprensioni, i fraintendimenti. Restava solo il silenzio di casa sua senza la donna con la quale aveva, nel bene e nel male, condiviso vent’anni della sua esistenza.

Il fatto che non riuscisse ad esternare i suoi sentimenti come gli altri, lo faceva sentire solo e schiacciato sotto un peso che non riusciva a reggere. Era qualcosa più forte di lui e non sapeva gestirlo. Per anni aveva fatto di sua moglie il suo scudo e la sua custode. Era lei la persona che filtrava e palesava i suoi stati d’animo. Era lei il punto d’incontro con il mondo esterno. Era lei che gli rendeva più sopportabile ogni peso.

E adesso non c’era più.

Decise finalmente di guardarsi intorno. Uomini e donne si abbandonavano alle più disparate reazioni. Alcuni piangevano e gridavano, chiamando il nome dello scomparso; senza ritegno, con disperazione. Altri erano silenziosi, abbracciati a qualcuno di caro.

D’un tratto uno dei presenti impose la sua voce su quella degli altri e chiese il silenzio per ascoltare le notizie che venivano dalla tv posta in alto, sintonizzata sul canale nazionale.

La speaker diceva: “È stata dichiarata l’allerta mondiale per le scomparse che vengono denunciate in ogni parte del globo. Il Presidente degli Stati Uniti ha confessato che la nazione si trova impreparata davanti ad un evento di una tale portata. Seri sospetti sono a favore di una abduzione extraterrestre di massa – per quanto possa sembrare folle. Le indagini proseguono in ogni direzione. Il governo italiano invita alla calma e a denunciare telematicamente la scomparsa dei propri cari solo se certi che non si siano volutamente allontanati dalla loro dimora. Un portale è stato aperto a questo scopo. Vengono invitati i cittadini a non intasare le stazioni di polizia. Viene istituita immediatamente la legge marziale e un coprifuoco dalle 20:00 alle 7:00 del mattino. Si invitano i cittadini a non uscire di casa se non strettamente necessario”.

Un agente di polizia si presentò nel corridoio imponendo la sua voce su tutti.

– Avete sentito? Tornate tutti a casa e utilizzate internet per denunciare le scomparse sul portale.

Vi furono ancora scene di pianto e disperazione.

Salvo era in preda adesso ad una sensazione di calma irreale. Innaturale. Inspiegabile. Era la sua reazione a tanto clamore. Era il suo modo naturale di reagire al trambusto della vita quando questo lo assediava. Nei centri commerciali. Nei negozi. Nella folla. Rifiutava l’isterismo collettivo, non accettava che i suoi sentimenti e i suoi comportamenti fossero dettati da quelli della folla che lo circondava e si rifugiava in una calma assoluta, una passività totale. Quindi adesso, almeno all’apparenza, era in perfetto controllo dei suoi sentimenti e delle sue azioni.

Non c’era altro da fare se non quello che avevano stabilito le autorità: tornare a casa e aspettare, segnalare la scomparsa… e… pregare?

Non aveva mai pregato in vita sua. Dio per lui era l’amico invisibile degli adulti incapaci di rendersi conto che siamo soli a questo mondo. Lui è sempre stato solo. Tranne che quando era con Maria. E Maria adesso, di colpo, non c’era più.

Maria pregava sempre. Lui la rispettava e aspettava sempre con pazienza che finisse, qualsiasi cosa stesse dicendo e a chiunque la stesse dicendo. Non si definiva “ateo” se gli chiedevano, piuttosto un osservatore disinteressato del fenomeno del sentire religioso. Era forse anche per quel senso di estraneità da certi modi comuni di sentire o per semplice disinteresse sull’argomento che affermava con convinzione di non credere che vi fosse un Dio sopra di lui e sopra l’umanità.

Maria ne parlava sempre invece.

Mentre queste sue riflessioni riempivano la sua mente al punto da isolarlo dal resto della gente e dal vociare che lo circondava, mentre lentamente avanzava verso l’uscita della struttura un uomo gli si parò davanti, afferrandolo per le spalle con entrambe le braccia.

– Avevano ragione. Ora mancano solo sette anni. Sette anni. Capisci? È finita, proprio come dicevano loro… E io non gli ho dato ascolto. Capisci? Non gli ho dato ascolto.

L’uomo quindi crollò a terra, sulle sue ginocchia e cominciò a piangere a dirotto, disperandosi.

Salvo poté così aggirarlo facilmente e passare avanti.

Nella sua mente, ma anche sussurrandolo fra i denti pensò e disse: “ce ne stanno di pazzi al mondo. Probabilmente sono quelli che sono restati. Come spesso accade: sono quelli buoni che vanno via per primi”. Non sapeva quanto avesse ragione a pensarlo!

Continuava con le sue riflessioni: “Era Maria quella buona fra noi due, era ovvio che non prendessero me. Sono io quello che non serve a niente, è ovvio che sono restato. Ora ho solo una casa vuota e una vita inutile, che devo vivere aspettando Maria, se ritornerà. L’aspetterò per sempre, non mi interessa altro ormai. Con lei è andata via ogni ragione di vita”.

Nel tragitto per tornare a casa passò da quel maledetto ponte, dove in tanti erano saltati giù. Sembrava chiamarlo.

Accostò l’auto e scese.

La calma della notte era innaturale lì. Il silenzio era assoluto, rotto soltanto dalla lieve musica dell’acqua che scorreva pacifica.

“Al mondo che gliene frega se Maria non c’è più. Vedi che Dio non esiste? Dov’è adesso? Sono solo io, il ponte e l’acqua. Oltre: la pace, la fine di questo dolore che silenzioso cresce dentro ogni minuto di più”.

Salì a fatica sul bordo in pietra e guardò giù. Rise. Forte. Poi pianse, ancora più forte.

– Maledetto, me l’hai tolta. Avevo solo lei e te la sei presa. Non ti bastava tutto il resto, pure lei volevi. Contento? Adesso sono solo e disperato. Ti fa stare bene la cosa?

Fece per saltare ma una folata fortissima di un vento venuto dal nulla lo fece rimbalzare indietro. Cadde sul marciapiede malamente, facendosi male ad un braccio e alla spalla. Il dolore riportò in vita il suo senso di autoconservazione. Senza riflettere più di tanto si rialzò, non senza un’immane fatica e si diresse all’auto. Faceva male tutto ma il braccio non sembrava rotto.

Riavviò l’auto e si diresse verso casa.

– Non disperare: non è detta l’ultima parola. Forse tornerà. Non vuoi mica che torni e non ti trovi ad aspettarla. Cosa penserà di te se torna a casa e non ti trova?

 

 

 

3

 

 

 

Aveva conosciuto Maria anni prima. Era dolce, piccolina, dalla voce flebile e dai modi gentili. Diversa da tutte le altre donne. Sembrava avere bisogno di protezione e lui sentì subito il bisogno di essere lui a volersi prendere cura di lei.

Non c’era mai stata nessuna prima e non vi fu nessuna dopo. Una di quelle storie d’amore dove i protagonisti si amano e amano l’idea di loro insieme. Tanti anni di matrimonio…

– Quanti sono? Era Maria che teneva il conto… Fammi pensare…

I conti non erano il suo forte.

Guardò le cose di Maria. I suoi libri. I suoi trucchi. I vestiti. Tutto in perfetto ordine, come quando usciva a fare le commissioni o con le amiche. O in chiesa. Tutto quel tempo in chiesa!

Stranamente la sua vestaglia da notte era in terra, accanto alle sue scarpe da casa preferite. Rimase a guardare quella scena come se potesse dirgli qualcosa, come se volesse dirgli qualcosa. Come se fosse un indizio per qualcosa che doveva sapere, o che un tempo sapeva e che ora non riusciva a ricordare.

Raccolse l’indumento con cura e immensa delicatezza, come quando stringeva la mano di Maria. Lo portò al viso e respirò l’odore inconfondibile di lei, il profumo della sua pelle, ancora lì, su quel tessuto.

– Dove sei Maria?

Trasalì, quando il silenzio venne rotto dal campanello di casa.

Si diresse verso l’ingresso infastidito.

– Chi è? – chiese.

– Sono Alfredo, apri.

Era l’ultima persona che voleva vedere e stava alla sua porta, e pretendeva pure di voler entrare a casa sua.

Aprì la porta d’ingresso sconsolato, rassegnato. Riluttante, ma in ossequio alle buone maniere. Ma no, andassero a quel paese le buone maniere.

– Che vuoi Alfredo? – chiese con tono secco, appena i due furono uno davanti all’altro.

– Posso entrare?

– Che ti serve?

– Tu fammi entrare.

– No, tu dimmi che cosa vuoi. Adesso non è proprio il momento giusto. Ti prego, vattene senza farmi alzare la pressione e scoppiare. Manca poco che esplodo e me la prendo con qualcuno, così per sfogare. E quel qualcuno potresti essere tu. Va bene? Ciao…

Salvo fece per richiudere la porta,  ma lentamente.

– Salvo – disse Alfredo con tono pacato, quasi non curante. – Io so cosa è successo alle ragazze.

 

 

 

4

 

 

 

La situazione lo infastidiva. L’invadenza di suo cognato lo disturbava. Ma quella frase, la possibilità che lui sapesse: non poteva lasciarlo andare via senza ascoltarlo.

Lì, seduti in cucina, lo guardava perplesso. Con la tazza di caffè fumante davanti, incomprensibilmente colma di caffè fino all’orlo, con i due cucchiaini di zucchero che completavano il disastro…

“Questo manco il caffè sa prendere e dovrebbe sapere cosa è successo a Maria? Ma sono più cretino di lui a dargli una possibilità? Secondo me, ‘si’”.

– So cosa è successo alle ragazze – disse sorseggiando il suo caffè.

– Sentiamo piccolo Sherlock Holmes, dimmi cosa è successo.

– Se le è portate via Gesù.

Salvo rimase pietrificato alla luce di tanta demenza espressa con così tanto candore.

– Ma tu sei scemo! Lo so da una vita che sei scemo e ora hai dissipato ogni minimo dubbio. Ma vattene a quel paese… Dai finisci il caffè e tornatene da dove sei venuto.

Come accadeva regolarmente davanti all’estrema franchezza del cognato, che spesso oltrepassava senza problemi la soglia della maleducazione, Alfredo non si scompose.

– Guarda che è come ti dico io.

– Guarda di finire il caffè e andartene.

– Io me ne vado, ma sempre Gesù se l’è  portate e noi stiamo nei guai.

– Che siamo nei guai senza di loro, lo so.

– No, no. Non solo per quello.

– Ascolta, non sono per nulla dell’umore per sentire le tue scemenze.

– Io ho trovato degli appunti di Carla. Ho visto dei libri, degli opuscoletti che stava leggendo.

– Quelli di quella chiesa che stavano frequentando ultimamente? Anche Maria ha una Bibbia, appunti, libri. Ci mancava solo questa. Da due anni a questa parte si era fissata con questa cosa della Bibbia, Gesù, lo Spirito Santo. Gliel’ho detto io: fattele pagare da Dio le bollette e lo Spirito Santo può pensare al mutuo.

– E se loro avessero avuto ragione? Se Dio esistesse davvero? “E se Gesù fosse vivo”, come diceva sempre la mia Carla? E se quello che c’è scritto nella Bibbia fosse vero?

– Che c’entra ora la Bibbia e Gesù con questa faccenda. L’hai capito o no che sono scomparse? Qui ci stanno nascondendo qualcosa. Un’arma, una maniera molto sofisticata per diminuire la popolazione, qualcosa del genere.

– No, no. Io ci sono stato in chiesa con loro. Le ho sentite le cose che dicevano.

– Vedi perché io non sono mai voluto andare? Per non lasciarmi impressionare come te, per non farmi suggestionare…

– Questi lo sapevano che sarebbero scomparsi da un momento all’altro.

– Che vuoi dire?

– Che se lo aspettavano, da un momento all’altro. Non sapevano esattamente quando. Ma Carla mi diceva che se lo sentiva che sarebbe successo a breve. Tu avresti dovuto esserci la domenica: lo dicevano con tanta convinzione.

– Tu stai delirando. Dio non c’entra nulla. Guarda, te lo dimostro.

Salvo accese la tv. Tutte le reti parlavano bene o male della stessa cosa. Si tenevano forum, discussioni, speciali televisivi, edizioni speciali permanenti con aggiornamenti in tempo reale della situazione.

Ad un certo punto Salvo si fermò su un canale.

– Ecco, guarda qui.

– Che significa?

– Io non ne riconosco il significato come simbolo, ma è o non è il capo del cristianesimo? Guardalo, è ancora qui e parla della cosa come tutti gli altri capo di stato.

– Che c’entra questo?

– Gesù si è portato via Carla e Maria e ha lasciato lui?

– Evidentemente.

– Alfredo, è una vita che dici scemenze, ma adesso ti sei superato. Guarda che non è il momento. Finisci il caffè e vai via per favore, non ne posso più di sentire certe assurdità.

Ma Alfredo continuò a parlare, tirando fuori dalla tasca un opuscolo. Gesto che irritò Salvo ulteriormente.

– Guarda, questo è un opuscolo che ho trovato sul comodino di Carla: “L’Anticristo e il rapimento della Chiesa”.

– Io non ne posso più di sentire questa roba. Qui abbiamo un problema serio, lo capisci o no? Demente che non sei altro.

Ma Alfredo continuava come se il cognato non avesse detto nulla. Anzi, aprì l’opuscoletto e cominciò a leggere.

– Ascolta qui, a pag. 30: “Il mondo si chiederà che fine avranno fatto milioni e milioni di cristiani. La risposta è nelle parole di Gesù: “Allora due saranno nel campo; l’uno sarà preso e l’altro lasciato; due donne macineranno al mulino: l’una sarà presa e l’altra lasciata.” Molti spariranno lasciando nello sconforto i propri cari, ignari di ciò che è realmente accaduto. Se per caso state leggendo questo opuscolo, se per caso i vostri figli, vostro marito o moglie, i vostri genitori, sono d’improvviso scomparsi, sappiate che Gesù l’aveva annunciato che sarebbe tornato a prenderci e che purtroppo alcuni sarebbero stati lasciati”.

Finito di leggere questo brano fra i due vi fu il più assoluto silenzio. Salvo era visibilmente scosso. L’idea di Dio, l’idea di aver avuto torto su di lui per tutta la sua vita e che questo suo fatale errore gli fosse pure costato Maria gli provocava un misto di nausea e vertigine.

L’attenzione dei due venne catalizzata dal televisore e dalle parole dello speaker.

“Le nazioni di tutto il mondo hanno immediatamente rimesso la loro sovranità nelle mani del presidente dell’assemblea dell’ONU all’unanimità. Victor Abrahamovitz guiderà il mondo in una transizione di pace. Le scomparse che hanno segnato i giorni scorsi sono dovute all’utilizzo di un’arma sperimentale nelle mani di terroristi senza scrupoli, già individuati e neutralizzati dalle forze speciali dell’ONU. Il presidente ha detto che, citiamo: “è finito il tempo delle identità nazionali che dividono, ed è giunto il momento dell’unità e della pace. Le armi in medio-oriente e in tutto il resto del mondo hanno cessato di far fuoco. Gli eserciti sono fermi nelle loro posizioni e tutte le nazioni si rimettono fiduciose alle disposizioni della nuova presidenza mondiale”.

– Vedi? Altro che Gesù. Bastardi, hanno ucciso la mia Maria. Che cosa mi è rimasto in questo mondo?

– Ci sono io con te – disse Alfredo al momento sbagliato.

Salvo lo prese dal colletto e lo fece alzare. Gli tolse la tazzina dalle mani e la fece volare con violenza contro il muro dove si infranse facendo un botto tremendo. Spingendolo lo accompagnò verso la porta di ingresso.

– Vattene via tu, il tuo Gesù, Dio, e tutti i santi del paradiso, che nemmeno esiste! – gridò. – E lasciatemi in pace!

Chiuse la porta con una tale violenza che si sentì chiaramente il muro di casa scricchiolare.

Tornò in cucina, dove regnava il sottofondo della tv e una scena innaturale, con caffè e cocci di tazzina ovunque.

L’opuscolo era sul tavolo, sfuggito alla sua furia e agli schizzi del caffè che erano ovunque.

Lo prese, lo arrotolò con rabbia e lo spinse a forza nella pattumiera.

5

 

 

 

Quante feste avevano fatto su quella terrazza.

La vista era davvero bella, si dominava quasi tutta la città. La notte in particolare, era ancora più suggestiva.

La gioia di quei momenti gli sembrava adesso così lontana. Maria non c’era più, e non sarebbe mai più tornata. Erano andati a dormire la sera e la mattina lei non c’era più e non sarebbe mai più tornata.

Con passi esitanti salì sul muretto che segnava il perimetro della terrazza. Diede un timido sguardo verso il basso: sei piani lo separavano dall’asfalto. Sei piani lo separavano dalla fine di quel dolore che cresceva di minuto in minuto. Lei era morta e per lui adesso vivere era inutile, non aveva nessun senso. Due passi lo separavano dalla fine di quel dolore. E non riusciva ad immaginare altra soluzione possibile.

Avvertì d’un tratto come un fastidio interiore, una sorta di interferenza che lo spinse a parlare a voce alta, come se qualcuno lo avesse interrogato e come se lui sentisse d’un tratto il bisogno di giustificarsi o anche solo spiegare.

– Mi avevi già tolto mia madre, no? Lì su quel letto a pregare un Dio che non sente ragioni. Era lì che pregava e che moriva. Moriva e ti benediceva pure: la follia più assoluta. Mi lasciava per sempre e diceva che Dio si sarebbe preso cura di me.

Proruppe in una risata.

– Curato di me…

Poi le lacrime cominciarono a scendere inarrestabili. Percorrevano quel tragitto nell’aria che fra poco avrebbe intrapreso anche lui: volavano, volavano via e scomparivano.

– Non ti bastava: adesso ti sei preso anche Maria. Bravo, ottimo lavoro, tu si che hai saputo prenderti cura di me. Fino a portarmi alla disperazione più nera, più assoluta. Ma io ti frego, io non ci sto. Io scendo qui capostazione, ferma questo maledetto treno o scendo in corsa. Non ho più paura. Non ho paura di morire, non ho paura di te e di nessuno.

Fu infastidito da delle parole che sembravano comparire dal nulla dentro la sua mente e alle quali rispose con rabbia.

– Non ho paura di vivere – disse digrignando i denti.  – Ma non ti voglio sapere contento di avermi distrutto di nuovo, sono io che decido che è finita stavolta. Basta. Non me lo puoi impedire nemmeno tu…

Il dialogo nella sua mente si fece ancora più forte, insistente, insopportabile.

– Non c’è nulla dopo, non mi prendi in giro. C’è solo il silenzio, la fine del dolore. E tu non esisti nemmeno, sei solo l’invenzione di chi vuole trovare una via d’uscita. Ma non c’è via d’uscita, se non la morte. E io sono pronto ad affrontarla. Voglio dormire un sonno senza sogni, dormire e non svegliarmi più. Ho deciso e nessuno può farmi cambiare idea.

Finalmente il silenzio pervadeva la sua anima come tutto intorno a lui. Una quiete indescrivibile lo colse, dall’interno verso l’esterno. In bilico fra la vita e la morte, sembrava tutto svanito di colpo. Dolore e ricordi. Per un attimo fu come se stesse pregustando l’oblio verso il quale voleva volare saltando giù.

Poi rise. Rise per la battuta cretina che faceva sempre un suo collega e che follemente gli venne in mente proprio in quel momento così estremo: “non è che l’uomo non sappia volare, è che abbiamo problemi con l’atterraggio”.

Rise ancora.

Poi d’improvviso squillò il telefono. Istintiva-mente lo aveva messo in tasca uscendo di casa.

Lo prese e guardò chi era: Alfredo.

– Non ci posso credere – esclamò. – Questo non mi fa nemmeno crepare in pace, rompe pure adesso.

Senza un motivo razionale rispose. Sgarbato, infastidito.

– Che vuoi adesso? – chiese.

– Maria e mia moglie non sono morte.

Per la prima volta in anni di conoscenza, Alfredo riuscì a catalizzare l’attenzione di suo cognato.

– Che vuoi dire? – chiese in tono serio.

– Non torneranno, però noi possiamo andare da loro.

– Che cavolo dici?

– Noi possiamo andare da loro, possiamo andare da loro…

Per la prima volta nella sua vita ebbe compassione per suo cognato, per quel uomo, per lui tanto insignificante e stupido, ma che adesso piangeva dall’altra parte del telefono che stringeva in mano forte.

– Vieni a casa mia – disse Alfredo, con tono ancora scosso. – Ci sono delle persone che devi conoscere anche tu.

Il tragitto fu breve, perché le due sorelle avevano scelto di abitare una non troppo lontana dall’altra. Fece la strada a piedi, quasi di corsa. E quando la voce al citofono chiese: “chi è?” Lui rispose con il fiatone, ma sgraziatamente: “Io. Apri”.

Fece le scale rapidamente, spinse la porta d’ingresso che era socchiusa, si diresse verso il soggiorno seguendo la voce che gli diceva: “vieni qui in soggiorno, siamo qui”. Quel “siamo” gli diede per qualche attimo i brividi e una impossibile speranza. Infranta pochi istanti dopo quando entrò nella camera dove sedevano almeno sei persone oltre suo cognato. Per un attimo si fermò a guardarle, una per una, e non poté fare a meno di capire istintivamente, che anche loro vivevano il suo stesso dramma. Gli sguardi di tutti erano puntati su di lui, mentre sul gruppo era sceso un silenzio innaturale.

Una donna, sulla cinquantina, in un qualche modo comprese dal viso di Salvatore che le sue domande erano un po’ quelle di tutti in quella stanza.

– Abbiamo tutti una cosa in comune in questa stanza – disse. – Siamo tutti stati lasciati e i nostri cari presi.

 

 

6

 

 

 

Erano circa sette persone, non molti. Non credeva di conoscere nessuno di loro. Quel pensiero di avere tanto in comune con degli sconosciuti gli faceva pensare a quegli incontri dell’anonima alcolisti o altre terapie di gruppo che si vedono sempre più spesso nei film e telefilm.

Dopo aver guardato ognuno di loro ebbe la sensazione di essere arrivato quando la discussione era già stata fatta e magari delle conclusioni erano state tratte. Era come se tutti stessero lì a guardarlo con in volto l’espressione del tipo: “e adesso chi glielo dice a questo…”.

Si era seduto dove aveva trovato posto. Aveva salutato timidamente e altrettanto timidamente, quasi sussurrando gli altri lo avevano salutato.

– Salvo, lo vuoi un caffè? – gli chiese suo cognato.

– Si, grazie – rispose subito. Ma con la mente andò con una certa tristezza a quando, in un’atmosfera meno mesta, era sua cognata a chiedergli, proprio in quella stanza, se gradisse un caffè. A lui, interrogati, si aggregarono altri. Suo cognato contò a voce alta i caffè da farsi e ripetendolo a voce alta, andò verso la cucina.

Gli venne naturale rivolgersi alla donna che aveva parlato.

– Mi spieghi cosa volevi dire?

La donna lo guardò con gli occhi gonfi e un’espressione di profonda tristezza. Notò le mani di lei giunte e tremanti.

– Forse tocca a me parlare – disse l’uomo a destra della donna unendo con dolcezza le sue mani a quelle della donna.

– Chiunque va bene. Alfredo delirava, mi ha detto che sa dov’è mia moglie e che io posso raggiungerla. Non so chi siete e onestamente in questo momento non mi importa molto. Mi importa solo di Maria. Se non è morta io voglio saperlo.

– Noi siamo sicuri che Maria non è morta. E lo stesso vale per sua sorella e per i parenti delle persone che sono qui.

– Ascolti…

– Paolo.

– Ascolti, Paolo. Apprezzerei molto se evitasse di fare il misterioso e mi spiegasse cosa sta succedendo qui.

Il tono di Salvatore era forte, deciso; quasi rabbioso, o minaccioso di poterlo diventare in breve.

– Io sono un diacono della chiesa che frequenta sua moglie.

– Solo questa ci mancava, quei fissati della sua chiesa. Siete tutti della sua chiesa, allora. Vi siete scelti il momento sbagliato per … evangelizzarmi. Proprio ora di Dio io non ne voglio più sapere. Già non ci andavo d’accordo prima, figurati dopo questa che mi ha fatto…

Al pianto della prima donna si unì anche quello di un’altra.

– Solo io frequentavo la chiesa di sua moglie. Assistevo il pastore. Le altre persone qui le ho contattate io, sono tutte parenti di membri della nostra chiesa che hanno perso i loro cari.

D’un tratto si alzò un uomo, molto alto, robusto, sulla quarantina.

– Ma non le pare strano? In tv dicono tutte quelle balle su un attacco terroristico. Un attacco terroristico che ha colpito misteriosamente dei credenti e li ha fatti scomparire di colpo, tutti insieme? No, no. Mia sorella aveva ragione, ha sempre avuto ragione. E io non l’ho mai ascoltata. E adesso siamo tutti persi, tutti condannati. Non abbiamo scampo. Mi ha detto per anni che questo momento sarebbe arrivato, e io non le ho voluto credere.

Non ci capiva nulla. Vedeva delle persone che soffrivano, si; ma erano anche in stato di shock, incapaci di fare un discorso coerente, che avesse un senso compiuto. Ma avvertì una strana sensazione: come se la risposta alle sue domande fosse lì, e che in qualche modo doveva essere lui a carpirla a quella gente.

– Dov’è mia moglie? – chiese. Era l’unica cosa che gli importava.

– La cosa che più conta e che voglio che voi sappiate è che i vostri cari stanno bene – Rispose “l’uomo di chiesa”. – Non so perché Dio ha lasciato me. Ha preso mia moglie, i miei due figli, ma ha lasciato me. Ho pregato per due giorni e adesso ho trovato la pace, forse una pace che non ho mai avuto. So dove sono i miei cari e so cosa devo fare se voglio riunirmi a loro un giorno. E lo stesso vale per tutti noi. Io adesso so che posso dare un senso a questa tragedia solo se parlo con più persone possibile, finché potrò, della verità di ciò che è successo.

Arrivò Alfredo con i caffè. Chi lo aveva richiesto si fece avanti, rispondendo all’interrogazione sullo zucchero. Salvatore prendeva il caffè amaro, da sempre. Amava quel gusto lungo nella bocca, che diventava dolce prima di svanire.

Una tazza di caffè era toccata all’oratore che si fermò per gustarla. Il momento in cui si sorseggia da una tazzina di caffè è sacro. Che strano che anche quella circostanza così terribile non fosse un’eccezione.

Salvatore non resistette all’impulso e dovette per forza aggiungere un suo commento.

– Ma manco un caffè sai fare, Alfredo. Fa proprio schifo, mi hai avvelenato.

Alfredo si sentì mortificato per la crudezza del cognato. Si levarono timide voci in sua difesa.

– Non è male – disse una delle donne.

– Mia moglie faceva un ottimo caffè – disse con un tono di una tristezza infinita l’uomo. – Ma mia moglie adesso non c’è più…

Il silenzio venne interrotto, finalmente da parole di speranza…

– Puoi andare tu da lei, però. Potrai incontrarla, essere dove adesso è lei, incontrare Gesù…

Non appena Alfredo sentì quel nome saltò in piedi.

– Non iniziate a parlarmi di Gesù, Dio, Spirito Santo… Non cominciate.

Esplose con una furia che portò visibile imbarazzo nel gruppo.

– Alfredo, lo sai che non ne voglio sentire parlare di queste cose. Perché mi hai fatto venire qui? Se avete una motivazione, una spiegazione razionale io sono qui per ascoltarla. Ma se dovete iniziare con quel delirio religioso da donnicciole impaurite, grazie, ne faccio a meno.

– I problemi si possono affrontare davvero solo se si è pronti ad accettare la verità.

– Voglio parlare con gente sana di mente, non con fanatici religiosi che colgono l’occasione del dolore altrui per tirarmi dentro alla setta di turno!

Salvatore era in piedi, digrignava i denti, agitava i pugni ed aveva un’espressione in viso di rabbia pura…

– Tua moglie, i nostri cari, sono stati tutti portati via da Gesù, come lui aveva promesso che un giorno avrebbe fatto.

– Ecco, un motivo in più per avercela con lui. Maria era mia, era la mia unica gioia, la mia felicità, l’unica persona alla quale io tenevo. E ha voluto anche lei.

– Lui l’ha portata via per salvarla.

– Salvarla da cosa? Stavamo bene…

– Salvarla da quello che dovrà succedere da ora in avanti.

Piano piano il tono di Salvatore si placava davanti alla tranquilla fermezza del suo interlocutore, l’unico che gli sembrasse davvero lucido ed equilibrato.

– E cosa deve succedere?

– Se hai un po’ di tempo da dedicarmi… – disse Paolo. – Se avete un po’ di tempo da dedicarmi, spiego un po’ a tutti voi cosa è successo e cosa dobbiamo aspettarci da qui in avanti.

Salvatore si sedette. Recuperò una certa calma, mentre tutti bene o male manifestavano il profondo bisogno di saperne di più, di capire.

– Di tempo da dedicarti adesso ne ho tanto.

7

 

 

 

– Mi chiamo Anna Saglimbene. Mio marito iniziò a cambiare, a frequentare la chiesa dopo la morte di sua madre. Lei era una donna di fede profonda e vera e durante il suo funerale venne letta una lettera che aveva scritto proprio per quel giorno e indirizzata ai figli e a quanti fossero stati riuniti lì per salutarla. Mimmo rimase colpito dalle parole di quella lettera, in maniera profonda. E da quel momento tutto cambiò nella sua vita.

Anna era una donna semplice. Aveva superato da poco la cinquantina. In quel momento appariva confusa con appena visibile ciò che restava del trucco del giorno prima. Era una bella donna, ma di quella bellezza semplice, non sofisticata, delle donne di altri tempi.

Il silenzio e gli sguardi che andava interrogando le fecero comprendere che poteva continuare a raccontare la sua storia.

– Mimmo cominciò ad andare in chiesa. Lo faceva con un entusiasmo che io, lo confesso, non capivo. Ma mi piaceva. Mi piaceva vederlo più sereno, più sorridente e pensavo che gli facesse davvero bene frequentare quel posto. A me non interessava molto, mi spiace ma devo dirlo. Io in Dio ci credo fino a un certo punto. Anche se ora devo ammettere che sono confusa.

– Perché? – chiese istintivamente Salvatore.

– Perché Mimmo me lo diceva sempre: “il Signore sta tornando e ci porterà via con lui. Pensaci, mi diceva, pensaci ora che puoi. Non lo sappiamo quando torna, ma ormai manca poco”. Me lo diceva con gioia, felice; ma io mi rattristavo perché parlava di andare via con Gesù… E io?

Il silenzio era fitto.

– E io adesso sono qui e lui non c’è più davvero. Lui è con Gesù, come aveva detto, e mi ha lasciato sola. Gesù ha preso anche i miei figli. Io adesso sono sola…

E pianse, con una tale improvvisa contagiosa disperazione che spinse altri a non riuscire a trattenere le lacrime.

– Io invece – disse il più giovane del gruppo, un ragazzo intorno ai trenta, – sono stato io a convincere la mia famiglia a cominciare a frequentare una chiesa. Poi ho conosciuto una ragazza, ho trovato un lavoro… Piano piano mi sono allontanato. All’inizio pensavo che anche se fisicamente lontano dalla chiesa il mio cuore comunque apparteneva a Dio; poi anche quello, piano piano, si è dimenticato di lui… Io non ero pronto, io non avevo olio nella lampada…

– Ma di che parli? Che olio? Che lampada? – disse Salvatore confuso dagli sproloqui di quelli che più li ascoltava più gli sembravano gente fuori di testa. – Mi parlate di Gesù, di olio, di chiesa; ma qui abbiamo dei nostri cari che sono spariti e non è un racconto di fantascienza, ma la realtà e la motivazione deve essere razionale, non la possiamo cercare nelle favole di fanatici religiosi.

– E allora perché sono scomparse tutte persone che amavano Dio e che vivevano da cristiani? – ribadì il ragazzo con forte convinzione.

– Questo lo dite voi. Non siamo nemmeno in dieci in questa stanza. Non sappiamo chi è scomparso altrove in cosa credesse. Mancheranno anche buddisti, musulmani… Anche atei. Gesù s’è portato via anche quelli?

Salvatore parve a tutti risoluto. Ma nessuno prese la sua parte. Si sentì l’unico essere pensante in mezzo a gente che delirava per il dolore della propria perdita. Anche lui stava male, ma non aveva ancora perso il lume della ragione.

– Io vado via.

Lo disse come se si aspettasse che qualcuno provasse a fermarlo. Ma non fu così. Era come se ognuno fosse chiuso in se stesso, nel proprio dolore e in un silenzio che veniva dal profondo dell’anima.

E paura. Per la prima volta Salvatore capì, percepì quella profonda sensazione di paura che attanagliava i cuori di quei poveri disgraziati.

Salutò e uscì risoluto, come se sapesse dove andare o avesse qualcuno da cui tornare.

 

 

8

 

 

 

– Aiutaci – disse Anna rivolgendosi all’unico che forse ne capiva abbastanza di Bibbia per poter spiegare davvero cosa stesse accadendo. – Dicci cosa è successo davvero ai nostri cari. La Bibbia dice cosa dobbiamo aspettarci da qua in avanti?

Lo sguardo di tutti puntava su di lui, che sentiva tutto il peso della responsabilità che gli derivava dalla sua posizione.

– Alcuni di voi mi conoscono. Si, servivo in una chiesa evangelica come diacono, ormai da anni. Il mio pastore, quasi tutti i membri, tranne tu Anna che mi conosci, che eri simpatizzante, sono tutti andati via. Non è come diceva Salvatore. Io sono sicuro che mancano soltanto i veri credenti del Signore. Io sono rimasto solo. Il Signore ha preso mia moglie e i miei figli, come ho già detto. Tu Anna li conoscevi. Perché ha lasciato me? Forse lo so, forse non lo so. Ma so una cosa: sono qui adesso e voglio dare un senso a tutto questo facendo ciò che prima non ho fatto solo per mancanza di fede.

– Per rispondere alla domanda di Anna – proseguì. – Non c’è nulla di buono che dobbiamo aspettarci. In Apocalisse leggiamo di tutti i giudizi che da questo momento in avanti cadranno sull’umanità impenitente. Assisteremo ad una escalation di guerre, malattie, epidemie, catastrofi.

Mentre l’attenzione di tutti era catalizzata su Paolo, uno dei presenti balzò in piedi.

– Ha ragione Salvatore – disse. – A me questi sembrano ragionamenti folli, senza senso. Sono sicuro che le autorità sapranno spiegarci cosa è successo veramente. Mia figlia era solo una svitata che era stata plagiata da una setta di fanatici. E per quanto mi riguarda voi non siete meglio di loro.

Era come infierire su un nemico a terra, sanguinante, inerme, incapace di reagire. Nessuno nella stanza ebbe la forza di controbattere le parole dell’uomo in alcun modo.

– Vedo che non avete nulla di serio da dire in proposito – aggiunse l’uomo. – Vado via anche io.

Mentre l’uomo andava, Paolo si alzò.

– Dio ti benedica – disse all’indirizzo di quel uomo che andava, senza che però lui nemmeno si voltasse. – Se avrai bisogno di me, sappi che ci sono, puoi cercarmi in qualunque momento.

Il rumore della porta d’ingresso che si chiudeva non lasciava molta speranza a quell’invito.

– Gesù ha preso con sé la sua Chiesa  – continuò Paolo. – È chiaro. Lo diceva l’apostolo Paolo che il Signore avrebbe chiamato i cristiani in vita al ritorno di Gesù ad incontrarlo nelle nuvole e poi sarebbero iniziati i giudizi per questo mondo, sul quale Satana si sarebbe rivolto con odio indicibile perché sa di avere poco tempo.

– Scusa Paolo – disse Anna, – ma se Gesù è tornato e noi non vediamo nulla, non verrà in modo visibile. Finisce tutto così? La Chiesa in cielo e noi qui?

Anna era la più vivace, mentre gli altri erano quasi impietriti nel loro dolore, chiusi nel silenzio, passivi. Ognuno del resto reagisce al dolore a modo suo. E il dolore per la perdita improvvisa di una persona cara è impossibile da spiegare se non lo si è provato. Aggiungi la totale confusione e incertezza del momento. Paolo comprese che un ruolo importante che doveva giocare adesso era quello di dare tranquillità e forza a quella gente.

– Ragazzi, stiamo calmi. La situazione non è delle migliori. Ma una cosa la sappiamo: Gesù li ha portati via per toglierli dai guai nei quali invece ci troviamo noi. Ma! C’è un “ma”. Noi adesso abbiamo capito, sappiamo; non siamo come molti che brancolano nel buio. Grazie alle parole che ci hanno lasciato i nostri cari, sappiamo che stanno bene e sono vivi, vivi come mai sono stati in terra. Adesso dobbiamo prefiggerci uno scopo: raggiungerli. Salvarci dalle forze del male che si scateneranno da ora in avanti. Non sarà facile. Ma noi torneremo ad unirci ai nostri cari ad ogni costo. E vi dirò di più. Almeno per me è così: voglio vedere Gesù. Ho capito davvero a mie spese che lui diceva la Verità. Se siamo intelligenti, qui l’abbiamo capito tutti. Nonostante i nostri errori lui ci ama lo stesso e se ci aggrappiamo a lui, abbiamo anche noi speranza. Sentite questo brano della Bibbia: parla di noi.

Lesse dal suo telefonino dopo una veloce ricerca.

– L’ho notato ieri, rileggendo l’Apocalisse capitolo 7.

… guardai e vidi una folla immensa che nessuno poteva contare, proveniente da tutte le nazioni, tribù, popoli e lingue, che stava in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, vestiti di bianche vesti e con delle palme in mano… Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione”.

– Siamo noi – aggiunse Paolo. – Noi e tutti gli altri che nel mondo adesso stanno rendendosi conto di ciò che sta succedendo.

– Dio abbi pietà, cosa ne sarà di noi – disse istintivamente a voce alta Alfredo.

– Si, Signore, abbi pietà di noi – aggiunse un altro.

– Dobbiamo stare uniti – continuò Paolo. – Sostenerci a vicenda. Abbiamo bisogno l’uno dell’altro e nessuno di noi deve essere lasciato solo.

– Giusto – dissero più voci insieme.

Anna si alzò e andò ad abbracciare Paolo. La stessa scena si ripeté con altri nella stanza.

In qualche modo quel piccolo gruppo si apprestava a tentare di riprendere il controllo della propria vita, a trovare ognuno nell’altro la forza per non impazzire e le motivazioni sufficienti per andare avanti. Tutto avrebbe avuto toni più gioiosi se fosse successo in altre circostanze. Ma in quel momento era tutto quello che avevano e si aggrapparono l’uno all’altro per cercare in qualche modo di andare avanti.

 

 

 

 

9

 

 

 

Non capiva più nulla di quella situazione. Ma un’idea adesso, inspiegabilmente, sembrava quasi dargli pace: Maria era in un posto migliore.

La sua razionalità gli impediva di credere a quello che gli avevano detto, ma era come se una parte di sé invece fosse stata toccata, come se avesse acquisito una consapevolezza che quasi subiva: Maria adesso era in un posto migliore, al sicuro. Forse non era vittima di ciò che era accaduto. Al contrario, forse Dio o qualcuno per lui le stava risparmiando quel caos che invece stava attanagliando il mondo.

Non era mai stato dotato di particolare empatia nei confronti del prossimo o di spirito di osservazione quando si trattava dei fatti altrui. Però  notava nell’aria che la realtà che lo circondava non era più la stessa. E anche camminare fra la gente adesso gli faceva percepire un senso di irrequietezza, un’ansia, persino paura in chi gli passava accanto, come non ne aveva mai percepito prima.

Decise di tornare a casa.

Casa era vuota. Gli dava un senso di tristezza indescrivibile. Gli mancava la voce, il sorriso, la gioia di Maria che dava un senso alle sue giornate, che aggiravano la sua cupezza e gli strappavano sorrisi.

Accese la tv, voleva notizie, voleva sapere cosa stava accadendo nel resto del mondo.

Evidentemente, il suo dramma era condiviso a livello planetario. E i danni erano stati ingenti. Alcuni aerei erano caduti, treni deragliati, interventi chirurgici erano rimasti a metà, auto e moto finite fuori strada, diversi servizi erano rimasti scoperti. Dei testimoni oculari dichiaravano di aver visto scomparire gli individui davanti ai loro occhi, da un attimo all’altro.

Passava da un canale all’altro. Era veramente terribile ascoltare quei resoconti. Le opinioni erano varie. La tesi dell’attacco terroristico era ancora sostenuta dalle autorità, ma la globalità dell’operazione rendeva la versione poco credibile anche agli occhi dei più semplici. Nessun giornalista, però, osava contraddirla o metterla in discussione.

Su qualche canale indipendente qualcuno avanzava l’ipotesi di un possibile rapimento alieno di massa. Non sapeva bene perché ma questa ipotesi riusciva solo a farlo sorridere per quanto fosse ridicola.

Si trovò a fare una riflessione che lasciò perplesso anche lui: la teoria di Gesù che portava via i suoi da questo manicomio di mondo gli sembrò la meno folle di tutte, la meno delirante, la più coerente e razionale.

– Dio, davvero te la sei presa tu? – chiese istintivamente a voce alta.

In tv comparve un individuo che attirò la sua attenzione. Era un’intervista in inglese con sottotitoli in italiano. Salvatore ascoltò con molto interesse. Quel uomo aveva il volto di uno che aveva risposte.

Apprese che si trattava del nuovo segretario dell’ONU con poteri straordinari a seguito dell’emergenza e del caos mondiali che erano in corso a causa delle sparizioni. Infatti, l’Italia non era il paese più colpito. In altre nazioni, intere fasce della popolazione erano scomparse in blocco creando seri problemi nelle filiere produttive, nella gestione dei mezzi di trasporto o delle risorse. Messo da parte l’aspetto emotivo della circostanza, sembrava che i risvolti pratici prendessero ora il sopravvento e che il problema fosse serio.

Le parole di quel uomo lo colpirono.

“Non possiamo permettere che queste spiacevoli circostanze arrestino il processo di pace che abbiamo avviato in medio-oriente e gli accordi internazionali che abbiamo ratificato con Cina e Russia che ci garantiscono una pace e collaborazione duratura e proficua. Per fortuna gli apparati governativi delle nazioni non sembrano essere stati colpiti in maniera sensibile dalle sparizioni e ciò ci permette di mantenere la sicurezza di cui i cittadini del mondo oggi sentono bisogno più che mai”.

Le domande dell’intervistatore erano pertinenti, ma avevano davvero tutta l’aria di essere pilotate.

“Ci può parlare dei prossimi passi che verranno intrapresi?”

“Certamente. Abbiamo assorbito un potere sovrannazionale che ci consentirà velocità ed efficacia d’azione. Basta minacce terroristiche, basta minacce intellettuali alla pace che vogliamo perseguire. Voglio confermare che il mio incontro con i rappresentanti delle principali religioni mondiali ha sortito i risultati sperati. Anche loro come noi avvertono il bisogno di unità ed hanno nominato un rappresentante che agirà per loro conto, coordinandosi con me, nel solo interesse della pace e del benessere mondiale”.

“Sembra che state per concludere uno storico accordo fra arabi e israeliani”.

“Si. Abbiamo concluso un accordo che verrà ratificato a giorni. Avendo individuato l’autentico sito del tempio ebraico, verranno avviati i lavori di ricostruzione dello stesso. Il culto dei musulmani e degli ebrei dovrà rispecchiare l’atmosfera di rispetto reciproco e tolleranza che è indispensabile se vogliamo una coesistenza pacifica. Mi congratulo con il neo insediato governo israeliano per aver subito legiferato contro ogni forma di culto estremista che disconosca pari dignità alle altre forme religiose. Crediamo tutti nello stesso Dio ed è il Dio che è in noi e che noi vogliamo rappresentare divenendo noi stessi Dio su questo mondo”.

Ne aveva abbastanza e spense la tv senza ascoltare oltre.

Com’era potuto cambiare il mondo così velocemente? Era diventato irriconoscibile nel giro di pochi anni.

Pensò a quanto Maria si sarebbe sentita confusa e sola se fosse stata al suo posto. Se fosse andato via lui e lei fosse rimasta a dover affrontare tutto questo, sarebbe stato terribile. Anche questo pensiero contribuiva a dargli un certo senso di tranquillità.

Un nuovo pensiero quindi si fece strada nella sua mente: voleva capire davvero cosa stava succedendo. Non era mai stato un eversivo, un rivoluzionario. Ma quelle balle dei politici non le aveva mai credute. Tanto meno quelle degli uomini di chiesa con i loro paroloni e la loro falsità.

 

Finiva un altro giorno senza Maria.

La camera da letto era un luogo davvero insopportabile senza lei. Preferiva il divano, e lo stereo con i notturni di Chopin.

Ma prima voleva fare qualcosa.

Entrò in camera. Sul comodino stava la Bibbia di Maria, con quella copertina tutta colorata, con quei foglietti che uscivano da tutte le parti. Non aveva mai osato toccarla, ma adesso era ciò che forse più di tutto avrebbe potuto fargliela sentire vicina.

Sotto la Bibbia trovò un libricino.

Portò entrambi con sé sul divano.

Accese lo stereo, con i notturni eseguiti da Brigitte Engerer, un’esecuzione attenta e non pretenziosa.

Sedette sul divano. Prese in mano libro e libricino e sentì come se Maria fosse lì accanto a lui.

 

 

10

 

 

 

Anna lavorava nella scuola media del paese come collaboratrice, ormai da oltre quindici anni. Non sapeva cosa fare. Come tanti altri aveva fatto la denuncia di scomparsa dei suoi cari online, seguendo le direttive del call-center. Forse avrebbe potuto non andare a lavoro, ma per fare cosa: restare a casa? In quel silenzio terribile. No, meglio uscire, andare al lavoro. Parlare con gli altri, vedere altre persone le avrebbe fatto bene. Non aveva fratelli o sorelle, né parenti prossimi: la sua famiglia era il suo tutto. Ma era felice che loro fossero stati presi, erano al sicuro adesso. Chissà se era scomparsa anche qualche collega o insegnante, o degli alunni. Lo sperava per loro.

La sua vita si svolgeva tutta all’interno della piccola comunità dove era nata e vissuta. Andava al lavoro a piedi e passando incontrava la gente del suo paese che conosceva tutta. Tutti sapevano tutto di tutti e tutti sapevano che suo marito e i suoi figli erano scomparsi. Ed era come diceva Paolo, mancavano solo quasi tutti i membri della piccola chiesa evangelica del paese, di altri non aveva avuto notizia. Gli altri stavano tutti lì. E nel loro viso, mentre li guardava passando, mentre raccoglieva e ricambiava i loro saluti, percepiva una fastidiosa, incredibile sensazione: la gente era ignara di tutto. La guardavano come si guarda chi ha avuto un lutto in famiglia, con le condoglianze sul viso e nella mente un “menomale che non è toccato a me”. Era come se in quei momenti gli venissero in mente tutte le prediche e gli studi biblici dove l’avevano trascinata e che aveva ascoltato solo distrattamente. Adesso le sembravano risorse inestimabili. Avrebbe voluto poter tornare indietro e riascoltare tutto. In borsa aveva la Bibbia di sua figlia: non voleva separarsene più. L’aveva letta ogni attimo libero che aveva avuto.

Nel silenzio della sua casa aveva pregato a voce alta: “Signore, dammi la forza di resistere a tutte le prove che verranno. Abbi pietà di me e portami nel tuo regno”.

Aveva sentito una pace dentro che non aveva mai avvertito in vita sua. Ora capiva i suoi. Ora comprendeva cosa gli era successo. Pazienza, se c’era voluto qualcosa di tanto terribile perché anche lei capisse, lo accettava e ringraziava Dio. Se lo sentiva dentro, presto avrebbe rivisto suo marito e i suoi figli. Doveva solo resistere.

Entrò a scuola e notò che i colleghi e la preside furono visibilmente sorpresi di vederla. La preside si avvicinò e le tese la mano.

– Ho saputo della sua perdita. Non c’era bisogno che rientrasse così presto in servizio.

– Grazie preside, ma preferisco così.

I colleghi furono tutti cordiali. Purtroppo erano tutti lì, non mancava nessuno di loro.

La guardavano con uno sguardo di commisera-zione quando cercava di parlare di quello che stava accadendo nella sua vita, di quanto fosse felice che i suoi fossero al sicuro nelle braccia di Dio, di come avesse trovato pace nella sua nuova consapevolezza sui tempi e l’amore di Dio e fosse preoccupata invece per i suoi amici, i suoi cari, per il suo prossimo e volesse che tutti stessero bene come stava bene lei adesso.

 

Nei giorni a venire, questi strani discorsi di Anna giunsero all’orecchio della preside, la quale volle parlarne direttamente con lei.

– Anna mi dicono i tuoi colleghi che stai soffrendo molto per la perdita dei tuoi.

Anna parlò con franchezza esponendo quello che aveva nel cuore e cosa pensava che fosse successo davvero alla sua famiglia. La preside l’ascoltò con comprensione, dicendosi sollevata del fatto che in circostanze tanto avverse lei avesse trovato in qualche modo la forza per andare avanti.

In ottemperanza ad una nuova circolare la preside segnalò il caso al ministero. Secondo le direttive fece rapporto sul caso di estremismo religioso e la distorta percezione che faceva deviare la sua sottoposta dalla versione ufficiale sulle sparizioni. Le davano speranza, ma metteva a rischio l’integrità dei colleghi e di chi veniva in contatto con le sue favole estremiste.

Dopo tre giorni Anna ricevette comunicazione che era stata esonerata dal servizio con un telegramma del Ministero. Allo stesso tempo venne convocata nella caserma di polizia del paese dove le venne notificato un atto con il quale le si intimava di attenersi alle versioni ufficiali che sarebbero state fornite dagli organi di stato sulle sparizioni. Se non avesse ottemperato a queste direttive sarebbe stata perseguita per eversione e le sarebbero stati bloccati gli emolumenti pensionistici previsti dal suo congedo anticipato dal servizio.

Anna tornò incredula a casa dalla caserma per l’assurdità di quello che stava accadendo e per l’alienante conversazione che aveva avuto con l’ufficiale che l’aveva ricevuta e le aveva spiegato la cosa.

– Ecco da cosa il Signore ha risparmiato la mia famiglia.

Era appena l’inizio.

 

 

 

 

 

 

11

 

 

 

– Paolo ciao. Sono Salvatore. Potresti venirmi a trovare a casa appena hai un attimo libero?

Lasciò questo messaggio sul WhatsApp di Paolo.

Aveva letto gli appunti di Maria, un’intera notte. Aveva divorato il libro di Daniele nell’Antico Testamento, il libro di Zaccaria e l’Apocalisse. Ma aveva più domande che risposte adesso. Forse Paolo era la persona giusta per trovare delle risposte. Il numero lo aveva recuperato con Alfredo. Improvvisamente dopo tanti anni si sentiva in colpa per come aveva trattato suo cognato. Si riprometteva di andare a trovarlo, stargli un po’ vicino e discutere seriamente dei risvolti di quella nuova situazione.

Gli appunti di Maria sulla Bibbia erano per lo più preghiere, ed erano bellissime. Rispecchiavano quel cuore gentile, così diverso dal suo, che lui amava. Decise che non si sarebbe più separato da quella Bibbia e da quel taccuino di appunti. Gli appunti erano un po’ confusi, ma la scrittura elegante di Maria li rendevano comunque belli da leggere e interessanti. Non ci capì molto. Ma comprese da alcuni punti che Maria pregava molto per lui e si pentì di non avergli mai permesso di pregare con lui. Pensò che avrebbe usato le preghiere di Maria per imparare a pregare: sarebbe stato un po’ come farlo con lei adesso.

Il campanello di casa interruppe le riflessioni di Salvo.

Aprì d’istinto pensando di sapere chi fosse. Ma trasalì per istante quando si trovò davanti un ufficiale di polizia e non Paolo.

Veloci formalità e presentazioni si conclusero con la richiesta di entrare a casa da parte del poliziotto. Salvatore acconsentì. Qualcosa non lo convinceva nei modi decisi e inquisitivi del suo interlocutore, che lo trattava quasi come se fosse sospettato di qualcosa.

Sedettero in cucina e Salvo offrì un caffè, cercando di percepire il più possibile lo scopo di quella visita inaspettata.

– Lei non ha compilato il form online per la sparizione.

– Chiedo scusa, ma io non ho nessuna dimestichezza con queste cose.

– Sta scherzando? E come ha fatto finora?

– Pensava a tutto Maria. Mia moglie. Mia moglie che è scomparsa.

– Capisco. Le spiace se le faccio qualche domanda?

– No, perché dovrebbe. Anzi, le chiedo scusa per la mia inettitudine.

Salvatore aveva capito subito che vento tirava.

– Di cosa si occupa lei? Qual è la sua professione?

– Gestisco un’azienda agricola, l’azienda agricola di famiglia. Per fortuna da noi non è scomparso nessuno.

– Lei cosa ne pensa di queste sparizioni? – chiese il poliziotto con tono profondamente interrogativo.

– Penso che il terrorismo sia terribile.

– Non ha altre possibili idee in proposito?

Salvatore era svelto di comprendonio.

– Si riferisce a quei fuori di testa con le loro teorie cospirazioniste? Assurde. Mi chiedo come mai gli si dia tanto spazio. Io ho fiducia che le autorità stiano facendo ciò che è necessario.

Il poliziotto aveva quattro caselle nel questionario a sua disposizione: eversivo, dubbioso, fiducioso nelle istituzioni, perfettamente allineato. Smarcò l’ultima casella.

– Io devo tornare in campagna il prima possibile.

– Se le posso dire, non mi sembra molto addolorato per la sua perdita.

Non aveva pensato di poter dare questa impressione dall’esterno.

– Eravamo separati in casa da anni.  Quando non l’ho più trovata al risveglio pensavo che finalmente avesse impacchettato tutto e fosse andata via con il suo fidanzato di turno.

– Forse l’ha fatto. Magari ha colto la palla al balzo delle sparizioni per andarsene.

– Ne dubito. Ha lasciato tutto qui, come nelle altre sparizioni. Porta chiusa dall’interno al mio risveglio. Mi creda, lo avrei preferito, almeno dovunque si fosse trovata starebbe stata bene. Non le ho mai desiderato nulla di male. Era pesante stare separati in casa…

– Non lo dica a me! – si fece sfuggire il poliziotto.

– Anche lei?

– Moglie e suocera nella stessa casa con me da vent’anni.

– Mamma mia. Mi posso permettere di farle una domanda?

– Prego.

– Scomparse?

– Nessuna delle due.

– Cavolo. Non so cosa dirle.

– Non dica nulla. Meglio.

La conversazione continuò molto più leggera e le domande divennero meno inquisitorie. La stretta di mano di commiato sulla porta fu cordiale, ma la mano di Salvatore era sudata, l’unica traccia della tensione che altrimenti aveva ben nascosto.

Chiuse la porta con un sospiro di sollievo.

Rimase immobile per qualche momento. Non fece in tempo a raggiungere la cucina che il campanello di casa suonò nuovamente.

“Ecco, aveva dimenticato qualcosa” si disse Salvatore tornando sconsolato sui suoi passi. Ma quando aprì la porta…

– Paolo.

– Eccomi, ho sentito il tuo messaggio.

Fece entrare con premura l’uomo e richiuse la porta. Sedettero in soggiorno e Salvo mostrò la Bibbia e gli appunti di Maria a Paolo.

– Maria era una donna meravigliosa – commentò Paolo.

– Non dirlo a me! – aggiunse Salvo con immensa, evidente tristezza.

– Cos’è cambiato da quando ci siamo visti l’ultima volta?

– Ho smesso di mentire a me stesso: l’ho fatto per troppo tempo e anche l’ultima remota possibilità che Dio non esista e che quello che dice la Bibbia non sia vero è svanita.

– Quindi tu conosci la Verità?

– Mia madre era una fervida credente. Da piccolo mi portava in chiesa con lei e come un bimbo la seguivo. Credevo a quello che lei mi diceva, credevo in Dio, in Gesù, che ci avrebbero sempre protetto.

Salvatore era visibilmente provato dalle parole che stava pronunciando.

– Non ne ho mai parlato con nessuno – continuò. – Quando mia mamma morì io avevo dieci anni. Ce l’avevo con Dio perché me l’aveva portata via. Quando Maria iniziò anche lei a frequentare questa vostra chiesa mi sembrò di rivivere quell’incubo. Poi la sua scomparsa. Anche lei. All’inizio la grande rabbia. Poi non so dirlo, ma nelle parole che hai detto tu, ripensando a tutto… Basta con il mio egoismo. Se Maria sta bene adesso, se Dio l’ha presa, l’ha presa per risparmiarle quello che invece aspetta noi. Anche mia mamma adesso è con lei. Manco solo io. È proprio come hai detto tu: loro non possono tornare, ma noi possiamo andare da loro. E per farlo, dobbiamo fare le scelte giuste… E io adesso voglio scegliere bene, scegliere il giusto.

Paolo si alzò dal divano ed abbracciò Salvo. Ma quest’ultimo non era molto un tipo da abbracci e ricambiò per cortesia meglio che poté.

– Adesso vorrei saperne più possibile su ciò che ci aspetta.

– Ho portato con me un libro. Non so perché ma immaginavo che tu mi avessi contattato per saperne di più.

“Il ritorno di Cristo e la grande tribolazione” era il titolo di un libro di dimensioni non indifferenti che tirò fuori dallo zainetto che Paolo portava con sé.

– Per te non deve essere stato facile accettare che sei rimasto indietro – disse Salvo.

– Me ne sto facendo una ragione e mi preparo ad andare ad incontrare il Signore fra non molto. Al massimo abbiamo davanti sette anni. Sembrano infiniti, ma passeranno anche questi…

– Sette anni… – ripeté Salvo quasi in tono interrogativo, cercando di ricollegare con quello che aveva letto nei libri della Bibbia.

– Gli ultimi sette anni di storia dell’umanità senza Dio. Presto si manifesterà l’Anticristo, se non è già comparso sulla scena mondiale.

– Pensi al nuovo Presidente dell’ONU?

– Come facciamo ad esserne sicuri? Posso ipotizzarlo. Vedremo a breve. Succederanno delle cose che sono scritte e che saranno inequivocabili.

– Per quanto tempo posso tenere il libro?

– Quanto vuoi. Ne avevamo molti in chiesa, probabilmente erano lì proprio per questo scopo, per poterli studiare in queste circostanze.

Uomini così diversi, che non avrebbero mai pensato di avere nulla in comune, si trovavano lì con i loro destini così intimamente interconnessi.

– Io devo andare, spero di vederti ancora. Magari in chiesa. Voglio programmare degli incontri, fare degli studi, cercare di parlare di Dio ad altre persone, risvegliare una consapevolezza su quello che sta succedendo.

– Bella idea. Io comunque sto partendo. Non so quanto starò via. Vado in campagna a vedere che situazione trovo. Poi deciderò sul da farsi. Maria mi legava a questa casa, a questo posto. Senza di lei, non vedo il senso di rimanere qui.

– Capisco la tua scelta. Sai dove trovarci quando torni.

A volte si pronunciano delle frasi che hanno esattamente il senso opposto di ciò che significano. Vengono dette perché forse esprimono più una speranza che una possibilità, ma nascondono una amara consapevolezza che ciò che si auspica sarà molto probabilmente irrealizzabile. Ciò è chiaro ad entrambi gli interlocutori, ma vi sono delle circostanze che sono troppo dolorose per augurarsele o invocarle.

Paolo comprese, tese la mano verso Salvatore che la strinse con energia.

– Ci vedremo presto amico mio, Dio sia con te.

– Si, ci vedremo presto. Dio sia anche con te.

 

 

 

 

12

 

 

 

Paolo si diresse verso la chiesa. Da qualche giorno andava lì ogni volta che poteva – e di tempo ormai ne aveva tanto. Aveva iniziato a programmare una nuova serie di incontri e stava contattando gli ex membri e le famiglie dei membri scomparsi. Si sentiva in dovere di fare qualcosa, almeno per dare un senso al suo mancato appuntamento con Dio.

La struttura era piccola. Era stata acquistata anni prima con grandi sacrifici, ma ne era valsa la pena. Non era facile adesso cercare di capirci qualcosa in quelle carte, le bollette e tutte le formalità delle quali lui sapeva così poco.

L’ufficio del pastore era un luogo dove aveva trascorso diverso tempo in passato. Adesso sembrava tutto nuovo e diverso, cambiato. Ma si rendeva conto che era lui ad essere cambiato.

Non riusciva a capire se era stata la sua poca fede, la sua distrazione, la sua superficialità o cos’altro a farlo rimanere. Forse, più semplicemente, come aveva detto a Dio negli sconvolgenti attimi che erano seguiti alla sparizione dei suoi cari, lui era tutto sbagliato, dalla testa ai piedi. Sentiva il perdono di Dio adesso; ma, allo stesso tempo, non poteva ignorare una pesantezza e senso di oppressione che non lo abbandonavano un attimo.

Ogni cosa ha il suo momento. C’è un momento giusto per farla. Magari puoi farla anche dopo che il momento giusto è passato, quando ti sei fatto sfuggire la vera occasione che avevi, ma non puoi prendertela con nessuno se non con te stesso se la strada è tutta in salita – una salita ripida, scoscesa, piena di rocce e ogni tipo di problematiche.

Lo spingeva avanti con fatica l’amore per se stesso, la certezza che sarebbe finita ancora peggio se non avesse fatto qualcosa adesso mentre ancora poteva. Lo motivava anche il desiderio di salvare altri con sé, nella speranza che come per lui, quella grande tragedia potesse essere una nuova opportunità per comprendere davvero il senso delle cose di questa vita, quella visione oggettiva e sincera che chiamiamo Verità, che esiste ed è una strada che deve percorrersi se si spera di andare davvero da qualche parte.

Come spesso aveva imparato a fare, cercava di domare l’irrequietezza e l’assalto di domande e dubbi pregando in ginocchio sul pulpito della chiesa. A volte con gli occhi chiusi gli sembrava di cogliere la stessa atmosfera di alcuni momenti domenicali o di qualche riunione di preghiera. Aprendo gli occhi, però, si ritrovava inevitabilmente solo.

Uscì nel cortiletto. C’erano tante cose da sistemare prima della prossima riunione. Dai riscontri che aveva avuto sarebbero dovute venire una diecina di persone e forse avrebbero portato altri.

– Signore, istruiscimi su cosa dire – disse a voce alta.

Sentiva il peso e l’importanza di ogni parola detta in quella circostanza e non era più disposto a fare da sé, voleva che fosse Dio a guidarlo. Quelle persone avevano bisogno delle parole giuste e lui non le aveva. Era confuso come e quanto loro. Deluso, pieno di incertezze sul futuro. Quindi era Dio che doveva darli le parole giuste. Niente commentari, come faceva una volta, o libri di sermoni, per sapere cosa dire e sentirsi congratulare per quello che aveva detto. Adesso – e capì che avrebbe dovuto farlo anche prima – invocava la misericordia di Dio per lui e per coloro che si sarebbero affidati a lui.

I suoi mille pensieri e le pulizie che aveva intrapreso furono interrotte dal suono del campanello di ingresso che stava nel cortiletto della chiesetta.

Quando chiese chi fosse, sentì un perentorio,

– Polizia, apra.

Aprì e almeno 10 poliziotti entrarono all’interno della struttura correndo. Uno si fermò davanti a lui, in borghese, e lo interrogò.

– Documenti per favore. Lei è il titolare di questa organizzazione?

Non gli veniva chiesto con garbo. Anzi. Il tono era forte, minaccioso e i documenti che erano stati porti furono presi con decisione prossima alla sgarbatezza.

– No. Ma io ne facevo… ne faccio parte.

– A che titolo?

– Ero un diacono.

– Non ci interessa questo. A livello di documentazione ufficiale dell’organizzazione lei che titolo ha per stare qui dentro?

– Io non ne capisco di queste cose, so che ero un diacono.

– Dov’è il titolare della struttura?

– Il pastore?

– Lei non capisce o fa finta di non capire – e questo lo vedremo dopo. Io voglio vedere dei documenti ufficiali, non mi importa il resto.

– Se mi segue, le faccio vedere dove sono i documenti.

– Lei ha titolo per accedere a quelle documentazioni?

– Qui sono spariti tutti, io sto cercando solo di capire qualcosa e far rifunzionare la struttura al meglio che posso.

– Ammiro la sua dedizione, ma a meno che lei non mi dimostri con della documentazione valida di avere titolo, qui non può stare. Com’ è entrato?

– Ho le chiavi – disse Paolo candidamente mostrandole, come se quello per lui fosse un evidente segno di legittimazione della sua presenza.

– Queste le prendiamo noi.

– Lei sa qualcosa del titolare della struttura?

– È scomparso, insieme a molti membri della chiesa.

– Ah si? Vittime anche loro dell’attentato?

– Il Signore li ha portati con sé, è venuto a prenderli come ci aveva promesso.

– Questa mi mancava. È la sua teoria?

– Lo dice la Bibbia.

– Capisco. E hanno lasciato lei come guardiano qui?

– No. Io sono solo stato lasciato. Loro presi, io lasciato.

– C’è qualcun altro qui con lei?

– Sono solo.

– Caputo vieni qui per favore – disse l’ufficiale a uno degli agenti, rimasto di guardia fuori nel cortile, mentre gli altri erano dentro la chiesa. – Porta via il signore, è in arresto.

– Per cosa?

– Intanto per violazione di domicilio, poi vedremo.

Venne ammanettato con una certa crudezza e a peso portato fuori.

– Io ho lasciato il mio telefono dentro la chiesa.

– Non si preoccupi, lo prendiamo noi. Visto che tutti sono scomparsi, vittime come sono di questo crudele attentato terroristico, pensava di potersi impadronire indisturbato della struttura, vero? Questo è sciacallaggio, lei è un essere ignobile.

– Io sono un servo di Dio. Adesso. Non facevo nulla di male, volevo solo aiutare …

– Io credo che l’unico qui ad aver bisogno di aiuto sia lei. L’aiuto di un bravo avvocato.

Cosa mai gli aveva fatto pensare che la sua vita sarebbe continuata come prima?

Si ricordò degli studi fatti, di chi aveva ipotizzato dell’acuirsi delle persecuzioni e di quanto sarebbe stata dura vivere da cristiani in un mondo dove più non vi erano cristiani.

 

 

 

13

 

 

 

Era giunto il momento di andare in campagna. Maria quest’anno non era con lui e tutto era nuovo.

Lei pensava sempre a tutto e lui non sapeva nemmeno cosa portare con se. L’incertezza poi sul quando sarebbe stato di ritorno, lo portò semplicemente ad esagerare nella quantità di roba che mise in valigia.

Si assicurò che nulla mancasse dei libri di Maria, la Bibbia, il suo quaderno di appunti – non voleva più separarsene. Il libro che gli aveva dato Paolo era stato divorato in una notte, ma voleva rileggerlo, studiarlo, rivedere i brani della Bibbia che citava e spiegava.

Controllò ogni stanza. Acqua, luce e gas. Ogni sguardo alla casa, alle stanze, agli oggetti, gli faceva avvertire un profondo senso di vuoto.

I ricordi fanno riaffiorare immagini, parole, persino odori o sapori. In quei momenti ripensi a ciò che è stato e desideri ardentemente che possa essere ancora; ma sai che non sarà più e questa consapevolezza ha un gusto amaro.

Prese con se il pc portatile di Maria, ripromettendosi di imparare ad usarlo – cosa che si era sempre rifiutato di fare e che delegava interamente alla moglie.

Chiamò suo cognato.

I suoi sentimenti per lui erano cambiati e provava un certo senso di colpa per il modo in cui lo aveva trattato negli anni passati. Chiedergli scusa fu la prima cosa che sentì di fare, ringraziandolo per avergli fatto incontrare Paolo.

– Senti, passo un attimo. Scendi e prendiamo un caffè al bar sotto casa tua. Ho la macchina piena di roba, per questo non salgo. E poi il tuo caffè fa schifo.

Risero.

Era giusto che lo salutasse di persona e che gli facesse sentire, per la prima volta, che aveva il suo sostegno, che aveva veramente capito di potere contare su di lui.

La conversazione con Alfredo fu comunque piuttosto fredda. Cordiale, ma i due non avevamo mai esternato sentimenti, non si erano mai aperti l’uno all’altro. Gli anni di frequentazione non li avevano resi amici, forse a causa delle troppe diversità. Salvatore ammetteva che Alfredo ci aveva provato e si dispiaceva di non aver almeno tentato anche lui. Ma proprio non riusciva a provare un interesse personale per una persona tanto diversa.

– Ti ringrazio di tutto. Ti sei comportato da… amico. Spero che avrò modo di ricambiare in futuro.

– Speriamo – si fece scappare Alfredo.

Si strinsero la mano e Salvatore si allontanò velocemente.

La sua auto era piuttosto confortevole e si prestava ai lunghi tratti come quello che avrebbe dovuto percorrere. Accese l’aria condizionata, la radio e si mise comodo: meglio godersi il tragitto se proprio bisogna viaggiare.

Poi quell’angolo.

Avrebbe potuto andare dritto. Ma avrebbe anche potuto svoltare e passare davanti la chiesa dove aveva accompagnato a volte Maria, dove si era sempre rifiutato di entrare e, dove, se avesse potuto, se fosse potuto tornare indietro, sarebbe voluto entrare con la sua Maria.

Voleva passarci davanti e vederla almeno da fuori.

Andava piuttosto piano e con un vago senso di nostalgia misto a rimorso.

Notò delle auto della polizia davanti l’edificio e si chiese cosa stesse accadendo. Capì che il primo istinto di fermarsi a vedere cosa fosse successo non era una buona idea. Vide Paolo ammanettato e portato via con poca delicatezza da un agente di polizia.

– Ma che cavolo sta succedendo? – chiese a se stesso a voce alta.

Si diede la risposta da solo, in pochi attimi.

Stava accadendo esattamente ciò di cui aveva letto in quel libro che gli aveva dato proprio Paolo, e in Daniele, in Apocalisse. Stava accadendo proprio sotto i suoi occhi e sapere che sarebbe accaduto non riusciva a mitigare la sorpresa o lo sgomento che provava nel vederlo accadere.

Per un attimo il suo sguardo incrociò quello di Paolo e si chiese se il riflesso sul parabrezza o le circostanze avessero comunque permesso all’uomo di vederlo.

Comunque sia, accelerò e proseguì il suo viaggio, con la certezza che ormai da lì in avanti nulla sarebbe più stato facile come prima.

 

 

14

 

 

 

Circa 3 anni dopo.

 

 

Prese giusto quello che gli serviva per il giorno. Un panino, qualche salume. Del formaggio. Poi della frutta: una pesca. Bastava.

Nella bocca smozzicava una preghiera a labbra tremanti.

– Signore, fa che io possa mangiare oggi. Ti prego.

Una bottiglia d’acqua: serviva anche quella.

Ora la parte più difficile.

Fece la fila alla cassa cercando di non far apparire tutto il nervosismo e l’ansia che aveva dentro. Voleva non attirare l’attenzione, ma era chiaro dai suoi vestiti, dai suoi modi, da come era impacciato, che c’era qualcosa che non andava.

In fila davanti a lui una donna piuttosto in carne aggiungeva le ultime cose al carrello stracolmo. Quando lei lo guardò lui sorrise, ma lo sguardo della donna era impassibile, freddo come quelle folate di vento che ti colpiscono la schiena quando sei sudato e ti fanno gelare.

Non c’era molta gente nel supermercato. Ma c’era una sola cassa aperta e questo aveva creato una fila di almeno sei persone.

Alcuni dietro di lui cominciarono a lamentarsi della cosa alzando il tono della voce, ma senza alcun esito.

Ripensò agli anni passati. Non più di cinque anni fa era tutto così diverso. Tutto. Persino il viso della gente, era più rilassato, sorridente. Adesso guardavi gli altri e vedevi freddezza, inespressività. Indifferenza. Totale assenza di empatia.

Anni prima quando stavi in fila con due o tre cose, trovavi sempre chi ti diceva: “passi pure, lei ha due cose, io un carrello pieno”. Una cosa del genere adesso era impensabile. Era come se la gente fosse persino spaventata all’idea che un’azione gentile verso il prossimo potesse diventare una stranezza che attirasse attenzioni indesiderate.

Quel silenzio, poi, era innaturale. Nessuno parlava con nessuno. Era come se gesti e parole fossero ridotti al minimo essenziale. E ciò gli riportava alla mente le parole di quel filosofo che in tempi non sospetti aveva provato a mettere in guardia l’umanità. “Non saremo noi ad umanizzare i robot” diceva, “saranno loro a robotizzare noi”. E così era evidentemente accaduto. Chissà cosa ne era stato di lui? D’un tratto era scomparso da ogni mezzo di comunicazione e non se ne era saputo più nulla. Era stato come… cancellato, ecco la parola. Nessuna traccia nei motori di ricerca, nessuna menzione di ciò che era stato di lui, di ciò che aveva detto. Al punto che a volte anche lui si fermava a pensarci, incerto, confuso, interrogandosi sulla possibilità che quel uomo non fosse mai esistito davvero, che forse lo aveva sognato o era un parto della sua vivida fantasia.

I giovani erano cresciuti nell’era della digitalizzazione. Lui ci era stato trascinato dentro a forza e non riusciva ad adattarsi.

“È il progresso e bisogna accettarlo” era il motto dei suoi coetanei, che passivamente pensavano solo a godersi il “panem et circenses” che quella apatica società riusciva ad offrire e si trascinavano avanti, incapaci persino di pensare che in altri tempi era esistita un’altra vita e che non fosse tutto lì, che non poteva essere tutto lì!

Quella realtà gli faceva spesso pensare al testo di quella canzone: “Did they get you to trade your heroes for ghosts, hot ashes for trees, hot air for a cool breeze, cold comfort for change?”. “Cold comfort”, una fredda agiatezza, un’esistenza vuota di significato, un sopravvivere piuttosto che un vivere.  Alla giornata, finché dura. Come se non vi fosse altro, come se non vi potesse essere altro.

Ma c’era dell’altro. C’era stato! C’era stato molto di più. Se ne era semplicemente cancellato il ricordo e annullata la speranza.

La fila si muoveva avanti di un’altra persona. Altre due e poi sarebbe stato il suo turno.

Odiava quella voce metallica: “Buongiorno signore. Grazie signore. Sono 18 e 30 signore. Grazie e arrivederla”.

Ripensava alle cassiere del supermercato vicino casa sua. Al loro sorriso. La dolcezza insostituibile di una donna. C’erano anche gli uomini e con loro scambiava delle compiaciute battute maschiliste, sulle mogli e sul matrimonio – se non c’erano in giro mogli.

Sorrise a quei ricordi.

Adesso invece, c’era l’espressione fredda e la gelida cordialità di un’intelligenza artificiale in un corpo che goffamente emulava la parvenza di un essere umano asessuato. Ecco chi c’era adesso alla cassa. E la gente qui non aveva nulla da dire in proposito, non  una lamentela da presentare, nessun senso di disagio per la disumanizzazione progressiva del vivere comune.

Era persino inutile pensarle queste cose. Non poteva di certo dirle, non senza spiacevoli conseguenze. Ma per adesso, almeno, poteva ancora pensarle. Chissà quanto mancava prima che anche questo privilegio sarebbe stato rimosso.

Arrivò il suo turno. Non ricambiò il saluto della cassiera mentre fissava i prodotti che passavano davanti il lettore di codice a barre. E pregava.

– 12 e 30, grazie.

Tirò fuori l’importo e lo porse alla cassiera.

– Signore, questa cassa non accetta contanti.

– Non lo dite da nessuna parte qui che non accettate contanti. Per legge dovete esporre un cartello.

– Signore, questa cassa non accetta contanti – ripeté la cassiera in un cordiale mono tono, mentre il silicone dei suoi tratti facciali scimmiottava un sorriso di circostanza.

Tirò fuori una carta di credito, l’ultima che gli era rimasta.

– Signore, questa cassa non accetta carte di credito. La preghiamo di passare il suo microchip sottocutaneo sul lettore a barre alla sua destra, grazie.

A quella richiesta capì che non avrebbe potuto procedere all’acquisto.

– Ho programmato l’impianto perché c’è stato un problema tecnico…

– Signore, questa cassa non accetta carte di credito. La preghiamo di passare il suo microchip sottocutaneo sul lettore a barre alla sua destra, grazie.

Una voce qualche carrello più indietro si fece sentire sulle altre.

– Un altro fanatico che non accetta il progresso! Sarà un ladro, un criminale che ha paura delle autorità…

Per legge non era un obbligo, e la scelta era ancora libera. Ma di fatto ormai nessuno più accettava contanti o carte di credito. Chi lo faceva veniva sottoposto a controlli capillari per capire se sponsorizzava il riciclaggio e quasi inevitabilmente gli veniva ritirata la licenza. In parole povere, era obbligatorio senza che vi fosse alcun obbligo. Per un qualche sadico gioco, volevano che ognuno decidesse personalmente di “digitalizzarsi”, che questo avvenisse come un atto spontaneo che mostrasse che comprendeva quanto importante fosse questo step nel cammino dell’evoluzione dell’umanità.

Salvatore era lì, impietrito, davanti alla cassa. Come altre volte, avrebbe soltanto dovuto rinunciare all’acquisto e andare via. Ma aveva fame. Non mangiava nulla da due giorni. Si fermò quindi e fece l’unica cosa che ormai sapeva fare davvero: pregare.

D’un tratto fra quelli in fila si fece avanti piuttosto risoluto un uomo, sulla quarantina, alto e ben vestito. Con modi gentili fece cenno a Salvatore di farsi un attimo da parte e passò la sua mano destra sul lettore a barre.

– Procedura irregolare – disse con voce fredda e precisa la cassiera. – Soggetto diverso dall’acquirente.

Salvatore pensò alla generosità di quel uomo che però era servita soltanto a far finire nei guai pure lui.

– Cassiera, ufficiale di livello 2. Codice sblocco: 1354. Permesso di primo livello.

Un ufficiale di livello 2!

L’uomo fece un segnale inequivocabile a Salvatore e lui comprese.

– Pagamento autorizzato. Grazie, signore. Un rapporto sull’evento è stato inviato all’autorità distrettuale, come da protocollo.

– E stai zitta, lattina – disse l’uomo dando una pacca sulla spalla a Salvatore. – Mi raccomando amico mio – aggiunse. – Stai molto attento in futuro e fai quell’impianto appena puoi.

Salvatore sorrise. Sperava solo di non aver messo nei guai anche quel “buon samaritano” – li chiamavano così quelli che venivano in loro soccorso in circostanze come quella.  Afferrò tutta la sua roba e andò via più veloce che poteva.

Quasi correva. Ma non c’era un vero motivo, quindi decise di rallentare e di smettere di guardarsi alle spalle.

Sedette su una panchina, nella grande piazza alberata che si trovava poco lontano dal supermercato.

L’aria era fresca, era l’autunno del … che anno era? Poco importava. Non era più così che contava il tempo. Erano trascorsi 340 giorni da quel abominio. Ne mancavano 920. 920  interminabili giorni ancora.

– Torna presto Signore, torna – sussurrò mentre si guardava intorno smarrito.

 

FINE