Category Archives: Babilonia

Capire l’Apocalisse

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ravvedetevi e credete all’evangelo” (Marco 1:15)

Altri libri sulle profezie bibliche

Il ritorno di Gesù: Ecco Egli viene con le nuvole ed ogni occhio lo vedrà (Apocalisse 1:7) di [Giuseppe Guarino]

 

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

Copyright © 2022 Giuseppe Guarino

Prefazione

Il vocabolo Apocalisse è una assimilazione in italiano della parola originale greca con cui inizia e che dà il titolo all’ultimo libro della Bibbia: αποκαλυψις. In realtà la sua traduzione sarebbe “Rivelazione”.

Non si tratta di un fenomeno isolato nel Nuovo Testamento. La parola Battista (βαπτιστὴς) riferita a Giovanni, battesimo (βάπτισμα) o battezzare (βαπτίζω), non sono l’esatta traduzione dei termini originali che sono molto descrittivi della modalità, l’immersione, e caratteristica principale proprio del battesimo.

Due parole importantissime che non sono state tradotte ma trasposte nella nostra lingua sono Messia, che viene dall’ebraico (משׁיח), e Cristo, che deriva dal greco (Χριστος). Entrambi i vocaboli significano “unto”.

Apocalisse è un bel vocabolo, con un bel suono, e non solo nella nostra lingua. Questo avrà contribuito ad ampliarne i significati nella nostra lingua, rendendolo quasi sinonimo di catastrofi, piaghe, sconvolgimenti naturali, la fine del mondo, ecc. Il genere “apocalittico” è l’insieme della letteratura assimilabile per contenuti all’Apocalisse e ad altri libri profetici del Nuovo Testamento.

La traduzione di “αποκαλυψις” dicevamo, è “rivelazione”. Ed è infatti così che di solito le versioni traducono il primo verso del libro.

La rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha dato per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire…

 Il termine “rivelazione” ha in questo brano esattamente lo stesso significato che ha in italiano. Inutile andare a caccia dell’etimologia della parola greca, in quanto essa è ben presente nel vocabolo biblico e nella sua traduzione italiana.

Mentre riflettevo su come spiegarlo, pensavo ad una frase: “si è rivelato per quello che è”. Si utilizza per qualcuno che non mostra la sua vera natura e poi invece la manifesta: qualcosa di nascosto viene rivelato, mostrato.

Così è l’Apocalisse, è la rivelazione di cose future che non sappiamo e, se Dio non ce le rivelasse in anticipo, rimarrebbero nascoste fino al loro verificarsi. Dio non ci fa sapere tutto – impazziremmo! Ciò che ci fa conoscere, lo rivela non per soddisfare la nostra curiosità, ma perché ci ama e non ci vuole all’oscuro e confusi.

Questo libro ha la pretesa di volervi far capire l’Apocalisse. Con l’aiuto di Dio, con pazienza e amore, viaggeremo all’interno della Scrittura con questo preciso scopo.

Non vorrei scandalizzare il lettore, ma devo dirgli che il metodo di interpretazione che presento qui lo adottai per la prima volta quando ero ancora un adolescente. Mi venne spontaneo leggendo i vari brani profetici della Bibbia. Allora leggevo solo la Bibbia, per il semplice fatto che non avevo altri libri.

Dopo quarant’anni trovo ancora questo modo di procedere semplice e valido, e prego Dio che possa essere di benedizione per quanti leggeranno questo mio studio.

Quando è stata scritta l’Apocalisse?

Vi sono state e vi sono le più disparate proposte in merito alla data di questo libro. Ma la data più probabile, a mio avviso, è il 95 d.C., intuibile in base ad una citazione in Apocalisse 17 e confermata da alcune antiche autorità della Chiesa. Segnalerò il brano nel commento.

Vi sono alcuni, però, che retrodatano il libro al 68, 69 d.C. Possibile. Anche perché viene fatta esplicita menzione del tempio di Gerusalemme che, come sappiamo, invece, fu distrutto nel 70 d.C. da Tito e dal suo esercito.

Entrambe le date vanno bene e non cambiano di sicuro la sostanza dell’autenticità del libro e autorità giovannea.

Il luogo in cui il profeta ha avuto la visione è stato Patmos, un’isoletta del mare Egeo – Apocalisse 1:9. Nella visione viene subito dato l’ordine di scrivere e di inviare quanto scritto a sette chiese dell’Asia minore.

L’autore si presenta come Giovanni. Non vi sono motivi per ritenere che non si tratti dell’Apostolo amato, come sembra confermare anche la tradizione cristiana più antica ed affidabile.

Giustino martire nella metà del II secolo, nel suo “Dialogo con Trifone giudeo”, attribuisce l’Apocalisse all’apostolo Giovanni: “D’altra parte anche da noi un uomo di nome Giovanni, uno degli apostoli del Cristo, in seguito ad una rivelazione da lui avuta ha profetizzato che coloro che credono nel nostro Cristo avrebbero trascorso mille anni in Gerusalemme, dopo di che ci sarà la resurrezione generale e, in una parola, eterna, indistintamente per tutti, e quindi il giudizio. Ne ha parlato anche il Signore nostro dicendo: “Non prenderanno moglie né marito, ma saranno uguali agli angeli essendo figli del Dio della resurrezione” Giustino martire, Il dialogo con Trifone e le due apologie, Infinity Books, p.122.

Ancora più significativa la testimonianza di Ireneo, vescovo di Lione (130-202 d.C.) il quale informa i suoi lettori che l’Apocalisse è stata composta verso la fine del regno di Domiziano (siamo quindi al 95 d.C. che ho proposto come data più probabile) e l’apostolo Giovanni ne è l’autore. La testimonianza di Ireneo è particolarmente rilevante in quanto aveva conosciuto di persona Policarpo, vescovo di Smirne, che aveva conosciuto l’apostolo Giovanni in persona.

Non ho utilizzato una sola versione della Bibbia in particolare. Cito la Nuova Diodati e la Nuova Riveduta indistintamente. Ogni versione ha pregi e difetti e, soprattutto, riesce utile nel momento della lettura o dello studio in base al metodo di traduzione adottato. La Nuova Diodati mi piace perché letterale. La Nuova Riveduta gode di particolare credito fra i fratelli e quindi la cito, sebbene spesso nel suo lanciarsi al di là della letteralità del testo, non sempre coglie nel segno, o meglio, non sempre opta per la scelta (un traduttore ne ha sempre diverse davanti) che più condivido.

Non ritengo utile o produttivo procedere ad una indagine critica del testo dell’Apocalisse per confermare quanto la tradizione cristiana ci tramanda, né ad una indagine approfondita del suo testo greco, sebbene ne sia tentato. Uscirei fuori tema. Metto da parte anche la tentazione di soffermarmi sulla meravigliosa e profonda cristologia di questo libro – perché ci vorrebbe un libro a parte.

Lo scopo di questo studio è indagare sul contenuto di Apocalisse e in questo ricevere le benedizioni promesse (Apocalisse 1:3) a chi legge, a chi ascolta e a chi serba in cuor suo le parole scritte in questo meraviglioso ultimo libro della Bibbia.

Voglio iniziare questo mio libro proprio citando per esteso la fine di Apocalisse, le ultime parole che sono echeggiate nelle sette chiese prime destinatarie di questo straordinario scritto, le parole che molto probabilmente riassumono il senso di tutto, come deve fare un epilogo degno di questo nome che mira a rimanere impresso nella mente del lettore e dell’ascoltatore.

6Poi mi disse: “Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco”. 7“Ecco, sto per venire. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro”.8Io, Giovanni, sono quello che ha udito e visto queste cose. E, dopo averle viste e udite, mi prostrai ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate, per adorarlo.9Ma egli mi disse: “Guàrdati dal farlo; io sono un servo come te e come i tuoi fratelli, i profeti, e come quelli che custodiscono le parole di questo libro. Adora Dio!”10Poi mi disse: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino.11Chi è ingiusto continui a praticare l’ingiustizia; chi è impuro continui a essere impuro; e chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo si santifichi ancora”. 12“Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. 13Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. 14Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città! 15Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. 16Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino”. 17Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni”. E chi ode, dica: “Vieni”. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita. 18Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; 19se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro. 20Colui che attesta queste cose, dice: “Sì, vengo presto!” Amen! Vieni, Signore Gesù! 21La grazia del Signore Gesù sia con tutti”

(Apocalisse 22:6-21). 

 

Capitolo 1

La Scrittura interpreta la Scrittura

L’Apocalisse è il libro più difficile da comprendere che troviamo nel Nuovo Testamento. Mentre poi per gli altri libri della Scrittura abbiamo delle interpretazioni più o meno affermate, per questo non esiste in realtà un approccio univoco. Vi sono varie scuole di pensiero, ma nessuna è riuscita a guadagnarsi una misura di consenso tale da fare veramente scuola.

La interpretazione futuristica è fondamentalmente quella più comune a molte confessioni evangeliche, ma qui comincia e qui finisce spesso il punto in comune fra le diverse interpretazioni.

“Perché?” ci chiediamo. E ancora: “Questo fatto deve scandalizzarci?”.

Le profezie bibliche sono una buona porzione della Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Molte si sono adempiute nel Cristo, quando si fece uomo. Alcune erano state ben comprese dal clero giudaico.

Matteo 2:3-6: “Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele” “.

Molte altre profezie, però, non erano state comprese. Alcune addirittura non erano state nemmeno identificate come tali.

E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, (Gesù) spiegò loro (ai discepoli) in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Luca 24:27).

Essendo Gesù morto e risorto, secondo quanto era stato preannunciato dai profeti, essendone stato testimone, adesso consapevole, Pietro proclamò il Vangelo nel giorno della Pentecoste, basandosi proprio su quelle Scritture che non erano state capite ma che ora erano divenute per tutti comprensibili, in quanto avveratisi sotto gli occhi di tutto il popolo. Conosciamo tutti la meravigliosa esposizione di Pietro in Atti 2:14-41.

Ad esempio, non era stato compreso che il Cristo sarebbe morto e risorto. Ma adesso per Pietro era chiaro, Gesù stesso glielo aveva spiegato e lui ne era stato personalmente testimone:

“Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d’oggi tra di noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione.  Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni.” (Atti 2:29-32).

Se cose così importanti non furono comprese dagli uomini di Dio fino alla loro meravigliosa realizzazione, perché preoccuparci se non tutto ci è chiaro in un libro così oggettivamente complesso come l’Apocalisse?

Sebbene comunque i dettagli, a mio avviso, non saranno compresi appieno fino a quei giorni terribili che vengono descritti nell’ultimo libro delle nostre Bibbie, io sono convinto che, per grandi linee, possiamo avere un’idea di ciò che lì si descrive e del messaggio fondamentale che vuole lasciare ad ogni credente.

La realtà dei fatti è che la nostra cultura ci influenza in maniera determinante. La nostra ossessione per la cronologia – che è evidente, in particolare in italiano, dai ricchi dettagli dei nostri verbi – il nostro bisogno di identificare ogni cosa riconducendola alla nostra esperienza personale e alla nostra quotidianità, limita una comprensione alternativa, che a volte è necessaria davanti a certi passaggi della Scrittura, e che deve essere alimentata dalla riverenza per i brani biblici, ognuno scrigno di meravigliosi significati.

Indubbiamente ogni passo della Scrittura ha una sua interpretazione univoca.

Ma la Bibbia è un libro speciale, spirituale.

Il giorno della Pentecoste Pietro annunciò il Vangelo con potenza e coloro che lo ascoltavano lo udirono ciascuno nella propria lingua. Solo la Parola di Dio può compiere questo miracolo. E non lo vediamo spesso compiere nelle nostre chiese quando l’uomo di Dio illustra la Scrittura ed è guidato dello Spirito Santo e ciascuno di noi che apriamo le nostre orecchie spirituali – e il cuore – riceviamo un messaggio personale, che ci riguarda in maniera unica: come se quella stessa Parola predicata parlasse ad ognuno nel linguaggio segreto del suo proprio cuore, per comunicargli ciò di cui ha bisogno.

Possiamo allo stesso modo leggere la Scrittura e capirne un senso spirituale; esserne benedetti, lasciare che parli al nostro cuore in maniera incomprensibile, anche se non siamo in grado di tradurre ciò che essa vuole dire nei termini di una spiegazione (interpretazione o applicazione che sia) razionale e riferita alla nostra quotidianità.

Ricordiamo sempre: troppa luce può finire per accecarci. Godiamo della giusta quantità di luce che Dio dà a ciascuno di noi per illuminarci – forse anche un po’ di più finirebbe solo per accecarci, confonderci e disorientarci.

Detto ciò, parliamo dell’interpretazione dell’Apocalisse.

Non credo di essere il solo ad aver capito che per aver chiaro cosa dice l’Apocalisse bisogna aver chiaro cosa dicono i profeti dell’Antico Testamento e in particolare il libro di Daniele.

 

Capitolo 2

Tre anni e mezzo

Perché proprio il libro di Daniele?

“Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14).

Questa visione descrive il Messia trionfante che regna per sempre. Gesù riferisce questo brano biblico al suo ritorno in gloria.

“Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli” (Matteo 24:29-31).

Gesù dice apertamente che ciò accadrà “dopo la tribolazione di quei giorni”.

Torniamo in Daniele. Qui la visione viene interpretata da un angelo, che dice:

“La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, sorgerà un altro re, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:23-27).

Apprendiamo, quindi, che vi sarà un periodo che precederà l’avvento del Messia che vedrà l’exploit di un “regno” al capo del quale vi sarà un individuo che perseguiterà i santi, i credenti. Questo ultimo periodo della storia dell’umanità durerà: “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”.

In italiano non abbiamo il duale. In altre lingue si e fra queste l’originale ebraico/aramaico di Daniele. Quindi “un tempo” equivale ad un anno, “dei tempi”, sono due anni e “la metà di un tempo” sono sei mesi. Questo tempo di sofferenza che precederà il ritorno del Cristo sarà quindi di tre anni e mezzo.

Abbiamo qui una chiave di lettura molto importante per capire il “quando” degli eventi descritti nell’Apocalisse. Infatti, tutte le cose terribili che vengono lì descritte, accadono in un periodo ben preciso, descritto con terminologie diverse e in più punti del libro.

“Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dov’è nutrita per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontana dalla presenza del serpente” (Apocalisse 12:14).

La donna del capitolo 12 di Apocalisse è Israele. (Alcuni dicono sia la Chiesa, ma è così. Ne parleremo più avanti). La donna viene perseguitata come è scritto in Daniele 7, per un periodo che è lo stesso: “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”. Ma questa espressione copre davvero un periodo di tre anni e mezzo come abbiamo supposto interpretando Daniele?

Sembra che l’autore dell’Apocalisse immagini che qualche dubbio sarebbe nato nei fruitori del suo testo, per la maggior parte non ebrei. Per questo troviamo diversi modi di indicare questo lasso di tempo, e ciò toglie ogni dubbio.

“… ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte, e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi” (Apocalisse 11:2).

“E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi” (Apocalisse 13:5).

Quarantadue mesi sono proprio tre anni e mezzo: 12 + 12 + 12 + 6.

E se non fossimo ancora convinti.

Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni”: 360 + 360 + 360 + 180 = 1260. Come vediamo qui i giorni dell’anno vengono arrotondati (come accade nell’ “anno commerciale”) o comunque il tempo del ministero di questi due testimoni sarà di poco inferiore ai tre anni e mezzo del nostro calendario, che corrispondono a 1278 giorni se non vi sono in mezzo anni bisestili.

Vediamo come meravigliosamente la Scrittura interpreta la Scrittura?

Ora cerchiamo di applicare ciò che abbiamo imparato raffrontando Daniele, Matteo 24:29-31 e Apocalisse.

Poco prima del ritorno di Cristo vi sarà un regno:

“diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà” (Daniele 7:23).

Esso agirà contro il popolo di Dio:

“Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:25-26). 

Esso agirà per tre anni e mezzo.

Alla fine di quel periodo, il Figlio dell’uomo con i santi riceveranno il regno.

“ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo” […] al quale “furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14).

Gesù conferma che ciò parla della sua venuta alla fine dei tempi, quando tornerà per regnare.

“Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli” (Matteo 24:30-31). 

Alle sue parole fanno eco quelle dell’Apocalisse.

“Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen” (Apocalisse 1:7).

Vediamo che meravigliosa armonia nella Scrittura?

Per costruire una solida esegesi, per capire un testo biblico, dobbiamo prima trovare i punti fermi, i pilastri, nel contesto dell’intera Rivelazione, sui quali poggiare la nostra interpretazione.

Quindi, un periodo di tre anni e mezzo vedrà un regno perseguitare i santi, ma alla fine il Cristo che ritorna lo distruggerà e, proprio con i suoi santi, comincerà a regnare.

 

Capitolo 3

Le Settanta Settimane di Daniele

Ho scritto più volte sulle Settanta settimane, la meravigliosa profezia che troviamo al capitolo 9 del libro del profeta Daniele. Non si tratta di un brano di facile lettura, ma la sua comprensione sarà molto importante per la maniera in cui stiamo procedendo nell’analisi del libro dell’Apocalisse. Si dimostrerà un tassello prezioso del quadro che stiamo provando ad illustrare.

Innanzi tutto diciamo che l’oggetto di questa profezia è un periodo di 490 anni e che il soggetto è il popolo di Israele e la santa città, Gerusalemme:

“Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e la santa città” (Daniele 9:24).

Il collegamento con il libro dell’Apocalisse è evidente nel fatto che “…l’ultima settimana che vi sarà alla fine del mondo intero”, cioè gli ultimi sette anni di questa profezia sono proprio quelli narrati nel libro dell’Apocalisse. La citazione che ho ripreso qui sopra è tratta dal testo di un autore cristiano che visse fra il 170 e il 236 d.C., Ippolito, il quale ha commentato il libro di Daniele. Egli ha anche scritto un libro intitolato “Su Cristo e l’Anticristo”. Ciò per dire che l’interpretazione messianica di queste Scritture è propria della Chiesa già dagli albori.

Andiamo a vedere in dettaglio la profezia di Daniele e colleghiamola al libro dell’Apocalisse.

La profezia delle cosiddette Settanta Settimane è celebrata come una delle più stupende prove dell’ispirazione della Scrittura da alcuni, sottoposta ad ogni tipo di attacco per trovare una spiegazione alternativa all’intervento soprannaturale dello Spirito Santo da altri. Essa è particolarmente importante per noi cristiani. Infatti è una delle più straordinarie predizioni dell’Antico Testamento che ci conferma che Gesù è veramente il Messia promesso.

Il testo dalla Nuova Diodati:

24Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo.

25Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane; essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi.

26Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui. E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni. 27Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore»”. (Daniele 9:24-27)

Perché utilizzo la versione Nuova Diodati anziché la Nuova Riveduta? Se leggete quest’ultima versione, la scelta di tradurre “un unto” piuttosto che “il Messia”, come fanno Diodati e la Nuova Diodati, è forse tecnicamente corretta, ma mette fuori strada il lettore comune, non facendogli percepire che ci troviamo davanti ad una profezia messianica. Ciò facendo la Nuova Riveduta non rende giustizia al senso del testo biblico, schiaccia l’occhio ad una certa visione liberale di questo brano in particolare e, quindi, rinnega un’interpretazione che ha riguardato la Chiesa dall’apostolo Giovanni in avanti.

Esaminiamo la profezia frase per frase, sebbene non scenderemo in dettagli non necessari ai nostri scopi.

Settanta settimane sono stabilite

La parola ebraica originale qui tradotta con “settimane” indica in realtà un “gruppo di sette” in senso generico, come nella nostra lingua una “diecina” indica un raggruppamento di dieci, o “dozzina” un raggruppamento di dodici elementi. Basta dare un’occhiata ad altre parti dell’Antico Testamento per avere la certezza che in questo brano “settanta settimane” significa “settanta volte un gruppo di sette anni”, in parole povere 490 anni. (Vedi Levitico 25:8 e Genesi 29:26-28).

per il tuo popolo e per la tua santa città

Il soggetto della profezia è il popolo di Dio, Israele e la città di Gerusalemme. Gli errori di molti nell’interpretazione di questo brano vengono dal fatto che tralasciano questo dettaglio e riferiscono gli eventi predetti ad altri che non siano Israele e Gerusalemme.

per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo.

È ovvio che il punto finale della profezia sia l’avvento del regno di Dio promesso nelle Scritture ebraiche. È il punto di arrivo anche per le altre profezie contenute in Daniele, al capitolo 2 e 7.

Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane;

La profezia cita qui un evento storico ben preciso, inequivocabilmente richiamato nella stessa Scrittura, nei primi capitoli del libro di Neemia. Fu infatti il re persiano Artaserse che permise la ricostruzione della città di Gerusalemme. Siamo intorno all’anno 445 a.C. Sessantanove settimane di anni separano quindi gli ordini impartiti da Artaserse fino alla comparsa del Messia, il Principe. Sessantanove settimane (69×7=483) equivalgono a 483 anni.

Non facciamoci prendere dalla tentazione di perderci in calcoli in questa sede totalmente ininfluenti. Computando 483 anni dal 445 a.C., giungiamo comunque nella terza decade del primo secolo d.C. Senza affaticarci troppo nel cercare un adempimento matematico all’interno del nostro calendario (Gregoriano) possiamo dire che l’avverarsi della profezia in Cristo Gesù è comunque certa. Infatti è sotto gli occhi di tutti che nel periodo individuato dalla profezia, non vi è stato nessun altro individuo al quale sia stato con altrettanto consenso attribuito il titolo di Messia – o Cristo, che è la traduzione in greco del termine ebraico – come è avvenuto per Gesù di Nazareth.

È meraviglioso contemplare con quanta precisione le Scritture abbiano previsto l’arrivo del Messia!

essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi.

La città di Gerusalemme venne ricostruita con grande difficoltà. Era stata distrutta dal re babilonese Nabucodonosor nel 586 a.C. Il re persiano Ciro che aveva in seguito invaso e conquistato la Babilonia, aveva promulgato un editto con il quale aveva permesso il rientro in patria ai popoli deportati dalla furia babilonese. Fra questi vi era anche il popolo ebraico. Ma fu, anni dopo, l’editto di Artaserse, che ho già citato, a consentire ad Israele di riedificare la città. È ancora nel libro di Neemia che apprendiamo delle difficoltà che Israele dovette affrontare per ricostruire la propria capitale e riappropriarsi della propria identità di nazione.

Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui.

Poco tempo dopo l’inizio del suo ministero, circa tre anni dopo il suo battesimo, Gesù dichiara apertamente di essere il Messia, entrando in Gerusalemme con tutti gli onori regali ed avverando brani specifici delle Scritture come chiaro segno messianico per gli uomini del suo tempo. Il risultato è la sua reiezione. Nessuno infatti difenderà la sua causa davanti alle autorità ebraiche e romane. L’arresto di Gesù fu illegale, illegale il suo processo e, sebbene nessuna sua colpa fosse dimostrabile, venne condannato a morte e la sentenza venne eseguita con grandissima premura.

Anche questa parte della profezia delle Settanta Settimane si è già adempiuta alla lettera!

E si può essere adempiuta solo in Gesù, in quanto, come è storicamente risaputo, in quel periodo non è nota l’ingiusta condanna a morte di alcun altro “Messia”.

E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni

Ancora un altro adempimento straordinario.

Un solo evento storico può infatti riferirsi a questa profezia: la distruzione della città e del tempio ad opera dell’esercito romano condotto dal futuro imperatore Tito nel 70 d.C.

Il tempio e la città di Gerusalemme sono stati distrutti solo due volte nella storia dello stato di Israele: nel 586 a.C., come abbiamo detto, e nel 70 d.C. Chi cerca di spiegare in altro modo le parole di questa profezia lo fa quasi, mi azzarderei a dire, per disperazione, per paura di dover ammettere la natura soprannaturale della Parola di Dio e per conseguenza la sua autorità spirituale. La distruzione di Gerusalemme si è verificata proprio dopo l’uccisione e la reiezione del Messia, come è stato anticipato a Daniele quasi cinquecento anni prima che ciò accadesse.

Sono da anni un appassionato studioso di storia antica. Inoltre da piccolo ero letteralmente innamorato della matematica, a tal punto che ne studiavo dei libri per conto mio e facevo esercizi di algebra la domenica pomeriggio per passare il tempo. Da un punto di vista squisitamente storico e matematico, io sostengo – aspetto di essere smentito – che la probabilità che altri eventi storici, dei quali tra l’altro si sarebbe persa la memoria, possano soddisfare tutti i dettagli di questa profezia, già avveratisi perfettamente con gli eventi sopra descritti che confermano che Gesù è il Messia, è teoricamente e praticamente uguale a ZERO.

Da questo punto in avanti, la profezia descrive eventi che sono anche per noi futuri e che avranno luogo poco prima del ritorno del Signore Gesù, da lui stesso promesso ai credenti.

Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore.

Adesso domando la totale attenzione del lettore.

Dal testo capiamo che un certo individuo stipulerà un patto con il popolo di Israele. Chi è? “Egli” va inteso come il “capo che verrà” citato al verso precedente, quando è detto che il suo popolo, i romani, avrebbero distrutto città e tempio di Gerusalemme.

Egli è il primo cavaliere dell’Apocalisse. La sua ascesa segnerà l’inizio degli ultimi sette anni visti profeticamente da Daniele.

“Guardai e vidi un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; e gli fu data una corona, ed egli venne fuori da vincitore, e per vincere” (Apocalisse 6:2).

A metà dei sette anni questo individuo farà cessare il sacrificio offerto in base al culto ebraico nel tempio di Gerusalemme e profanerà personalmente il tempio finché non verrà distrutto.

Quindi arriverà la giustizia eterna, si avvereranno visione e profezia, e il tempio di Gerusalemme, mediante l’unzione del luogo santissimo, verrà consacrato durante il regno del Messia, il Cristo vittorioso, che distruggerà personalmente questo nemico del suo popolo che ha osato profanare il tempio di Dio e perseguitare il suo popolo.

Questa profezia riguarda il popolo di Israele e la città di Gerusalemme. Abbiamo letto al verso 24 la premessa: “Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città”.

La profezia non riguarda la Chiesa. Questo spiega il lungo silenzio ed è per questo che gli ultimi sette anni riguardano la persecuzione finale contro Israele, che avrà luogo immediatamente prima della manifestazione del Messia che ancora oggi Israele attende.

In questa prospettiva sono davvero meravigliose le parole dello studioso ebreo Pincas Lapide che riporto spesso quando parlo di profezie bibliche.

“… dato che nessun ebreo sa chi sia il Messia venturo, mentre voi credete di conoscere con sicurezza la sua identità, io non potrò opporre alla vostra certezza un ‘no’, ma soltanto un modesto punto interrogativo. Sono dunque disposto ad attendere che venga colui che deve venire, e se questi fosse Gesù di Nazaret ritengo che nemmeno un ebreo che creda in Dio avrebbe la benché minima obiezione da muovere”. Pinchas Lapide e Jurgen Moltmann, Monoteismo ebraico – dottrina trinitaria cristiana, Queriniana, p.71”.

Capitolo 4

Le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno

Alla luce di quanto abbiamo detto è chiaro che l’Apocalisse tratta di eventi non ancora accaduti, è uno sguardo a ciò che anche per noi oggi – almeno mentre scrivo questo studio – è futuro.

Del resto non si sono avverate molte altre profezie bibliche dell’Antico Testamento e anche del Nuovo che concernono il ritorno di Cristo e gli eventi che lo precederanno.

L’Apocalisse possiede una chiave di lettura molto semplice. A Giovanni infatti, viene detto apertamente:

“Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito” (Apocalisse 1:19)

Questo schema è talmente semplice che è facilissimo dividere i contenuti del libro in tre parti.

Le cose che hai visto – la visione Capitolo 1
Le cose che sono – il  presente Capitoli 2 e 3
Le cose che devono avvenire in seguito – il futuro Capitoli da 4 a 22

La Nuovissima Versione della Bibbia, un’edizione cattolica, nella versione, per il libro dell’Apocalisse, di Angelo Lancellotti, traduce così: “Metti in iscritto le cose che vedrai, sia quelle riguardanti il presente, come quelle che accadranno dopo di esse”. Non è di certo una traduzione letterale, ma la riporto perché, sebbene questo traduttore sia per un approccio razionalistico al testo dell’Apocalisse, si trova costretto a dover tradurre ciò che il testo dice: le parole della profezia sono riservate ad un tempo futuro rispetto a quando Giovanni ha la sua visione a Patmos, nel 95-96 d.C.

Leggiamo insieme il primo capitolo dell’Apocalisse – “le cose che hai visto” citate per prime nell’ordine della visione avuta da Giovanni.

Non facciamoci intimidire dalla complessità del testo, ma gioiamo per ciò che capiamo, cercando di custodire quanto ci è oscuro per quando riusciremo a capire di più.

La Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha dato per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere rapidamente e che egli ha fatto conoscere, mandandola per mezzo del suo angelo, al suo servo Giovanni, 2il quale ha testimoniato la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, e tutte le cose che ha visto.

La parola Rivelazione è la traduzione di quella greca, ᾿Αποκάλυψις (si legge Apocalipsis) che, traslitterata, ha dato origine al nome in italiano di questo libro che ci è più familiare, Apocalisse. In senso “apocalittico”, termine ormai divenuto tecnico per questo genere letterario, Rivelazione implica una visione e la sua interpretazione e possiamo ricollegarlo già alle parole del profeta Daniele: “c’è un Dio nel cielo che rivela i misteri” (Daniele 2:28).

Le parole che aprono Apocalisse vanno intese proprio in questo senso. Tipica del genere apocalittico è anche la presenza di un angelo che guida colui che ha la visione e spiega gli eventi che si susseguono.

Difficile pensare che il Giovanni qui menzionato non sia l’apostolo, come fanno alcuni. Quando tempo fa investigai la cosa, rimasi colpito dalle prove rintracciabili nella chiesa antica a conferma di tale attribuzione – alcune le ho citate.

 3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e serbano le cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino.

I testi nell’antichità venivano letti a voce alta – come oggi del resto accade in chiesa. E quindi, l’autore del libro estende la benedizione a chi legge, a chi ascolta, ma forse soprattutto a chi “serba” le parole di questa profezia. A chi, cioè, ne fa tesoro e vive nella maniera che impone conoscere certe profonde verità.

La frase “il tempo è vicino” è oggetto di controversia. Ma se ne equipariamo il senso all’espressione: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Matteo 25:13) allora comprenderemo cosa implica nella pratica. Perché la Bibbia è un libro pratico, non un testo di filosofia con nozioni astratte.  Ogni cosa che leggiamo nella Bibbia ha come fine produrre un cambiamento. È l’idea che il ritorno di Cristo, la fine del mondo e il giudizio non siano “imminenti” che dà la falsa impressione che vi sia tempo per ravvedersi, che si può ancora vivere come si vuole – come se il giudizio invece non fosse alle porte per ogni uomo: è lontano un mero respiro. Al contrario, l’idea che il giudizio sia imminente, che cioè non sappiamo quando, anzi, che forse proprio quando meno ce l’aspettiamo il giudizio busserà alla nostra porta, ci stimolerà a vivere questa vita in ragione dell’eternità.

4Giovanni, alle sette chiese che sono nell’Asia: grazia a voi e pace da colui che è, che era e che ha da venire, e dai sette spiriti che sono davanti al suo trono, 5e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dai morti e il Principe dei re della terra. A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue, 6e ci ha fatti re e sacerdoti per Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.

7Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo hanno trafitto; e tutte le tribù (gli abitanti) della terra faranno cordoglio per lui. Sì, amen.

I primi destinatari dell’Apocalisse furono sette chiese che si trovavano in Asia minore, l’odierna Turchia.

Se mi dovessi soffermare sulla profonda cristologia di questi brani, che ho esaminato altrove, ci perderemmo. Mi manterrò allo scopo primo di questo libro, cioè esaminare il dato escatologico dell’Apocalisse.

Il verso 7 è importantissimo. Il richiamo a Daniele 7 è evidente. Ma c’è di più. Guardiamo come il ritorno di Cristo fu previsto nell’Antico Testamento e preannunciato da Gesù stesso.

Matteo 26:63-63: “E il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Gesù gli rispose: “Tu l’hai detto; anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo””. 

Zaccaria 12:8-10: “In quel giorno il SIGNORE proteggerà gli abitanti di Gerusalemme; colui che fra loro vacilla sarà, in quel giorno, come Davide; la casa di Davide sarà come Dio, come l’angelo del SIGNORE davanti a loro. In quel giorno, io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. “Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito”.

Daniele 7:13-14: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; […] e gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto. 

Matteo 24:30: “Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria”. 

Studio le profezie bibliche da oltre quarant’anni, ma ogni volta rimango meravigliato dall’inuguagliabile armonia e autorità della Parola di Dio.

8«Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine», dice il Signore «che è, che era e che ha da venire, l’Onnipotente».

9Io Giovanni, vostro fratello e compagno nell’afflizione, nel regno e nella costanza di Cristo Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos, a motivo della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo. 10Mi trovai nello Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una forte voce, come di una tromba, 11che diceva: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, e ciò che tu vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese che sono in Asia: ad Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea». 12Io mi voltai per vedere la voce che aveva parlato con me. E, come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro 13e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro al petto. 14Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come bianca lana, come neve, e i suoi occhi somigliavano ad una fiamma di fuoco. 15I suoi piedi erano simili a bronzo lucente, come se fossero stati arroventati in una fornace e la sua voce era come il fragore di molte acque. 16Egli aveva nella sua mano destra sette stelle e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta, e il suo aspetto era come il sole che risplende nella sua forza. 17Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli mise la sua mano destra su di me, dicendomi: «Non temere! Io sono il primo e l’ultimo, 18e il vivente; io fui morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli, amen; e ho le chiavi della morte e dell’Ades. 19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che stanno per accadere dopo queste, 20il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e quello dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri che hai visto sono le sette chiese».

Abbiamo così visto cosa accade nella prima divisione del libro, quando Giovanni scrive le cose che “ha visto”. Anche qui lo sguardo è sempre rivolto avanti, al ritorno di Cristo, tema dell’Apocalisse e speranza dei credenti.

Dice l’angelo a Giovanni, “La testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia” (Apocalisse 19:10) e la chiusa del libro: “Amen! Vieni, Signore Gesù!” (Apocalisse 22:20).

Capitolo 5

2 Tessalonicesi e la profanazione del tempio di Gerusalemme

Abbiamo visto che Daniele 7 parla di un regno che sorgerà poco prima del ritorno di Cristo – per Israele, poco prima dell’avvento del Messia. La durata della sua persecuzione contro i santi di Dio durerà tre anni e mezzo. Abbiamo visto che questi tre anni e mezzo altro non sono che la seconda parte dell’ultima settimana di anni di Daniele.

Abbiamo visto come tutto ciò combacia affiancando i testi di Daniele e dell’Apocalisse e trova riscontro nelle parole di Gesù.

Adesso incastoneremo quanto sappiamo con le parole di Paolo ai Tessalonicesi. Si tratta di un dettaglio importante, che va a rendere ancora più nitida l’immagine che stiamo cercando di rappresentare.

La premessa che fa l’apostolo è significativa.

“Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, com’è giusto, perché la vostra fede cresce in modo eccellente, e l’amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più;  4in modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, a motivo della vostra costanza e fede in tutte le vostre persecuzioni e nelle afflizioni che sopportate.  5Questa è una prova del giusto giudizio di Dio, perché siate riconosciuti degni del regno di Dio, per il quale anche soffrite.  6Poiché è giusto da parte di Dio rendere a quelli che vi affliggono, afflizione;  7e a voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, 8in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù.  9Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza,  10quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto, perché la nostra testimonianza in mezzo a voi è stata creduta.11Ed è anche a quel fine che preghiamo continuamente per voi, affinché il nostro Dio vi ritenga degni della vocazione e compia con potenza ogni vostro buon desiderio e l’opera della vostra fede, 12in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo” (2 Tessalonicesi 1:2-13).

Al ritorno di Cristo l’umanità verrà giudicata e la nostra sofferenza verrà ripagata: è il motivo della nostra speranza. Il bene che ci sforziamo di fare, spesso in questo mondo non viene compreso, viene visto con sospetto o diventa addirittura solo un motivo per odiarci. Mai come in questo periodo la Chiesa è perseguitata. In Cina, nord Korea, nei paesi arabi, in alcuni paesi africani. Ma al ritorno di Cristo la situazione sarà ribaltata: chi opera il male sarà certamente punito e chi avrà fatto bene ed avrà obbedito al Vangelo entrerà nel riposo di Dio.

Questa premessa è fondamentale e dà senso a tutto questo argomento che stiamo trattando. Infatti, Dio non ci dice del futuro per fare di noi dei profeti, ma per confortarci, per assicurarci che un giorno verrà stabilita la vera giustizia. Abbiamo anche un monito da presentare ad un mondo lontano da Dio: ravvedetevi. Adesso fate ciò che volete e vi illudete di scampare al giudizio. E magari a quello umano scamperete. Ma non a quello divino. Questo monito non nasce da uno spirito di vendetta, ma dall’amore: chiunque si ravvede troverà infatti grazia presso Dio. Chi fa il male si ravveda finché è in tempo e cerchi Cristo per la propria salvezza!

Paolo continua a scrivere ai tessalonicesi.

“Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente” (2 Tessalonicesi 2:1-2).

Qualcuno aveva insinuato una qualche menzogna, magari scrivendo una lettera e spacciandola per opera di Paolo. Il tema è “la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui” e adesso Paolo ripete ciò che aveva già in precedenza detto a questa chiesa quando si trovava fra loro, in persona. Le sue parole servono anche a noi, per completare ulteriormente il quadro che stiamo illustrando e per non incorrere in errori dovuti alla poca conoscenza o all’influenza di cattivi interpreti della Parola di Dio.

“Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio” (2 Tessalonicesi 2:3-4).

Non possiamo essere confusi. Non possiamo avere dubbi sul fatto che Cristo sia già tornato, come alcuni dicono! Vi saranno dei segni inequivocabili che precederanno il ritorno del Signore. Sono illustrati in Apocalisse dal capitolo 4 al 19, in Daniele 7 e 9. Qui ci viene confermato.

Prima di tutto verrà l’Apostasia. Cosa sia lo dice lo stesso Paolo.

“Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi, segnati da un marchio nella propria coscienza”     (1 Timoteo 4:1-2).

Poi si manifesterà un individuo che Paolo descrive con termini forti:

uomo del peccato

figlio della perdizione

avversario

colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto

al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio

Teniamo ben presente che quando Paolo scrisse questa epistola il tempio di Gerusalemme non era ancora stato distrutto.

Nel lento progresso che stiamo facendo, credo sia giunto il momento di dare un nome ben preciso a questa figura.

Leggiamo così nella prima epistola di Giovanni:

 “Come avete udito, l’anticristo deve venire…” (1 Giovanni 2:18).

Nel testo greco originale la parola di Paolo in Tessalonicesi  tradotta “avversario” e “anticristo”, che è una traslitterazione del greco, hanno in comune l’indicazione della contrapposizione anti[1]. “Avversario” è un termine più generico, ma completa una descrizione piuttosto ampia che dà l’apostolo. “Anticristo” è invece più specifico e riguarda la contrapposizione al Cristo.

Di particolare interesse è una sua azione spregevole: si siederà egli stesso nel tempio di Dio dicendo di essere Dio, ciò al culmine della sua scellerata carriera.

Andiamo in Daniele e vediamo che nella descrizione di questo ultimo avversario troviamo parole che perfettamente coincidono e concorrono a completare la descrizione data da Paolo:

“pronunziava parole arroganti” (Daniele 7:8)

“Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre” (Daniele 7:25-26).

In Daniele 7 questo “re” viene distrutto per dare inizio al regno del Figlio dell’Uomo e dei santi – Daniele 7:13-14, 18, 22, 26-27.

Notiamo anche il collegamento con Daniele 9:27, “in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta” con Daniele 7:25, “si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge”. Questo riferimento riguarda il popolo di Israele e il suo culto a Dio.

Egli vorrà mutare l’essenza della fede ebraica e farà cessare il sacrificio e l’offerta previsti dal servizio nel tempio e ciò farà, nella sua follia, in quanto egli stesso si siederà nel tempio di Gerusalemme e proclamerà di essere Dio. In maniera figurata lo dice anche Daniele 9:27, che dopo aver detto che questo individuo “farà cessare sacrificio e offerta” aggiunge che il tempio sarà profanato: “sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore”.

Ci rendiamo conto di quale meravigliosa armonia esista nel dato profetico rivelato nei vari libri della Bibbia?

Qualche legittima perplessità su questa interpretazione viene dal fatto che oggi non esiste più il tempio di Gerusalemme. Quando gli uomini di Dio dei tempi che ci hanno preceduto interpretavano la Scrittura così come la leggiamo, certi che la Bibbia non mente e che ciò che è scritto avverrà, non facendo dipendere la propria interpretazione dalla miopia che può condizionarci in base ai tempi nei quali viviamo. Oggi, che davanti ai nostri occhi le profezie bibliche sugli ultimi tempi cominciano ad avverarsi, per noi è molto più facile.

In Israele sono già in fase avanzata i piani per la costruzione del terzo tempio. Il 12 febbraio ho visualizzato questo video che descrive il nuovo tempio,

https://www.israelnationalnews.com/news/198621

Questo un sito italiano dove viene discusso lo stesso articolo in inglese (che presento perché più completo),

Procede la ricostruzione del Terzo Tempio in Israele

Continuiamo con l’epistola di Paolo, perché la sua esposizione è tutt’altro che conclusa. Anzi, comincia adesso la parte migliore.

Il male infatti non trionferà che per un tempo limitato. Per questo viene comunicato il tempo esatto del regno di terrore dell’Anticristo, tre anni e mezzo. Ed è bellissimo vedere il contrasto, che motiva i nostri sacrifici e la nostra resistenza alla persecuzione, quando leggiamo che “i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, eternamente” (Daniele 7:18).

Paolo specifica chiaramente che l’Anticristo verrà distrutto da Gesù stesso, al suo ritorno:

“il Signore Gesù (lo) distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta”      (2 Tessalonicesi 2:8).

Anche questo è in perfetta armonia con gli altri brani profetici della Scrittura che stiamo considerando.

“Io guardavo ancora, a motivo delle parole arroganti che il corno pronunziava; guardai fino a quando la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso” (Daniele 7:11).

Apocalisse 19 descrive il ritorno di Cristo in maniera da ampliare la descrizione di 2 Tessalonicesi 2:8.

“Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo” (Apocalisse 19:20).

Sarà allora che i credenti entreranno davvero e completamente nel loro riposo, regnando con Cristo e vivendo, risuscitati dal Cristo al suo ritorno, per sempre con lui.

 

Capitolo 6

La bestia di Daniele e quella dell’Apocalisse.

In Daniele 7 il profeta vede quattro bestie, ma si sofferma in particolare sulla quarta. Egli la descrive, evitandoci il problema di dover comprendere il senso del simbolismo.

“Ed egli mi disse: “La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, sorgerà un altro re, che sarà diverso dai precedenti” (Daniele 7:23-24).

Questo regno è quello che precederà immediatamente il ritorno di Cristo, l’istaurarsi del regno del Messia.

“Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre” (Daniele 7:26).

Anche in Apocalisse si parla di una bestia (Apocalisse 13). E anche questa viene distrutta dal Cristo che ritorna (Apocalisse 19).

Se si parla dello stesso “regno” con a capo lo stesso individuo le due descrizioni, in Daniele e in Apocalisse, devono combaciare. Vediamo se è vero.

Amo il finale del capitolo 12 di Apocalisse, che, secondo me molto più correttamente, si trova all’inizio del capitolo 13 nelle versioni in inglese della Bibbia, dove non esiste il verso 18 del capitolo 12. Lo trovo molto significativo, forte, con un grande potere descrittivo.

Dopo tutto ciò che è successo fino a quel momento e la visione sconvolgente della donna perseguitata dal Dragone, Giovanni si ferma, in riva al mare. Il mare è il Mediterraneo[2]. Qui vede qualcosa di mostruoso.

Giovanni:

“mi fermai sulla sabbia del mare e vidi salire dal mare una bestia” (Apocalisse 12:8-13:1).

Daniele:

“Io guardavo nella mia visione, di notte, ed ecco, i quattro venti del cielo squassavano il Mar Mediterraneo e quattro bestie salivano dal mare, una diversa dall’altra” (Daniele 7:2).

Daniele vede quattro bestie che simboleggiano quattro regni:

– la prima simile a un leone

– la seconda simile a un orso

– la terza simile a un leopardo

– la quarta diversa dalle precedenti.

Giovanni ci dà un indizio inequivocabile con il quale ci conferma che la sua descrizione riguarda la quarta bestia di Daniele.

Egli infatti ci dice che la bestia che egli vede è simile a un leopardo, con i piedi da orso, e la bocca di un leone.

Guardate che attenzione nei dettagli.

Daniele Giovanni
Leone Orso Leopardo Bestia

Giovanni vede l’ascesa della quarta bestia di Daniele e per lui, come il profeta dell’Antico Testamento, si trova davanti a un evento futuro. Ma le tre bestie che l’anno preceduta si trovano nel passato, quindi deve voltarsi indietro per vederle e infatti le cita nell’ordine esattamente inverso: leopardo, orso e leone.

Giovanni ci sta dicendo apertamente, sebbene con linguaggio “apocalittico” che la bestia della quale lui vede l’ascesa è la quarta vista da Daniele e descritta in Daniele 7.

Gli altri dettagli delle due descrizioni coincidono e Apocalisse a dire il vero approfondisce con cose taciute da Daniele.

Anche questo è perfettamente in armonia con la progressività dell’esposizione profetica della Scrittura.

In Daniele 7 infatti, il profeta parla dei quattro regni. Questa visione fa eco a quella di Daniele 2, che arricchisce di nuovi dettagli. Daniele 8 e seguenti ampliano la profezia del secondo e terzo regno, l’orso e il leopardo. La Scrittura lascia ad Apocalisse il compito di proseguire ed ampliare quanto detto da Daniele sulla quarta bestia.

Troviamo altre conferme di ciò che diciamo – se fosse ancora necessario.

Daniele:

“una quarta bestia spaventosa, terribile … e aveva dieci corna” (Daniele 7:7).

Giovanni:

“vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna” (Apocalisse 13:1)

Daniele:

“egli proferirà parole contro l’Altissimo” (Daniele 7:25)

Giovanni:

“E le fu data una bocca che proferiva grandi bestemmie… per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo…” (Apocalisse 13:5-6).

Daniele:

“Perseguiterà i santi dell’Altissimo” (Daniele 7:25).

Giovanni:

“Le fu dato di fare guerra ai santi” (Apocalisse 13:7).

Daniele:

“La quarta bestia sarà un quarto regno sulla terra, che sarà diverso da tutti gli altri regni e divorerà tutta la terra…” (Daniele 7:23).

Giovanni:

“le fu dato autorità sopra ogni tribù, lingua e nazione” (Apocalisse 13:7).

Daniele:

“i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei (due) tempi e la metà di un tempo”, cioè 3 anni e mezzo (Daniele 7:25).

Giovanni:

“e le fu data podestà di operare per quarantadue mesi” (Apocalisse 13:5)

Vediamo che meravigliosa armonia del dato profetico? Capiamo adesso perché l’Apocalisse non è difficile da capire, non se è giustamente inquadrata all’interno del quadro escatologico più ampio che ricaviamo mettendo a confronto la Scrittura con la Scrittura. Così la Scrittura interpreta la Scrittura e abbiamo la certezza delle cose che stiamo studiando.

Daniele:

“guardai finché la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso” (Daniele 7:11)

Giovanni:

“la bestia fu presa e con lei il falso profeta (suo diabolico alter ego “religioso”) … furono gettati vivi nello stagno di fuoco” (Apocalisse 19:20).

Il ritorno di Cristo sarà il momento della resa dei conti con questo mondo malvagio. Allora si che la giustizia abiterà sulla terra e ogni cosa sarà fatta nuova.

Queste parole devono suscitare paura a un mondo senza Dio, che pensa di farla franca, ma che deve essere messo in guardia che non sarà così e invitato a ravvedersi. E devono dar pace e forza a chi spera in Cristo, anche in questa vita ovviamente, ma soprattutto per quella vera che gusteremo al suo ritorno, mentre adesso, in mezzo a tribolazioni e paure, riusciamo a malapena ad assaggiare e pregustare.

Capitolo 7

Le cose che sono

Come abbiamo visto, a Giovanni viene detto di scrivere le “cose che sono” e “quelle che saranno”.

Come è evidente dallo stesso libro dell’Apocalisse, le “cose che sono” le troviamo ai capitoli 2 e 3.

Il preludio è già presente in Apocalisse 1:9-20.

“Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore, e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea”. Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando. Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque. Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades. Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai viste nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese”.

[1] Questo uso del greco è sopravvissuto anche nella nostra lingua, in parole come antitesi, antitetico, antibiotico, anticonformista, ecc.

[2] La versione della Nuova Riveduta: “e si fermò sulla riva del mare” è errata.

Come vediamo dalla cartina, queste sette chiese erano tutte abbastanza vicine. Si trovavano in quella zona del mondo allora chiamata Asia, detta anche Asia minore, corrispondente alla Turchia odierna.

E adesso torniamo al nostro discorso iniziale. Come capiamo? In quale modo “comprendiamo” cosa dice la Scrittura.

Se facciamo un’analisi storica di quello che riguarda queste chiese, vedremo che i dettagli si incastonano perfettamente con quanto detto nel libro biblico. Vi era un messaggio per loro, specifico, diretto. Un messaggio che è stato inviato e che non sappiamo quanto e per quanto sia stato recepito.

Ho letto dei commentari dove tutto viene attentamente valutato. La situazione geopolitica di ogni città, quella sociale. È inoltre interessante approfondire le specifiche problematiche di ognuna. Tutto molto interessante, ma fuori tema per il modo in cui stiamo conducendo questo studio. La maniera in cui stiamo cercando di capire l’Apocalisse è diversa.

Quello che impariamo dalle lettere alle sette chiese, trascende l’esegesi letterale e circostanziale, legata al momento storico che l’Apocalisse comunque cristallizza.

Intanto, perché proprio sette?

Il numero sette ricorre così tante volte nella Bibbia che ognuno che la legge, anche senza essere uno studioso, sa quanto sia importante. È un numero che associamo a completezza, perfezione. Giovanni nel suo vangelo lo utilizza molto e lo stesso avviene qui.

Leggendo le sette lettere alle sette chiese, abbiamo un quadro che dipinge quella che è la situazione della Chiesa nel suo cammino storico. In ogni periodo, varie chiese hanno affrontato varie problematiche, ognuna le sue, diverse dalle altre. Alcune sono perseguitate, altre stanno bene, persino troppo bene. Alcune si inorgogliscono. Altre si annacquano nella dottrina. Quindi, le sette lettere, se ci guardiamo intorno, parlano alla Chiesa di oggi come parlavano alla Chiesa di duemila anni fa.

Allo stesso tempo, come non è sfuggito a tanti commentatori, vediamo anche un tragitto storico: la nascita, la crescita, la maturità, le forti problematiche, la fedeltà e poi la rovina. Le sette chiese rappresentano il tragitto della Chiesa dalla sua nascita fino alla fine, fino al ritorno di Cristo. Il contrasto fra le ultime due chiese, una fedele, Filadelfia, e l’altra Laodicea, che il Signore vomiterà, ci sembra di raffigurare la parabola delle dieci vergini: cinque avvedute e pronte, cinque distratte e per questo lasciate indietro.

Perché la lezione delle sette chiese è importante?

Perché forse non vedremo mai gli eventi che saranno, cioè quelli descritti dal capitolo 4 in avanti, ma di sicuro ciò che troviamo ai capitoli 2 e 3 e che riguarda le chiese del primo secolo, e che in una certa misura, sebbene con particolari diversi, ha riguardato la Chiesa in ogni tempo, certamente riguarda la Chiesa oggi, e quindi anche noi.

Con in mente quanto ho detto al primo capitolo di questo libro, leggiamo questi due capitoli che ci riguardano così da vicino, che sono profetici e che sono attuali.

Interromperò il testo con delle mie veloci note.

“All’angelo della chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: 2Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi.  

Dio sa quello che accade, Gesù è al corrente di ciò che avviene nella Sua Chiesa. Ognuno di noi che perviene alla Verità si trova a dover scegliere, ad approfondire, capire e dover distinguere tra le tante falsità che ci circondano e la Verità delle Sacre Scritture.

Nei primi secoli, e qui il riferimento alla chiesa di Efeso è chiaro, la Chiesa venne chiamata a dover capire, discernere i veri apostoli dai falsi per non essere sedotti. In un certo modo questa sfida noi credenti ci troviamo anche oggi a doverla affrontare. Rispetto alla Chiesa primitiva noi abbiamo oggi la Bibbia, completa, alla quale con grande facilità possiamo avere accesso, che possiamo leggere, consultare, studiare. Non ci facciamo ingannare: capire la Bibbia non è difficile, semmai è difficile per il cuore dell’uomo accettare il Suo messaggio e sottomettersi alla Volontà di Dio.

Vi è chi legge la Bibbia e decide di cambiare alla luce del suo insegnamento. Vi è al contrario chi si sforza di farle dire ciò che più conviene, legge ciò che interessa e trascura ciò che non piace. Nella lettura e studio a cuor sincero, aperto, interviene lo Spirito Santo, che ci insegna. Lo Spirito comunica al nostro spirito le cose di Dio, in maniera spirituale. Il risultato? L’uomo nuovo, un pezzettino del regno di Dio sulla terra in testimonianza al mondo della realtà che un giorno sarà.

3So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. 4Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. 5Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi.  

Quando abbiamo conosciuto la Verità eravamo zelanti. Io andavo in chiesa almeno tre volte la settimana. Poi con gli anni, molti si assuefanno, si abituano. Io ringrazio Dio per le molte vicissitudini che nella vita mi hanno insegnato a non dare per scontata la benedizione di avere un locale di culto e dei fratelli con i quali servire Dio. Non riesco a darlo per scontato neanche oggi e scontato non è per molti milioni di cristiani perseguitati nel mondo: non nel Colosseo del primo secolo, ma oggi, nel 2022.

“Ravvediti” è una frase molto forte, è più che un invito: è un avvertimento. Con la Verità non si scherza.

6Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto. 7Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio.

Chi erano i Nicolaiti?

Ecco che la storicità delle lettere alle chiese si presenta e rimaniamo un po’ perplessi. Perché non abbiamo un’idea precisa di chi fossero costoro. Eppure il testo ci dice una cosa importante, fondamentale. Chiunque fossero i Nicolaiti, Dio ne detesta le opere. E allora impariamo che dobbiamo detestare ciò che Dio detesta. Per la chiesa di Efeso la sfida nella società in cui operava erano questi Nicolaiti. Oggi a dire il vero, abbiamo l’imbarazzo della scelta, tanto è aumentata la malvagità dell’uomo.

Dopo aver intimato di ravvedersi dal proprio errore e aver prospettato le conseguenze negative, viene detto ciò che di buono ha questa chiesa e la meravigliosa promessa che deve darle forza e speranza.

 8“All’angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: 9Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana.10Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. 11Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda.

Strano notare una cosa vera comunque da sempre: la Chiesa che soffre, che è perseguitata, è quella più fedele. Ringraziamo Dio che in Italia la Chiesa non è più perseguitata, ma in molti luoghi del mondo essere cristiani non è facile. In Cina, nei paesi arabi, in molte parti dell’Africa, ecc. L’incoraggiamento ai credenti che soffrono è quello di perseverare. Il premio sarà “la corona della vita”: meravigliosa promessa che riguarda ognuno di noi, che ci motiva e ci dona speranza.

12“All’angelo della chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che ha la spada affilata a due tagli: 13Io so dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu rimani fedele al mio nome e non hai rinnegato la fede in me, neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu ucciso fra voi, là dove Satana abita. 14Ma ho qualcosa contro di te: hai alcuni che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac il modo di far cadere i figli d’Israele, inducendoli a mangiare carni sacrificate agli idoli e a fornicare. 15Così anche tu hai alcuni che professano similmente la dottrina dei Nicolaiti. 16Ravvediti dunque, altrimenti fra poco verrò da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. 17Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve.  

La chiesa di Pergamo si trova in un posto dedicato al culto del nemico ed è stata scossa, colpita in maniera diretta, forte, da un evento cruento; nonostante questo non ha rinnegato la fede. Eppure al suo interno vi è compromesso, forse anche idolatria. Quindi anche per questa chiesa, ricompare l’avvertimento: ravvediti.

Non ci nascondiamo dietro un dito. Vi sono intere chiese dove il compromesso è di casa. La Chiesa Cattolica – so che non dovrei fare nomi, ma sono abituato a dire pane al pane, vino al vino – è caratterizzata da questo. Ma, sebbene in modo diverso, anche le chiese evangeliche, cui appartengo, dove raggiungono una certa tranquillità, si integrano bene nel tessuto sociale e vengono riconosciute, accade che il compromesso comincia a farsi strada.

Purtroppo spesso ciò è vero anche nella nostra realtà individuale di credenti.

18“All’angelo della chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo incandescente: 19Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime.20Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. 21Le ho dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. 22Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie. 23Metterò anche a morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere. 24Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. 25Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga. 26A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, 27ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, 28come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino. 29Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

Anche in questa chiesa vi è il compromesso. Ma solo in parte, non ha intaccato tutto l’organismo.

Spesso alcuni fratelli in Cristo vengono giudicati in base alla chiesa di appartenenza. Non sempre è corretto. Vi sono vari motivi per i quali ci si può trovare a far parte di una chiesa dove alcuni praticano il compromesso, ma si rimane fedeli. Dio premierà la fedeltà e punirà chi non si ravvede, e a volte chi appartiene ad una categoria e chi all’altra siedono nello stesso locale di culto.

1“All’angelo della chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere ma sei morto. 2Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. 3Ricòrdati dunque come hai ricevuto e ascoltato la parola, continua a serbarla e ravvediti. Perché, se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, e tu non saprai a che ora verrò a sorprenderti. 4Tuttavia a Sardi ci sono alcuni che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno con me in bianche vesti, perché ne sono degni.  5Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli.6Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.  

La situazione nella chiesa di Sardi è drammatica. Lo è per la sua condizione, ma forse ancora di più per il fatto che la realtà è nascosta, non è evidente. Vi sono chiese che sembrano belle, che le vedi crescere e hanno una buona nomina. Eppure, la realtà è ben altra. Eppure, in questa triste situazione, alcuni sono fedeli. Capita che dei credenti si trovino all’interno di chiese dove rappresentano una minoranza fedele. Dio sa perché alcuni credenti sono chiamati ad un compito così arduo come è quello di servire Dio e portare avanti una testimonianza vera in mezzo a credenti che sono “morti”. Probabilmente sono una testimonianza di vita e un invito a ravvivare il corpo della chiesa prima che muoia totalmente. I credenti “morti” dovrebbero solo ricordare la Parola, come l’hanno ricevuta e tornare ad essa per vivere veramente ed essere pronti ad incontrare il Signore.

 7“All’angelo della chiesa di Filadelfia scrivi: Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre:  8Io conosco le tue opere. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. 9Ecco, ti do alcuni della sinagoga di Satana, i quali dicono di essere Giudei e non lo sono, ma mentono; ecco, io li farò venire a prostrarsi ai tuoi piedi per riconoscere che io ti ho amato.10Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra.11Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona.  12Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, e della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nuovo nome. 13Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.  

Eccoci a Filadelfia, la città dell’amore fraterno, in base all’etimologia del suo nome. Sono convinto che in ogni chiesa dove viene fatto questo studio, si dirà con convinzione: siamo noi Filadelfia, la chiesa alla quale il Signore non ha nulla da rimproverare. Spero sia così per voi.

Io sono nato in una famiglia cattolica. Mi sono convertito a Cristo in una chiesa Battista – Independent Baptist. Sono cresciuto nella fede nelle ADI italiane. Poi sono diventato membro di una chiesa indipendente che nel 2010 è divenuta Church of God. Vivendo all’estero sono stato membro di una chiesa associata ad un ministero americano. Sono stato quindi parte di chiese che erano un po’ Efeso, un po’ Sardi … Persino un po’ Laodicea. Ogni volta sono convinto che Dio mi abbia messo lì con uno scopo ben preciso.

Bene per chi fa parte di Filadelfia. Ma la fedeltà è una questione individuale. Essere cristiani non è come prendere una malattia infettiva: non basta stare in mezzo a chi l’ha contratta e sperare di essere contagiati. Essere cristiani è una relazione personale fra noi e Dio, dovunque ci troviamo, dovendo dare conto di noi stessi, del nostro operato e mai di quello degli altri.

È nota la diatriba che riguarda il rapimento della Chiesa: “pre” o “post” tribolazione o grande tribolazione. Le parole: “Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra” effettivamente sembrano lasciar intendere che la chiesa fedele, le cinque vergini avvedute di Matteo, verranno risparmiate dall’entrare nel periodo che vedrà i giudizi riversarsi su questo mondo. Nei miei libri non mi sono mai apertamente pronunciato a favore di questa o di quella tesi in proposito. Avrò anche da studioso il diritto di non essere certo né di una né dell’altra posizione ed essere aperto a qualsiasi ipotesi? La Parola non fa di noi dei profeti. Ci ammonisce, istruisce. Avere studiato per tanti anni, mi rende poco incline ai dogmi e di più alla prudenza. Se la Chiesa verrà rapita prima della tribolazione, ben venga. Se non verrà rapita, sarà pronta ad affrontarla. In ogni caso, qualunque sia la nostra posizione, Gesù ci ha ammonito: vegliate! E vegliare dobbiamo.

In ogni caso, per quanto fedele possa essere la chiesa nella quale serviamo, ognuno renderà conto della propria personale fedeltà.

Ad ogni modo, Filadelfia sembra sia la chiesa che è ben rappresentata dalla cinque vergini avvedute. 

14“All’angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio: 15Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! 16Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca. 17Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!” Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. 18Perciò io ti consiglio di comperare da me dell’oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere. 19Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. 20Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. 21Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. 22Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.

La situazione della chiesa di Laodicea era – è! – davvero terribile.

Posso dire anche io qualcosa di terribile? Chissà quante chiese si credono di essere Filadelfia, ma sono in realtà Laodicea!

Purtroppo credo che Laodicea sia il modello di chiesa oggi più diffusa nel mondo occidentale, nelle aree del mondo dove prospera il cristianesimo tradizionale, vuoto, ritualista, che si trascina avanti senza convinzione adattandosi alla società che la circonda, piuttosto che adoperarsi per cambiarla – un individuo alla volta! Questa chiesa sonnacchiosa, al punto da diventare, dal punto di vista spirituale, cieca, povera, nuda, Gesù la vomiterà dalla sua bocca, perché non prende posizione né da una parte né dall’altra: è tiepida.

Naturale ricollegarla alle cinque vergini non avvedute della parabola di Matteo.

Queste le “cose che sono”. “Sono” da quasi duemila anni, durante i quali la Chiesa si è diffusa principalmente al di fuori dei confini di Israele. 

 

 




Baldassarre e l’attendibilità storica della Bibbia

di Giuseppe Guarino

Baldassarre, re babilonese citato più volte nel libro biblico di Daniele, è un personaggio la cui provata esistenza ha dimostrato ulteriormente l’attendibilità storica della Bibbia.

Vediamo cosa ci dice di lui Daniele.

  • In Daniele 5:1, 9; 8:1 è chiamato “re”.
  • In Daniele 5:30 è chiamato “re dei Caldei”.
  • In Daniele 7:1 è il “re di Babilonia”.
  • In base a Daniele 8:1, dove la visione è preceduta da una premessa “Nel terzo anno di regno del re Belshatsar”, sappiamo che regnò almeno 3 anni.
  • Daniele 5:2 chiama Nebukadnetsar padre di Belshatsar. Per giusta conseguenza, Daniele 5:22 definisce Belshatsar figlio di Nebukadnetsar.
  • È l’ultimo re di Babilonia. Nella notte stessa in cui avvenne il famoso banchetto, ci dice Daniele “Belshatsar, re dei Caldei, fu ucciso”, concludendo la dinastia caldea di Babilonia.

Girolamo scrive nel principio del suo commento a Daniele 5: “Bisogna chiarire che questi – Belshatsar – non era il figlio di Nebucadnesar, come i lettori di solito immaginano; ma secondo Beroso, che scrisse la storia dei Caldei, e anche secondo Giuseppe Flavio, che segue Beroso, dopo i 43 anni di regno di Nebucadnesar, suo figlio chiamato Evilmerodach gli successe al trono… Giuseppe Flavio narra che dopo la morte di Evilmerodach, suo figlio Neriglissar succedette sul trono di suo padre; dopo il quale in seguito pervenne il figlio Labosordach. Alla sua morte, suo figlio Belshazzar ottenne il regno, ed è di lui che le Scritture adesso fanno menzione. Dopo che egli venne ucciso da Dario, re dei Medi, che era zio da parte di madre di Ciro, re dei Persiani, l’impero dei Caldei fu distrutto da Ciro il persiano”.

Sebbene Girolamo sia attento a scegliere fonti autorevoli, incorre in qualche errore, come vedremo più avanti in questa discussione. La sua ricostruzione , però, è davvero molto vicina alla realtà dei fatti.

Leggiamo adesso noi stessi dai testi di Giuseppe Flavio. Nelle sue “Antichità dei Giudei”, decimo libro, scrive: “Ma ora, dopo la morte di Nebuchadnezzar, Evil-merodach, suo figlio, succedette nel regno. […] Quando Evil-Merodach morì, dopo un regno di 18 anni, Neglissar suo figlio prese il potere, e lo tenne per 40 anni, quindi morì; e dopo di lui la successione del regno pervenne a suo figlio Labosordacus, il quale rimase al potere per soli 9 mesi. E quando egli morì, esso pervenne a Baltasar, che dai Babilonesi era chiamato Nabonedo. Contro di lui fecero guerra Ciro, il re di Persia e Dario, re di Media. […] perché accadde durante il regno di Baltasar che Babilonia venne presa, quando aveva regnato 17 anni. E questa fu la fine della discendenza di Nebuchadnezzar come la storia ci informa.”

La storia, come la conosciamo oggi, ci informa della successione dei re dell’impero babilonese come segue:

  • Nabopolassar, che ridarà splendore a Babilonia e fonderà l’impero neo-babilonese
  • Nabucodonosor II, re per 43 anni
  • Awil-Marduk, ovvero Evilmerodach, suo figlio, che regnò un paio di anni
  • Nergal-usur, ovvero Neriglissar, che durò al potere 4 anni
  • Labashi-Marduk che regnerà pochi mesi
  • Nabu-na’id, ovvero Nabonedo

La confusione nei nomi è naturale nella storia antica. Anzi, devo dire che risultano abbastanza identificabili nelle varie fonti che ho citato, rispetto ad altri esempi che ci arrivano dall’antichità.

Sia Giuseppe Flavio che Girolamo sono ovviamente influenzati dalla Bibbia nel considerare Beltsasar l’ultimo re di Babilonia. Giuseppe Flavio non ritrovando nelle sue fonti un altro nominativo come ultimo re, semplicemente suppone che il Beltsasar biblico corrisponda al babilonese Nabonedo. Che egli intenda i due essere il medesimo personaggio, lo attesta che Nabonedo, ultimo re di Babilonia regnò effettivamente i 17 anni citati da Giuseppe Flavio, dal 556 al 539 a. C. Si tratta comunque di due persone diverse, come è oggi risaputo.

Una chiarificazione di questa problematica ci è stata proposta in tempi relativamente recenti. Come ho detto forse fino a mettere alla prova la pazienza del lettore, l’esattezza di Daniele nei dettagli che propone, così come la sua noncuranza affinché le sue affermazioni siano riscontrabili è tipica di chi è testimone in prima persona di certi eventi. Se il libro fosse realmente stato scritto nel II secolo a.C., l’ignoto autore, per assicurarsi una sicura accettazione del suo libro, avrebbe dovuto curarsi di attingere a tematiche così come a personaggi noti ai suoi lettori.

Nel cosiddetto Cilindro di Nabonedo, qui in alto, vengono celebrate delle opere del-l’ultimo re ba-bilonese.

È proprio grazie alla menzione fatta in esso di Beltsasar che egli ci diviene noto anche grazie a fonti extrabibliche.

Questa straordinaria scoperta archeologica, con una migliore conoscenza degli ultimi anni di regno babilonese, ha confermato la narrazione biblica.

Per motivi non del tutto chiari Nabonedo trascorse molti anni lontano dal suo regno. Sebbene egli provasse a legittimare il suo regno, il suo comportamento causò un forte scontento fra i babilonesi, tanto che i persiani vennero accolti quasi come dei liberatori, degli esecutori del volere del dio nazionale Marduk, infastidito dalla condotta dei regnanti babilonesi.

“Se i primi anni di regno furono dedicati ad un rafforzamento interno e ai restauri templari, poi Nabonedo si trasferì in effetti in Arabia per alcuni anni … lasciando il governo di Babilonia al figlio Bel-shar-usur (il Baldassarre della Bibbia)”, Storia Universale, Vol. 3, Le civiltà mesopotamiche, RCS 2004, pag. 639.

Non è la storia a confermare la Bibbia, né la Bibbia a confermare la storia. La Bibbia non è un libro di storia, bensì la Parola di Dio. Ma riuscire a vedere l’Antico Testamento anche come un’attendibile fonte storica, arricchisce il valore culturale dei libri sacri di cristiani ed ebrei. Personalmente credo che il naturale rifiuto di alcuni per le nostre Sacre Scritture, origini dalla “paura” che riconoscerne il valore dal punto di vista storico e letterario, conduca al passo seguente: doverne accettare o almeno considerare seriamente il valore come Parola di Dio. È questo che rende la Bibbia scomoda e fastidiosa?

Ma continuiamo nella nostra analisi della testimonianza storica di Daniele su Beltsasar. Abbiamo letto che Daniele lo chiama “figlio” del grande Nebucadnesar e, per giusta conseguenza, definisse quest’ultimo suo padre. Ebbene queste affermazioni si possono intendere in due modi. Si può facilmente dimostrare con la Scrittura, che i termini “padre” e “figlio” a volte si intendono in senso ampio, di certo non familiare con la nostra mentalità e lingua. Nel commento al libro ho già proposto questa ipotesi. Consideriamo un esempio soltanto: Matteo 1:1 che legge: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo”. Noi oggi diremmo: “discendente di Davide, discendente di Abramo”. Possiamo aggiungere che non era nemmeno necessario che vi fossero dei vincoli di sangue per giustificare l’affermazione di Daniele, visto che Beltsasar era “successore” diremmo noi di Nebucatnesar nel regno di Babilonia e tanto poteva bastare per giustificare le parole del profeta.

Wilson propone un’interessante alternativa. Beltsasar “… poteva essere figlio biologico di Nebucatnesar e figliastro di Nabonedo, in quanto quest’ultimo aveva sposato la madre di Beltsasar dopo la morte di Nebucadtnetsar. Era costume dei re subentrati sposare le mogli dei propri precedessori. […] Questo spiegherebbe anche perché Beroso, secondo quanto riferito da Giuseppe Flavio, chiama Nabonedo babilonese, mentre Beltsasar è chiamato da Daniele caldeo”. Robert Dick Wilson, Studies in the book of Daniel, pag. 119.

Questa è solo un’ipotesi, ma si armonizza con il bisogno di Nabonedo di legittimare la sua presenza sul trono di Babilonia.

“Nabonedo, che deve il potere ad un colpo di mano militare, deve legittimare la sua intronizzazione superando il duplice inconveniente di essere un usurpatore, e di essere estraneo all’ambiente babilonese e in particolare di essere privo dell’appoggio del clero di Marduk. Un’iscrizione di Nabonedo riassume la sua strategia ideologica per superare queste difficoltà iniziali […] “Io – conclude Nabonedo – sono il vero legittimo erede e continuatore di Nabucodonosor e di Neriglissar…io ho continuato e concluso l’opera di restauro dei templi, degli arredi sacri e dei culti”, Le civiltà mesopotamiche, pag. 638.

Le nostre conoscenze sul periodo storico così vividamente descritto da Daniele non ci consentono di fare luce su molti dettagli, ma è già a dir poco sorprendente come, ad oggi, una migliore conoscenza della storia da fonti extrabibliche, abbia sempre confermato l’attendibilità della Sacra Scrittura come documento storico.

Anche la tragica fine di quest’ultimo re babilonese, a conferma di quanto dice la Bibbia su di lui, Daniele 5:30-31, è narrata nel cosiddetto Cilindro di Ciro, altro importante reperto archeologico, in cima a questa pagina, che narra proprio la presa di Babilonia da parte di Gobryas, capo dell’esercito di Ciro, e l’uccisione del figlio del re Nabonedo.

 




Nabucodonosor

NABUCODONOSOR di Giuseppe Guarino

Nabucodonosor fu il grande re babilonese autore della distruzione del primo tempio e della città di Gerusalemme nel 586 a.C.

Immagine tratta da bookeasy.giuntiscuola.it

Nabucodonosor II fu figlio di Nabopolassar, il primo re del periodo neo-babilonese, colui che pose fine alla dominazione assira, dando inizio all’egemonia di Babilonia nella quasi totalità dell’odierno Medio-Oriente del VI secolo a.C. E’ il famoso Nabucco di Verdi, l’autore della deportazione del popolo di Giuda, dell’esilio babilonese, evento, nella memoria storica del popolo di Israele, per importanza secondo soltanto alla schiavitù egizia ed all’esodo.

La Bibbia lo nomina in più parti e neanche con toni del tutto di condanna. E’ un re la cui grandezza non sfugge neppure ai profeti ed ai resoconti biblici delle sue gesta.

Era certamente un re pagano: la storia lo ricorda particolarmente devoto a Marduk, divinità principale del pantheon babilonese. Per arricchire il tempio del suo dio, Nebucadnesar (altro modo di scrivere il nome del re babilonese) spogliò i templi e le città dei suoi nemici. Lo stesso tempio di Gerusalemme venne da lui depredato delle sue ricchezze e queste offerte a Marduk. L’Antico Testamento  ricorda con grande amarezza questa tragedia per la vita religiosa del popolo ebraico.

Egli abbellì e portò Babilonia ad una gloria quale non era mai stata prima e che non fu mai più in seguito. La porta di Ishtar, oggi ricostruita ed ammirabile in tutta la sua maestà e bellezza, lo aveva visto sfilare al ritorno delle sue battaglie, vittorioso, carico di bottino da consegnare al suo dio ed alla sua città. Lungo la Via della Processione, sotto gli occhi ammirati del suo popolo osannante, sfilava il suo esercito con lui a capo. La processione si arrestava proprio davanti al tempio di Marduk, dove offriva in dono i tesori depredati ai suoi nemici.

La Babilonia dei suoi tempi era una città maestosa e possiamo solo immaginare il senso di onnipotenza che doveva pervadere Nebucadnesar quando con lo sguardo, dai balconi del suo palazzo, dominava tanto splendore, bellezza e potenza: ammirava i giardini pensili, che sarebbero rimasti famosi nei secoli a venire come una delle opere più belle della storia dell’avventura umana; percorreva con lo sguardo la via della processione, che tagliava la città in due, dalla porta di Ishtar fino al tempio di Marduk; i palazzi perfettamente allineati e le vie trafficate da un popolo in grande fermento culturale e commerciale.

Percorrendo il suo palazzo, grande e ricco delle più belle espressioni artistiche del suo tempo, provenienti da ogni parte del suo impero, interrompeva la sua passeggiata davanti la biblioteca di palazzo, dove innumerevoli testi raccoglievano la memoria storica del suo popolo fino dai tempi prima del diluvio. Migliaia di testi che conosceva e sui quali era stato istruito, parlavano delle glorie passate di grandi re, di Hammurabi e delle sue leggi, di Gilgamesh, di Sargon e di tanti altri, della nascita delle grandi città, Assur, Ninive, Eridu, Uruk, Accad e della loro gloria.

Camminando lento giungeva alle sue stanze, al suo letto, dove nessuno lo attorniava o lo riveriva, solo, con il suo balcone e la vista sulla sua grandiosa città, opera dei suoi avi, di suo padre e sua.

A volte la pace, per un condottiero di tante battaglie, può portare più ansie e pensieri della più ardita spedizione di guerra, ed una notte in particolare ci narra il libro del profeta Daniele (capitolo 2), il re fece un sogno angosciante, un sogno che l’avrebbe tormentato anche da sveglio.

La Sacra Scrittura narra che nessuno dei suoi fidati “magi”, savi, di corte fu capace di interpretare o ricordare i contenuti di quel sogno al re, tranne Daniele, ebreo di nobili origini deportato ed educato nella corte babilonese per volere dello stesso Nebucadnesar.

Il libro di Daniele, con i suoi coloriti simbolismi, gli riconosce una grandezza ed una regalità senza pari, rappresentandolo come il capo d’oro del famoso colosso dai piedi di argilla. Il giovane profeta disse il sogno al re e ne diede l’interpretazione: Le paure di Nabucodonosor erano fondate, il suo regno non sarebbe durato per sempre!

I sogni e le paure del re di Babilonia non erano prive di significato e il più grande regno del mondo di allora rimase solo un anno nelle mani del suo diretto discendente. Il potere passò presto in mano ad altri e rovinosamente, in capo a  pochi anni ancora, Babilonia venne a perdere la sua grandezza prima e a cadere poi, rovinosamente, nel 539 a.C., meno di 70 anni dopo l’ascesa al trono di Nebucadnesar, per mano del grande re persiano Ciro, come il giovane ebreo aveva profetizzato.

 

Il video mostra una ricostruzione 3D dell’antica Babilonia