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Perché dobbiamo credere nella TRINITÀ

 

 

 

Una confutazione dell’eresia dei

Testimoni di Geova

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Copyright © 2023 Giuseppe Guarino

 

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INDICE

 

  Introduzione 7

 

Capitolo    
1. La Trinità

 

11
2. Dio e la sua Rivelazione. Obiezioni razionali. 23

 

3. La Trinità e le filosofie religiose pagane. Eresie dei primi secoli. 33

 

 

4. Monoteismo ebraico e la dottrina trinitaria 41

 

 

5. Citazioni dagli scritti della chiesa primitiva (Giustino, Ireneo, Clemente alessandrino, Tertulliano, Ippolito, Origene) 51

 

 

 

6. Le citazioni addotte dalla Torre di Guardia riprese nel loro contesto 63

 

 

7. Altre citazioni di autori cristiani dei primi secoli. (Ignazio di Antiochia, L’epistola di Bamaba, L’epistola a Diogneto, Teofilo di Antiochia, Atenagora) 69

 

 

 

 

8. Gli scritti di Giovanni 75

 

9. Gli scritti di Paolo 87

 

10. L’epistola agli Ebrei 95

 

11. Altre prove dalla Bibbia 99

 

  Conclusione 107
   
     
     
     
     

 

INTRODUZIONE

 

 

 

 

 

 

 

Ho iniziato questo scritto come una confutazione dell’opuscolo dei Testimoni di Geova intitolato “Dovreste credere nella Trinità?” pubblicato nel 1983 dalla Torre di Guardia. Mi venne dato da una mia cugina, la quale si diceva certa che leggerlo mi avrebbe aperto gli occhi sulla “verità” – quella della Watch Tower, la Torre di Guardia, ovviamente[1].

Le argomentazioni proposte dall’opuscolo in questione, però, possono trarre in inganno solo chi non conosce le Sacre Scritture o la storia della Chiesa, specie quella primitiva. Devo ammettere che, per quanto riguardava alcune affermazioni di patristica, sono stato per qualche tempo piuttosto perplesso. Ma soltanto perché davo per scontato che le informazioni che la Torre di Guardia proponeva fossero autentiche. Non lo erano, invece, come ho potuto appurare studiando in prima persona gli scritti che venivano citati. Allo stesso modo – soprattutto- non erano fondate neanche le argomentazioni bibliche proposte contro la dottrina trinitaria.

Di seguito dimostrerò quanto affermo.

Voglio informare subito il lettore sul modo in cui ho studiato la materia e come sono giunto quindi alle conclusioni che esporrò nelle pagine a venire.

Letto l’opuscolo, mi sono procurato i testi della Chiesa primitiva che citava, leggendoli quasi tutti per intero. Ho esaminato così una buona parte degli scritti cristiani dei primi tre secoli, tradotti in italiano o in inglese e, dove mi è stato possibile, con testo originale a fronte. Ho studiato anche la “Storia Ecclesiastica” di Eusebio di Cesarea del IV secolo[2].

Ad un certo punto della mia ricerca, ma anche per gli altri studi che stavo conducendo, ho ritenuto indispensabile dover imparare la lingua originale del Nuovo Testamento. L’ho fatto studiando diverse grammatiche disponibili in lingua inglese. Questo mi ha permesso di poter valutare con sufficiente competenza la Traduzione del Nuovo Mondo, traduzione ufficiale dei Testimoni di Geova, consultandola sia in italiano sia in originale inglese, anche nella sua versione interlineare greco-inglese.

Quindi ho letto, riletto e poi letto di nuovo e studiato in particolare tutto il Nuovo Testamento e i passi trinitari che vi rinveniamo. L’ho studiato in varie traduzioni, in italiano, in inglese, ma soprattutto nell’originale greco ed anche questo in diverse edizioni.

Ritengo in tutta onestà di avere fatto quanto in mio potere per acquisire una visione oggettiva dei fatti, non trascurando mai, però, di aggiungere allo spirito scientifico che ha animato il mio lavoro, un profondo atteggiamento di preghiera perché il Signore mi illuminasse nei miei studi e lo Spirito Santo mi guidasse ad una corretta comprensione della Scrittura.

La forma in cui presento questo mio libro non è quella che avevo immaginato quando ho iniziato a scriverlo. Non è una confutazione sistematica dell’opuscolo con il quale la mia ricerca è iniziata. Non è neanche quella che avevo pensato di dargli quando ho deciso di lasciare cadere la polemica e scrivere un libro sulla Trinità che non dipendesse dalla discussione sulle posizioni dei Testimoni di Geova. Ciò che ne è venuto fuori sembra potersi collocare esattamente a metà strada. Ho deciso di non modificarlo ulteriormente, però, visto che, guardandomi indietro, mi sono accorto che le migliori e più lucide affermazioni sulla dottrina della Trinità (ma anche su altre dottrine della Bibbia) si trovano in libri che confutano delle eresie e, comunque, ritengo di essermi allontanato a sufficienza dallo schema di una sterile confutazione sistematica, così da rendere utile il mio lavoro anche a chi non ha alcun interesse nelle controversie dottrinali sulla materia.

 

La versione della Bibbia che utilizzo in questo studio, quando non diversamente specificato, è la Nuova Riveduta.

Voglia Iddio benedire chi si avvicina a Lui con cuore sincero, per adorarlo come lui vuole essere adorato: “in spirito e verità” (Giovanni 4:23).

 

Giuseppe Guarino

 

Altri miei studi e libri su questo e altri argomenti li trovate sul mio sito internet www.giuseppeguarino.com

 

CAPITOLO 1

La Trinità

 

 

 

 

 

 

 

Prima di poter intraprendere una discussione seria sulle obiezioni alla dottrina trinitaria, credo sia fondamentale darne una definizione.

La maniera migliore per farlo è considerare la gradualità della Rivelazione: cominciando dagli “indizi” dell’Antico Testamento fino alla chiarificazione del Nuovo Testamento.

Ma perché una rivelazione graduale della Trinità? Perché Dio non ha fin dalle prime pagine della Scrittura esposto chiaramente la dialettica interna del suo essere, l’economia della distinzione personale all’interno della sua unità? Perché nell’Antico Testamento troviamo soltanto degli “indizi” o, in ultima analisi, delle “difficoltà” del testo che non escludono la dottrina trinitaria neotestamentaria, alla luce della quale i cristiani hanno scoperto adesso di doverli intendere? Molto bello è l’appunto fatto sulla questione da Novaziano (210-280 d.C.) nel suo trattato sulla Trinità: “… le cose che sono grandi sono pericolose se appaiono d’improvviso. Perché persino la luce improvvisa del sole dopo le tenebre, con il suo immenso splendore, non renderà visibile la luce del giorno agli occhi non abituati, ma al contrario li accecherà.” (XIII)

Nella gradualità della Rivelazione, troviamo la sua migliore maniera di esprimersi, il suo essere accessibile all’uomo, qualità senza la quale essa stessa perderebbe di significato. La luce improvvisa acceca, non illumina. Allo stesso modo il Signore si rivela gradualmente, proprio per rendersi comprensibile alla mente umana.

Se riconsiderato nelle sue varie tappe, il tragitto della dottrina della Trinità, il suo graduale schiudersi nelle pagine della Sacra Scrittura, è davvero affascinante.

Già nei primi capitoli della Genesi, assieme alla narrazione della creazione, della caduta e dell’annuncio della redenzione, troviamo la prima famosa affermazione trinitaria della Bibbia: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza…” (Genesi 1:26)

Poco più in là leggiamo: “Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi…”.

Con chi conversava Dio nel creare l’uomo? E chi sono questi “noi”? Già appaiono dei “problemi” circa la natura di Dio, il suo mostrarsi, in un certo modo, “composta”. Lo stesso nome tradotto “Dio” in Genesi 1:1 e spesso utilizzato nell’Antico Testamento, אֱלֹהִים, Elohim, in ebraico, è una parola al plurale. Sebbene al plurale è comunque seguita da un verbo al singolare. Non ci troviamo certamente davanti a casi di cosiddetto “plurale maiestatis” – come mi sono sentito obiettare varie volte – concetto del tutto estraneo alla lingua e cultura ebraica. Una spiegazione più valida è che il termine vuole trasmettere l’idea che Dio è allo stesso tempo una “unità” ed una “pluralità”; se non la Trinità di Dio, comunica al lettore almeno la sua complessità. Anche le parole “acqua” e “cielo” sono in ebraico al plurale. Tanto che spesso, da traduzione a traduzione, le troviamo tradotte da chi al singolare, da chi al plurale (cfr. Genesi 1:1 nella Diodati e nella Riveduta Luzzi). Se riflettiamo brevemente sulla natura composta ed unitaria allo stesso tempo di questi elementi, il concetto che vuole trasmettere la peculiarità della lingua originale dell’Antico Testamento, ci apparirà straordinariamente efficace.

Ma una tale possibilità, cioè che Dio sia “uno e, in un certo senso, più di uno” (non possiamo dire di più alla luce di quanto abbiamo considerato finora soltanto) non contrasta apertamente con l’affermazione lapidaria dell’Antico Testamento, dove proprio l’unità di Dio è dichiarata? Deuteronomio 6:4, infatti, dice: “Ascolta, Israele: Il SIGNORE, il nostro Dio, è l’unico SIGNORE”. Eppure, forse è vero il contrario. La parola ebraica originale tradotta qui “unico” è אֶחָֽד, ehad. Questa lascia intendere un’unità che potremmo definire “composta” o “complessa”. Per provarlo semplicemente, basterà leggere Genesi 2:24, dove אֶחָֽד, ehad, è la parola utilizzata per dire che l’uomo e la donna sarebbero divenuti “una sola carne” (Nuova Diodati). Quindi Deuteronomio 6:4 si aggiunge a quanto detto fino ad ora contro una concezione monolitica di Dio e lascia intravedere una complessità che non troverà, comunque – in virtù di quella gradualità della Rivelazione che abbiamo enfatizzato e spiegato all’inizio – una definizione soddisfacente, se non nello sviluppo trinitario del Nuovo Testamento.

Leggendo ancora dalla Genesi, la Bibbia ci dice che Dio passeggiava nel giardino di Eden (Genesi 3:8) come se fosse stato un uomo; come un uomo conversava con Adamo. Sempre la Genesi ci parla di altri incontri fra Dio in forma corporea e l’uomo: Abraamo, ad esempio, o Giacobbe, quando il suo nome fu cambiato in Israele, per citarne due soltanto.

Un’altra difficoltà dell’Antico Testamento, proprio delle sue prime pagine, è la figura dell’Angelo di Yahweh, tradotto a seconda della versione che leggiamo come Angelo del Signore o dell’Eterno, a volte chiamato anche più semplicemente l’Angelo di Dio. Difficoltà ancora perché quando questo personaggio appare è identificato apertamente come Dio. La prima menzione dell’Angelo del Signore è in Genesi 16:7. Ma certamente non è solo dove è palesato che egli è apparso e l’affermazione in questo punto della Scrittura, come in altri, ci offre la chiave di lettura per i passi dove nulla è detto apertamente dell’identità di questa figura.

Esaminiamo alcuni brani specifici:

Genesi 16. Angelo significa inviato, messaggero. Come mai allora questo inviato di Dio ad un certo punto dice ad Agar in prima persona: “Io moltiplicherò grandemente la tua progenie…” (v.10). “Allora Agar diede al SIGNORE, che le aveva parlato il nome di Atta –El-Roi (che significa: “Tu sei un Dio che vede”), perché disse: «Ho io, proprio qui, veduto andarsene colui che mi ha vista?” (v.13)?

In Genesi 18 leggiamo: “Il SIGNORE apparve ad Abraamo alle querce di Mamre” (v.1). Visti tre uomini, Abraamo si prostra, ma dice al singolare: “mio Signore” (v.3). Durante il dialogo fra Abraamo ed uno dei tre, che sono comunque angeli, il testo dice: “Il SIGNORE disse ad Abraamo…” (v.13). Al v.22 soltanto due dei tre uomini si allontanano, come è anche comprensibile dal fatto che solo due angeli andarono a Sodoma da Lot. L’altro rimane a parlare col patriarca. Il testo dice: “ma Abraamo rimase ancora davanti al SIGNORE” (v.22). I due, quindi, intrattengono una conversazione sulla distruzione di Sodoma e Gomorra che sarebbe avvenuta a breve. Per tutto il dialogo fra i due uomini la Scrittura è chiara: era Dio stesso a parlare con Abraamo. Quell’uomo-angelo era il SIGNORE, l’Eterno, Yahweh stesso!

Leggiamo in Genesi 31:11,13: “L’angelo di Dio mi disse nel sogno: “Giacobbe!” Io risposi: “Eccomi!… Io sono il Dio di Bethel”.

Anche in Genesi 32, Dio appare a Giacobbe come uomo.

Continuando, in Esodo 3:2, la Scrittura ci dice: “L’Angelo del SIGNORE gli (a Mosè) apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno”. E poco più in là: “Allora Dio lo chiamò di mezzo al pruno” (v.4).

Nel libro dei Giudici leggiamo (v.2:1): “L’angelo del SIGNORE salì da Ghilgal a Bochim e disse: «Io vi ho fatto salire dall’Egitto e vi ho condotti nel paese che avevo giurato ai vostri padri di darvi. Avevo anche detto: “Io non romperò mai il mio patto con voi”. Quest’angelo parla in prima persona.

Un altro incidente molto significativo lo troviamo in Giudici 6, il capitolo che narra la nascita di Gedeone.

Altri passi potrebbero aggiungersi a quelli appena richiamati. La conclusione che traiamo dalla semplice analisi del testo è che Dio manda il suo Angelo e che il suo Angelo è Dio anch’egli: due persone, due individui distinti, eppure entrambi Dio.

Prendiamo atto di questa rivelazione della persona di Dio, che certamente “confonde”, in un certo senso, e che, alla luce dell’Antico Testamento soltanto, ci spingerebbe a trovare delle soluzioni “scappatoie”, come quella classica che vede nell’Angelo del Signore soltanto un angelo.

Vi sono, però, ancora altri passi dell’Antico Testamento che ci costringono a riflettere.

Isaia 9:5-6: “Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace”. La scrittura ci dice quindi che  il Messia sarebbe stato più che un semplice uomo: “Dio Potente”, “El Gibbor”, in originale, è un attributo riferito all’Eterno, Yahweh, Geova, anche in altri passi della Scrittura (Deut. 10:17, Ger. 32:18, Neh 9:32, Salmo 24:8) e altrove nello stesso libro del profeta Isaia (v.10:21).

Era stato lo stesso Isaia a dire (v.7:14) che il segno di Dio sarebbe stato il figlio di una vergine, l’Emmanuele, cioè interpretato: “Dio con noi”. E ancora, in Isaia, ai primi versi del capitolo 35, versi 4 e 5, è chiaramente detto che Dio “verrà egli stesso a salvarvi”. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi…”.

Concludendo, l’Antico Testamento ci presenta una natura di Dio complessa, al di là di una semplice definizione o inquadramento monolitico, d’una riduttiva e semplicistica unità. La dialettica interna della divinità, il suo rapporto con la creazione, lasciano spazio per intendere una certa “complessità” di Dio.

Passando finalmente al Nuovo Testamento, il velo è rimosso (2 Corinzi 3:14) e la dottrina trinitaria compare chiara e definita.

Leggendo già le prime pagine dei Vangeli apprendiamo che è Gesù, il Messia, “il Dio con noi” che apre gli occhi dei ciechi. Egli si dichiara Figlio di Dio e il sigillo del Padre è su di lui, per mezzo dello Spirito Santo apparso in forma corporea al suo battesimo. Già da questo primo evento nella vita pubblica di Gesù, si palesa la più completa rivelazione che Dio stava per dare di sé: troviamo il Padre e lo Spirito Santo insieme, a testimoniare che Gesù è il Figlio di Dio ed il Messia promesso.

Già dalle prime pagine dei vangeli, la gloria di Gesù, la sua potenza, i titoli che si attribuisce, l’autorità che rivendica, ci mostrano subito che in Lui risiede la gloria di Dio. E dello Spirito Santo Egli rivela appieno la sua Deità quando afferma che “…la bestemmia contro lo Spirito non sarà perdonata” (Matteo 12:31).

L’affermazione trinitaria più nota rinvenuta nei vangeli sinottici è senz’altro quella di Matteo 28:19, dove Gesù dice ai discepoli: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutte quante le cose che vi ho comandate. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, sino alla fine dell’età presente”. A Dio Padre vengono affiancati per dignità il Figlio e lo Spirito Santo, dove a sottolineare la loro eguaglianza troviamo la ripetizione della congiunzione “e”.

L’unità e trinità di Dio sono così una volta per tutte chiarite ed affermate. Da questo brano impariamo che Dio è uno, perché si è battezzati “nel nome” e non “nei nomi”, ma anche che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono allo stesso tempo distinti, sono tre. In qualche modo, l’unico Dio sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo insieme. Alla stessa maniera, questi tre non sono solo nomi, bensì “persone”; non sono “modi” di apparire del Padre, delle maschere che Dio indossa a seconda delle circostanze, perché mostrano una volontà, un’individualità, delle caratteristiche e delle peculiarità proprie.

La complessità di Dio che abbiamo intravisto nell’Antico Testamento è spiegata nelle tre persone divine dell’unico Dio, rivelate appieno nel Nuovo.

Proseguendo leggiamo in Giovanni che: “In principio era la Parola e la Parola era con Dio e la Parola era Dio. Essa era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei…” (Giovanni 1:1-2). Ecco allora che diviene chiaro che in Genesi il Padre dialogava con la sua Parola. Essa, infatti, ci dice Giovanni “era nel principio – alla creazione – con Dio”. Ci dice di più: tutto ciò che è stato fatto, è stato fatto per mezzo di lei. Dio ha creato ogni cosa per mezzo del Figlio, la sua Parola, come più in là affermerà apertamente Paolo. Questa “Parola”, ci dice Giovanni, s’è incarnata in Gesù di Nazareth, Figlio di Dio (v.14). Essa era l’Unigenito Figlio di Dio, da ogni eternità col Padre, perché in contrasto col resto che è stato creato Giovanni sottolinea che la Parola invece “era”.

“Nessuno ha mai visto Dio” ed è nella Parola, nell’Unigenito Figlio di Dio, Gesù Cristo, che Egli s’è reso visibile; in ogni senso, perché la Parola è anche Dio: “l’Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18, versione Nuova Diodati).

Era stata la Parola allora ad essere apparsa in forma umana ai patriarchi come messaggero, inviato di Dio; era lei la figura che ci lasciava perplessi quando veniva definito allo stesso tempo Angelo e Dio. Era la Parola, Dio la Parola, a parlare in Eden, ad apparire ai patriarchi di Israele, a conversare con Adamo, con Abramo e a lottare con Giacobbe.

Il Padre e la Parola, il Figlio, sono distinti, sono due “persone”. Delle caratteristiche sono proprie dell’uno e non dell’altro. Il Padre non può identificarsi con il Figlio, e viceversa il Figlio non può identificarsi con il Padre. Il Figlio rivela pienamente il Padre. Quest’ultimo genera il Figlio (unigenito) e il Figlio ha per caratteristica l’essere generato dal Padre. Eppure non in un momento, perché il Figlio abbiamo letto “è” (non “è divenuto”) Dio e, per non implicare un cambiamento nella Divinità, è impossibile che vi sia stato un momento quando il Figlio non era o il Padre, non avendolo generato, non era Padre.

D’altronde è proprio dell’essere Dio l’essere eterno e il Figlio, che è Dio, deve essere di conseguenza anch’Egli eterno. Giovanni scrive che la Parola “era”, non facendo nessun cenno alla creazione, all’origine della Parola o del Figlio, sottolineando al contrario la sua eternità e divinità. Un Padre eterno ha generato da ogni eternità un Figlio eterno che partecipa alla sua Divinità. E ciò è possibile o addirittura inevitabile, perché parliamo di Dio che non conosce né vincoli temporali, né origine ed è ovvio che egli sia tale da ogni eternità.

Giovanni riporta le parole di Gesù che rivelano inequivocabilmente la sua divinità in diversi punti del suo Vangelo. Solo perché Egli è Dio poteva dire: “Io sono la luce del mondo” (v. 8:12); “Io sono il buon pastore” (v.10:11 – Ezechiele 34:12-23); “Io sono la Resurrezione e la Vita” (v.11:25); “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (v.14:6); “chi ha visto me ha visto il Padre” (v.14:9). E alla fine dello stesso Vangelo, troviamo la chiara affermazione di Tommaso: “Tommaso gli rispose: “Signor mio e Dio mio” (v.20:28). Tommaso parlava con Gesù e dopo avere constatato la realtà della sua resurrezione, lo chiama Signore e Dio!

Questa è la testimonianza di Giovanni circa la divinità del Figlio.

Ancora in Giovanni rinveniamo la testimonianza circa lo Spirito Santo. Anch’Egli è Dio, col Padre e col Figlio, pur non essendo né il Padre né il Figlio. Per questo diciamo che Egli è la “terza persona” della Trinità. Di Lui Gesù ha detto: “Vi ho detto queste cose, stando ancora con voi; ma il Consolatore (”un altro Consolatore”, dice al v.16, a sottolineare l’affinità della sua natura con quella di Gesù), lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (v.14:26). Sua caratteristica è “procedere” dal Padre e anche dal Figlio, visto che il Nuovo Testamento lo chiama anche Spirito di Cristo.

Troviamo altre affermazioni trinitarie sparse in tutto il Nuovo Testamento: alcune dirette alla definizione della dottrina in questione, altre dalle quali deduciamo come questa sia implicita nell’autore sacro e nei primi destinatari dei suoi scritti, nella contemplazione dell’opera ora dell’una ora dell’altra persona divina.

L’epistola ai Colossesi merita una menzione particolare. È chiaro che stabilire la superiorità di Cristo sulle genealogie di esseri celesti immaginate dalle sette gnostiche e dal paganesimo è tra gli scopi primi di questo scritto. Le affermazioni sulla divinità di Cristo dell’apostolo sono inequivocabili e dirette, espresse in una terminologia che poteva convincere sul loro stesso campo gnostici, greci ed ebrei.

Colossesi 1:15-17: “Egli (Gesù) è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui”.

Colossesi 2:9: “in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità”.

Paolo ribadisce che Gesù Cristo è il creatore di ogni cosa, che ha supremazia su ogni cosa, che è il motivo stesso dell’esistenza di ogni cosa, l’immagine di Dio – altrimenti invisibile – e Dio stesso in ogni senso.

Altre affermazioni inequivocabili le troviamo in:

Tito 2:11-13: “Infatti la grazia di Dio, salvifica per tutti gli uomini, si è manifestata, e ci insegna a rinunziare all’empietà e alle passioni mondane, per vivere in questo mondo moderatamente, giustamente e in modo santo, aspettando la beata speranza e l’apparizione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore, Cristo Gesù”.

2 Pietro 1:1: “Simon Pietro, servo e apostolo di Gesù Cristo, a coloro che hanno ottenuto una fede preziosa quanto la nostra nella giustizia del nostro Dio e Salvatore Gesù Cristo”.

La conclusione, l’unica conclusione possibile davanti a questi dati, tanto più apparentemente contrastanti, quanto chiari e definiti, è solo che sia il Padre che il Figlio che lo Spirito Santo, sono l’unico solo vero Dio.

In Cristo il velo è rimosso e tutta la luce della gloria di Dio che i nostri occhi mortali potevano portare si è finalmente rivelata.

 

 

CAPITOLO 2

Obiezioni razionali alla dottrina della Trinità

 

 

 

 

 

 

Mi è difficile credere oggi che le obiezioni mosse da chi non accetta la divinità di Gesù o la Trinità di Dio non siano originate soprattutto da delle considerazioni “razionali”, da una sopravvalutazione delle difficoltà che sorgono davanti ad una dottrina ed una riflessione tanto profonda sulla natura di Dio.

Che tali difficoltà sussistano è, però, addirittura inevitabile, visto che la dottrina trinitaria riguarda la “complessità” di Dio. Aggirarle anziché affrontarle significa tradire il senso della Rivelazione di Dio e non siamo autorizzati a farlo.

È vero che credere che esistano tre “persone” distinte all’interno della divinità è esclusivamente un passo di fede; ma non è più grande di quello richiesto da ogni altra dottrina cristiana, persino dallo stesso credere nell’esistenza di Dio. Infatti, già credere in Dio, nel Dio personale della Bibbia, Eterno e Creatore di ogni cosa, è un puro atto di fede.

La fede subentra allorché un fatto non è spiegabile, non è dimostrabile con gli elementi della nostra esperienza quotidiana. È allora inevitabile che quando parliamo anche della sola esistenza di Dio, lo si faccia in termini fideistici.

Ciò è ancora più necessario se ci soffermiamo a considerare la Sua natura: la Sua Eternità, Onnipotenza, Onniscienza, Trinità.

Della fede ci dice la Scrittura: “Or la fede è certezza di cose che si sperano, dimostrazione di realtà che non si vedono” (Ebrei 11:1).

Paolo ci dice che noi cristiani “camminiamo per fede e non per visione” (2 Corinzi 5:7).

“Nessuno ha mai visto Dio” scrive l’apostolo Giovanni.

Eppure crediamo in Lui, un Dio che non abbiamo visto e che non possiamo vedere, che la mente nostra non riesce appieno a comprendere, la cui esistenza non possiamo dimostrare, la cui natura non sappiamo spiegare. È in questo senso più ampio che va intesa l’ultima affermazione che ho citato. Se ci pensiamo bene, come potrebbe la nostra ragione comprendere, afferrare, l’eternità di Dio? La nostra mente non può nemmeno per un attimo trattenere l’idea di qualcuno tanto grande. Per la nostra ragione, il cui unico appiglio è l’esperienza, ciò è inconcepibile, impossibile. Eppure “sappiamo” (crediamo) che Dio è eterno, che non ha avuto un principio, anzi che Egli stesso è il Principio di tutte le cose che esistono. Lo crediamo quantunque non solo non possiamo dimostrarlo, ma non possiamo nemmeno del tutto comprenderlo. Crediamo anche che quello che è riconosciuto come principio Creatore sia un essere, lo chiamiamo Dio e lo definiamo un Dio personale. Anche di questo non possediamo alcuna prova “razionale”. Credere che esista un Dio con queste caratteristiche e credere che sia il Creatore di ogni cosa è un atto di pura fede. Si può crederlo o non crederlo, ma non sottoporlo con successo ad un’analisi razionale o scientifica, nel senso più stretto del termine.

Ci dice la Scrittura: “Per fede comprendiamo che i mondi sono stati formati dalla parola di Dio; così le cose che si vedono non sono state tratte da cose apparenti”. (Ebrei 11:3). Nonostante per la nostra piccola mente ciò possa apparire impossibile, inspiegabile, e certamente non dimostrabile, per fede crediamo che il mondo è stato creato dal nulla.

Il creato, la sua meravigliosa armonia e bellezza, è quella che potremmo definire la “rivelazione naturale” di Dio. Esso ci attesta che Dio esiste e che è Creatore e Signore di ogni cosa. Scrive così il salmista: “I cieli raccontano la gloria di Dio e il firmamento annunzia l’opera delle sue mani” (Salmo 19:1)

Paolo riprende il concetto nella sua epistola ai Romani 1:19-20: “poiché quel che si può conoscere di Dio è manifesto in loro, avendolo Dio manifestato loro; infatti le sue qualità invisibili, la sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo essendo percepite per mezzo delle opere sue”.

È questa “rivelazione” che sta alla base delle diverse religioni monoteistiche, che potremmo considerare come degli sforzi per giungere a quel Dio Creatore di cui si “intuisce” l’esistenza.

Per noi cristiani, comunque, Dio non è soltanto il Creatore. Egli è anche il nostro Redentore. L’autore del Salmo 19, infatti, scrive: “O Signore, mia rocca e mio redentore”. La fede del salmista non si ferma all’esistenza di Dio soltanto.

Scrive l’autore dell’epistola agli Ebrei 11:6: “Or senza fede è impossibile piacergli; poiché chi si accosta a Dio deve credere che Egli è, e che ricompensa tutti quelli che lo cercano”.

Ecco allora la necessità della Rivelazione, della Parola di Dio, la Bibbia, che ci attesta non solo l’esistenza di Dio, ma anche il tragitto da percorrere per recuperare quella comunione con Lui che è stata interrotta a causa del peccato.

“Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio” (Ebrei 1:1).

È stato Dio a rivelarsi all’uomo e non l’uomo ad avere scoperto Dio. Attraverso i profeti, anticamente, in diversi momenti, ed infine in suo Figlio, Gesù, Egli si è rivelato, si è “mostrato” agli uomini.

Questa Rivelazione storica e definitiva di Dio è giunta fino a noi tramite le Sacre Scritture, Parola di Dio in forma scritta (vedi 2 Timoteo 3:16). La Rivelazione di Dio è vera ed ha per noi senso solo per mezzo della fede. Se possiamo apprendere e “comprendere” le cose di Dio, infatti, possiamo farlo solo attraverso la fede e la guida dello Spirito Santo.

Questo distingue il cristianesimo dalle altre religioni: la nostra convinzione che sia Dio stesso ad istruirci.

Un esame della fede e del credo cristiano alla luce della ragione soltanto, della logica, è impossibile. E non perché Dio sia irrazionale ed illogico, ma a causa dei limiti della nostra conoscenza, esperienza e capacità intellettiva.

Senza la Bibbia, la nostra idea di Dio è vaga ed insufficiente; non è stato l’uomo a salire fino a Dio, bensì Dio ad abbassarsi fino a noi; non avrebbe potuto essere altrimenti (Luca 10:21-22). Chi non crede nella Rivelazione è fondamentalmente un uomo che dubita dell’amore di Dio per la sua creatura.

Alcuni immaginano che il Signore stia passivamente a guardare mentre noi ci sforziamo di capire cosa succede in cielo o persino se Lui esista. Ciò è impensabile di Dio, quanto per me genitore è impensabile stare lontano da mio figlio sperando che un giorno capisca da sé che io sono suo padre; l’atto d’amore di un genitore è proprio mostrarsi come tale ai propri figli, guidarli, sostenerli ed istruirli nel percorso della loro vita.

La Trinità di Dio non è l’unica verità che non sappiamo o non possiamo spiegarci.

“Nessuno ha mai visto Dio”, dice la Scrittura, “l’Unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18 – Nuova Diodati).

Noi non possiamo “vedere” Dio quindi, ma possiamo accettarne la Rivelazione di sé che Egli ci ha dato nelle Scritture, culminata nell’incarnazione del Cristo. Possiamo non comprendere, non “vedere”, ma possiamo, dobbiamo credere (Giovanni 20:29b).

È questa una fede “razionale” perché non è riposta nelle nostre capacità intellettive, bensì in Dio.

Il cristiano che crede nell’autorità spirituale della Bibbia, non può rinnegare tutto ciò che non riesce a comprendere.

Se questa dovesse essere la nostra condotta nell’approccio alla Parola di Dio, del cristianesimo rimarrebbe davvero ben poco.

Eppure nell’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?” questo principio razionalistico è sublimato per giustificare la posizione antitrinitaria della Torre di Guardia.

A pag. 4, leggiamo:

“È un concetto (la Trinità) difficile da afferrare? Molti che sinceramente ci credono lo trovano nebuloso, contrario ai normali criteri logici, diverso da tutto ciò che conoscono per esperienza. Com’è possibile, chiedono, che il Padre sia Dio, che Gesù sia Dio, e che lo spirito santo sia Dio e che nello stesso tempo non ci siano tre dei ma un solo Dio?”

Ma non è stato Paolo a parlare dell’Evangelo stesso, del cuore della predicazione cristiana, di Cristo crocifisso, come pazzia e scandalo? “Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono…” (1 Corinzi 1:18)

“ … noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo, e per gli stranieri (i non ebrei) pazzia… “             (1 Corinzi 1:23)

Forse la Watch Tower vorrebbe un Evangelo più credibile, più a misura d’uomo? Non sarebbe, però, un “altro Evangelo”? Ed in realtà è questo che lei sostiene e diffonde: un altro Evangelo. Vedi Galati 1:6-7.

Dalla Bibbia apprendiamo che Dio è il Padre, Dio è il Figlio e Dio è lo Spirito Santo. Nonostante ciò risulti fastidioso alla nostra piccola mente, se diciamo di accettare la Rivelazione di Dio, non possiamo trascurarne un dato tanto importante.

La Torre di Guardia sembra anche rimproverarci quando afferma che la Trinità di Dio è considerata da chi la sostiene come un “mistero”. Come se “mistero” non fosse una parola che nella Bibbia indica una profonda verità di Dio rivelata alla Chiesa (1 Corinzi 15:51, Efesini 3:3). La Traduzione del Nuovo Mondo, la traduzione ufficiale dei Testimoni di Geova, anziché “mistero” traduce “sacro segreto”; ma è più una spiegazione del termine greco originale ed anche della parola “mistero”, ma certamente non un’altra traduzione nella sostanza. Potremmo cioè anche affermare che la Trinità è un “sacro segreto”, non dicendo molto di più o di meno di quando affermiamo che è un “mistero”.

Se i Testimoni di Geova ci rimproverano che la dottrina della Trinità è troppo complicata, difficile a capirsi, ci si aspetterebbe che essi abbiano proposto una soluzione più “razionale” ed accettabile del dato biblico sulla natura del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo; che siano riusciti a comprendere Dio e spiegarlo in termini di logica comune. Se ci rimproverano che il termine “persona” non esiste nella Bibbia (come se la nostra fede, quella cristiana e ebraica non fosse la fede nel Dio “Personale”, termine che non troviamo nella Bibbia) come riescono a spiegare le “difficoltà” dei “tre” coinvolti nell’opera di creazione, redenzione e rivelazione di Dio all’uomo?

In realtà la maggior parte degli sforzi della Torre di Guardia sono diretti alla demolizione della dottrina trinitaria, ma non alla formulazione di un’alternativa valida per la soluzione del “problema” della complessità di Dio. Vediamo cosa scrive in proposito.

Di Gesù afferma che è “un dio”, secondo la traduzione ufficiale (errata, come dimostrerò in dettaglio più avanti) di Giovanni 1:1.

Eppure Gesù non rifiutò gli onori come fece l’angelo nell’Apocalisse o Pietro. Lo stesso Gesù noi cristiani serviamo, chiamandolo Signore. Se Egli è “un dio” e non Dio, ciò non contrasta forse con la Legge di Dio? I profeti nell’Antico Testamento parlavano di Dio e rivelavano la Parola di Dio, eppure nessuno di loro fu mai chiamato Signore e noi non serviamo nessuno di loro. Neppure Mosè pretese onori come Gesù quando disse: “affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato” (Giovanni 5:23).

Circa la “personalità” dello Spirito Santo, insegnano i Testimoni: “In una occasione lo spirito santo comparve in forma di colomba. Un’altra volta comparve in forma di lingua di fuoco; mai in forma di persona” e “La Bibbia dice che quando Gesù fu battezzato, lo spirito santo scese su di lui sotto forma di colomba, non in forma umana” (Dovreste credere nella Trinità?, pag.21).

Allora Dio Padre, mai apparso in forma umana, non sarebbe una Persona? La fede cristiana è stata fraintesa per secoli come la religione del Dio personale, che tale non è, perché Dio non è una “persona”?

In questo caso particolare la Torre di Guardia dimostra di non comprendere, o forse di non voler comprendere il senso del termine “persona” nella maniera in cui è utilizzato nella formula trinitaria.

Questa la disastrosa conclusione: “Lo spirito santo non è dunque una persona e non fa parte di una Trinità. Lo spirito santo è la forza attiva di Dio che egli impiega per compiere la sua volontà. Non è uguale a Dio, ma è sempre a sua disposizione e soggetto alla sua volontà” (pag.23).

È questa la semplice alternativa alla dottrina trinitaria?

Cosa debba intendersi per “forza attiva”, però, non è per nulla chiaro. Come non è chiaro perché Dio avrebbe bisogno di questa “forza” “per compiere la Sua volontà”.

La dottrina trinitaria è il tentativo di spiegare la Trinità di Dio come la rinveniamo nel Nuovo Testamento, nella Bibbia. Se non ci barrichiamo dietro il muro della nostra incredulità e dell’ostinazione a volere rinchiudere Dio all’interno dei confini della nostra mente, della nostra ragione, della nostra capacità di comprendere, ci accorgiamo che Dio è il Padre, ma lo sono anche il Figlio e lo Spirito Santo.

La dottrina trinitaria elabora il dato biblico, non lo crea, raccogliendo in termini più chiari possibili dei fatti all’apparenza contraddittori, che comunque non siamo autorizzati a negare. Ovviamente, parliamo della natura di Dio – una natura che viene interamente rivelata solo col Nuovo Testamento. Il linguaggio umano può riuscire soltanto in parte ad esprimere verità tanto profonde senza lasciare spazio a fraintendimenti; è un nostro limite, non di Dio. Se il linguaggio umano fosse stato perfetto, non vi sarebbe stato nemmeno bisogno di interpretare la Bibbia, perché tutto sarebbe stato perfettamente chiaro.

La parola “persona”, usata per descrivere il rapporto fra i tre che sono “Dio”, Padre, Figlio e Spirito Santo, evidenzia la “individualità” dell’agire dei tre e le loro caratteristiche proprie. Non contrasta, bensì affianca il termine “uno”. Parlando quindi di un Dio unico in tre persone, si evita da una parte di scadere nel politeismo, adorando tre dei; dall’altra di favorire una concezione dell’unità di Dio che tradisca la sostanza della rivelazione biblica in favore di una semplificazione. Se non è un termine perfetto e può essere frainteso è perché, come ho già detto, ciò è vero del linguaggio umano in generale.

La parola “persona” proviene dal latino e la povertà di questa lingua rispetto ad esempio alla lingua greca, nella quale è stato scritto il Nuovo Testamento, è nota. Per questo la Watch Tower confonde “persona” con “essere umano”; ma non è in quel senso che il termine viene riferito a Dio. Esso vuole indicare, come quando parliamo della nostra fede nel Dio personale, individualità, caratteristiche proprie e una volontà.

È con questo significato in mente che diciamo che il Padre, il Figlio e lo Spirito sono le tre persone dell’unico vero Dio.

Il termine “persona” non è assoluto, non lo troviamo nella Bibbia, neanche riferito a Dio in generale; ma è il più congeniale che sia stato adottato per esprimere il concetto della distinzione fra il Padre, il Figlio e lo Spirito; non per creare una dottrina, ma per meglio definirla contro chi fraintendeva l’insegnamento della Parola di Dio.

Evitando l’uso del termine “persona”, al quale, comunque, ammette di non trovare un’alternativa altrettanto valida, Vittorio Subilia conclude così: “Questo modo di essere di Dio, per cui Dio, pur rivelandosi e pur essendo nel suo alter ego, rimane se stesso, è il modo di essere Dio come il Padre” (I Tempi di Dio, pag. 79). “Questo modo si essere di Dio, che ci dà la possibilità di conoscerlo, è il modo di essere di Dio come il Figlio” (I Tempi di Dio, pag.77). “Questo modo di essere di Dio, per cui Dio dopo averci dato la possibilità di conoscerlo diventando uguale a noi pur rimanendo uguale a se stesso, opera in noi nella sua libera grazia la realtà della sua conoscenza e, oltre che essere Dio “con noi” e “per noi”, è Dio “in noi”, è la maniera di essere di Dio come lo Spirito Santo” (I Tempi di Dio, pag. 81).

 

 

 

CAPITOLO 3

La Trinità e le filosofie religiose pagane

Eresie dei primi secoli

 

 

 

 

 

Che la Trinità sia rivelata dalle Sacre Scritture l’abbiamo visto e più avanti ne darò un’ulteriore e particolareggiata dimostrazione. Mi sembra, quindi, un attacco all’integrità della Parola di Dio quando la Torre di Guardia afferma: “In tutto il mondo antico, fin dal tempo di Babilonia, era comune l’adorazione di Triadi, cioè di gruppi di tre divinità. Questa influenza si fece sentire anche in Egitto, Grecia e Roma nei secoli prima di Cristo, come pure al tempo di Cristo e dopo. E dopo la morte degli apostoli queste credenze pagane cominciarono ad infiltrarsi nel cristianesimo” (Dovreste credere nella Trinità?, pag. 10).

Faremmo bene a non ritenere vero tutto ciò che il cristianesimo crede ed è comune con altre religioni, anche più antiche?

Le somiglianze, affinità o supposte affinità fra dottrine pagane e credenze cristiane sono oggi argomento di dibattito su internet dove, ad esempio, interi siti si sforzano di dimostrare la dipendenza del culto cristiano da forze religiose egiziane più antiche.

Ma è un metodo datato per criticare la Bibbia.

È stata messa in discussione la narrazione classica sulle rocambolesche vicende di Mosè, visto che qualcosa di simile, di molto simile a dire il vero, si narra del grande re babilonese Hammurabi. Dico l’ovvio se suppongo che chi addita queste coincidenze a dimostrazione dell’inaffida-bilità del testo biblico non è attendibile? Però è così. Come si spiegherebbe altrimenti la naturale e regolare tendenza a sostenere l’autenticità di una qualsiasi narrazione extrabiblica a sfavore di quella biblica? Perché le narrazioni non bibliche non possono avere avuto un’influenza dal testo sacro? O, in un’ultima analisi, perché non dovremmo supporre che sia in Egitto quanto in Mesopotamia, far scampare ai propri fanciulli la sorte avversa affidandoli ad un fiume, non possa essere paragonato alla pratica diffusa secoli più tardi di lasciare i propri figli, indesiderati o che non si potevano tenere con sé, davanti all’ingresso di una chiesa?

Nella narrazione biblica della creazione, vi sono diversi punti in comune con delle antiche “tradizioni” mesopotamiche. Alcuni sostengono che Mosè abbia attinto a queste per tramandare il “mito” della creazione come la leggiamo nella Bibbia. Allo stesso modo, gli scritti di Mosè non sono nemmeno i più antichi a narrare del diluvio e di come un uomo riuscì a scampare miracolosamente a quella catastrofe. Dovremmo concludere che la Scrittura abbia soltanto ripreso e tramandato degli antichi miti? Queste sono le conclusioni di chi non crede nell’ispirazione della Bibbia. Siamo invece più inclini a pensare che gli eventi ripresi nella Genesi siano autentici e che il loro ricordo sia rimasto e sia stato tramandato anche in altre culture.

Alcuni additano i punti in comune fra i Salmi biblici ed alcuni scritti dedicati a divinità pagane. Perché i primi dovevano per forza scopiazzare i secondi? Non è più logico pensare che gli scritti di lode biblici fossero in armonia con le composizioni del periodo che li vide originare fra il popolo di Dio, per cantare le lodi del proprio Signore? Non accade forse oggi lo stesso con la musica e la letteratura cristiana? È così riprovevole che la nostra musica si esprima in una maniera comprensibile all’uomo del ventunesimo secolo ricalcando quelle tecniche espressive che sono tipiche anche della musica non cristiana? Di recente è stato pubblicato un “manga” cristiano in lingua italiana, scritto e disegnato da un’artista della nostra terra[3]. Personalmente ritengo saggio esprimersi nella stessa lingua dei destinatari di quanto si ha da dire (nei limiti, ovviamente, che impone il decoro e la morale cristiana) e sono quindi entusiasta di uno sforzo intelligente di una giovane che vuole parlare ai giovani. Qualcuno si illude, ad esempio, che il libro di Giobbe quando venne composto non fosse in armonia con gli stili narrativi del tempo?

Se poi teniamo in considerazione che Tertulliano, a ragione, definì il diavolo come la “scimmia di Dio”, è davvero così strano che alcune dottrine pagane ricordino così tanto alcuni fondamenti così cari della fede cristiana? Alla base della questione sta capire se è stato il paganesimo a scimmiottare la dottrina biblica o il cristianesimo a trascinarsi dietro credenze pagane.

Se, ad esempio, alcuni culti di origine egiziana parlano di divinità che vengono partorite da madri vergini, è, però, anche vero che la nascita miracolosa di Gesù è prevista nell’ottavo secolo a.C. nel libro del profeta Isaia (Isaia 7:14).

Il sacrificio ebraico dell’Antico Testamento riporta istintivamente alla mente quello dei pagani agli dei. Per questo dobbiamo credere che le pratiche dell’antico patto fossero d’origine pagana?

Se nell’antichità esisteva l’orrenda pratica di sacrificare i propri figli primogeniti, vogliamo immaginare che la Parola di Dio che ci parla del nostro Padre Celeste che offre il suo primogenito per i nostri peccati, altro non sia che un rimasuglio di questa antica mostruosa consuetudine?

Potrebbe essere così se la Scrittura non avesse previsto già nelle sue prime pagine l’arrivo del Signore in forma umana ed il suo perfetto sacrificio per la nostra redenzione! Sono tantissimi infatti i riferimenti nel libro della Genesi al futuro Messia.

Il “logos”, traslitterazione nel nostro alfabeto del termine greco col quale Giovanni definisce Gesù prima di incarnarsi e tradotto di solito “Parola” o “Verbo”, è un termine ed un concetto più antico di quello espresso da Giovanni. È vero che esso è in comune con la filosofia greca che ne parlò molto prima che l’apostolo scrivesse il suo vangelo. Ma, come dimostrerò più avanti, l’apostolo attingeva all’Antico Testamento per il prologo del suo vangelo. Incidentalmente la sua terminologia, visto che scriveva in greco, coincide con quella degli antichi filosofi. Indirettamente Filone alessandrino, ebreo, studioso e commentatore delle Scritture ebraiche, difende la causa di Giovanni quando accusa la filosofia greca di avere attinto in diversi punti agli scritti di Mosè.

Potrei andare avanti.

Ma non credo ve ne sia bisogno, perché il serio ed onesto osservatore dello sviluppo della dottrina cristiana deve riconoscere che la dottrina trinitaria non origina dall’imitazione o a causa dell’influenza di dottrine pagane, bensì da un’attenta riflessione sul dato biblico e dal bisogno di una semplice ed immediata definizione della natura e dei ruoli del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

Vale la pena richiamare l’affermazione di Vittorio Subilia circa le supposte affinità fra la dottrina trinitaria e le credenze pagane: “Non occorrono molti ragionamenti per rilevare che le affinità fra la dottrina cristiana (della Trinità) e queste triadi naturalistiche, non va al di là del “semplice impiego del numero tre” (I tempi di Dio, pag. 72).

Più tecnica l’affermazione di Prestige: “…la dottrina della trinità è sorta dalla intrinseca necessità di render ragione dei dati religiosi del cristianesimo e non dall’importazione di presupposti metafisici pagani.” (Dio nei Padri, pag.14).

In parole povere: la dottrina della Trinità è semplicemente la spiegazione ed enunciazione di quanto apprendiamo dalla Sacra Scrittura sul Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Diverse sono state nei tempi le soluzioni alternative che hanno tentato di dare all’apparente contraddizione della “complessità” di Dio. Quella dei Testimoni di Geova non è certamente la più antica né, mi si permetta di dirlo, la migliore e più lucida.

Già gli stessi autori biblici ebbero a confrontarsi con eresie cristologiche di vario genere. Paolo scrisse l’epistola ai Colossesi per confutare alcune dottrine che, se non erano puramente gnostiche, preludevano ad esse. Lo stesso si può dire della prima epistola di Giovanni. Lo gnosticismo fu una corrente di pensiero pseudocristiana molto forte, quando il cristianesimo muoveva i primi passi. Cerinto, Basilide, Valentino e Marcione sono nomi di gnostici giunti fino a noi grazie agli scritti dei cristiani del tempo che ne hanno confutato i falsi insegnamenti. Gli gnostici negavano sia la divinità che la realtà corporea di Gesù.

Nel primo secolo, per gli Ebioniti, ebrei convertiti al cristianesimo, era difficile comprendere la divinità di Gesù. Il loro adozionismo – una tendenza che in seguito continuerà sulla scia delle idee degli Ebioniti – riduce Gesù ad un uomo, un profeta, il quale diviene figlio di Dio ma non lo è per sua natura (da qui il termine adozionismo). Questa idea del Figlio di Dio risente troppo del pensiero ebraico e non rende ragione all’insegnamento biblico, perché la Scrittura ci dice chiaramente che Gesù è Dio. Trascurare tutte quelle caratteristiche proprie della persona di Gesù, trascurare la sua opera creatrice e redentrice, anche la sua realtà personale precedente all’incarnazione, vuol dire svuotare di significato l’intero messaggio dell’evangelo di Gesù “Dio con noi”. Il Padre è invisibile, nessuno l’ha mai visto. Eppure Dio è apparso all’uomo, Dio si è veramente rivelato. Se così non è stato, Dio è rimasto lontano, inaccessibile. Se la sua Parola, il logos, non è Dio, Dio non si è mai veramente manifestato, rivelato, come invece ci dice la Bibbia che è avvenuto.

Per salvare l’unità di Dio pur riconoscendo che la Scrittura attribuisce la divinità anche al Figlio ed allo Spirito Santo, alcuni cristiani dei primi secoli (II secolo d.C.) hanno pensato che Padre, Figlio e Spirito Santo fossero solo tre diverse manifestazioni del Padre, tre suoi modi di presentarsi, di apparire. Da qui la definizione di questa dottrina come Modalismo (perché le persone divine erano concepite solo come modi di apparire di Dio) o ancora Monarchismo (perché si voleva salvare l’unità di Dio, la sua monarchia), o Padripassianismo (se si enfatizza la conseguenza che fosse stato il Padre stesso a soffrire sulla croce). La migliore definizione di questa dottrina sembra sia stata formulata nel II secolo da Sabellio, dal quale prende anche il nome di Sabellianismo. Anche questa eresia trascura dei particolari e aggira delle difficoltà anziché tentare di risolverle. Dio infatti nella Genesi dice: “facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza”, lasciando intendere che più d’una persona sia coinvolta. Al battesimo di Gesù le tre persone di Dio erano presenti. Sulla croce Gesù è abbandonato dal Padre. Nella formula battesimale sono presenti tre persone, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo: se tutt’e tre fossero il Padre, una tale distinzione non avrebbe alcun senso. La Bibbia ci dice che i tre, Padre, Figlio e Spirito Santo sono distinti e tale distinzione è evidenziata nella definizione comune della Trinità con l’uso del termine Persona, dicendo che questi tre sono le tre Persone dell’unico Dio.

La più famosa eresia cristologica dell’antichità è, comunque, quella ariana. Ario visse nella prima parte del IV secolo d.C. Cominciando dalla sua chiesa di appartenenza, in Alessandria d’Egitto, provò a diffondere la sua dottrina. La sua idea di estrema subordinazione del Figlio al Padre, lo conduceva a considerare Dio il Figlio, ma in un senso minore. L’eresia ariana fu quella che certamente provocò più trambusto di tutte le precedenti messe assieme, perché veniva dall’interno stesso della Chiesa, non da un gruppo esterno ed estraneo. Per risolvere questa questione, l’imperatore Costantino stesso convocò un concilio universale a Nicea, nel 325 d.C. I vescovi riuniti condannarono Ario e le sue idee, stilando il famoso “Credo”.

Alcune delle risposte dei contemporanei alle eresie appena richiamate le vedremo nelle pagine a venire, dove considereremo alcuni brani tratti da antichi scritti cristiani.


CAPITOLO 4

Monoteismo ebraico e dottrina trinitaria

 

 

 

 

 

 

La fede ebraica tradizionale è sostenitrice della monarchia di Dio, ciò è indubbio. Aggiungerei, però, che non è in sé antitrinitaria, soltanto, nella sua forma più diffusa, il giudaismo non si pone nemmeno il problema di una eventuale pluralità di “persone” all’interno della Divinità.

Per un approfondimento serio della questione, consiglio senz’altro la lettura del libro “Monoteismo ebraico – dottrina trinitaria cristiana” che raccoglie una sorta di dialogo fra Pincas Lapide (studioso ebreo) e Jurgen Moltmann (teologo cristiano) edito da Queriniana e che cito qui dalla sua seconda edizione.

Lapide richiama lo “Shema Israel”, la dichiarazione per eccellenza del monoteismo ebraico che troviamo nelle Scritture in Deuteronomio 6:4: “Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno (“achad” nell’ebraico originale)” e poi approfondisce: “Dalla parola ACHAD non apprendiamo soltanto il monoteismo, non solo il fatto che non esista altri all’infuori di Lui, ma anche che Lui è Uno e che quindi non può venir considerato come qualcosa di composto” (p. 16-17).

Mi piace moltissimo la dialettica di Lapide e non bisogna condividerne ad ogni costo il pensiero per ammirarlo ed attingere alla sua vastissima cultura per una migliore conoscenza della Sacra Scrittura. È l’antagonista perfetto in una disputa, e non solo trinitaria, vista la sua preparazione ed onestà e per l’entusiasmo non falso che prevale nel suo evidente desiderio di dialogo con il “cristianesimo”. Ciò che mi colpisce nel suo pensiero è il fatto che riconosca l’unica vera prima insormontabile difficoltà che cambia drasticamente la prospettiva di tutto e che segna la linea di demarcazione fra giudaismo e cristianesimo: accettare Gesù come il Messia. Tutto il resto è una conseguenza inevitabile. Alla luce di ciò, le sue posizioni sono comprensibili. Ad esempio, egli parla (coerente con le sue convinzioni) della formula trinitaria del Vangelo di Matteo (Matteo 18:18-20) e ne mette in dubbio l’autenticità, perché comprende che lo sviluppo della riflessione trinitaria è in armonia con la semplice enunciazione di Matteo. Insomma il suo credo è in armonia con la sua fede ebraica.

Però ci comunica dei dati interessanti, ancora più interessanti perché provengono da lui: “I mistici della Cabala scoprirono tracce di una triade già nella prima pagina della Bibbia: “In principio Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu”.

Qui i mistici, anche se non l’ebraismo normativo, affermano: “ci troviamo di fronte a Tre: Dio stesso, il suo Spirito e il suo Detto, in ebraico DAVAR, e poi in aramaico MEMRA, i due antenati del futuro Logos greco, concepiti come prima rivelazione dell’unico Dio” (p. 22).

Proseguendo il suo discorso, parlando di Isaia 6:3, “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti” aggiunge: “Nessuna meraviglia quindi se questa triplicazione così frequente della santità di Dio ha condotto a tutta una serie di speculazioni quasi-trinitarie in gruppi marginali dell’ebraismo…” (p.23).

Io mi permetto di far notare l’ovvio: noi cristiani siamo lo sviluppo di un gruppo marginale dell’ebraismo!

Se, però, gli ebrei non trovano la Trinità nell’Antico Testamento, dobbiamo purtroppo aggiungere che non riconoscono Gesù come Messia e non leggono l’interezza della Rivelazione scritta di Dio alla luce di questo fondamentale dettaglio.

Scriveva Paolo: “…sino al giorno d’oggi, quando leggono l’antico patto, lo stesso velo rimane, senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è abolito. Ma fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo rimane steso sul loro cuore; però quando si saranno convertiti al Signore, il velo sarà rimosso” (2 Corinzi 3:14-16).

Vediamo allora cosa può accadere quando un ebreo si converte a Cristo.

È stato proprio questo il caso di Asher Intrater, autore del libro “Chi ha pranzato con Abrahamo?” edito da Perciballi Editore. Intrater, ebreo di nascita, ha studiato presso l’Università di Harvard, al Baltimore Hebrew College ed al Messiah Biblical Institute. Sono queste le credenziali che fanno di lui, oggi credente cristiano, una fonte davvero preziosa per un approfondimento del messaggio evangelico già presente nell’Antico Testamento. Per questo mi sento di consigliare il suo libro, finalmente disponibile in lingua italiana.

Dopo avere discusso a lungo delle apparizioni divine ed angeliche ai patriarchi ebraici ed avere esaminato in particolare la visione del profeta Ezechiele, egli afferma: “L’idea che il Signore possa assumere sembianze umane risulta sconvolgente, ma se pensiamo che Dio è apparso come uomo ad Abrahamo, Mosè, Ezechiele e molti altri profeti e patriarchi, capiamo che non c’è contraddizione tra la fede dei padri e la divinità del Messia… Se Dio Onnipotente appare in forma umana, non c’è motivo di scartare a priori la possibilità che Yeshua (nome di Gesù in ebraico) sia divino. Il concetto di un Dio-Uomo è perfettamente valido nel contesto della Legge e dei Profeti.” (p. 104).

Scrive ancora: “La manifestazione divina all’umanità in sembianze umane viene definita “Figlio” di Dio. Tale concetto messianico è stato introdotto dai profeti israeliti ben prima del Nuovo Patto (Vedi ad esempio Sl. 2:7; 2 Sa. 7:14; Pr. 30:4; Is. 7:14; Is. 9:6; Da. 3:25). Se Yeshua (Gesù) è il Messia, allora è anche il Dio-Uomo in questione: il “Figlio”.”

C’è un brano della Sacra Scrittura davvero molto significativo. Qualcosa che accadde dopo la resurrezione di Gesù e prima della sua ascensione in Cielo.

“Poi disse loro: “Queste sono le cose che io vi dicevo quand’ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi”. Allora aprì loro la mente per capire le Scritture e disse loro: “Così è scritto, che il Cristo avrebbe sofferto e sarebbe risorto dai morti il terzo giorno, e che nel suo nome si sarebbe predicato il ravvedimento per il perdono dei peccati a tutte le genti, cominciando da Gerusalemme. Voi siete testimoni di queste cose. Ed ecco io mando su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi, rimanete in questa città, finché siate rivestiti di potenza dall’alto” (Luca 24:44-49).”

Gesù spiegò ai suoi connazionali ebrei cosa era accaduto con la sua morte e resurrezione e chi lui veramente fosse, citando il Tanakh[4]. Non possiamo aggrapparci all’interpretazione ebraica come fanno i Testimoni di Geova quando, purtroppo, proprio il popolo di Dio, nel momento più importante della sua storia, non ha riconosciuto l’adempiersi delle profezie che riguardavano il Cristo che fondamentalmente attendevano. Fu in quel momento che una minoranza dell’ebraismo prese i contorni di una nuova forma di pensiero, quello che noi chiamiamo oggi cristianesimo, staccandosi dal pensiero classico del giudaismo per aderire alla spiegazione autorevole del Tanakh che Gesù impartì ai suoi discepoli.

Nel comprendere che Gesù è il Messia promesso nell’Antico Testamento e che il Messia è il Logos di Dio, la Parola di Dio fatta uomo, come ci spiega Giovanni nel primo capitolo del suo vangelo, sta la chiave di lettura per la comprensione del fatto che il Dio-uomo e l’Angelo-Dio apparso ai patriarchi è per noi divenuto uomo in Gesù di Nazareth, Messia e Cristo, Dio fattosi uomo. In questa prospettiva la dottrina trinitaria affonda le sue radici nell’antico patto, è lì ed è in Cristo che il velo è rimosso ed ogni cosa diventa oggi comprensibile, nella chiave di lettura che Gesù e lo Spirito Santo ci forniscono.

Nessuna rottura con l’ebraismo biblico nel pensiero cristiano, bensì un logico prosieguo ed un naturale sviluppo di una tendenza già potenzialmente presente nelle Scritture ebraiche che, con l’incarnazione del logos di Dio (Giovanni 1:14), diviene evidente e prorompente.

Scrive così l’autore di Ebrei: “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio… “ (Ebrei 1:1-2).

Dio parlò quindi in varie occasioni ed in vari modi al popolo ebraico, per mezzo dei profeti, uomini ai quali il Signore comunicava in maniera speciale la sua volontà. Ma oggi Egli ha parlato al suo popolo e parla a noi per mezzo di qualcuno di ben più grande, un individuo il cui unico rapporto che intrattiene con Dio gli vale il titolo messianico di “Figlio”. Qui il greco originale vede la parola “figlio” priva dell’articolo determinativo. Ciò sottolinea la qualità del Figlio, piuttosto che la sua identità, mettendolo in relazione con Dio, che ora possiamo chiamare anche Padre, che l’ha mandato.

I profeti erano degli uomini di Dio. Ma non Gesù. Sebbene l’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?” affermi che Gesù altro non sia che “né più né meno che un uomo perfetto”, (p.15), gli autori del Nuovo Testamento dicono di lui ben altro:

“egli è erede di tutte le cose” (Ebrei 1:2);

“per mezzo di lui Dio ha creato il mondo” (Ebrei 1:2), “in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili” (Colossesi 1:16), “Ogni cosa è stata fatta per mezzo” del Figlio e senza di lui, “neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Giovanni 1:3);

Egli è “lo splendore della sua gloria”, cioè di Dio Padre e “l’impronta della sua essenza” (Ebrei 1:3); Egli è “l’immagine del Dio invisibile” (Colossesi 1:15).

Addirittura il Figlio “sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza” (Ebrei 1:3).

Un po’ troppo per un individuo che si possa definire “né più né meno che un uomo perfetto”!

Sempre mettendo in relazione la persona di Gesù alla rivelazione dell’Antico Testamento, avvenuta tramite i profeti, quale uomo di Dio osò dire mai di se stesso:

“Io sono la via, la verità e la vita; nessuno viene al Padre se non per mezzo di me” (Giovanni 14:6).

“Io sono il pane della vita” (Giovanni 6:35).

“Io sono la luce del mondo” (Giovanni 8:12)

“Io sono il buon pastore” (Giovanni 10:11).

“Io sono la resurrezione e la vita” (Giovanni 11:25).

Potremmo andare avanti, come in realtà farò nelle pagine a venire; ma, sebbene mi fermi qui, è più che evidente che Gesù, sebbene nessuno voglia dire che non fosse anche vero uomo, è certamente anche più che un profeta o un “semplice” uomo.

La domanda retorica che pongono i Testimoni di Geova: “il monoteismo subì forse qualche modifica in seguito alla venuta di Gesù sulla terra?”, (Dovreste Credere nella Trinità? P.12), è lecita. Non possiamo non condividere l’opinione che Dio sia “uno”, come dice l’Antico Testamento (Deuteronomio 6:4), e come ci conferma il  Nuovo. Nella dottrina trinitaria (tri-unitaria) nessuno nega l’unità di Dio, bensì la si armonizza con la rivelazione del Figlio che è Dio e dello Spirito Santo che è Dio.

La retorica implicita nella domanda dei Testimoni vuol  sottintendere che il cristianesimo, e per logica conseguenza le Scritture neotestamentarie, non avrebbero introdotto alcun nuovo elemento rispetto alla fede ebraica, in particolare sulla natura di Dio.

Ma se il cristianesimo avesse perfettamente continuato sul solco del giudaismo del secondo tempio, come si spiegherebbe la decisiva frattura che è intercorsa nel primo secolo, lo scandalo (1 Corinzi 1:23) dei Giudei nei confronti della nuova fede?

Se il Nuovo Testamento non continua ed amplia la Rivelazione di Dio dell’Antico Testamento, come spieghiamo che i Giudei l’abbiano rigettato?

Se non viene introdotto nulla di nuovo, perché non troviamo in nessun punto dell’Antico Testamento nemmeno un’affermazione che motivi o assomigli alla forma battesimale di Matteo nel “nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”? Nell’Antico Testamento Dio non veniva chiamato “Padre”, non si parla di un suo “Figlio Unigenito”. In nessun brano dell’Antico Testamento veniva detto qualcosa di simile a quello che dicevano gli apostoli: “Mentre celebravano il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: “Mettetemi da parte Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati.” (Atti 13:2). “Non rattristate lo Spirito Santo di Dio.” (Efesini 4:30).

Quindi quando la Watch Tower afferma: “Nemmeno l’apostolo Paolo, dopo la venuta di Gesù in terra, indicò che la natura di Dio aveva subito qualche mutamento”, (p. 13), risponde male alla sua stessa domanda, che abbiamo citato in precedenza.

La natura di Dio non è cambiata. Concordiamo anzi che la natura di Dio non può cambiare o Egli cesserebbe di essere Dio!

Gli ebrei non avevano compreso male la Rivelazione di Dio dell’Antico Testamento. Ma con il Nuovo Testamento, con Gesù, la Rivelazione di Dio diviene completa e apprendiamo che Dio è Padre e che ha un Figlio. Apprendiamo inoltre che lo Spirito Santo, sebbene invisibile, viene inviato su questa terra come vicario del Cristo dopo la sua ascensione. Quest’ultimo mostra una sua volontà, parla, insegna, conforta, intercede… in parole povere, il Nuovo Testamento ci dà la chiave di lettura per comprendere che Egli è una “persona”, né più né meno come il Padre ed il Figlio. E se è a loro affiancato per dignità ed autorità, ciò è possibile solo perché Egli è Dio.

Non un mutamento della natura di Dio, ma una rivelazione più completa.

Come dirò meglio anche più avanti, tali sviluppi –l’abbiamo visto anche nella citazione dagli scritti di Lapide – non sono dovuti a contaminazioni con il mondo della filosofia greca! Se l’opuscolo attribuisce al neoplatonismo l’origine della dottrina trinitaria, bisogna chiedersi allora come spiega le affinità fra il prologo di Giovanni, la sua dottrina del logos e la filosofia greca. Dobbiamo immaginare che l’influenza della filosofia greca sul cristianesimo, che suppone la Watch Tower, abbia colpito per primi gli apostoli? Sarei infatti curioso di sapere quanti degli autori che cita contro la dottrina trinitaria siano anche convinti che contaminazioni dal mondo greco abbiano interessato la stessa composizione del Nuovo Testamento, in particolare la cristologia di Giovanni, di Paolo (Colossesi) e dell’autore di Ebrei.

Che Dio sia perfetto e che noi uomini ed il nostro linguaggio non possiamo contenerlo è certo. Ma è altrettanto vero che la dottrina trinitaria non si inventa il dato biblico, ma cerca di spiegarlo, di elaborarlo, districandosi fra le varie eresie, per una migliore comprensione del senso della Rivelazione di Dio in Gesù Cristo, suo Figlio e nello Spirito Santo, che ci rigenera e che abita in noi, facendo della Chiesa il Tempio di Dio.

Qualche secolo fa, Isaac Newton elaborò la sua teoria sulla forza di gravità. Ma di certo non fu in quel momento che la forza di gravità cominciò ad esistere. Egli non la creò, bensì ne osservò l’esistenza.

La terra non è rotonda da quando la scienza ce l’ha detto!

Il sole non è al centro del nostro sistema solare da quando l’umanità se ne è resa conto!

Allo stesso modo, il fatto che la formula trinitaria che conosciamo non sia esplicitamente espressa nella Bibbia non significa che questa non rappresenti un autentico, onesto, sforzo di rendere con parole umane la realtà di Dio (Padre, Figlio e Spirito Santo) come ci viene rivelata nel Nuovo Testamento.

Spiegare Dio, rendendo giustizia alla Sua Rivelazione nelle Sacre Scritture, essendo anche pronti ad esporsi a causa degli evidenti limiti della nostra capacità di pensiero e dalla capacità della lingua umana di esprimerlo, è uno sforzo che merita rispetto. Ostinarsi a voler limitare Dio all’interno dell’esperienza ebraica o ponendo il limite della nostra capacità di comprensione, a discapito della meravigliosa realtà del Nuovo Patto in Cristo, Parola (perfetto rivelatore) di Dio e della testimonianza dello Spirito Santo in noi, è invece discutibile.

Nessuna vera rottura con l’ebraismo della Bibbia ebraica in Cristo. Egli era il Messia che le Scritture avevano promesso e l’averlo accettato come tale è la chiave di lettura per potere comprendere tutto quello che l’incredulità ha invece celato al giudaismo del secondo tempio ed a quello seguente.

Accettare l’autorità del Nuovo Testamento (quindi del Cristo e degli apostoli) significa accettare quell’ulteriore luce sulla persona di Dio che conduce alla riflessione trinitaria.

 

 

 

CAPITOLO 5

Citazioni dagli scritti dei padri della Chiesa

 

 

 

 

 

 

I cosiddetti “padri della Chiesa” sono degli scrittori dei primi secoli che difendono o affermano la fede cristiana. Rivestono un ruolo importante perché sono testimoni del tragitto nella storia del pensiero cristiano. Pur avendo iniziato la loro lettura per valutare la veridicità delle affermazioni dei Testimoni di Geova, ho imparato presto ad apprezzare gli scritti di uomini profondamente convinti della loro fede che, con umiltà, ma anche con fermezza, nel periodo apostolico e post-apostolico, sostenevano e difendevano la purezza dell’insegnamento cristiano contro gli attacchi di eretici e del mondo pagano che circondava e criticava, a volte anche aspramente, i sostenitori della neonata religione cristiana.

Questi scrittori sono, comunque, degli uomini e perciò mostrano, accanto ad un grande sforzo teso al servizio di Dio e ad una migliore comprensione della Bibbia, quegli ovvi limiti che sono di ognuno: sono figli dei loro tempi, come è palese nella terminologia, nell’esposizione della dottrina tesa ad andare incontro alle esigenze dei loro contemporanei e in armonia con la realtà storica e sociale in cui vivevano.

I primi passi della Chiesa non furono facili. La fede cristiana nasceva da quella ebraica ma sempre di più, col passare degli anni, se ne allontanava. Mentre i primi cristiani erano ebrei convertiti a Cristo, ben presto fu chiaro che i non giudei avrebbero caratterizzato la Chiesa, distinguendo quest’ultima definitivamente, anche etnicamente e culturalmente, dalla “chiesa” giudaica dell’antico patto. Gli apostoli, con Paolo in testa, testimonieranno di Cristo in ogni parte dell’impero romano, come del resto Gesù stesso aveva comandato ai suoi discepoli di fare. Vedi Matteo 28:19 ed Atti 1:8.

Se da una parte quindi il problema con gli ebrei convertiti alla nuova fede poteva essere il loro essere culturalmente legati al legalismo sostenuto dalla loro naturale riverenza per la legge mosaica, per i neoconvertiti dal paganesimo i problemi da affrontare erano del tutto diversi.

Nell’epistola ai Galati, Paolo si trova a dover combattere apertamente contro delle fazioni di cristiani che cercano ancora di conservare le radici mosaiche della fede cristiana fino al punto di rinnegare la sostanza del nuovo patto in Cristo Gesù. Dall’altra parte il cristianesimo si trova a doversi confrontare con nuove problematiche quando si diffonde fra i Gentili che non conoscevano il Dio unico della Bibbia e i profondi principi morali trasmessi dalla Torah. Nelle epistole ai Corinzi è chiaro che Paolo affronta situazioni e comportamenti tipici di un cristianesimo che stenta ad abbandonare ed allontanarsi del tutto da una tradizione ed un mondo pagani: la morale e il credo dei corinzi sono ancora vacillanti!

L’epistola ai Colossesi affronta tematiche che potevano riguardare soltanto una chiesa immersa in un mondo intriso di filosofia paganeggiante: Paolo sfida la complessa filosofia di una “gnosi” probabilmente ancora in embrione sul suo stesso campo, proponendo l’alternativa di una “gnosi” vera, superiore, che è quella di Cristo, che si distacca dalla contemplazione greca, in quanto non è pura speculazione, fine a se stessa, bensì conoscenza che produce “buone opere” ed una vita santa (Colossesi 1:10, 26-28).

Appare, invece, evidente che una via di mezzo sia presente nell’epistola ai Romani, dove Paolo sembra rivolgersi ad una chiesa composta sia da giudei che da pagani convertiti.

L’apostolo Giovanni scrive il suo vangelo (tradizionalmente l’ultimo dei quattro) per una Chiesa ormai in gran parte composta da non giudei e parla del logos, traducendo certamente dalle parafrasi ebraiche, ma conscio di richiamare alla mente del lettore di lingua greca un concetto familiare, sebbene lo riveda in chiave puramente biblica e cristiana.

Negli scritti dei cristiani dei primi secoli questo invito a raccogliere la terminologia greca e persino l’intuizione della filosofia, è evidente ed è utilizzato per meglio spiegare (questo deve essere stato anche l’intento dell’apostolo) il nuovo credo ad un mondo pagano offrendo dei termini e delle concezioni comuni o, comunque, rintracciabili nella fede cristiana.

L’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?”, cita alcuni “padri della Chiesa”. Lo fa, però, senza rendere alcuna giustizia al loro pensiero: si cura soltanto di usare i loro scritti per i propri fini, mostrando per degli autentici cristiani, quali credo che questi fossero stati (alcuni morti persino martiri), la più totale indifferenza. A pag. 7 leggiamo: “I padri preniceni sono riconosciuti come importanti maestri religiosi dei primi secoli dopo Cristo. Ciò che insegnavano è interessante.

 

Giustino Martire, morto verso il 165 E.V., definiva il Gesù preumano un angelo creato “diverso dall’Iddio che fece tutte le cose”. Diceva che Gesù era inferiore a Dio e che “non faceva mai nulla all’infuori di ciò che il Creatore… voleva che egli facesse e dicesse”.

 

Ireneo, morto verso il 200 E.V., sosteneva che il Gesù preumano aveva un’esistenza separata da Dio ed era inferiore a lui, spiegava che Gesù non era uguale al “Solo vero Dio”, il quale regna “Supremo su tutti e oltre al quale non c’è nessuno”.

 

Clemente Alessandrino, morto verso il 215 E.V., definiva il Gesù preumano “una creatura”, mentre chiamava Dio “l’increato, imperituro e unico vero Dio”. Diceva che il figlio “veniva dopo il solo Onnipotente Padre”, ma non era uguale a lui.

 

Tertulliano, morto verso il 230 E.V., insegnava la supremazia di Dio, dicendo: “Il Padre è diverso dal figlio (un altro), in quanto è maggiore; come colui che genera è diverso dal generato; colui che invia è diverso dall’inviato”. E aggiunge: “Ci fu un tempo in cui il figlio non era… prima di tutte le cose, Dio era solo”.

 

Ippolito, morto verso il 235 E.V., diceva che Dio era “l’unico Dio, il primo ed il solo, il fattore e Signore di tutto”, al quale “nulla è coevo (di uguale età)… ma era uno ed era solo; il quale, volendolo, portò all’esistenza ciò che prima non esisteva”, come il creato Gesù nella sua esistenza preumana.

 

Origene, morto verso il 250 E.V., diceva che “Il Padre e il figlio sono due sostanze… due rispetto alla loro essenza”, e che “in paragone col Padre (il figlio) è una luce molto piccola”.

I primi cristiani, così almeno sembra dalle citazioni addotte dalla Torre di Guardia, non credevano nella divinità di Gesù, sconoscevano la dottrina della Trinità. Ma è proprio così?

È vero esattamente il contrario.

Le frasi che la Watch Tower utilizza sono estrapolate dal contesto originale e stravolgono l’autentico pensiero di chi le ha prodotte. Quanto affermo lo dimostrerò in dettaglio, riprendendo le citazioni addotte, all’interno del loro contesto. Dimostrerò ancora quale era il vero credo dei “padri preniceni” riportando altre e più ampie citazioni.

 

Giustino. Di questo scrittore sono giunte sino a noi due brevi apologie ed un “Dialogo con Trifone”, che consiglio vivamente al lettore di procurarsi.

È fuori dubbio che egli consideri Gesù Dio, oggetto di adorazione come il Padre.

Dialogo 48,2: “… questi è il Cristo di Dio, anche se non fossi in grado di dimostrare che è preesistito come figlio di colui che ha fatto tutte le cose, essendo egli stesso Dio, e che si è fatto uomo per mezzo della vergine.”

Dialogo 63,5: “…anche queste parole indicano chiaramente che egli è degno di adorazione e che è Dio e Cristo ..”.

Dialogo 126,2: “…se aveste compreso le parole dei profeti non neghereste che egli è Dio, Figlio dell’unico, ingenerato ed ineffabile Dio.”

Sull’argomento si sofferma a lungo ed in modo istruttivo nel “Dialogo”, ribadendo con forza la deità di Gesù, definendolo Dio, sebbene persona distinta dal Padre.

Ireneo. Vescovo di Lione, vissuto nella seconda metà del II secolo, Ireneo è famoso per la sua confutazione sistematica delle dottrine gnostiche del tempo nella sua maestosa opera in cinque libri “Contro le Eresie”. Qui afferma in più punti la sua fede in Gesù Dio, la fede della Chiesa nel periodo in cui egli visse.

Scrisse: “La Chiesa, sebbene dispersa in tutto il mondo, fino alle parti più remote della terra, ha ricevuto dagli apostoli e dai loro discepoli questa fede: in un Dio, il Padre Onnipotente, Creatore del cielo, della terra, del mare e di tutte le cose che sono in essi; e in un Cristo Gesù, il Figlio di Dio, il quale si incarnò per la nostra salvezza; e nello Spirito Santo, il quale ha proclamato attraverso i profeti la dispensazione di Dio e l’avvento, la nascita da una vergine, la passione, la resurrezione dai morti, l’ascesa in cielo nella carne dell’amato Cristo Gesù, nostro Signore, e la sua futura manifestazione dal cielo nella gloria del Padre “per raccogliere tutte le cose in uno” (Efesini 1:10, ndr) e per far risorgere tutti gli uomini della intera razza umana, affinché a Gesù Cristo, nostro Signore, Dio, Salvatore e Re, secondo la volontà dell’invisibile Padre, “ogni ginocchio si pieghi…” (Libro I, cap. 10).

“Ma che egli – Gesù – è personalmente e con pieno diritto, diversamente da tutti gli uomini vissuti, Dio, Signore e Re eterno, Parola incarnata, dichiarato da tutti i profeti, gli apostoli e dallo Spirito stesso, può essere compreso da tutti coloro che si sono avvicinati anche per poco alla verità” (Libro III, cap.19).

 

Clemente Alessandrino. Nel II secolo Clemente succedette a Pantano – del quale non ci è giunto alcuno scritto – nella direzione della scuola cristiana di Alessandria. Leggendo i suoi libri, la dottrina che ho trovato ribadita più di tutte è proprio quella della divinità di Gesù. Bellissime le sue affermazioni.

“Questa Parola, allora, il Cristo, la causa sia del nostro essere per prima cosa (in quanto egli era in Dio) e del nostro star bene, questa stessa Parola è ora apparsa come uomo, solo lui essendo entrambi, sia Dio che uomo…”. (Esortazione ai pagani, cap. 1).

“…Credi in lui che è uomo e Dio; credi o uomo! Credi, o uomo, nel Dio vivente, il quale ha sofferto ed è adorato. Credete, voi schiavi, in colui che è morto; credi, o umanità tutta, in Colui che soltanto è Dio di tutti gli uomini”. (Esortazione ai pagani, cap. 10).

“Ora voi, figli miei, il vostro Pedagogo è Dio, come suo Padre, del quale è Figlio, senza peccato, senza biasimo, e con un’anima scevra di passione; Dio in forma d’uomo, senza macchia, ministro della volontà di suo Padre, la Parola che è Dio, che è nel Padre, che è alla destra del Padre, e in forma di Dio è Dio”. (Pedagogo, Libro I, cap.1).

“… Essa (la Scrittura) l’ha chiamato anche Dio la Parola, il quale è diventato uomo per noi …” (Libro I, cap.5).

Citando Giovanni 1:1 scrive: “… nulla allora è odiato da Dio, né dalla Parola. In quanto entrambi sono uno, cioè Dio. In quanto egli ha detto, “nel principio la Parola era in Dio, e la Parola era Dio” (Libro I, cap.8).

“Il divino Pedagogo è degno di fede, adornato com’è con tre dei più bei ornamenti: conoscenza, benevolenza ed autorità di parola. Con sapienza in quanto egli è la Sapienza del Padre: “Tutta la Sapienza è dal Signore, e con lui per sempre”; con autorità di parola, in quanto egli è Dio e Creatore: “Tutto è stato creato attraverso di lei (la Parola) e senza di lei nessuna cosa è stata fatta”; e con benevolenza, perché lui soltanto s’è dato come sacrificio per noi: “perché il buon Pastore dà la sua vita per le pecore” (Libro I, cap.11).

 

Tertulliano. Tertulliano fu un prolifico scrittore cristiano vissuto durante il II secolo, abbastanza famoso anche al di fuori della cerchia degli studiosi di patristica.

“Contro Prassea” è un suo trattato diretto a confutare quell’eresia chiamata “modalismo” che faceva del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo soltanto tre diversi “modi” di apparire di una medesima persona divina.

Tertulliano difende così la fede nelle tre “persone” dell’unico Dio.

Cap. 2: “Noi, comunque, come in verità abbiamo sempre fatto…crediamo che vi è un Dio soltanto, ma nella seguente disposizione, o economia, come viene chiamata, che questo unico Dio ha un Figlio, la Sua Parola, la quale è proceduta da Lui, attraverso la quale tutte le cose furono fatte, senza la quale nulla è stato fatto. Lui noi crediamo essere stato mandato dal Padre nella Vergine, ed essere nato da lei – essendo sia Dio che uomo, Figlio dell’uomo e Figlio di Dio…”.

“…il mistero della dispensazione è preservato, il quale dispone l’Unità nella Trinità, ponendo nel loro ordine le tre Persone – il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: tre comunque non per condizione, ma per successione; non nella sostanza, ma nell’aspetto; non nella potenza, ma nella manifestazione; tuttavia di un’unica condizione, ed una potenza, in quanto Dio è Uno, dal quale sono queste successioni e manifestazioni, sotto il nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo.”

Cap. 13: “…da quella perfetta conoscenza la quale ci assicura che il titolo di Dio e Signore spetta al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.”

Cap. 31: “Ma (questa vostra dottrina è simile) alla fede giudaica, della quale questa è la sostanza – credere in Dio Uno per rifiutare di considerare accanto a lui il Figlio, e dopo il Figlio, lo Spirito Santo. Ora che differenza vi sarebbe fra noi e loro, se non vi fosse questa distinzione che voi state abbattendo? Che bisogno vi sarebbe del vangelo, che è la sostanza del Nuovo Patto… se da qui in avanti il Padre, il Figlio e lo Spirito non sono creduti come tre e costituenti l’unico Dio? A Dio è piaciuto rinnovare il suo Patto con l’uomo in tal modo che la Sua Unità potesse essere creduta in una nuova maniera, attraverso il Figlio e lo Spirito, così che Dio potesse ora essere conosciuto apertamente, nei Suoi propri Nomi e Persone, i quali nei tempi antichi non furono del tutto compresi, sebbene dichiarati attraverso il Figlio e lo Spirito.”

Ippolito. Ippolito fu greco di nascita ma romano di adozione. Visse fra il 170 ed il 236 d.C. Fu discepolo di Ireneo, del quale abbiamo detto prima. A sua volta Ireneo era stato discepolo di Policarpo, del quale parlerò più avanti. Policarpo aveva avuto per maestro l’apostolo Giovanni stesso. Questo per dire che, sebbene gli scritti di questi autori che stiamo considerando non possono avere la stessa autorità degli autori sacri (nessuno di loro pretendeva di equipararli), sono comunque una testimonianza storica molto importante.

Il trattato di Ippolito scritto per confutare l’eresia di Noeto, il quale sosteneva idee modaliste, è una stupenda apologia dell’autentica dottrina della Trinità.

“Un uomo, quindi, sebbene non voglia, è costretto a riconoscere Dio il Padre Onnipotente, e Cristo Gesù, il Figlio di Dio, il quale, essendo Dio, divenne uomo, al quale anche il Padre ha sottoposto ogni cosa, ad eccezione di se stesso, e lo Spirito Santo; e che questi, quindi, sono tre” (cap. 8).

Questa l’essenza della fede di Ippolito: “Fratelli, c’è soltanto un Dio, la conoscenza del quale noi otteniamo dalle Sacre Scritture, e da nessun altra fonte.” (cap.9).

“…Queste cose quindi, fratelli, sono dette dalle Sacre Scritture. E il beato Giovanni, nella testimonianza del suo Vangelo, ci dà una spiegazione di questa economia (disposizione) e riconosce la Parola come Dio, quando egli dice: “In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”. Se, allora, la Parola era con Dio, ed era anche Dio, cosa ne consegue? Direbbe qualcuno che egli sta parlando di due Dei? Io non parlerei in verità di due Dei, ma di uno; di due Persone comunque, e di una terza economia (disposizione), cioè la grazia dello Spirito Santo. In quanto il Padre è in verità Uno, ma vi sono due Persone, in quanto vi è anche il Figlio; e vi è la terza, lo Spirito Santo.

…E non possiamo pensare altrimenti dell’unico Dio, se non credendo nella verità nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo.

…La Parola del Padre, perciò, conoscendo l’economia (disposizione) e la volontà del Padre, che il Padre vuole essere adorato in nessun’altra maniera se non questa, diede incarico ai discepoli dopo essere resuscitato dai morti: “Andate ed insegnate a tutte le nazioni, battezzandoli nel nome del Padre, e del Figlio, e dello Spirito Santo.” E attraverso ciò egli ha mostrato che chiunque sottraesse qualcuno di questi, mancava di glorificare Dio perfettamente. Perché è attraverso questa Trinità che il Padre è glorificato. Perché il Padre ha voluto, il Figlio ha fatto, lo Spirito ha manifestato.

L’intera Scrittura quindi proclama questa verità.” (cap.14).

Questa la meravigliosa chiusa del suo scritto: “Questi (Gesù) è il Dio che per noi si è fatto uomo, al quale il Padre ha sottoposto ogni cosa. A lui sia la gloria e la potenza, col Padre e lo Spirito Santo, nella santa Chiesa ora e per sempre…”

Origene. Origene prende il posto di Clemente a capo della scuola cristiana di Alessandria. È per la sua eccessiva spiritualizzazione di alcuni passi biblici, per l’eccessiva aderenza letterale ad altri e per uno spirito d’indagine prettamente greco che Origene è diventato argomento di acceso dibattito.

La lettura di alcuni suoi commenti strabilierà per bellezza, quella di altri per assurdità.

Accanto alle sue speculazioni, comunque, propone le affermazioni tradizionali e dirette che ribadiscono e difendono la dottrina trinitaria.

Vediamone qualcuna.

Nel libro “dei Principi”.

“…Lui (Gesù) negli ultimi tempi, spogliandosi (della Sua gloria), divenne uomo, e si incarnò sebbene Dio, e quantunque fosse divenuto uomo rimase il Dio che era.”, (prefazione, cap.4).

“gli apostoli hanno detto che lo Spirito Santo era associato per onore e dignità con il Padre ed il Figlio.”, (prefazione, cap. 4).

“…Ciò che riguarda la natura della deità è comune al Padre e al Figlio…” (Libro I, cap.1.8).

E, sebbene Origene stesso avesse scritto che Gesù “era nato dal Padre prima di ogni creatura”, spiega in un altro luogo: “E chi è capace di avere pensieri o sentimenti riverenti nei confronti di Dio, può supporre o credere che Dio il Padre sia mai esistito, sebbene per un attimo di tempo, senza avere generato la Sua Sapienza?” (Libro I, cap.2.2).

Lo stesso Origene continua a spiegare: “…perciò noi abbiamo sempre sostenuto che Dio è il Padre del suo unigenito Figlio, il quale è veramente nato da lui, e deriva da lui ciò che egli è, ma senza alcun principio…” (Libro I, cap.2.2).

Prosegue Origene: “Giovanni, comunque, in maniera sublime e con proprietà, dice al principio del suo vangelo, quando definisce Dio per mezzo d’una particolare definizione come la Parola: “E Dio era la Parola, e questa era in principio con Dio”. Allora chi dà un inizio alla Parola o alla Sapienza di Dio, stia attento che non sia reo di empietà contro l’ingenerato Padre stesso, visto che egli nega che egli sia stato sempre Padre …” (Libro I, cap.2.3).

“…Perché la sua generazione è eterna e dura in eterno come la brillantezza che è prodotta dal Sole. Perché non è stato ricevendo il soffio della vita che egli è stato fatto Figlio, attraverso un qualunque atto esteriore, ma per la sua stessa natura” (Libro I, cap.2.4).

“…Lo Spirito Santo non sarebbe mai stato annoverato nell’Unità della Trinità, insieme all’immutabile Padre e Suo Figlio, a meno che egli non fosse stato da sempre lo Spirito Santo” (Libro I, cap.3.4).

La singolarità di alcune affermazioni fatte da Origene non deve trarre in inganno sulla sostanza della sua fede esposta in affermazioni dirette ed inequivocabili: “…niente nella Trinità può chiamarsi maggiore o minore…”, e più in là nello stesso paragrafo: “…non vi è alcuna differenza nella Trinità…” (Libro I, cap.3.7).

Nel suo “Contro Celso” (libro VIII, cap.12) leggiamo: “Noi adoriamo perciò il Padre della verità, e il Figlio che è la verità; e questi sebbene siano due, considerando le persone o le sostanze, sono uno per identità di pensiero, armonia e identità di volontà. Così interamente sono essi uno, che colui che ha visto il Figlio, “che è lo splendore della gloria di Dio e l’espressa immagine della Sua persona”, ha veduto colui che è l’immagine di Dio, Dio stesso.”

Sono convinto di avere dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che le citazioni riportate nell’opuscolo dei Testimoni di Geova non rendono giustizia all’autentico pensiero dei “padri” della Chiesa che chiamano in causa. Ma c’è di più da dire in merito a queste “citazioni”, come vedremo nel prossimo capitolo.

 

 

CAPITOLO 6

Le citazioni addotte dalla Torre di Guardia riprese nel loro contesto

 

 

 

 

 

Abbiamo visto quale era l’autentico pensiero degli autori citati dalla Torre di Guardia a sostegno delle proprie posizioni e che non è quello inteso o dichiarato essere nell’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?”.

Sarà illuminante, comunque, andare a vedere in dettaglio da dove provengono le frasi riportate (estrapolate) ed il loro autentico contesto. Compito piuttosto difficile, visto che l’anonimo autore o autori dell’opuscolo non si prende o prendono la briga di specificare da dove hanno tratto le suddette citazioni.

Andando a rileggere quasi per intero gli scritti dei “padri”, sono riuscito a rintracciare i punti e gli scritti dai quali quelle citazioni provengono.

Come giustificare certe affermazioni di alcuni di quegli autori citati dai Testimoni?

Alcuni degli aspetti delle dottrine degli scrittori che abbiamo esaminato non sono del tutto “ortodossi”, o meglio, mostrano quei limiti che il tempo finisce solo per evidenziare anche nel lavoro del più attento e genuino autore. Nell’idea del Cristo di alcuni, traspare un più o meno marcato subordinazionismo. Il Figlio, per alcuni, in quanto logos, è generato dal Padre in un momento e per dei motivi ben precisi. Ciò non vuol dire che non lo considerino eterno – come il loro subordinazionismo non impedisce loro di considerarlo Dio – bensì che distinguono fra logos immanente e logos proferito, cioè fra il logos in Dio ed il logos diventato persona divina.

In questa ottica vanno valutate le citazioni addotte dalla Watch Tower, come testimoni delle tendenze subordinazionistiche degli autori considerati e delle loro idee sull’origine (generazione) del Logos. Così come sono proposte, però, stravolgono e plagiano il pensiero di chi le ha prodotte. Come abbiamo visto, infatti, i padri “preniceni” credevano comunque in un Cristo vero uomo e vero Dio e nella dottrina della Trinità.

È vero, ad esempio, che Giustino scrisse che “Gesù era inferiore a Dio” e che “non faceva mai nulla all’infuori di ciò che il Creatore… voleva che egli facesse e dicesse”, che è tratto dal “Dialogo con Trifone” (56:11); ma è doveroso sottolineare che ciò viene detto all’interno di un contesto ben diverso da quello che la Watch Tower vuole lasciare intendere. Leggendo, infatti, tutto il brano cui si riferisce la frase in questione, sarà chiaro: “Tornando alle Scritture cercherò di convincervi che questi, che vi è detto e scritto essere apparso ad Abramo, a Giacobbe e a Mosè, è un altro Dio rispetto a quello che ha fatto tutte le cose, un altro intendo per numero, non per distinzione di pensiero. Egli infatti non ha mai fatto nulla se non quello che il Creatore del mondo, al di sopra del quale non c’è altro Dio, ha voluto che facesse o dicesse”.

Qui Giustino, sebbene in toni subordinazionistici afferma che vi è un “altro” che è Dio e non è il Padre, Dio anche se Dio dopo il Padre, a lui sottoposto. Lo stesso Giustino altrove, definisce il logos: “Primogenito di Dio”, “generato prima della creazione”; concordando con Tertulliano, che è vero, scriveva: “…prima di tutte le cose, Dio era solo”.

Ma lasciamo che sia lo stesso Tertulliano a spiegarci cosa intendeva, visto che la citazione è tratta da “Contro Prassea”:

“Prima di ogni cosa, infatti, Dio era solo, ed era per sé il mondo, il luogo ed ogni cosa. Ed era solo perché non c’era altro al di fuori, ad eccezione di lui. Del resto neppure allora era solo: aveva, infatti, con sé quella ragione che possedeva dentro di sé, la sua, s’intende. Razionale è, infatti, Dio e la ragione è prima di tutto in Lui, e così tutte le cose derivano da lui. Questa ragione è la sua coscienza. I greci la chiamano Logos che è la parola con cui noi intendiamo anche il parlare, e pertanto è abitudine di noi cristiani, grazie alla semplicità della traduzione, dire che all’inizio “il Verbo” era presso di Dio, mentre sarebbe meglio considerare la ragione come originaria, perché Dio dall’inizio non è “Verbo”, ma razionale, anzi, anche prima dell’inizio, e anche perché il discorso stesso, che consiste di ragione, mostra che la ragione, come sostanza del discorso stesso, viene prima. Comunque sia, anche così non c’è nessuna differenza. Giacché anche se Dio non aveva ancora emesso il suo “Verbo”, lo possedeva dentro di sé con la ragione stessa e nella ragione stessa…” (Contro Prassea, 5:2-4).

Tertulliano sta difendendo ed affermando l’eternità e Deità del logos di Dio, che, secondo la sua idea, prima di essere “generato” dal Padre era in Lui.

Della sua stessa opinione altri scrittori. Ne cito solo due.

Teofilo di Antiochia scriveva in proposito: “Dio, allora, avendo la Sua Parola all’interno di se stesso, la genera, emettendola con la Sua Sapienza prima di tutte le cose” (cap.10).

“Perciò prima che alcuna cosa fosse creata egli teneva la Sua Parola come consigliere, essendo lei la sua stessa mente e il suo stesso pensiero. Ma quando Dio volle attuare tutte le cose che aveva determinato, egli generò la sua Parola, emise il primogenito della creazione, non essendo comunque svuotato della Sua Parola (Ragione), ma avendo generato la Ragione e sempre conversando con la Sua Ragione” (Cap. 22).

Scriveva così Atenagora nella sua “Supplica”, un’apologia del cristianesimo atta a sconfessare diverse delle assurde accuse di cui i cristiani dei primi secoli erano oggetto: “Ma il Figlio di Dio è il Logos (la Parola) del Padre, in idea ed attuazione; in quanto a sua somiglianza e per mezzo di Lui furono fatte tutte le cose, essendo uno il Padre ed il Figlio. E, il Figlio essendo nel Padre e il Padre nel Figlio, in unità e potenza di spirito, la mente e la ragione del Padre è il Figlio di Dio… Egli è il primo prodotto del Padre, non nel senso che sia stato portato all’esistenza… (in quanto dal principio, Dio, essendo mente eterna, aveva il Logos in sé, possedendo Dio la sua ragione dall’eternità …”

Quindi, quando l’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?” conclude che “la Testimonianza della Bibbia e della storia rende quindi chiaro che la Trinità era sconosciuta all’intero periodo biblico e tale rimase per vari secoli dopo”, ciò in base alle citazioni che ha proposto dagli scritti dei “padri preniceni”, ora il lettore può (se non poteva in precedenza) rendersene conto da sé: afferma una cosa non vera. Ho dimostrato, infatti, che è vero esattamente il contrario.

Quando poi lo stesso opuscolo, poco più avanti, introducendo il concilio di Nicea, afferma: “Per vari secoli l’idea che Gesù fosse Dio, idea in fase di elaborazione, aveva incontrato molta opposizione per ragioni bibliche”, nonostante il tono da oracolo divino, riesce solo a partorire una falsità ancora più grande, visto che la divinità di Gesù era elemento fondamentale della fede dei cristiani dei primi secoli, come abbiamo visto nelle pagine precedenti con ampie e varie citazioni.

Chiudo questo capitolo con uno stupendo paragrafo tratto da un famoso scritto dell’antichità cristiana.

Eusebio, vescovo di Cesarea, nella sua “Storia Ecclesiastica”, composta poco prima del Concilio di Nicea (325 d.C.), scrive, riprendendo fonti più antiche di lui: “In un lavoro scritto da uno di questi autori” (di cui parla nel paragrafo precedente) “contro l’eresia di Artemone, che Paolo di Samosata di nuovo tentò di far rivivere fra noi, vi è una narrazione adatta per la (parte di) storia che stiamo adesso investigando. Questo scrittore, non molto tempo addietro, nel controbattere l’eresia menzionata, la quale afferma che Cristo è un semplice uomo, visto che i suoi capi amavano vantarsi come se la loro fosse l’antica dottrina, fra i molti argomenti che questi adduce in contrasto con le loro empie falsità, dà il seguente resoconto: “In quanto essi asseriscono” dice “che tutti gli antichi e gli apostoli stessi, sia ricevettero che insegnarono queste cose, come ora sono da loro insegnate, e che la verità dell’Evangelo fu preservata fino ai tempi di Vittore, che era il tredicesimo vescovo di Roma da Pietro. Ma che dal suo successore Zefirino”, (siamo agli inizi del III secolo), “la verità fu mutilata. E forse quanto dicono potrebbe sembrare credibile, se non fosse per le Sacre Scritture, che li contraddicono; e ancora, vi sono lavori di fratelli più antichi dei tempi di Vittore, i quali scrissero in difesa della verità, contro le eresie allora prevalenti. Paolo di Giusto e Milziade, e Taziano e Clemente, e molti altri, in tutti i quali la divinità di Gesù è affermata. In quanto chi non conosce i lavori di Ireneo e Melitone e il resto (degli scrittori), dove Cristo è annunciato come Dio e uomo ?…” (Storia Ecclesiastica, Libro V, cap.28).

 

 

CAPITOLO 7

Altre citazioni di autori cristiani dei primi secoli

 

 

 

 

 

 

Vista la bellezza e la completezza dei concetti spesso espressi, nonché per completare questo paragrafo sulla testimonianza della storia alla dottrina trinitaria, credo sarà utile ed edificante attingere ad altri scritti cristiani dei primi secoli per affermazioni trinitarie.

Le sette lettere di Ignazio di Antiochia meritano un posto particolare, per antichità ed autorità apostolica. Sono state scritte con ogni probabilità fra il 98 ed il 117 d.C. da Ignazio, vescovo (o pastore) della chiesa in Antiochia, mentre veniva condotto prigioniero a Roma dove avrebbe subito il martirio.

In Ignazio è viva la polemica contro due tendenze che insidiavano l’autentica dottrina apostolica: la prima che negava la divinità di Gesù, l’altra che negava la sua umanità. Egli difende la vera fede con forza e convinzione, dando per scontato, elemento tutt’altro che trascurabile, che i destinatari delle sue epistole condividessero le sue vedute.

Lettera alla chiesa in Efeso.

Nell’introduzione: “…alla chiesa ad Efeso in Asia… unita ed eletta attraverso la sofferenza genuina per la volontà del Padre e di Gesù Cristo, nostro Dio…”.

“Vi è un solo medico, il quale è carne e spirito, nato e non nato, Dio in uomo (o Dio venuto in carne), vita vera nella morte, da Maria e da Dio …” (7:2).

“In quanto, il nostro Dio, Gesù il Cristo, fu concepito attraverso Maria secondo il piano di Dio, sia dal seme di Abraamo che dallo Spirito Santo” (18:2).

“Quando Dio apparve in forma umana …” (19:3).

Lettera alla chiesa di Roma. Nell’introduzione “…fede in ed amore per Gesù Cristo, nostro Dio…”

Lettera alla chiesa di Smirne. “Io glorifico Gesù Cristo, il Dio che vi ha resi tanto savi …” (1:1).

Lettera a Policarpo. Policarpo era vescovo di Smirne. La sua persona riveste particolare importanza, in quanto sembra sia stato amico e compagno dell’Apostolo Giovanni. “Aspettando colui che è al di sopra del tempo: l’eterno, l’invisibile, che per noi divenne visibile; l’intangibile, colui che non poteva soffrire il quale per noi soffrì…” (3:2). “…nel nostro Dio Gesù Cristo; possa tu rimanere in Lui” (8:2).

L’epistola di Barnaba è una bella apologia del cristianesimo, composta con ogni probabilità tra il 70 ed il 132-135 d.C., dalla quale sarà interessante trarre due brani:

“…i profeti, ricevendo grazia da lui, profetizzarono circa lui. Ma egli stesso si è sottomesso, così che potesse distruggere la morte e dimostrare la realtà della resurrezione dai morti, in quanto era necessario che egli fosse manifestato in carne. Inoltre egli si è sottomesso così che potesse redimere la promessa ai padri e – mentre prepara il nuovo popolo per sé – provare, mentre era ancora sulla terra, che dopo aver portato la resurrezione, avrebbe eseguito il giudizio” (5:6-7).

“Osservate, quindi, che noi siamo stati creati di nuovo, come egli dice ancora in un altro profeta: “ecco, dice il Signore, io toglierò da loro (cioè da coloro che lo Spirito del Signore aveva ante visto) i loro cuori di pietra, e metterò in loro cuori di carne”, in quanto egli stava per essere manifestato in carne ed abitare in noi” (6:14).

L’epistola a Diogneto è un’altra stupenda apologia, composta, sembra, tra il 150 ed il 225 d.C.

“…l’Onnipotente creatore di tutti, l’invisibile Dio stesso, ha stabilito fra gli uomini la verità e la santa incomprensibile parola dal cielo e l’ha fissata stabilmente nei loro cuori, non come uno potrebbe immaginare, mandando agli uomini qualche subordinato, o angelo o reggitore o uno di coloro che dirigono affari terreni, o uno di coloro cui è affidata l’amministrazione di cose in cielo, bensì l’ideatore e creatore dell’universo stesso, per mezzo del quale ha creato i cieli …” (7:2).

“…egli (Dio) ha mandato lui (Cristo) in gentilezza e mitezza, come un re potrebbe mandare il suo figlio che è un re; l’ha mandato come Dio; l’ha mandato come uomo agli uomini” (7:4).

“Ecco perché egli (Dio) ha mandato la Parola, così che egli potesse apparire al mondo; sebbene disonorato dal popolo eletto, egli è stato predicato dagli apostoli e creduto dai gentili. Questi è colui che era dal principio, che apparve come nuovo, ma provò d’essere antico, ed è sempre giovane, visto che nasce nel cuore dei santi. Egli è l’Eterno…” (11:3).

Teofilo di Antiochia, vissuto nella prima metà del secondo secolo, è una figura particolarmente importante per la nostra discussione perché per primo tramanda la parola “Trinità”. Dal modo in cui usa il termine (in greco, Τριαδος), senza dare ulteriori chiarimenti o spiegazioni, appare evidente che questo doveva già essere in uso fra i cristiani e sufficientemente conosciuto, tanto che Teofilo non ritiene necessario aggiungere nulla per spiegare ulteriormente il significato della sua affermazione.

I suoi tre libri ad Autolico sono una difesa del credo cristiano visto in opposizione alle credenze del tempo. Alla filosofia greca, alle sue incongruenze e contraddizioni, Teofilo oppone la meravigliosa armonia della Parola di Dio.

Teofilo mostra di credere nella Trinità di Dio, sebbene la dimostrazione di questa dottrina non sia il tema del suo scritto.

“In tale maniera ancora i tre giorni che furono prima che i luminari del cielo fossero creati, sono tipi della Trinità di Dio, e la Sua Parola, e la Sua sapienza.” (libro II, cap. 15)

“La Parola, quindi, essendo Dio…” (cap. 22).

 

Di Atenagora non sappiamo molto più del nome. Anche lui apologista, visse nel II secolo e fu autore di due brevi scritti in difesa dei cristiani.

Egli credeva certamente nella Trinità di Dio, come è evidente da quanto scrisse.

“E chi non rimarrebbe attonito nel sentire che sono detti atei coloro che ammettono Dio Padre e Dio Figlio e lo Spirito Santo, dimostrando non solo la potenza nell’unità ma anche la distinzione nell’ordine” (Supplica, cap.10).

“…essi conoscono Dio e il suo logos, qual è l’unità del Figlio col Padre, qual è la comunione del Padre col Figlio, qual è lo Spirito, qual è l’unità di questi tre, lo Spirito, il Figlio, il Padre, e la loro distinzione nell’unità” (Supplica, cap.12).

“…In quanto noi riconosciamo un Dio e un Figlio, il suo logos, e uno Spirito Santo, uniti in essenza…” (Supplica cap.24).

Il linguaggio di Atenagora è quello di chi non si preoccupa di essere frainteso e non si preoccupa d’altro se non di sottolineare l’unità e la distinzione delle persone divine.

Che ad alcuni risulti incomprensibile, inconcepibile, illogico, è soggettivo, non può cambiare la realtà oggettiva e storica dei fatti: la fede dei cristiani è ed è sempre stata nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo.

 

 

 

CAPITOLO 8

Gli scritti di Giovanni

 

 

 

 

 

 

Gli scritti dei cosiddetti “padri” della Chiesa sono interessanti, edificanti, utili, ma il verdetto finale sulla dottrina della nostra fede spetta alle Sacre Scritture. Da adesso in avanti sposteremo perciò la nostra attenzione dalla storia alla Parola di Dio.

Il tragitto storico della Rivelazione, cominciato con i profeti dell’Antico Testamento, culmina infatti in Gesù Cristo, egli stesso perfetta rivelazione di Dio e della Sua volontà (Ebrei 1:1). È proseguito quando gli apostoli hanno obbedito al mandato dello stesso Gesù (Matteo 28:19, Marco 16:15). Sulla predicazione dei dodici era il sigillo stesso di Dio (Ebrei 2:3-4).

La predicazione orale dell’Evangelo bastava per la sua diffusione, ma era alla Parola di Dio scritta, ispirata dallo Spirito Santo, che doveva affidarsi il suo fedele tramandarsi alle generazioni che sarebbero seguite a quella apostolica. Affermazioni come quelle che rinveniamo in II Timoteo 3:16, II Pietro 3:16, I Tessalonicesi 5:27, Colossesi 4:16, II Pietro 1:15, ci mostrano la preoccupazione degli apostoli e l’importanza che essi stessi attribuivano alla testimonianza della Verità che loro affermavano una volta per sempre anche per iscritto.

Il Nuovo Testamento, in particolare, tramanda gli insegnamenti di Gesù e degli apostoli e, quindi, la perfetta espressione della religione e del pensiero cristiani. Nelle pagine che seguono, quindi, esamineremo cosa hanno da dire le Sacre Scritture sulla divinità di Gesù e sulla dottrina della Trinità.

Per quanto riguarda le differenze di traduzione di questo o quel brano biblico, preferisco non discutere adesso in dettaglio dei passi che la Torre di Guardia ha corrotto nella sua versione ufficiale chiamata “Traduzione del Nuovo Mondo”; mi limiterò a qualche cenno, rimandando, per un approfondimento, ad una appendice specifica alla fine del libro, dove esaminerò la problematica direttamente sul testo greco originale.

Gli scritti di Giovanni si soffermano più di ogni altra parte del Nuovo Testamento sulla divinità di Cristo e dello Spirito Santo.

Al contrario degli altri che si occupano della origine umana di Gesù, il vangelo di Giovanni introduce subito la sua eternità e divinità.

Giovanni 1:1: “Nel principio era la Parola (logos, nell’originale greco di genere maschile) e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio”.

La Parola è con Dio. È quindi persona (più chiaro dalla preposizione utilizzata dall’evangelista nell’originale greco che nella traduzione) distinta da Dio Padre. La Parola è Dio. Per mezzo di lei, Dio ha creato il mondo: “Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta” (Giovanni 1:3).

Attraverso il suo logos, Dio si è rivelato pienamente: “Poiché la Legge è stata data per mezzo di Mosè, ma la grazia e la verità sono venute per mezzo di Gesù Cristo”, (v.17). “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è colui che lo ha fatto conoscere” (Giovanni 1:18 – Nuova Diodati).

Come ho già detto, il logos di Giovanni non trae spunto dalle credenze e filosofie greche, come alcuni supponevano in passato, bensì da una profonda analisi dell’Antico Testamento, del ruolo svolto da Gesù nella creazione e nella Rivelazione di Dio prima che egli si incarnasse. La “Parola” di Giovanni è la Sapienza di cui ci parla il libro dei Proverbi. Egli è anche l’Angelo del Signore apparso a Mosè ed ai patriarchi.

Vediamo cosa scrive in merito Arno C. Gaebelein, uno dei commentatori cristiani più preparati e profondi, ma anche semplice ed immediato, in cui io mi sia mai imbattuto:

“È significativo che le parafrasi giudaiche descrivono Jehovah, quando si rivela, per mezzo del termine “Memra”, che è corrispondente al greco Logos, Parola. Essi parafrasavano Genesi 3:8: “Essi udirono la Parola camminare nel giardino”. Questi commenti giudaici ascrivono la creazione del mondo alla Parola, era la Parola che aveva comunicato coi patriarchi, secondo loro “la Parola” aveva liberato Israele dall’Egitto; la Parola li aveva condotti nella terra promessa. Tutta la relazione del Signore con Israele è spiegata da loro come se fosse avvenuta attraverso la Parola. Alla luce dei versi iniziali del Vangelo di Giovanni, queste affermazioni appaiono più che interessanti (queste parafrasi, nella forma in cui le possediamo, furono scritte in aramaico circa nell’anno 300 d.C. ma molto prima che fossero scritte, devono essere esistite come tradizioni (cioè oralmente) fra il popolo giudaico). L’Unigenito è chiamato “la Parola” perché egli è l’espressione dell’immagine di Dio; come il pensiero invisibile è espresso dalla corrispondente parola. Egli è il rivelatore e l’interprete del pensiero e del volere di Dio” (Arno C. Gaebelein, Concise Commentary On The Whole Bible).

In questa prospettiva possiamo comprendere completamente l’affermazione di Giovanni: “nessuno ha mai visto Dio”, che apparentemente sarebbe in contrasto con le apparizioni di Dio riportate nell’Antico Testamento. Fu infatti la Parola ad apparire ed essere riconosciuta come Dio, non il Padre, “che nessun uomo ha visto né può vedere” (1 Timoteo 6:16).

Giustino ha detto in merito a ciò: “Ordunque Mosè, il beato e fedele servitore di Dio, fa capire che il Dio apparso ad Abramo presso la quercia di Mamre con i due angeli inviati assieme a lui a giudicare Sodoma era stato inviato da un altro Dio, quello che dimora sempre nelle regioni sovrastanti, che non è mai apparso a nessuno e che non ha mai parlato di persona, quello che noi conosciamo come autore e padre di tutte le cose” (Dialogo con Trifone, 56:1). “…sempre Mosè, fratelli, ha scritto che questi che è apparso ai patriarchi come Dio è chiamato anche Angelo e Signore, affinché anche da ciò poteste riconoscere che egli è servitore del Padre di tutte le cose…” (58:3).

“…questo stesso angelo, Dio, Signore e uomo apparso ad Abramo e a Isacco è apparso in una fiamma di fuoco da un roveto e ha conversato con Mosè” (59:1).

“…colui che Mosè dice essere un angelo che ha parlato con lui in una fiamma di fuoco è lo stesso che, essendo Dio, dichiara a Mosè d’essere il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe…” (Dialogo 59:3).

Esaminiamo noi stessi alcuni brani dell’Antico Testamento.

“Il SIGNORE apparve ad Abraamo alle querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della sua tenda nell’ora più calda del giorno. Abraamo alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano davanti a lui” (Genesi 18:1,2).

Quando uno dei tre profetizza ad Abraamo circa la nascita di Isacco, Sara ne ride. Uno dei tre visti da Abraamo è Yahweh stesso: “Il SIGNORE disse ad Abraamo: «Perché mai ha riso Sara, dicendo: “Partorirei io per davvero, vecchia come sono?” Vi è forse qualcosa che sia troppo difficile per il SIGNORE? Al tempo fissato, l’anno prossimo, tornerò e Sara avrà un figlio»” (Genesi 18:13,14).

Due degli uomini (angeli) apparsi ad Abraamo vanno a Sodoma. Il terzo è l’Angelo di Yehovah, Yahweh[5] (il SIGNORE) stesso, come è chiaro dalla narrazione, con il quale Abraamo conversa circa la distruzione delle due città che sarebbe avvenuta da lì a non molto.

L’intera narrazione è in Genesi 18.

In Genesi 32:24-30 è narrato di Giacobbe che lotta con un “uomo”.

“Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino all’apparire dell’alba; quando quest’uomo vide che non poteva vincerlo, gli toccò la giuntura dell’anca, e la giuntura dell’anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello lottava con lui. E l’uomo disse: «Lasciami andare, perché spunta l’alba». E Giacobbe: «Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!» L’altro gli disse: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Giacobbe». Quello disse: «Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato con Dio e con gli uomini e hai vinto». Giacobbe gli chiese: «Ti prego, svelami il tuo nome». Quello rispose: «Perché chiedi il mio nome?» E lo benedisse lì. Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, perché disse: «Ho visto Dio faccia a faccia e la mia vita è stata risparmiata»”.

Eppure Giovanni scriverà più tardi: “nessuno ha mai visto Dio”. Ancora una volta era apparso il logos, la Parola.

Dice Gedeone in Giudici 6:22-23: “«Misero me, Signore, mio DIO, perché ho visto l’angelo del SIGNORE faccia a faccia!» Il SIGNORE gli disse: «Sta’ in pace, non temere, non morirai!»”.

Un’altra apparizione del Logos di Dio che viene riconosciuto come Dio è riportata in Giudici 13. Manoà, padre di Sansone, chiede all’Angelo del Signore, apparso a sua moglie in precedenza per annunciarle la prossima nascita di Sansone, di rimanere con lui e sua moglie e mangiare con loro.

“Manoà disse all’angelo del SIGNORE: «Ti prego, permettici di trattenerti e di prepararti un capretto!» L’angelo del SIGNORE rispose a Manoà: «Anche se tu mi trattenessi non mangerei del tuo cibo; ma, se vuoi fare un olocausto, offrilo al SIGNORE». Manoà non sapeva che quello fosse l’angelo del SIGNORE. Poi Manoà disse all’angelo del SIGNORE: «Qual è il tuo nome, affinché, quando si saranno adempiute le tue parole, noi ti rendiamo onore?» L’angelo del SIGNORE gli rispose: «Perché mi chiedi il mio nome? Esso è meraviglioso». Manoà prese il capretto e l’oblazione e li offrì al SIGNORE su una roccia. Allora avvenne una cosa prodigiosa: Manoà e sua moglie stavano guardando, e mentre la fiamma saliva dall’altare al cielo, l’angelo del SIGNORE salì con la fiamma dell’altare. Manoà e sua moglie, vedendo questo, caddero con la faccia a terra. L’angelo del SIGNORE non apparve più né a Manoà né a sua moglie. Allora Manoà riconobbe che quello era l’angelo del SIGNORE e disse a sua moglie: «Noi moriremo sicuramente, perché abbiamo visto Dio»”.

L’apostolo Giovanni, quindi, non affermava nulla di nuovo dicendo che la Parola era Dio. Non è questo il punto centrale del suo discorso. Egli vuole far comprendere che la Parola era diventata uomo; quell’inviato di Dio, Dio stesso, apparso ai patriarchi ebrei, è Gesù, il Cristo.

Riprendo ed amplio quest’argomento in un’appendice alla fine del libro.

Altro brano in cui è affermata – sebbene indirettamente – la deità di Gesù è Giovanni 5:18: “Per questo i Giudei più che mai cercavano d’ucciderlo; perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”. Gesù dicendosi Figlio di Dio, si definiva Dio, né più né meno, come quando definendosi figlio d’uomo, intendeva dirsi uomo. Un figlio non è inferiore al padre: il figlio di un uomo è anch’egli un uomo; così Gesù, Figlio di Dio, era anch’egli Dio. Il fatto che Gesù sia l’Unigenito Figlio di Dio (Giovanni 1:18), mette in risalto l’unicità del rapporto di figliolanza fra il Padre ed il Figlio; quest’ultimo “generato”, come dice la Scrittura, e non “creato”. Come il Padre è tale in eterno, così lo è il Figlio. Anche gli angeli e i credenti sono chiamati nella Bibbia figli di Dio; essi lo sono, però, in maniera diversa da Gesù. Il titolo “Unigenito” attribuito a Gesù dalla Scrittura lo chiarisce, stabilendo la netta distinzione, l’assoluta unicità del rapporto fra il Padre ed il Figlio.

Scrive Wuest nel suo commentario al testo greco della prima epistola di Giovanni: “Unigenito è monogenes, cioè “unico del suo genere, solo”. Thayer dice: “il termine utilizzato per Cristo, denota l’Unigenito Figlio di Dio o qualcuno che, nel senso in cui lui è il Figlio di Dio, non ha fratelli”. Il nostro Signore è l’Unigenito Figlio di Dio nel senso che egli procede eternamente da Dio il Padre come Dio il Figlio in una nascita che non ha mai avuto luogo perché è sempre stata, partecipando eternamente con Dio il Padre e Dio lo Spirito Santo all’essenza della Deità” .

L’obiezione della Watch Tower: “…come può uno essere figlio e nello stesso tempo coetaneo del padre?” non ha senso. Potremmo benissimo chiederci allora come può uno – Dio – essere eterno, senza principio, esistere da sempre? È chiaro che Dio non conosce i vincoli temporali caratteristici della nostra esistenza.

L’eternità di Gesù è ribadita in una sua affermazione, riportata in Giovanni 8:58: “Gesù disse loro: «In verità, in verità vi dico: prima che Abraamo fosse nato, io sono»”. La frase pronunciata da Gesù suonò alle orecchie dei Giudei di allora come una bestemmia tale da poterne giustificare la lapidazione. “Io sono” attesta l’eternità di Gesù, la sua estraneità da qualsiasi vincolo temporale; nel passato, nel presente e nel futuro, Egli è. Una spiegazione di cosa potesse significare quel “Io sono” può prendersi in prestito dallo stesso Giovanni che in Apocalisse 1:8 definisce Dio: colui “che è, che era e che viene”. La frase rimanda anche al Salmo 90:2, che ci dice di Dio: “Prima che i monti fossero nati e che tu avessi formato la terra e l’universo, anzi, da eternità in eternità, tu sei Dio”. Come in Giovanni, anche nel Salmo, il contrasto è fra il venire all’esistenza che è proprio di ciò che è creato e l’eterno presente dell’essere di Dio.

Altra affermazione della divinità del Figlio la troviamo in Giovanni 14:7-9: “Se mi aveste conosciuto avreste conosciuto anche mio Padre; e fin da ora lo conoscete, e l’avete visto». Filippo gli disse: «Signore, mostraci il Padre e ci basta». Gesù gli disse: «Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me, ha visto il Padre; come mai tu dici: “Mostraci il Padre”?”

Qui Gesù riprende quanto lui stesso aveva detto in precedenza: “…chi vede me, vede colui che mi ha mandato” (Giovanni 12:45).

A dei fedeli senz’altro più maturi, entrati ormai completamente nella nuova dispensazione, scrive Paolo di Gesù come “l’immagine di Dio” in II Corinzi 4:4 e “l’immagine del Dio invisibile” in Colossesi 1:15.

Il significato della frase di Gesù e delle affermazioni di Paolo sono molto profondi; sono da riferirsi non solo alla natura di Cristo quale Figlio di Dio, ma anche alla sua opera di rivelazione di Dio in ambito spirituale, del suo ruolo quale logos (Parola) di Dio, di mediatore fra il Padre e l’umanità, attraverso il quale Dio sconosciuto e lontano si rende conoscibile e vicino, visibile appunto, in Gesù Cristo.

Giovanni 20:28 è una delle affermazioni più dirette che troviamo nel Nuovo Testamento sulla divinità del Figlio. Dopo essere apparso una prima volta ai discepoli, Gesù risorto appare ancora e rivolgendosi a Tommaso, che non aveva voluto credere ai suoi fratelli, gli dice: “«Porgi qua il dito e vedi le mie mani; porgi la mano e mettila nel mio costato; e non essere incredulo, ma credente»” (v.27). È proprio allora che Tommaso fa la sua confessione, mette da parte l’incredulità per la fede: “Tommaso gli rispose: «Signor mio e Dio mio!»”. Alcuni punti della Scrittura sono oscuri e più d’una interpretazione ci può apparire plausibile; ma questo non mi sembra il caso. È una lettura sincera, senza pregiudizi, che ci occorre per capire, non  un’interpretazione[6].

Una costante del Nuovo Testamento è la citazione di brani dell’Antico per dimostrare la fondatezza scritturale della fede cristiana. Consideriamo Zaccaria 12:10, Giovanni 19:37 e Apocalisse 1:7.

“Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito” (Zaccaria 12:10).

“…ma giunti a Gesù, lo videro già morto, e non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli forò il costato con una lancia, e subito ne uscì sangue e acqua. Colui che lo ha visto, ne ha reso testimonianza, e la sua testimonianza è vera; ed egli sa che dice il vero, affinché anche voi crediate. Poiché questo è avvenuto affinché si adempisse la Scrittura: «Nessun osso di lui sarà spezzato». E un’altra Scrittura dice: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Giovanni 19:33-37).

“Ecco, egli (Gesù) viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen.” (Apocalisse 1:7).

È impossibile non notare la disinvoltura con la quale viene riferito a Gesù un brano dell’Antico Testamento che ha chiaramente Dio come soggetto.

L’ultima affermazione sulla divinità di Gesù che cito dagli scritti di Giovanni (ve ne sono altre) è quella riportata alla fine della sua prima epistola.

I Giovanni 5:20: “Sappiamo pure che il Figlio di Dio è venuto e ci ha dato intelligenza per conoscere colui che è il Vero; e noi siamo in colui che è il Vero, cioè, nel suo Figlio Gesù Cristo. Egli è il vero Dio e la vita eterna.”

È il tema del Vangelo, dell’Evangelo, dell’intera vita e missione degli apostoli e di ogni cristiano.

CAPITOLO 9

Gli scritti di Paolo

 

 

 

 

 

 

 

Anche l’apostolo Paolo ci tramanda nelle sue epistole la fede trinitaria della Chiesa primitiva. Lo fa con le caratteristiche sue proprie che gli permettono di trovarsi a suo agio nel disputare sia con i suoi connazionali ebrei che con i sostenitori di teorie legate alla filosofia dei pagani, adottando e persino coniando una terminologia che allo stesso tempo sconfessava le speculazioni dei primi eretici e dei “giudaizzanti” insieme.

Scrive in Filippesi 2:5-11: “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale, pur essendo in forma di Dio, non considerò l’essere uguale a Dio qualcosa a cui aggrapparsi gelosamente, ma spogliò sé stesso, prendendo forma di servo, divenendo simile agli uomini; trovato esteriormente come un uomo, umiliò sé stesso, facendosi ubbidiente fino alla morte, e alla morte di croce. Perciò Dio lo ha sovranamente innalzato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni nome, affinché nel nome di Gesù si pieghi ogni ginocchio nei cieli, sulla terra, e sotto terra, e ogni lingua confessi che Gesù Cristo è il Signore, alla gloria di Dio Padre”.

Il tema centrale del passo appena considerato è l’atteggiamento di Cristo nell’incarnazione che, Paolo ricorda ai Filippesi, deve essere esempio per il nostro sentimento nella quotidianità.

L’apostolo esprime lo stesso concetto di II Corinzi 8:9: “Infatti voi conoscete la grazia del nostro Signore Gesù Cristo il quale, essendo ricco, si è fatto povero per voi, affinché, mediante la sua povertà, voi poteste diventar ricchi”. Questo il punto centrale del passo in questione.

Non meno centrale, però, diventa la menzione fatta della divinità del Figlio per opporla al suo stato di servo assunto con l’incarnazione.

Un “contrasto” particolarmente importante grazie alla precisione della terminologia utilizzata. “Essendo in forma di Dio”, è infatti una forte affermazione della divinità di Gesù. L’uso del verbo “essere” per definire la preesistenza di Cristo, opposto ai verbi utilizzati per l’incarnazione, “prendendo” e “divenendo”, sottolinea l’eternità della condizione del Figlio quale Dio, contrapposto al suo diventare servo, nonché il fatto che con l’incarnazione questo stato non sia mutato. “In forma di Dio” sottolinea che in lui risiedono gli attributi di Dio, che egli partecipa alla sostanza di Dio, è veramente Dio. La parola greca per “forma” è infatti la stessa in tutti e due i casi quando è detto che Gesù era in “forma di Dio” e che prese “forma di servo”, perché Cristo pur essendo veramente Dio è diventato veramente uomo. Quando Paolo vuole sottolineare non la sostanza, intesa come natura ed attributi, ma solo l’apparenza, sottolinea “divenendo simile agli uomini” (Ebrei 2:17), in quanto sebbene uomo, Gesù non poté rinunciare alla sua natura divina.

L’“essere uguale a Dio” a cui Cristo fu pronto a rinunciare, riguarda gli attributi di Dio, non l’identità, come è chiaro dalla parola greca utilizzata per esprimere questa uguaglianza. Ciò a sottolineare la distinzione fra le due persone divine.

L’abbassamento di Gesù secondo la volontà di Dio ha fatto si che Dio Padre lo innalzasse. Un giorno nel nome di Gesù, ci dice Paolo, ogni ginocchio si piegherà.

È possibile, alla luce delle Sacre Scritture, che a Gesù vada una tale gloria senza che egli sia veramente Dio?

È possibile che tutte le creature dell’universo dovranno inginocchiarsi e proclamarlo come il Signore senza che egli sia Dio?

Non è stato forse Dio a dire: “ogni ginocchio si piegherà davanti a me, ogni lingua mi presterà giuramento” (Isaia 45:23)? E non è stato forse Dio a dire: “io non darò la mia gloria a un altro” (Isaia 42:8)?

Gesù è veramente Dio e Signore!

La frase conclusiva del brano “alla gloria di Dio Padre” non indebolisce l’interpretazione trinitaria, bensì la rafforza. Perché il piano di Dio è compiuto nell’abbassamento e nell’esaltazione di Gesù Cristo, il Dio con noi.

In Isaia, Dio aveva detto: “non v’è Salvatore fuor di me” (Isaia 45:21). Il piano di Dio era che il Figlio operasse la salvezza dell’uomo, alla gloria di Dio Padre che l’aveva mandato.

Le parole di Paolo in Filippesi si riferiscono alla gloria che l’intero creato dovrà un giorno dare a Cristo. Ma c’è una gloria che spontaneamente viene data al Figlio da tutti coloro che hanno veramente sperato in lui. La Chiesa, il corpo tutto di Cristo, lo confessa come Signore anche oggi su questa terra.

Leggiamo in Romani 10:9-14: “…questa è la parola della fede che noi annunziamo; perché, se con la bocca avrai confessato Gesù come Signore e avrai creduto con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvato; infatti con il cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa confessione per essere salvati. Difatti la Scrittura dice: «Chiunque crede in lui, non sarà  deluso» (citazione da Isaia 28:16). Poiché non c’è distinzione tra Giudeo e Greco, essendo egli lo stesso Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti chiunque avrà invocato il nome del Signore sarà salvato”.

Il secondo corsivo è la citazione di Gioele 2:32: “Chiunque invocherà il nome del SIGNORE sarà salvato.”, brano che parla del nome di Dio e di Dio.

Allora se Gesù è quel Signore di cui parlava Gioele, egli non è Dio? Se non confessiamo Gesù non solo come nostro Signore, ma come il Signore, manca in noi la testimonianza dello Spirito Santo e non rendiamo appieno onore al piano di salvezza voluto da Dio per l’uomo.

Una considerazione particolare merita l’epistola di Paolo ai Colossesi, scritta per confutare delle eresie gnostico-ebraiche. La supremazia di Cristo, e, quindi, la sua Deità, sono il tema centrale del primo capitolo.

Colossesi 1:12-20: “…ringraziando con gioia il Padre che vi ha messi in grado di partecipare alla sorte dei santi nella luce. Dio ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati nel regno del suo amato Figlio. In lui abbiamo la redenzione, il perdono dei peccati. Egli è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui. Egli è il capo del corpo, cioè della chiesa; è lui il principio, il primogenito dai morti, affinché in ogni cosa abbia il primato. Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza e di riconciliare con sé tutte le cose per mezzo di lui, avendo fatto la pace mediante il sangue della sua croce; per mezzo di lui, dico, tanto le cose che sono sulla terra, quanto quelle che sono nei cieli”.

Colossesi 2:8-9: “Guardate che nessuno faccia di voi sua preda con la filosofia e con vani raggiri secondo la tradizione degli uomini e gli elementi del mondo e non secondo Cristo; perché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della Deità”.

Gesù è definito “l’immagine del Dio invisibile”, rimandandoci all’affermazione già considerata di Giovanni 1:18. Gesù è l’immagine (“εικὼν” in greco) di Dio in quanto suo Figlio e, di conseguenza, per usare le stesse parole bibliche: “impronta della sua essenza” (Ebrei 1:3). Gesù è il perfetto rivelatore di Dio, la sua rappresentazione e la sua manifestazione.

La terminologia di Paolo si distacca da quella di Giovanni, ma i concetti rappresentati sono i medesimi: Dio invisibile diviene visibile in Cristo, sua perfetta manifestazione e rivelazione in quanto egli stesso Dio. Sebbene, quindi, non utilizzi il termine logos, che poi è tipicamente giovanneo, ne esprime esattamente il concetto, introducendo un altro termine, preso in prestito dal mondo greco ed altrettanto significativo: εικὼν,  immagine.

Come nel prologo del Vangelo di Giovanni, l’apostolo richiama subito la supremazia di Cristo sulla creazione, in quanto creatore col Padre: “il primogenito d’ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose, che sono nei cieli e sulla terra”.

Il termine “primogenito” viene di solito utilizzato dalla Torre di Guardia per motivare la sua convinzione che Gesù è la prima creatura di Dio e poi, con Lui, creatore di tutto il resto. Il contesto e il termine, più chiari in greco, ma sufficientemente efficaci anche in italiano, lasciano intendere tutt’altro.

Diversi i motivi.

Il termine in originale “πρωτότοκος”, ma anche la traduzione, quando considerata alla luce di altri passi biblici, non implica che Gesù abbia avuto un inizio, una nascita, sia passato dalla non esistenza all’esistenza, sia stato creato. Il greco offriva una terminologia specifica che l’apostolo avrebbe facilmente potuto utilizzare se intendeva trasmettere al lettore l’idea che Gesù fosse stato creato, ma non l’ha fatto. Il “poiché” che segue immediatamente la parola “primogenito” è esplicativo proprio di questo termine e l’affermazione che introduce spiega in che senso Gesù debba intendersi tale. Gesù è il primogenito della creazione, è Signore di ogni cosa, “poiché in lui sono state create tutte le cose, che sono nei cieli e sulla terra”, “tutte le cose sussistono in lui”. Specificando “tutte le cose”, Paolo esclude la possibilità che Gesù sia una creatura, chiarendo il concetto che intende esprimere al di là di qualsiasi fraintendimento: il Figlio non rientra fra le cose create.

La Traduzione del Nuovo Mondo propone una versione diversa di questo brano: “Tutte le [altre] cose sono state create per mezzo di lui e per lui. Egli è prima di tutte le [altre] cose e per mezzo di lui tutte le [altre] cose furono fatte esistere” (versi 16 e 17). La parola “altre”, aggiunta tra parentesi quadra, non si trova nell’originale ed è chiaro che viene inserita con il solo scopo di non far dire al testo quello che la Watch Tower non vuole che dica. Ci troviamo davanti ad una deliberata corruzione del testo biblico per armonizzarlo con le proprie convinzioni dottrinali.

“Primogenito” nella Bibbia è spesso utilizzato per sottolineare l’elezione, il diritto all’eredità ed ai privilegi che sono propri della primogenitura. Vedi ad esempio Esodo 4:22, dove Dio dice a Mosè: “Tu dirai al faraone: “Così dice il SIGNORE: Israele è mio figlio, il mio primogenito”. E ancora nella epistola agli Ebrei, la chiesa è chiamata l’“assemblea dei primogeniti” (Ebrei 12:23). La scelta del termine “primogenito” infine ha un’altra semplice motivazione, nel fatto che questo era divenuto un titolo messianico. Il Salmo 89:27 dice infatti: “Io inoltre lo costituirò mio primogenito, il più eccelso dei re della terra”.

Cristo è Signore perché creatore dell’universo, fonte del suo ordine, del suo essere, del suo continuare ad esistere, motivo stesso e centro di tutto. A lui spetta un primato che nessun altro può vantare. Paolo evidenzia il primato di Gesù Cristo contro gli gnostici che immaginavano gerarchie celesti senza fine; lo fa con una terminologia chiara ed efficace che solo lui, perfetto conoscitore dell’ebraismo e del mondo greco allo stesso tempo, poteva proporre.

“…egli è avanti ogni cosa” è espresso in lingua originale con il verbo essere al presente che, con l’uso simile di Giovanni 8:58, attesta l’eternità di Gesù. Scrive J. B. Lightfoot nel suo commentario al greco di Colossesi: “l’imperfetto ἦν (era) sarebbe stato sufficiente (vedi Giovanni 1:1), ma il presente εστιν (è) afferma che questa preesistenza è assoluta”.

Paolo afferma che Cristo è eterno, causa, centro e Signore di ogni cosa. Dopo aver stabilito la relazione fra Cristo e la creazione, l’apostolo passa a considerare quella fra Cristo e la Chiesa (v.18) e conclude: “Poiché al Padre piacque di far abitare in lui tutta la pienezza”. Il termine utilizzato in greco originale e tradotto qui “pienezza” è “πλήρωμα”, pleroma, lo stesso che l’apostolo usa più in là quando afferma: “in lui abita corporalmente tutta la pienezza (πλήρωμα, pleroma) della Deità.” Dobbiamo intendere, quindi, che l’apostolo dica che in Cristo abitano, cioè risiedono stabilmente, tutte le qualità e gli attributi divini. È stato il Padre a volere che fosse così (“al Padre piacque”); e ciò ci mostra che il Padre non è il Figlio, che siamo davanti a due persone distinte con ruoli diversi, ma che entrambi possiedono la pienezza della Deità, sono Dio.

Anche la testimonianza dell’epistola ai Colossesi è che Cristo Gesù è Dio.

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 10

L’epistola agli Ebrei

 

 

 

 

 

 

 

Comincia così l’epistola agli Ebrei:

“Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni  ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi. Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza…”

Ci troviamo davanti ai medesimi concetti espressi già in Colossesi e nel prologo del Vangelo di Giovanni. È significativo che gli stessi vengano proposti con una terminologia diversa.

L’autore comincia sottolineando il progresso della Rivelazione divina che, iniziata con i profeti, culmina nel Cristo, Figlio di Dio: perfetto rivelatore e rivelazione egli stesso del Padre. Il fatto che Gesù sia “erede di tutte le cose” ci rimanda all’idea espressa da Paolo ai Colossesi col termine “primogenito”. Attraverso il Figlio, Dio ha creato ogni cosa (Giovanni 1:1-2, Colossesi 1:16).

“…mediante il quale ha pure creato i mondi”.

Gesù è la perfetta manifestazione della persona e della gloria di Dio: “lo splendore della sua gloria”, “l’impronta della sua essenza”. Siamo vicini ancora al concetto di “logos” in Giovanni ed “immagine di Dio” di Corinzi e Colossesi, nonché, per forza, all’affermazione di Paolo che parla della preesistenza del Figlio “in forma di Dio” (vedi Filippesi 2).

Siamo davanti ad una chiara dichiarazione della divinità di Cristo e della distinzione personale fra il Padre e il Figlio.

Il Figlio sostiene “tutte le cose con la parola della sua potenza”. Stesso concetto che troviamo in Colossesi, quando Paolo scrive: “tutte le cose sussistono in lui”. Gesù non è soltanto creatore d’ogni cosa, Gesù è anche colui che ordina e regge ogni cosa. Stupenda verità di Dio che ha il controllo su tutto il creato e meravigliosa definizione della Maestà del Figlio di Dio!

Riconoscere la divinità di Gesù è la naturale conseguente conclusione della contemplazione della sua gloria!

Con lo stesso schema di Colossesi, l’autore di Ebrei passa dalla gloria eterna del Figlio alla sua manifestazione come uomo per compiere la salvezza dell’umanità, riprendendo il tema dell’abbassamento di Gesù e della sua conseguente esaltazione da parte di Dio Padre, che troviamo anche in Filippesi.

L’aperta attribuzione del termine Dio a Gesù è nei versi seguenti.

“…parlando del Figlio dice: «Il tuo trono, o Dio, dura di secolo in secolo, e lo scettro del tuo regno è uno scettro di giustizia. Tu hai amato la giustizia e hai odiato l’iniquità; perciò Dio, il tuo Dio, ti ha unto con olio di letizia, a preferenza dei tuoi compagni».

È una citazione del Salmo 45:6: “Il tuo trono, o Dio, dura in eterno”. Gesù è chiamato Dio.

“E ancora: «Tu, Signore, nel principio hai fondato la terra e i cieli sono opera delle tue mani. Essi periranno, ma tu rimani; invecchieranno tutti come un vestito, e come un mantello li avvolgerai e saranno cambiati; ma tu rimani lo stesso, e i tuoi anni non avranno mai  fine»”.

Anche questa è la citazione di un brano dell’Antico Testamento (Salmo 102:24-27) che vale la pena rivedere. “Ho detto: «Dio mio, non portarmi via a metà dei miei giorni!» I tuoi anni durano per ogni generazione: nel passato tu hai creato la terra e i cieli sono opera delle tue mani; essi periranno, ma tu rimani; tutti quanti si consumeranno come un vestito; tu li cambierai come una veste e saranno cambiati. Ma tu sei sempre lo stesso e i tuoi anni non avranno mai fine”.

Qui l’autore dell’epistola agli Ebrei non esita ad attribuire al Figlio un brano che nell’Antico Testamento aveva come soggetto Dio, attribuendogli l’immutabilità, qualità che può riguardare la Deità soltanto. “Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e in eterno” confermerà più avanti, quasi alla fine del suo scritto (Ebrei 13:8).

 

Di sicuro questo meraviglioso libro del Nuovo Testamento che è l’epistola agli Ebrei si aggiunge al resto degli altri scritti ispirati per proclamare la divinità del Figlio di Dio.

 

 

CAPITOLO 11

Altre prove dalla Bibbia

 

 

 

 

 

 

È chiaro leggendo il Nuovo Testamento; è evidente dai dettagli dell’esistenza di Gesù; lo comprendiamo considerando la sua opera salvifica, dai titoli che la Scrittura Gli riferisce, dagli onori ed il servizio che Gli dobbiamo, dalla sua Gloria e Potenza: Egli è Dio.

Il prologo del vangelo di Giovanni, il crescendo che ci mostra la Parola[7] (Gesù prima di incarnarsi) eterna col Padre, con il quale, pur essendo da lui distinta, è Dio. Attraverso lei Dio ha creato ogni cosa. E a rafforzare la sua affermazione, aggiunge l’apostolo: “senza di lei nessuna delle cose fatte è stata fatta”. Scrive Paolo, a conferma: “Tutte le cose sono state create per mezzo di lui.” (Colossesi 1:16). E poi aggiunge: “e in vista di lui”. Il Figlio in quanto Dio è, col Padre e lo Spirito Santo, Creatore; ma non solo. Egli è anche il motivo della creazione: “a causa del quale e per mezzo del quale sono tutte le cose.” (Ebrei 2:10).

Tale gloria non può riguardare che Dio soltanto.

In vista di tali sue caratteristiche, Gesù può dire: “io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli”. La sua signoria è completa.

Perciò la Bibbia chiama Gesù: “primogenito di ogni creatura” (Colossesi 1:15), “il principio della creazione di Dio” (Apocalisse 3:14); “affinché in ogni cosa abbia il primato” (Colossesi 1:18).

“Primogenito” e “principio” non indicano che Gesù sia stata la prima creatura di Dio, bensì che Egli è al di sopra di ogni creatura e causa prima della creazione.

Gesù non è un esempio da seguire, un uomo pio, buono. Credendo nel suo nome, infatti, si ottiene salvezza e si diventa figliuoli di Dio: Gesù non può non essere Dio. (vedi anche Giovanni 3:16; 5:24; 6:47; 20:31).

In lui è la remissione dei peccati (Efesini 1:7).

Chi se non Dio può affermare: “…non volete venire a me per aver la vita!” (Giovanni 5:40)

Chi se non Dio può affermare: “Io sono la porta; se uno entra per me, sarà salvato” (Giovanni 10:9). Gesù è il Buon Pastore (vedi Isaia 40:11).

Un’affermazione forte come: “Io do loro la vita eterna”, è giustificabile solo perché Gesù è Dio, Dio insieme al Padre (Giovanni 10:27-30).

Disse il Signore: “Io sono la resurrezione e la vita” (Giovanni 11:25). “…Poiché questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno»” (Giovanni 6:40).

Chi può dire agli uomini se non Dio, “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Giovanni 14:15)?

La promessa di Gesù (Matteo 18:20) circa la sua presenza nella Chiesa è prova della sua onnipresenza (vedi anche Giovanni 3:13 e Matteo 28:20).

Se lui può ascoltare le nostre preghiere (Giovanni 14:13-14) ed esaudirle; se Stefano ha potuto invocarlo in punto di morte (Atti 7:59) egli è Dio.

Gesù è il Signore (Filippesi 2:10-11); noi siamo chiamati a servirlo (Romani 1:1). A lui dobbiamo gloria, onore e adorazione (Giovanni 5:23): “affinché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio non onora il Padre che lo ha mandato”. Ciò implica necessariamente la divinità di Gesù, che è “tutto e in tutti” (Colossesi 3:11).

Cosa dire dello Spirito Santo ?

La parola di Dio è chiara. Lo Spirito Santo rivela una volontà propria – come il Padre e il Figlio – una individualità; in questo senso è una Persona. E le caratteristiche proprie di questa Persona ci mostrano che lo Spirito Santo, col Padre ed il Figlio, è Dio.

Lo Spirito Santo parla: “Mentre Pietro stava ripensando alla visione, lo Spirito gli disse: «Ecco tre uomini che ti cercano. Alzati dunque, scendi, e va’ con loro, senza fartene scrupolo, perché li ho mandati io» (Atti 10:19).

Lo Spirito Santo parla agli apostoli: “Infatti è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi altro peso all’infuori di queste cose…” (Atti 15:28).

Lo Spirito Santo intercede: “Allo stesso modo ancora, lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché non sappiamo pregare come si conviene; ma lo Spirito intercede egli stesso per noi con sospiri ineffabili; e colui che esamina i cuori sa quale sia il desiderio dello Spirito, perché egli intercede per i santi secondo il volere di Dio” (Romani 8:26-27).

Lo Spirito Santo ha una sua volontà: “ma tutte queste cose le opera quell’unico e medesimo Spirito, distribuendo i doni a ciascuno in particolare come vuole” (1 Corinzi 12:11). La volontà implica personalità.

“Non rattristate lo Spirito Santo di Dio con il quale siete stati suggellati per il giorno della redenzione” (Efesini 4:30). Una “forza attiva”, impersonale, può essere rattristata?

“Ma un uomo di nome Anania, con Saffira sua moglie, vendette una proprietà, e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie; e, un’altra parte, la consegnò, deponendola ai piedi degli apostoli. Ma Pietro disse: «Anania, perché Satana ha così riempito il tuo cuore da farti mentire allo Spirito Santo e trattenere parte del prezzo del podere? Se questo non si vendeva, non restava tuo? E una volta venduto, il ricavato non era a tua disposizione? Perché ti sei messo in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio»” (Atti 5:1-4). “Mentire” ad una forza impersonale?

Lo Spirito Santo parlò attraverso i profeti dell’Antico Testamento: “Ben parlò lo Spirito Santo quando per mezzo del profeta Isaia disse ai vostri padri…” (Atti 28:25).

I cristiani sono il tempio di Dio perché in loro dimora lo Spirito Santo: “Non sapete che siete il tempio di Dio, e che lo Spirito di Dio abita in voi ?” (1 Corinzi 3:16). “Non sapete voi che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi …” (1 Corinzi 6:19).

Lo Spirito Santo produce quella meravigliosa opera che è la rigenerazione, la nuova nascita di cui parlava Gesù a Nicodemo, che ci rende figliuoli di Dio: “egli ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo” (Tito 3:5).

Se lo Spirito Santo è una forza al servizio di Dio perché parlare di lui che opera queste cose quando sarebbe invece il Padre ad operarle?

Prima della sua morte Gesù promette ai discepoli la discesa dello Spirito Santo su di loro. Suo sarà il compito di guidare la Chiesa durante l’assenza di Gesù, fino al suo ritorno: “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti; e io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro consolatore, perché stia con voi per sempre, lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché dimora con voi, e sarà in voi” (Giovanni 14:15-17). Il termine usato da Gesù per definire lo Spirito Santo e tradotto Consolatore è nel greco originale Parakleton (Paracleto), cioè Avvocato, Difensore, l’esatto termine riferito anche a Gesù in I Giovanni 2:1. Per questo Gesù in Giovanni parla di “un altro Consolatore”.

Lo Spirito Santo non è una Persona ? Non è Dio ?

Aggiunge ancora Gesù: “ma il Consolatore, lo Spirito Santo, che il Padre manderà nel mio nome, vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto quello che vi ho detto” (Giovanni 14:26). “Ma quando sarà venuto il Consolatore che io vi manderò da parte del Padre, lo Spirito della verità che procede dal Padre, egli testimonierà di me” (Giovanni 15:26). “…quando però sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito, e vi annuncerà le cose a venire” (Giovanni 16:13).

Come Gesù, lo Spirito Santo “procede” dal Padre ed insegna, rammenta, testimonia, guida, parla di ciò che ha udito e lo annuncia.

La Bibbia rivela allora inequivocabilmente la divinità e la personalità dello Spirito Santo.

Lo Spirito Santo è chiamato anche Spirito di Dio e Spirito di Gesù, in quanto procede eternamente dal Padre e dal Figlio.

Atti 16:6-7: “Poi attraversarono la Frigia e la regione della Galazia, perché lo Spirito Santo vietò loro di annunziare la parola in Asia; e, giunti ai confini della Misia, cercavano di andare in Bitinia; ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro”.

Romani 8:9: “Voi però non siete nella carne ma nello Spirito, se lo Spirito di Dio abita veramente in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, egli non appartiene a lui”.

Galati 4:6: “E, perché siete figli, Dio ha mandato lo Spirito del Figlio suo nei nostri cuori, che grida: «Abbà, Padre»”.

I Pietro 1:10-11: “Intorno a questa salvezza indagarono e fecero ricerche i profeti, che profetizzarono sulla grazia a voi destinata. Essi cercavano di sapere l’epoca e le circostanze cui faceva riferimento lo Spirito di Cristo che era in loro, quando anticipatamente testimoniava delle sofferenze di Cristo e delle glorie che dovevano seguirle”.

Non solo il Padre è Dio, lo è anche il Figlio e lo Spirito Santo. È la verità di Dio, uno, in tre persone.

Nella formula battesimale è detto da Gesù: “Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28:19). Commenta Tertulliano: “Egli comanda loro di battezzare nel Padre e nel Figlio e nello Spirito Santo, non in un Dio impersonale (lat. non in unum)” (Contro Prassea Cap. XXVI).

Affiancheremo a Dio, battezzando anche nel loro “nome”, un dio minore ed una forza attiva? Intendiamo, invece, che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, sono distinti ma non divisi, prima, seconda e terza persona, per successione e non per grado, della Trinità, Unico Dio e Signore di ogni cosa.

 

Adesso il velo è finalmente rimosso, per la testimonianza di Cristo e dello Spirito Santo. Allora comprendiamo che Dio è tre volte santo (Isaia 6:3), perché Santo è il Padre, Santo il Figlio, Santo lo Spirito.

Leggendo Geremia 10:12 che dice “Egli, con la sua potenza, ha fatto la terra; con la sua saggezza ha stabilito fermamente il mondo; con la sua intelligenza ha disteso i cieli”, non possiamo non vedere una descrizione dell’opera della Trinità. La Potenza è Dio Padre (Matteo 26:64). La Sapienza (o saggezza) è la Parola, il Figlio (Proverbi 8). L’Intelligenza è lo Spirito Santo (1 Corinzi 2).

È piaciuto poi ancora a Dio che la lode che veniva dall’affermazione del re pagano Nabucodonosor fosse riferita al Padre e al Figlio e allo Spirito Santo: “Poi il re parlò a Daniele e disse: «In verità il vostro Dio è il Dio degli dèi (il Padre), il Signore dei re (il Figlio) e il rivelatore dei segreti (lo Spirito Santo)” (Daniele 2:47).

In Efesini 2:18 è racchiusa l’essenza stessa della dottrina della Trinità, che non è teoria o filosofia, bensì la constatazione della realtà del nostro Dio: “perché per mezzo di lui (Gesù) gli uni e gli altri abbiamo accesso al Padre in un medesimo Spirito”. Per mezzo di Cristo è stata possibile la riconciliazione col Padre, con il quale abbiamo comunione per mezzo dello Spirito Santo. Lo stesso concetto è espresso nella chiusa della seconda lettera ai Corinzi: “ La grazia del Signore Gesù Cristo e l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi” (2 Corinzi 13:14).

Per concludere la mia discussione, cito un brano dell’epistola di Paolo agli Efesini capitolo 4, verso 6: “V’è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti (il Padre), fra tutti (il Figlio) e in tutti (lo Spirito Santo)”.

Non so quante altre dottrine possano vantare un sostegno talmente ampio e costante nella Scrittura, specie nel Nuovo Testamento, quanto quella trinitaria. Sta a chi legge volere accettare o meno la Rivelazione di sé che ci dà il Signore.

 

CONCLUSIONE

 

 

 

 

 

 

Ho provato diverse volte a far leggere la prima stesura di questo mio lavoro a dei Testimoni di Geova, entusiasta come sono per mia indole del dialogo; ma senza successo. La risposta più sconfortante è stata quella di una mia amica che mi ha detto chiaramente che non avrebbe letto qualcosa che andava contro la Torre di Guardia.

La barriera intellettuale contro la quale mi sono scontrato mi ha fatto comprendere che lo scopo di questo mio scritto non poteva essere quello che mi ero prefissato inizialmente. Il destinatario per il mio lavoro avrebbe dovuto essere di fede trinitaria ed era alla sua edificazione ed informazione che i miei sforzi dovevano tendere.

Spero che il lettore abbia compreso l’interesse che mi ha animato, quell’esperienza vissuta quando mi trovai a confrontarmi con chi attaccava la più preziosa delle dottrine del cristianesimo. I primi giorni trascorsi a cercare e leggere libri in biblioteca (allora non c’era internet), a ricopiare le citazioni, la sorpresa di scoprire qualcosa che la mia buona fede non mi aveva permesso nemmeno di sospettare, lo studio, le riflessioni, le conclusioni… spero non siano serviti a me soltanto.

Mentirei se dicessi di non aver provato sollievo quando ho scoperto quanto ho esposto in questo resoconto. Sollievo ma anche rabbia, tanta rabbia per la condotta dell’autore o gli autori dietro l’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?” che mi rende difficile credere nella loro onestà.

Quante persone si sono lasciate irretire perché non sufficientemente informate ed in buona fede?

Fratelli, possiamo e dobbiamo pregare perché coloro che fra i Testimoni di Geova hanno lo zelo di Dio (Romani 10:2-4) possano, per la nostra testimonianza alla Verità, sottomettersi alla Verità, credere finalmente e completamente.

La dottrina della divinità di Gesù è essenziale, perché essenziale è il ruolo di Gesù. Se nell’Antico Testamento il ruolo del logos, del Figlio, era appena intravisto, nel Nuovo esso è totalmente chiarito. Col suo ruolo è stata chiarita anche la sua natura. Da qui l’incredulità degli ebrei e lo scandalo della dottrina trinitaria.

Se il Messia dipinto dai profeti diveniva, nell’attesa ebraica, il re che avrebbe liberato Israele dai romani, era un difetto di prospettiva che toccava a Dio stesso correggere. Gesù svelò l’autentico significato di quei brani dell’Antico Testamento. Tanto che Paolo parlava d’un velo davanti agli occhi dei giudei che non avevano accettato Cristo.

Fermarsi alla semplice interpretazione giudaica dei dati dell’Antico Testamento, significa rifiutare l’interpretazione autentica, l’interpretazione dello stesso autore e punto d’arrivo di quegli scritti, è un “inciampo” definitivo.

Con una concezione limitata del ruolo del Figlio nella creazione del mondo, della sua opera redentrice, si perde di vista il significato della sua stessa persona. Nel contempo, a chiudere il cerchio, una restrizione del significato della persona del Figlio equivale a sottovalutare il suo ruolo nell’opera della redenzione dell’uomo. Viene inoltre ad invalidarsi ed indebolirsi il significato di Gesù quale pieno rivelatore, non solo della volontà del Padre, ma della Sua stessa Persona.

Lo stesso vale per lo Spirito Santo, il nostro Consolatore, Colui che ha operato in noi, nel nostro spirito, liberandoci dalla natura sottoposta al peccato, adottandoci a Dio, abitando con noi, guidandoci, insegnandoci a pregare, facendoci comprendere la Parola di Dio.

In ogni tempo la dottrina della Trinità ha avuto degli oppositori. Fin dai tempi degli apostoli stessi, gli gnostici del secondo secolo, Ario del quarto e così via fino ai Testimoni di Geova dei nostri giorni. Tutti coloro, però, che hanno preferito imparare da Dio anziché inorgoglirsi, hanno saputo accettare il dono dello Spirito, quel grande maestro che ci guida in ogni verità; costoro, dalla loro esperienza di salvezza, dal loro servizio per il Signore, hanno imparato ad accettare tutta la volontà di Dio e tutta la sua rivelazione.

Come hanno accettato tutta la rivelazione di Gesù sul Padre, hanno accettato tutta la rivelazione del Padre circa il Figlio, e di entrambi circa lo Spirito Santo.

E questi, ci rivela la Sacra Scrittura, sono veramente e pienamente Dio.

 

 

 

[1] Per chi volesse consultarlo, è oggi disponibile online nella versione originale inglese sul sito ufficiale della Torre di Guardia.

[2] Ritengo questo testo davvero molto importante, oltre che bello ed istruttivo. Ne consiglio senz’altro la lettura a chi interessa la storia della Chiesa delle origini.

[3] Parlo di “Friend Request” fumetto che ricalca il famoso stile giapponese dei manga, scritto e disegnato da Aurora Di Maria e pubblicato da CLC nel 2012.

[4] Tanakh è la maniera ebraica di riferirsi all’Antico Testamento comune fra gli ebrei. Infatti, come lo stesso Gesù ci ricorda, essi dividono le Scritture in tre parti, Torah, Nevi’im e Kethubim. “Poi (Gesù) disse loro: “Queste sono le cose che io vi dicevo quand’ero ancora con voi: che si dovevano compiere tutte le cose scritte di me nella legge di Mosè, nei profeti e nei Salmi”. (Luca 24:44)

[5] La modalità di pronuncia del cosiddetto Tetragramma dell’Antico Testamento, il nome di Dio in ebraico, è oggetto di varie e divergenti opinioni. L’ebraico si scriveva con le consonanti soltanto e quando l’uso di pronunciare il nome di Dio divenne sostanzialmente “proibito”, si finì per perderne la pronuncia esatta. Alcuni sostengono che Yahveh sia la lettura esatta, altri che sia Yehovah. Per un’intelligente ed autorevole esame della questione rimando al libro “Chi ha pranzato con Abrahamo?” di Asher Intrater, edito in italiano da Perciballi.

[6] Scrive così in merito l’opuscolo “Dovreste credere nella Trinità?”: “Perché allora Tommaso esclamò davanti a Gesù: “Mio Signore e mio Dio!”, come riporta Giovanni 20:28? Per Tommaso Gesù era come “un dio”, specialmente nelle miracolose circostanze che lo indussero a pronunciare quell’esclamazione”.

Vi sono due modi di avvicinarsi ad un testo biblico: 1, per apprendere la Verità; 2, per trovarvi ad ogni costo quello che già siamo convinti sia la Verità.

In questo caso il commento di questo brano da parte dei Testimoni è qualcosa che assomiglia più o meno ad un “qualsiasi cosa sembra dire il testo, in realtà non può davvero dirlo, perché Gesù non è Dio”. Ma non è questo il modo in cui si legge la Scrittura. Dev’essere la lettura con mente aperta a farci capire cosa intende dire un testo. Una onesta, semplice lettura di questo brano, porta alla convinzione che Tommaso chiami Gesù Signore e Dio. Perché il testo è chiaro nel dire che Tommaso si rivolge a Gesù nella sua esclamazione. Allo stesso modo, qui nel testo greco originale è presente l’articolo determinativo davanti alla parola Dio e quindi, in ogni caso, Tommaso non parlava in nessun modo di “un dio”.

Continuando con lo stesso preconcetto atteggiamento, l’opuscolo dei Testimoni propone altre possibili soluzioni. Leggiamo: “Secondo alcuni studiosi (sarei curioso di sapere chi sono costoro) Tommaso, preso dall’emozione, potrebbe aver semplicemente pronunciato un’espressione di stupore, rivolta a Gesù ma diretta a Dio”. Il mio professore di tecnica bancaria delle superiori, uomo abituato alla certezza della matematica e affascinato anche dalla cultura umanistica, ci spiegò una volta che in filosofia tutto è possibile e che con le parole giuste ed un discorso sufficientemente sofisticato e contorto sarebbe stato possibile convincerci che la cattedra era un cavallo. La retorica e le chiacchiere infinite non possono far perdere di vista l’ovvio, però, e non possono impedire alla persona interessata alla concreta realtà di vedere onestamente ciò che ha davanti. Se Gesù non era Dio, perché Giovanni propone ai suoi lettori così tanti spunti per poter credere e sostenere l’interpretazione “trinitaria”? Avrebbe potuto essere più sobrio ed evitarle – se Gesù non era veramente Dio – invece che proporle a dei cristiani che si affacciavano alla nuova fede provenendo nella maggior parte dal paganesimo. Quale gusto sadico lo avrebbe portato a scrivere delle affermazioni del tipo che stiamo esaminando sapendo che il 99 % di coloro che le avessero lette o udite, sarebbero stati naturalmente convinti che Gesù era Dio? Se invece Giovanni credeva che Gesù fosse il Dio-Angelo-Uomo dell’Antico Patto incarnatosi in Gesù di Nazareth avrebbe potuto trovare una maniera migliore per esporre le proprie convinzioni? Personalmente ritengo di no.

[7] Nella lingua originale del Nuovo Testamento “Parola” è logos, che è maschile.