Category Archives: ebraico

In principio… Giovanni 1:1-18

di Giuseppe Guarino

Scarica qui il pdf dell’articolo  In principio… Gv 1,1-18

Non è facile tradurre. Bisogna valutare molte cose prima di stabilire che metodo adottare, valutando i destinatari del proprio lavoro, innanzi tutto e poi se si tratta di un testo che andrà ad essere utilizzato per la semplice lettura o per lo studio.

Il mio nuovo libro “IN PRINCIPIO…” è uno studio sul prologo di Giovanni. Ecco la versione che proporrò – soggetta ancora ad essere rivista. Ho tradotto cercando di far comprendere al lettore italiano del XXI secolo le sfumature del testo greco e del sostrato ebraico. Cosa non facile e che può anche esporre a critiche, dovendo qua e là fare delle scelte che vanno oltre la letteralità del testo. In particolare, è noto l’uso della congiunzione “e” in ebraico, che ha un senso molto più ampio della nostra semplice congiunzione. Il testo greco risente di questo semitismo. Nella nostra lingua non iniziamo mai delle frasi con “e”, ma in ebraico questa è una consuetudine. Noi preferiamo alternare “quindi”, “allora”, “comunque”, ecc. La “e” compare circa 17 volte in 18 versi. Si tratta di un uso che in italiano non ha paralleli. Se invece apriamo il libro della Genesi in ebraico, o anche nelle sue traduzioni letterali, troveremo la “e” all’inizio di quasi ogni frase. Questo ho cercato di smussarlo nella traduzione. Altri dettagli li discuto di seguito, dopo la traduzione.

GIOVANNI 1:1-18.

“In principio era Colui che è la Parola

Egli era con Dio

ed era Dio.

Egli era in principio con Dio.

Tutto è stato creato tramite Lui e senza Lui nulla sarebbe venuto all’esistenza di ciò che è stato creato.

In Lui era la Vita e la Vita era la luce degli uomini.

La luce splende nelle tenebre perché le tenebre non la possono sopraffare.

Vi fu un uomo, mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne per testimoniare della Luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui.

Egli non era la Luce, ma era stato inviato affinché testimoniasse della Luce.

Colui che è la Luce vera, che illumina tutti gli uomini che vengono al mondo, era.

Era nel mondo,

il mondo è stato creato per mezzo di Lui,

ma il mondo non lo ha conosciuto.

Venne quindi ai suoi,

ma i suoi non l’hanno ricevuto.

Ma a coloro che l’hanno ricevuto, i quali credono nel suo nome, Egli ha dato l’autorità di essere figli di Dio. Costoro non da sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo, ma sono generati da Dio.

Colui che è la Parola si è incarnato ed ha dimorato fra noi. Noi abbiamo osservato la Sua gloria, quella dell’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e verità.

Giovanni ha testimoniato di Lui gridando: “Egli è colui del quale io vi dissi: ‘Colui che viene dopo di me, ma ha la precedenza su di me, perché era prima di me’”.

Tutti abbiamo ricevuto dalla sua Pienezza, grazia su grazia. Perché la Legge è stata data tramite Mosè, ma la Grazia e la Verità per mezzo di Gesù Cristo.

Dio non lo ha visto mai nessuno. Il Figlio unigenito che è nel seno del Padre (è la Parola che) lo ha rivelato”.

 

Discuto brevemente delle mie scelte, in maniera da poter raccogliere qualche commento che mi aiuti nella stesura del mio libro, per rendere un servizio migliore al corpo di Cristo.

 

Ho tradotto: Colui che è la Parola

Il problema che incontra ogni traduttore nella versione della parola greca logos, è che essa è al maschile in greco, ma al femminile in italiano. Il problema nasce dal fatto che poi, per conseguenza, passare al pronome soggetto maschile usato nelle frasi che seguono riferite al logos crea un errore grammaticale in italiano, anche se il brano è troppo noto per mandare fuori strada il lettore. Buona la soluzione della Nuova Diodati, che cerca di aggirare l’ostacolo. Io ho preferito sfruttare l’occasione portami dalla presenza dell’articolo davanti a logos, ho, ed ho tradotto Colui (ho) che è (sottinteso) la Parola (logos).

 

Ho tradotto: Tutto è stato creato tramite Lui

Sembra interessare poco gli autori biblici di incorrere in ripetizioni, che invece suonano piuttosto male nella nostra lingua. Ho alternato “tramite” a “per mezzo di” proprio per evitare una ripetizione.

 

Ho tradotto: La luce splende nelle tenebre perché le tenebre non la possono sopraffare.

Qui ho osato dare un significato tutto semitico ad “e”, traducendo con “perché”. Credo che ci possa stare.

 

Ho tradotto: ma era stato inviato affinché…

Ho cercato di mettere in grassetto le parole che palesemente non vi sono nel testo originale ma che possono chiarire il senso di una frase nella nostra lingua.

 

Ho tradotto: ma il mondo non lo ha conosciuto.

Vorrei trovare un verbo o una espressione più adatta che semplicemente “conosciuto”, che è la traduzione letterale del verbo, ma non trasmette l’idea dell’originale. Vi è infatti in greco più di un modo per esprimere il “conoscere”. Giovanni stesso è molto attento nei suoi scritti ad usare l’uno o l’altro termine disponibile in greco. Mi ripropongo di valutare se posso utilizzare un altro vocabolo senza passare dalla traduzione alla parafrasi del testo.

 

Ho tradotto: Venne quindi ai suoi

Ho cercato di evidenziare ulteriormente un crescendo che mi sembra evidente.

 

Ho tradotto: non da sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo

Credo che queste espressioni siano intrise di cultura ebraica, e mirano a togliere ogni dubbio che solo Dio può fare di noi dei figli di Dio: “non si eredita, non è per appartenenza, né perché lo decide un uomo”, è questo il senso delle parole di Giovanni – ma mi discosterò così tanto dal testo solo nelle note, per non scadere, come ho detto prima, in una parafrasi del testo.

 

Ho tradotto: Colui che è la Parola si è incarnato ed ha dimorato fra noi

Menomale che in italiano esiste il verbo “incarnarsi” che può rendere in maniera meno oscura il letterale “si è fatto carne”. Anche qui ho tradotto ho logos con “colui che è la Parola”.

 

Ho tradotto: Il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre (è la Parola che) lo ha rivelato

Come ho ampiamente giustificato nelle mie varie pubblicazioni, prediligo senza remore il testo Maggioritario. Qui esso si traduce con grande semplicità “Figlio Unigenito”. Non invidio i sostenitori del testo alternativo – ne esistono un paio di versioni, con e senza articoli – che, a mio avviso, non ha senso ed è solo una corruzione gnostica del testo originale.

Aggiungo “è la Parola che” prima di “lo ha rivelato” perché non so trovare un termine che traduca il greco senza fare perdere il senso della frase. Esso infatti letteralmente corrisponde a “dichiarato”, si tratta di una rivelazione verbale, perché fa riferimento alla “Parola” iniziale, al logos, che, appunto, rivela Dio, lo rende visibile e comprensibile.

 

Nel libro proporrò anche una traduzione interlineare ultra letterale, con note testuali e approfondimenti sulle parole in greco.

 

 

 

Genesi 1:26

di Giuseppe Guarino

versione pdf dell’articolo per una migliore lettura dei termini in originale greco ed ebraico

Giuseppe Guarino Genesi 1,26 www.giuseppeguarino.com

 

“Poi Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine, conforme alla nostra somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina”. 

Vi sono varie teorie su quel plurale iniziale, quel “facciamo”, davvero di oggettiva difficile comprensione. Secondo alcuni si tratta di una forma di plurale maiestatis. Secondo altri, Dio si rivolge agli angeli. Per chi crede nella deità del Figlio di Dio, eterno creatore con il Padre e lo Spirito Santo, questa espressione è un’ulteriore prova della presenza dell’uno/tre al momento della creazione.

Ma Mosè, o, in ultima analisi, l’autore del libro della Genesi, poteva immaginare e descrivere un’idea tanto complessa e certamente a lui aliena?

Questo dipende da quanto consideriamo determinante l’ispirazione del testo biblico.

Andiamo a vedere Genesi 1:1,

“In principio Dio creò il cielo e la terra”.

In ebraico

בראשׁית ברא אלהים את השׁמים ואת הארץ׃

Le peculiarità numeriche del primo verso della Bibbia hanno colpito più di una persona.

Il verso contiene 7 parole e 28 lettere. 28= 7 x 4

Le prime tre parole sommano 14 lettere= 7 x 2

Le seconde quattro sommano anch’esse 14 lettere= 7 x 2

Le prime tre parole (3=perfezione) sono in se stesse complete: il quando, l’azione ed il soggetto. Le 4 parole che seguono sono il cosa, introdotto dalla parola ebraica intraducibile, את, che precede il complemento oggetto.

3 è il numero di Dio (Santo, Santo, Santo, se non vogliamo menzionare la sua trinità) e 4 è il numero della terra (i 4 canti della terra citati più volte, ecc.). Il primo verso narra anche numericamente della perfezione di Dio e della creazione della terra.

Possiamo immaginare che l’autore di Genesi si sia personalmente scervellato per riuscire ad ottenere un risultato tanto matematicamente perfetto e significativo per veicolare il pensiero di Dio?

Ivan Panin è famoso per essersi convertito dall’agnosticismo alla fede nella Bibbia come Parola di Dio ispirata, proprio perché ne ha scoperto la perfezione matematica nella ricorrenza del numero 7 in maniera davvero soprannaturale, tanto nel testo ebraico dell’Antico Testamento quanto in quello greco del Nuovo.

Qualcosa di simile è avvenuta a studiosi di altre materie. C’è chi indagando sull’inattendibilità dei vangeli, alla fine ha scoperto che la verità è invece che sono dei resoconti di prima mano ed autentici.

Anche scientificamente, in base a quanto sappiamo oggi ovviamente, la Bibbia si mostra corretta in dettagli impensati.

Amo molto la storia antica, e mi ha sorpreso scoprire quanto la Bibbia sia accurata dal punto di vista storico. In realtà non ho problemi ad affermare che essa è il documento storico più antico ed attendibile che possediamo. Maggiore è stato il numero di ritrovamenti archeologici, maggiore è stata la conferma dell’accuratezza storica della Bibbia.

Davanti a questi dati, sebbene riconosciamo anche la valenza dell’elemento umano, non possiamo non riconoscere il sigillo dell’ispirazione divina delle Sacre Scritture.

Restando in Genesi, e volendo ribadire che l’ispirazione permette di superare alcuni vincoli legati all’umanità dell’autore sacro, consideriamo il cosiddetto protovangelo:

“Io porrò inimicizia fra te e la donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno” (Genesi 3:15).

È opinione radicata nella Chiesa, che questo brano si riferisca alla morte del Signore Gesù ed al suo trionfo su Satana con la sua meravigliosa resurrezione.

Difficile pensare che qui l’ispirazione divina non abbia prevalso sull’elemento umano. A meno che Dio non abbia dato a Mosè una specifica rivelazione che spiegava il senso delle parole di questo verso.

In altri punti, Mosè dice più di ciò che potrebbe intendersi da una lettura superficiale. Egli scrive in più punti, ed in maniera tanto significativa che non può intendersi casuale: “Dio disse”. Vedi Genesi 1:3, 6, 11, 14, 20, 24.

“Dio disse” al v. 26 è la settima occorrenza di questa espressione.

Quello che poi scriverà Giovanni nel suo Vangelo era già stato intuito ed espresso dai commentatori ebraici.

“In principio era la Parola… per mezzo di lei ogni cosa è stata fatta”.

Nessuno crede più al fatto che Giovanni abbia attinto alla cultura greca, al logos dei filosofi. Semmai è vero il contrario, i filosofi greci hanno attinto alla cultura orientale ed ebraica per sviluppare la loro teoria di un logos, un tramite fra Dio e la sua creazione.

I sumeri avevano l’idea di una “parola” potenza creatrice (“enem”). Il concetto venne trasmesso agli accadi (“awatu”). Questo millenni prima dei greci. (fonte: William F. Albright, From the Stone Age to Christianity)

Filone alessandrino, “filosofo” ebreo vissuto ad Alessandria d’Egitto, parla apertamente del “logos” in termini molto simili a quelli del Nuovo Testamento. Egli affermava che Mosè era il detentore della vera filosofia e che i greci vennero dopo di lui.

Anche la cultura giudaica aveva già visto nella Torah la “parola”, Davar (דבר) in ebraico. Per questo Giovanni ne parla nel suo vangelo dando per scontato che chi leggeva sapesse di cosa lui stesse parlando. Ed era così: i greci per via delle speculazioni filosofiche, gli ebrei per via dell’interpretazione del tempo.

Il Targum è una parafrasi in aramaico dell’Antico Testamento che usa “parola”, in aramaico “memra”, utilizzando questo termine quando Dio interagisce con la sua creazione.

Leggiamo sul sito https://www.sefaria.org/Targum_Jonathan_on_Genesis.3?lang=bi la parafrasi di Genesi 3:8, “Ed essi udirono la voce della Parola (aram. מֵימְרָא, Memra) del Signore Dio che camminava nel giardino…”

Quando Mosè scriveva queste cose meravigliose, era totalmente consapevole dei profondi significati e del valore profetico di ciò che riportava?

Quando, quindi, leggiamo le parole di Genesi 1:26 e anche queste ci colpiscono, non dobbiamo sorprenderci se esse hanno significati talmente grandi che ci conducono a verità rivelate solo con la venuta di Gesù ed il Nuovo Testamento.

Non fu Gesù stesso a dire che Mosè aveva scritto di lui? Vedi Giovanni 5:46. E dove aveva scritto di lui? In quale modo se non profetico e nei profondi significati dei suoi scritti che oggi comprendiamo appieno grazie alla guida dello Spirito Santo?

Torniamo al nostro soggetto iniziale: quando Dio dice “Facciamo l’uomo a nostra immagine”, con chi parla?

La chiave di lettura, come spesso succede con la Bibbia, ce la fornisce un attento esame del testo e la luce della piena rivelazione in Cristo che ci tramanda il Nuovo Testamento.

Dire qui che il Padre conversava con il suo Figlio Unigenito è perfettamente coerente con quanto ci insegna l’apostolo Giovanni e conferma Paolo nelle sue epistole.

“Egli era nel principio con Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lui; e senza di lui neppure una delle cose fatte è stata fatta.” (Giovanni 1:2,3) – La traduzione è mia. Di solito questo verso è riferito al femminile, perché il termine greco originale logos, maschile, viene giustamente tradotto con parola, che è femminile.

Se tutto è stato creato mediante il logos di Dio, il suo Figlio Unigenito, lo è stato anche l’Uomo.

“Per mezzo di lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e invisibili.” (Colossesi 1:16)

Vi è una stupenda immagine relativa alla creazione dell’uomo.

“Dio il SIGNORE formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente.” (Genesi 2:7)

Chi soffiò l’alito della vita nell’uomo?

Come spesso accade, andiamo a trovare chiarimenti nel Nuovo Testamento.

“Allora Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre mi ha mandato, anch’io mando voi”. Detto questo, soffiò su di loro e disse: “Ricevete lo Spirito Santo””. (Giovanni 20:21, 22)

Il medesimo agente del Padre, il logos (Parola, Verbo) che soffiò l’alito vitale nelle narici per dare vita all’uomo all’alba del tempo, qui lo fa per dar vita al nuovo uomo, rigenerato dallo Spirito di Dio. (vd. Giovanni 3:1-15, Efesini 4:24, 2 Corinzi 5:17, Galati 6:15)

Il soffio, il vento, è in generale un chiaro riferimento allo Spirito. In tutta la scrittura. È un riferimento implicito nei termini originali utilizzati: in ebraico ruah (רוח) ed in greco pneuma (πνευμα).

Per spiegarlo con grande semplicità, possiamo riportare alla mente il nostro vocabolo “pneumatico”, esso deriva chiaramente dal greco e il suo uso è dovuto all’aria che lo riempie ed è essenziale per il suo uso.

Il verbo utilizzato qui per l’azione compiuta da Gesù, il soffiare sui discepoli è ἐνεφύσησε, il medesimo utilizzato in Genesi 2:7 nella traduzione greca della Torah, la LXX (Settanta).

Il riferimento è troppo esplicito e non può essere casuale.

Non ho mai portato gli occhiali in vita mia. Ma, come spesso accade, il passare degli anni, meglio di qualsiasi altra cosa, ci ricorda che siamo umani. Oggi devo indossare gli occhiali per vedere bene da vicino. A volte faccio lo splendido e non li metto e lavoro comunque. Poi, però, finisce che, se avessi indossato gli occhiali, non avrei commesso delle sviste paurose.

Lo stesso è con la Scrittura. Per capirla abbiamo bisogno di indossare gli occhiali dello Spirito! E per capire l’Antico Testamento dobbiamo indossare gli occhiali del Nuovo!

“Allora aprì loro la mente per capire le Scritture” (Luca 24:45). Se non leggiamo la Bibbia alla luce di Cristo, non potremo capirla. Come dice Paolo: “Ma le loro menti furono rese ottuse; infatti, sino al giorno d’oggi, quando leggono l’antico patto, lo stesso velo rimane, senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è abolito.” (2 Corinzi 3:14)

La comprensione delle Scritture non si ottiene studiando. In fatti la Scrittura parla di coloro che si sforzano “sempre d’imparare e non possono mai giungere alla conoscenza della verità”. (2 Timoteo 3:7)

Il velo è rimosso solo in Cristo e grazie al suo Spirito in noi possiamo comprendere la Verità delle Scritture.

Non è quindi nessuna sorpresa se adesso, alla luce di tutta la Scrittura, vediamo in Genesi Dio che tramite il suo Logos e lo Spirito Santo creano l’uomo. (Genesi 2:7) Quanto è meravigliosa la Parola di Dio, profonda; parla al nostro spirito confermando la nostra fede e aumenta il nostro entusiasmo per le cose di Dio.

Senza gli occhiali della fede in Cristo, queste cose rimarranno per sempre incomprensibili.

Infatti, nonostante Gesù annunciasse la Parola con libertà, solo alcuni si avvicinavano a lui e si sforzavano di comprendere il significato vero e profondo di ciò che dicevano: “Egli rispose loro: “Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli; ma a loro non è dato.” (Matteo 13:11).

I discepoli non avevano nessuna superiorità intellettuale rispetto agli altri, ma andavano dal loro maestro e lo interrogavano per capire, avevano desiderio di sapere e si rivolgevano alla fonte della sapienza, colui che nell’Antico Testamento era stato identificato con la Sapienza stessa!

Gli altri andavano a casa loro, presi dalla loro quotidianità. Alcuni, magari, nella loro presunzione, credevano di aver capito tutto. Altri forse andavano ad interrogare i loro rabbini, i maestri religiosi nei quali avevano fiducia.

 

Genesi 1:27 legge:

Dio creò l’Uomo a sua immagine

lo creò ad immagine di Dio

li creò maschio e femmina

Se ci fermiamo al verso 26 perdiamo altri dettagli a mio avviso importanti. Questo passaggio da singolare a plurale nel verso 27 è piuttosto interessante e pertinente con la nostra discussione. Dio (Elohim) crea l’Uomo, singolare. Ma questo singolare, ad immagine di Dio, è anche un plurale, maschio e femmina.

L’unità fra uomo e donna è descritta poco più avanti, quando la creazione dell’uomo e della donna (dell’Uomo) è vista in dettagli di una poesia ed universalità ineguagliata da nessuna altra narrazione epica, mitologica o scientifica.

“Dio il SIGNORE formò l’uomo dalla polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l’uomo divenne un’anima vivente. […] Allora Dio il SIGNORE fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; prese una delle costole di lui, e richiuse la carne al posto d’essa. Dio il SIGNORE, con la costola che aveva tolta all’uomo, formò una donna e la condusse all’uomo. L’uomo disse: “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo”. Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una stessa carne”. (Genesi 2:7, 21-24)

Profondissimi significati spirituali vengono espressi con una elegantissima ed allo stesso tempo efficace poesia.

L’unità dell’Uomo, composto da uomo e donna uniti, è definita con il termine ebraico: אחד, nel nostro alfabeto traslitterato come ‘echad.

Questo medesimo vocabolo lo ritroviamo nella confessione di fede ebraica, lo Shemà Israel. Questa la ribadì a gran voce lo stesso Gesù durante il suo ministero. Ho consultato la traduzione ebraica ufficiale in inglese di Deuteronomio 6:4 ed essa recita:

 

Ascolta, Israele:

Il Signore nostro Dio

Il Signore è uno

Questa versione preserva la ritmica del testo ebraico che si conclude affermando che Dio è “uno”. La parola ebraica utilizzata qui per dire che il Signore è “uno” è, come per l’Uomo (uomo e donna) אחד, ‘echad.

Come Uomo è un termine che include uomo e donna (v.27) che sono ‘echad, uno, allo stesso modo Dio, Elohim, (v.26) nel dire “facciamo” non fa altro che riferirsi alla sua ‘echad, di cui fanno parte il Figlio e lo Spirito Santo.

Credo che sia strabiliante, come già nelle prime pagine della Parola di Dio compaia subito così meravigliosamente coinvolto nella sua interazione con il mondo che crea, da farlo con la totalità della sua unità.

Al verso 1 troviamo il termine Elohim, che in teoria in ebraico non sarebbe esattamente un singolare, seguito da un verbo al singolare. Al v.2 è lo Spirito di Dio che si muoveva sopra le acque. Al v.3 ecco che la Parola, di cui parlerà Giovanni, compare quando leggiamo, Dio disse!

Da questo verso in avanti fa la sua fondamentale comparsa il logos, la Parola.

“Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere.” Giovanni 1:18

Giovanni è lapidario: Dio non lo ha mai visto nessuno.

È naturale che sia i giudei che i primi cristiani abbiano compreso che era il logos (greco) davar (ebraico) memra (aramaico) parola (italiano) verbum (latino) a manifestarsi, manifestando Dio.

Infatti di chi era la voce in Genesi 3:8? E chi camminava nel giardino? Dalla presenza di chi si nascosero Adamo ed Eva?

Chi fa – fa! – delle tuniche di pelle per vestire l’Uomo? Il brano non dice che queste tuniche vengono create, quindi dobbiamo dedurne che un animale sia stato ucciso per ottenerle. Dio stesso rimedia alla nudità dell’Uomo – al danno che ha fatto con il peccato!

Qui Mosè parla profeticamente dell’opera di salvezza di Dio, che sarebbe stata un giorno compiuta per mezzo di Gesù, logos di Dio fatto uomo! Ed anche qui in Genesi, l’agente tramite il quale Dio rimedia alla nudità dell’uomo, non può non essere la Sua Parola.

In tutto il libro dell’Apocalisse, il vestire è descrittivo dello stato di grazia e salvezza – vd. Ap. 3:18, 4:4, 7:9,14, 16:15, 22:14. E sono dei riferimenti significativi, perché molto di quello che il peccato distrugge in Genesi, viene ripristinato in Apocalisse.

Di nuovo, quasi alla fine della drammatica scena della caduta dell’Uomo, troviamo quel plurale che per la prima volta avevamo visto in Genesi 1:26,

Ecco, l’uomo è diventato come uno di noi,

quanto alla conoscenza del bene e del male

 

Ora la frase non ci può apparire così enigmatica, ma, alla luce di quanto abbiamo visto, perfettamente coerente. I “noi” sono l’ ‘echad in cui sono presenti il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.

Mi riservo di affrontare in un altro articolo perché questa “conoscenza del bene e del male” ci sia costata l’Eden. Non sembrerebbe così grave, infatti, a prima vista; in realtà la forza dell’espressione semitica è ben altra rispetto a quella delle versioni in italiano. In questo articolo, già di per se piuttosto lungo, preferisco non approfondire anche questo dettaglio – sebbene non sia per nulla secondario, o trascurabile.

Volevo avere un quadro più chiaro sulla frase di Genesi 1:26 e per questo ho intrapreso questa piccola ricerca. Confesso di esserne stato edificato spiritualmente prima, e come studioso poi. Lo stesso spero sia accaduto al lettore.

La scritta sulla croce ed il nome di Dio

di Giuseppe Guarino

Versione PDF l’iscrizione sulla croce ed il Tetragramma

Purtroppo si è diffusa con un entusiasmo ingiustificato la convinzione che l’acronimo della scritta sulla croce di Gesù come citato da Giovanni 19:19 sia niente meno che il nome divino (YHWH) rivelato a Mosè. Purtroppo questa affermazione è infondata ed invito chiunque se ne faccia promotore a consultare attentamente l’affidabilità delle fonti alle quali fa riferimento ed evitare di farsi trascinare da ingiustificabili entusiasmi, dannosi all’evangelo ed alla causa di Cristo.

Nel 2015 avevo già letto di questa “interpretazione” e ne ho ampiamente discusso con un uomo di Dio, il quale anche lui trascinato da tanto entusiasmo, nella sua buona fede, non conoscendo l’ebraico, dava per scontata la preparazione di chi l’ha partorita. Ho preso il Nuovo Testamento in una traduzione in ebraico e gli ho semplicemente mostrato Giovanni 19:19 in quella lingua: non compare nessun tetragramma!

Esaminiamo la scritta nelle sue varie lingue.

ITALIANO

Pilato fece pure un’iscrizione e la pose sulla croce. V’era scritto:

GESÙ IL NAZARENO, IL RE DEI GIUDEI

GRECO – lingua originale del Nuovo Testamento

ἔγραψε δὲ καὶ τίτλον ὁ Πιλᾶτος καὶ ἔθηκεν ἐπὶ τοῦ σταυροῦ· ἦν δὲ γεγραμμένον· ᾿Ιησοῦς ὁ Ναζωραῖος ὁ βασιλεὺς τῶν ᾿Ιουδαίων

EBRAICO – si legge da destra verso sinistra

ופילטוס כתב על־לוח וישם על־הצלוב וזה־דבר מכתבו
ישוע הנצרי מלך היהודים

Vediamo più da vicino la sola iscrizione

ישוע הנצרי מלך היהודים

Vediamola parola per parola

היהודים
מלך
הנצרי
ישוע
dei giudei re il nazareno Gesù

Le iniziali delle quattro parole sono dunque:

יהמה

Per far uscir fuori il Tetragramma, ecco come bisogna tradurre Giovanni 19:19.

     הַיְּהוּדִים
ומֶלֶךְ
הַנָּצְרִי
שׁוּעַיֵ
dei giudei e re il nazareno Gesù

Come vedete, alla parola “re” viene premessa la consonante “waw” ( ו ), la congiunzione ebraica. Cambia così la traduzione del testo che diventa: “Gesù il nazareno e re dei giudei”. Ma non è quello che dice il testo greco originale, è una forzatura. In questo modo soltanto, accostando le iniziali delle quattro parole, avremo il Tetragramma.

יהוה

Tempo fa mi trovavo a parlare con un fratello circa un brano della Bibbia del quale lui proponeva una traduzione un po’ singolare, ciò perché diceva di preferirne la versione inglese, che a modo suo “italianizzava”. Gli feci presente il suo modo di tradurre era doppiamente errato, perché non era fedele al testo greco originale, ma nemmeno a quello in inglese – lingua che non conosceva a sufficienza da poter tradurre correttamente. Ciò non sortì alcun risultato e, sebbene sia una cara persona, si ostinò a voler continuare nella sua idea. Me ne dispiacqui, ma di più non potei fare.

Anche Lutero nel tradurre un brano della sua Bibbia si fece prendere la mano. In Romani 3:18 aggiunse l’avverbio allein (solamente) che non si trova nel testo originale.

Ho scritto questo articolo per diversi motivi.

  • È così che apprendiamo la Verità, andando ad esaminare il testo biblico con metodi quasi cabalistici? Che principi di esegesi sono questi, quali brano biblico li sostiene e motiva?
  • Non scuote le certezze di chi partorisce certe affermazioni il fatto che per duemila anni NESSUNO fra gli interpreti e studiosi della Parola di Dio, di ogni provenienza e livello culturale, abbia mai sostenuto qualcosa di simile?
  • Ci rendiamo conto di quale responsabilità abbiamo nei confronti dei credenti più semplici che non possono avere accesso al testo originale? Io vi assicuro che sento un grande peso ogni volta che scrivo su argomenti tanto delicati e sono molte di più le cose che non scrivo che quelle che scrivo, perché prima di parlare conto fino a cento, ma prima di scrivere fino ad un milione.

Per chi parla inglese consiglio un sito web molto bello, tenuto da un credente che ama l’ebraico e lo presenta al popolo cristiano con grande semplicità e competenza. Ho visto che la sua posizione in materia è esattamente uguale alla mia e ciò mi ha ulteriormente spinto a scrivere su questo argomento. Questo il link al suo commento.

https://www.hebrew4christians.com/Names_of_G-d/Sign_Cross/sign_cross.html

(visionato il 9 aprile 2020)

Visti i tanti brani che attestano la divinità di Gesù e con tanti meravigliosi spunti di riflessione che ci offre la Scrittura, la nostra fede sul Dio fattosi uomo non può poggiare su motivazioni inconsistenti o interpretazioni fantasiose, ma deve essere frutto di una sana ed intelligente interpretazione della Bibbia, ragionata in preghiera e guidata dallo Spirito Santo.

Catania, 11 aprile 2020

ISCRIZIONE ERRATA

ISCRIZIONE CORRETTA

 

Superman moderno “messia”

di Giuseppe Guarino

Finora abbiamo discusso in maniera “seria” delle lingue originali della Bibbia. Eppure conoscere l’ebraico ed il greco biblici può anche aiutare a capire fenomeni sociali e culturali che nascondono dei significati altrimenti meno facilmente rintracciabili.

Superman è considerato il primo supereroe della storia dei fumetti. La sua prima avventura venne pubblicata nel giugno del 1938 sulle pagine del n.1 della rivista a fumetti “Action Comics” che lo vide subito in copertina.

Action Comics viene ancora oggi pubblicato con successo dalla DC Comics che ha da poco festeggiato il numero 1.000 – e per una rivista mensile non è traguardo da poco.

Tanti i motivi del successo di Superman e della figura del supereroe in genere, diffusasi negli anni a seguire, dando origine letteralmente a centinaia di personaggi: Batman, Capitan Marvel, Spiderman, Fantastici Quattro, Avengers, ecc.

Il successo immediato di Superman presso il grande pubblico è senz’altro dovuto alla popolarità della concezione ebraico-cristiana di un “Messia”, un essere dotato di potere sovrannaturale che viene dal cielo per salvare l’umanità. Se a prima vista potremmo pensare che si tratti di una coincidenza, approfondendo, invece, vedremo che di una coincidenza non si tratta.

Jerry Siegel era di famiglia ebraica ed è cresciuto in un sobborgo ebraico di Glenville, dove conobbe Joe Shuster, con il quale creò Superman.

Superman cade dal cielo. È dotato di poteri superiori alla norma e li usa per difendere i deboli e la giustizia, perché la sua personalità è votata al bene senza compromessi ed al servizio del prossimo.

Sulla terra l’alter-ego di Superman assume l’identità di Clark Kent, timido giornalista. Ma il vero nome “alieno” dell’eroe è Kal-El. El (אל) è una parola ebraica che viene tradotta “Dio” ed è anche utilizzata, nella forma al plurale, per la prima designazione di “Dio” in Genesi 1:1, Elohim (אלהים). Kal-El deriva quindi apertamente dall’ebraico “voce di Dio”.

La parola Krypton, usata per il pianeta di origine del supereroe, invece, è di origine greca e significa “nascosto”. Il padre di Superman, Jor-El che prova invano a salvare il suo popolo dalla distruzione, ricorda molto da vicino i profeti ebraici che, in maniera altrettanto frustrante, hanno provato a mettere in guardia il popolo di Israele nei periodi di grande crisi della sua storia.

Che dire poi del grande nemico di Superman, Lex Luthor?

Adesso dobbiamo ricordarci che l’ebraico si scrive con soltanto le consonanti. Togliendo le vocali Luthor diventa LTHR. Non è certamente una coincidenza che queste quattro consonanti si ritrovino anche nel nome del nemico più grande del popolo ebraico, HiTLeR. Cambiando le vocali di Hitler ed invertendo il senso di lettura delle prime tre consonanti, ne verrà fuori proprio Luthor.

A mio avviso, se i supereroi hanno così tanta e sicura presa sull’immaginario collettivo ciò è almeno in parte dovuto ai richiami alla sensibilità religiosa collettiva evocata dai riferimenti ebraico-cristiani del suo archetipo, Superman.

 

I giorni della settimana

di Giuseppe Guarino

per una migliore del font greco ed ebraico consiglio la lettura del file pdf

Articolo 3 I giorni della settimana

Avete mai letto nella Bibbia di un giorno chiamato lunedì? Avete letto: “era martedì”? Non credo, non se utilizzate una traduzione letterale della Bibbia.

Come mai ciò non accade, in tutto l’Antico e il Nuovo Testamento? Ve lo siete mai chiesto il perché?

La semplice risposta è che in ebraico i giorni della settimana non hanno dei nomi come i nostri, dedicati, in genere, ai pianeti o a divinità pagane, ma sono identificati con dei numeri.

La domenica è il primo giorno della settimana, nel calendario ebraico, così come nei paesi anglo-sassoni.

Nome in italiano Nome ebraico Traduzione letterale
Domenica ראשון Primo
Lunedì שני Secondo
Martedì שלישי Terzo
Mercoledì רביעי Quarto
Giovedì חמישי Quinto
Venerdì שישי Sesto
Sabato שבת Sabato

Ciò accade anche in greco moderno, che vediamo in qualche modo collegato all’uso ebraico. Infatti i giorni della settimana vengono indicati come segue. (“Giorno” in greco è al femminile e quindi i numeri sono anche loro al femminile.)

 italiano greco Traduzione letterale
Domenica Κυριακή Del Signore
Lunedì Δευτέρα Seconda
Martedì Τρίτη Terza
Mercoledì Τετάρτη Quarta
Giovedì Πέμπτη Quinta
Venerdì Παρασκευή Sesta
Sabato Σάββατο Sabato

Cerchiamo adesso di capire quindi cosa dice esattamente qualche brano del Nuovo Testamento alla luce di queste considerazioni.

“Or Gesù, essendo risuscitato la mattina del primo giorno della settimana, apparve prima a Maria Maddalena, dalla quale aveva scacciato sette demoni”. (Marco 16:9)

Il brano di Marco risente dell’influenza semitica dell’ambiente nel quale è stato composto e parla di “primo giorno della settimana” come il giorno della resurrezione. Alla luce di quanto abbiamo detto potremmo tradurre questo passo meno letteralmente, ma in maniera più comprensibile per il lettore di lingua italiana, come segue:

“Or Gesù, essendo risuscitato di domenica mattina, apparve prima a Maria Maddalena…”

Luca 24:1 e Giovanni 20:1 parlano anch’essi di “primo giorno”.

 

Atti 20:7 è piuttosto significativo.

“Il primo giorno della settimana, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane, Paolo, dovendo partire il giorno seguente, parlava ai discepoli, e prolungò il discorso fino a mezzanotte.”

Anche questo brano potremmo tradurlo meno letteralmente.

“Di domenica, mentre eravamo riuniti per spezzare il pane…”

Si tratta di un primo importante riferimento all’uso delle chiese cristiane di riunirsi la domenica, il giorno della resurrezione del Signore Gesù.

Nell’Apocalisse di Giovanni, che possiamo immaginare composta qualche tempo dopo rispetto ai vangeli, troviamo il “primo giorno” chiamato “giorno del Signore”, Κυριακή.

Traduce così la Diodati Apocalisse 1:10:

“Io era in ispirito nel giorno della Domenica… (ἐν τῇ κυριακῇ ἡμέρᾳ)”.

 

Meno impegnativo, ma bello da segnalare, il caso di Giovanni 2:1.

Le traduzioni qui rendono il brano con “tre giorni dopo”, o qualcosa di simile. Ma non mi sento di essere del tutto d’accordo. Non vedo la parola “dopo” nel testo greco e se tradotto letteralmente esso dice “nel terzo giorno”.

Sembra un po’ innaturale che appena tre giorni dopo aver chiamato i suoi primi discepoli questi siano addirittura invitati con Gesù e la sua famiglia a delle nozze: “E Gesù pure fu invitato con i suoi discepoli alle nozze” (Giovanni 2:2)

Quindi, alla luce di quanto abbiamo detto finora, ciò potrebbe voler dire “di martedì”.

Sul sito ebraico https://www.myjewishlearning.com/ leggiamo.

“For much of Jewish history, the third day of the week (Tuesday) was considered an especially auspicious day for a wedding. This was so because, concerning the account of the third day of creation, the phrase “… and God saw that it was good” (Genesis 1:10,12) appears twice. Therefore, Tuesday is a doubly good day for a wedding.”

Tradotto in italiano: “per la maggior parte della storia ebraica, il terzo giorno della settimana (Martedì) era considerato di particolare auspicio per un matrimonio. Era dovuto al fatto che nel racconto del terzo giorno della creazione, la frase “…. e Dio vide che ciò era buono” (Genesi 1:10,12) compare due volte. Quindi, il Martedì è un giorno doppiamente buono per un matrimonio”.

https://www.myjewishlearning.com/article/time-place-for-a-jewish-wedding/

Ciò mi convince ulteriormente che Giovanni 2:1 debba leggersi nel seguente modo: “E di Martedì vi fu un matrimonio a Cana…”, ovvero, “e un martedì vi fu un matrimonio a Cana…”.

Le sfumature delle lingue originali della Bibbia sono davvero interessanti e l’intrecciarsi di ebraico e greco, ci fa comprendere come la Parola di Dio sia anche un meraviglioso fenomeno letterario, unico nel suo genere.

Sono graditi i vostri appunti, commenti e condivisioni.

Shalom

 

The Christian Counter

Matteo Capitolo 1

di Giuseppe Guarino

MATTEO Capitolo 1 – Gesù il Messia promesso

Continuiamo i nostri studi sugli originali (ebraico, aramaico e greco) della Bibbia. Rimaniamo ancora su Matteo.

Vorrei che questo studio che presento non venga visto come un sostegno per certe interpretazioni estreme ebraiche (cabalà) o, peggio, discipline esoteriche (numerologia). Come spesso constatiamo il diavolo scimmiotta e perverte meravigliose realtà della parola di Dio per sedurre e confondere. Ma se ci atteniamo alla Scrittura senza fantasticare ed andare oltre, non potremo mai sbagliare.

Matteo è intriso di cultura ebraica. Abbiamo visto il riflesso dell’uso semitico nel greco originale di Matteo e nelle traduzioni letterali già dal suo primo verso. Sembra un dettaglio di scarsa importanza. Non lo è affatto, invece. Perché più semitici sono i vangeli, più il loro testo dimostra:

1) La loro autenticità – provengono dal mondo ebraico dal quale la Chiesa si staccherà davvero solo dopo il 70 d.C.

2) La loro antichità – le date tradizionali sono oggi di nuovo le più attendibili, quelle che fanno risalire al periodo apostolico la loro composizione;

3) La loro attendibilità storica – screditata da chi è interessato in ogni modo a demolire in questo modo in maniera indiretta l’autorità spirituale della Parola di Dio.

Il capitolo 1 di Matteo è una noiosissima lista di nomi che spesso saltiamo – dai, siamo onesti! Le genealogie non sono lì per la lettura, comunque, ma per lo studio. Almeno una volta, però, meglio dargli un’occhiata; sebbene, oggettivamente, nella semplice lettura e meditazione quotidiana della Parola di Dio possono risultare di poca utilità. Eppure se il Signore le ha ispirate e volute parte della Bibbia deve esserci un motivo – E un motivo c’è!

Dopo aver elencato 42 “generazioni” fino a Gesù, scrive significativamente Matteo:

Così, da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni; da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni.” (Nuova Riveduta)

Quante volte abbiamo letto questi versi e ci siamo chiesti cosa davvero volesse dire Matteo? Io quasi ogni volta che aprivo le prime pagine del Nuovo Testamento. E siccome Dio risponde se noi chiediamo, tanto ho chiesto che mi ha risposto – ne sono convinto. La differenza fra chi comprende la Bibbia e chi non la comprende non è nell’intelligenza o nella sapienza umana che si possiede. Per questo quando apro la Bibbia mi affido totalmente a Dio, perché Egli non nasconde i significati della Sua Parola a chi lo ama.

Guardate nello stesso Vangelo di Matteo. Qual è la differenza fra i discepoli di Gesù e gli altri? Nella loro intelligenza o livello culturale? Non credo – sebbene non fossero degli stupidi ignoranti come alcuni a volte li dipingono. Loro si avvicinavano al Maestro e lo interrogavano, chiedevano, con fede, non come coloro che lo volevano solo mettere alla prova, ma con profondo amore ed un cuore aperto, per conoscere la volontà di Dio. Vedi Matteo 13.

Da Abramo, padre della nazione ebraica a Davide, primo re che unifica il regno e lo rende forte e stabile, vi sono 14 generazioni.

Attraverso Samuele Dio promette a Davide:

Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu riposerai con i tuoi padri, io innalzerò al trono dopo di te la tua discendenza, il figlio che sarà uscito da te, e stabilirò saldamente il suo regno. Egli costruirà una casa al mio nome e io renderò stabile per sempre il trono del suo regno. Io sarò per lui un padre ed egli mi sarà figlio; e, se fa del male, lo castigherò con vergate da uomini e con colpi da figli di uomini, ma la mia grazia non si ritirerà da lui, come si è ritirata da Saul, che io ho rimosso davanti a te. La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te e il tuo trono sarà reso stabile per sempre

Troviamo qui la promessa del futuro Messia (Unto, Cristo) che sarebbe venuto ed avrebbe regnato sul trono di Davide per sempre.

Forse per noi non è così semplice comprendere il fatto che alle lettere dell’alfabeto ebraico vanno associati dei numeri. Questo perché nella nostra lingua i numeri e le lettere sono distinti. Così non era in ebraico (e nemmeno in greco). Noi utilizziamo i numeri arabi per esprimere le cifre del nostro sistema decimale. In ebraico anche questo compito spettava alle ventidue consonanti che ne compongono l’alfabeto.

Come si scrive Davide in ebraico?

Come ho già evidenziato l’ebraico si legge da destra verso sinistra, ma proprio in questo caso ciò è ininfluente.

Andiamo a considerare il valore numerico delle singole lettere della parola e considerarne il valore complessivo.

ד (4) ו (6) ד (4)

4 + 6 +4 = 14

14 + 14 + 14 = 42. Dove troviamo questo numero altrove nella Scrittura?

1 Samuele 13:1 ci dice che 42 furono gli anni che regnò Saul. Quindi 42 ci parla del periodo di attesa fino alla comparsa di Davide come re – unto di Dio. Unto è la traduzione italiana della parola ebraica “Messia” e di quella greca “Cristo”.

Anche la lista delle generazioni da Abramo fino a Gesù dimostra che lui è il Messia promesso ad Israele! Matteo, il perfetto piano di Dio nella storia e lo Spirito Santo lo testimoniano: non vi è nessun altro che dobbiamo attendere, Gesù era colui che le Scritture annunciavano dalle prime pagine della Genesi (vedi Genesi 3:15).

Così, da Abraamo fino a Davide sono in tutto quattordici generazioni;

Fino alla comparsa del primo grande re di Israele trascorrono 14 generazioni

da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni;

Per 14 generazioni la stirpe di Davide regna, finché il popolo viene deportato in Babilonia.

e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni

Dopo quel evento nessun discendente davidico regna in Israele. Fino alla nascita di Gesù del quale diceva giustamente la scritta sulla croce: “Questo è Gesù, il re dei Giudei” (Matteo 27:37)

Traggo dal sito www.hebrew4christians.com la tavola dove viene specificato il valore numerico delle consonanti dell’alfabeto ebraico.

 

 

The Christian Counter

Matteo 1:1

MATTEO 1:1

clicca qui per leggere o scaricare il pdf dell’articolo

Sappiamo tutti che Matteo era un ebreo e, a giudicare dal suo status sociale, doveva anche essere un uomo di cultura. Ciò è in perfetta armonia con la meravigliosa opera letteraria che è il suo Vangelo.

Il vangelo di Matteo è giunto a noi in greco, ma ciò non è incompatibile con l’esistenza di un originale ebraico, del quale si parla dall’alba della storia della Chiesa. Vi è un Matteo in realtà presente nella tradizione ebraica, inserito e preservato in una confutazione medievale del cristianesimo da parte di un giudeo. Questo testo è stato pubblicato da George Howard tempo fa ed è davvero una ulteriore meravigliosa testimonianza dell’importanza storico – letteraria, oltre che religiosa, degli scritti biblici.

La cosa più emozionante della divina ispirazione della Bibbia è, a mio avviso, l’armoniosa collaborazione dello Spirito Santo con l’autore biblico, che, se guardiamo il testo biblico senza pregiudizi, compare nelle pagine della Sacra Scrittura in maniera così evidente. Non è stata una dettatura meccanica, ma un meraviglioso confluire del divino nell’umano.

Matteo 1:1 è talmente intriso di cultura ebraica da mettere in imbarazzo i traduttori. Infatti, si ricorre a diverse soluzioni.

DIODATI: LIBRO della generazione di Gesù Cristo, figliuolo di Davide, figliuolo di Abrahamo. 

 NUOVA DIODATI: Libro della genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abrahamo.

 CEI: Genealogia di Gesù Cristo figlio di Davide, figlio di Abramo

 NUOVA RIVEDUTA: Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo

La traduzione letterale è quella della Diodati e della Nuova Diodati. Le altre cercano di rendere il testo più comprensibile al lettore italiano.

Ma cosa vuol dire “Libro della generazione”, ovvero della “genealogia”. Questa frase, nella sua letteralità, significa poco in italiano. Lo stesso vale per il testo originale greco a dire il vero. Per comprenderne il senso appieno dobbiamo guardare l’Antico Testamento.

Genesi 5:1

“Questo è il libro della genealogia di Adamo (Nuova Riveduta)

“Questo è il libro della discendenza di Adamo” (Nuova Diodati)

La parola che traduciamo nella nostra lingua con “libro” corrisponde ad un vocabolo ebraico (סֵפֶר, sefer) che ha un significato senz’altro più ampio. Dobbiamo quindi in questo caso evitare di associare “libro” all’immagine cui inevitabilmente rimanda questa parola nella nostra lingua oggi. Del resto i “libri”, come li conosciamo noi, nell’antichità non ne esistevano.

Cosa implichi l’espressione “libro della generazione” nella Genesi è oggetto di dibattito e non è del tutto chiaro. Ciò, però, ha poca rilevanza per la nostra discussione ed in questo contesto. Qui, infatti, ci basta la consapevolezza del gusto del tutto ebraico dell’affermazione di Matteo, un’affermazione che volutamente vuole riagganciarsi all’ebraico ed alla Torah. Forse non è un caso che la prima volta che l’espressione che egli usa si rinvenga proprio in Genesi 5:1, dove si parla della discendenza di Adamo: l’evangelista infatti sta elencando gli ascendenti del “nuovo” Adamo, Gesù Cristo.

Nella seconda parte del verso è chiaro che “figlio di Davide” è da intendersi come “discendente di Davide” e lo stesso vale per “figlio di Abraamo”. La stessa espressione la troviamo diverse volte nei vangeli. Qualche verso più avanti lo stesso Giuseppe è chiamato “figlio”, discendente, di Davide in Matteo 1:20.

L’autentico significato della parola “figlio” utilizzata in questo contesto non è da cercarsi nelle lingue indo-europee, dove “figlio” indica solo un rapporto di diretta discendenza, bensì nel sostrato semitico (ebraico) della Bibbia, vivo e vegeto anche nel Nuovo Testamento. Diversi gli esempi da addurre. Per citarne i più eclatanti: Mt 3:9, 5:9, Gv 8:39, 8:44, 2 Tess 2:3, e molti altri. Per non parlare del titolo messianico di “figlio dell’uomo”!

È davvero significativo il dialogo di Gesù con i religiosi del suo tempo.

Essendo i farisei riuniti, Gesù li interrogò, dicendo: “Che cosa pensate del Cristo? Di chi è figlio?” Essi gli risposero: “Di Davide”. Ed egli a loro: “Come mai dunque Davide, ispirato dallo Spirito, lo chiama Signore, dicendo: “Il Signore ha detto al mio Signore: ‘Siedi alla mia destra finché io abbia messo i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?'” Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?” E nessuno poteva replicargli parola; da quel giorno nessuno ardì più interrogarlo.” (Matteo 22:41-46)

Gesù non era infatti soltanto un discendente della stirpe regale di Davide, ma anche la Parola fatto uomo, Dio incarnato, ed è per questo che già dall’Antico Testamento il Messia è chiamato Signore.

Abbiamo appena cominciato. Negli articoli a venire discuteremo di altri meravigliosi e profondi significati nascosti nelle lingue originali della Bibbia.

Se avete dei quesiti, sarò ben lieto di rispondervi, per quanto mi sarà possibile.

________

Matteo 1:1 in originale greco

Βίβλος γενέσεως ᾿Ιησοῦ Χριστοῦ, υἱοῦ Δαυΐδ, υἱοῦ ᾿Αβραάμ

In una traduzione in ebraico (che si legge da destra verso sinistra)

זֶה סֵפֶר תּוֹלְדֹת הַמָּשִׁיחַ יֵשׁוּעַ בֶּן־דָּוִד בֶּן־אַבְרָהָם׃

Giuseppe Guarino

Birkirkara, 6 febbraio 2020

 

The Christian Counter

L’insegnamento di Gesù e la fede ebraica

di Giuseppe Guarino

La revisione delle idee dei rapporti fra fede giudaica e cristianesimo è relativamente recente. Una migliore e più concreta comprensione del senso della missione e degli insegnamenti di Gesù passa per l’accettazione del Gesù ebreo, fedele all’insegnamento ed a sua volta rabbi ed interprete della Torah.

Il tempo sta sempre più rivelando l’infondatezza delle posizioni di chi si prodiga per screditare la fede cristiana tradizionale. L’assenza di una concreta alternativa sta, però, sempre più avvalorando l’attendibilità storica degli eventi che riguardano la vita di Gesù ed i suoi insegnamenti come li rinveniamo nel Nuovo Testamento.

Etichettare Gesù come esseno significa non avere compreso il senso del suo insegnamento ed aver fatto dell’essenismo una struttura statica ed uniforme, cosa che non era. Un doppio errore fatale.

L’insegnamento degli esseni, la dottrina dei farisei, dei sadducei e delle altre fazioni ebraiche non può inquadrarsi all’interno di rigidi schemi ma vedersi all’interno della realtà ad ampio respiro e variegata che era il giudaismo del primo secolo. In parole povere, non possiamo vedere l’esclusivismo proprio delle varie espressioni  di fede cristiana come un fenomeno che aveva dei paralleli all’interno della fede ebraica del secondo tempio.

La semplice devastante realtà è che la corrispondenza del pensiero di Gesù con quello degli esseni era altrettanto inevitabile quanto il suo condividere molte posizioni dei farisei o di altre fazioni del giudaismo, per il semplice fatto che tutte queste poggiavano sullo stesso principio sul quale si basava anche il “rabbi” Gesù: l’autorità della Torah e delle Scritture ebraiche in genere.

Gesù si sarà trovato diverse volte a favore dell’insegnamento farisaico contro quello del partito dei sadducei; ma si trattava di una questione incidentale e non un segno di appartenenza. Il Signore infatti non esitava a censurare scribi e farisei, contestando senza mezzi termini l’ipocrisia e l’inutile ritualismo che essi promuovevano e che sostanzialmente finiva per prendere il posto di un’autentica, sincera spiritualità.

Gesù avrà condiviso alcune posizioni degli esseni quando questi riprendevano legittimamente alcuni punti della fede ebraica, trascurati dalle altre fazioni del tempo o dal giudaismo in genere. Ma di sicuro non era un esseno, visto il modo in cui il suo insegnamento si discostava dal loro. Gesù condivideva la sua tavola con i peccatori ed era a suo agio a circondarsi di ogni genere di persone. Ciò è incompatibile con l’essenismo. La polemica di Gesù si faceva addirittura diretta quando condannava apertamente l’odio per i nemici – promosso invece dall’essenismo qumraniano.

Gesù era dunque  promotore di un insegnamento nuovo ma comunque profondamente ebraico. Inquadrare Gesù all’interno di una qualsiasi delle fazioni religiose del suo tempo significa disconoscere la profonda unicità del suo insegnamento. Scorporalo dal tempo storico in cui egli ha vissuto significa d’altra parte rinnegare il senso del Dio che si fa uomo, dell’incomprensibile che si rivela, dell’eterno che indossa tempo e spazio per parlare all’uomo nel linguaggio dell’uomo.

Per spiegare il senso della Rivelazione definitiva di Dio in Cristo, le Scritture affermano: “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti,  in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi.Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi.” (Ebrei 1:1-3 – Nuova Riveduta)

C’è qualcosa di incredibilmente nuovo nell’insegnamento di Gesù rispetto ai suoi predecessori. Ma questo “nuovo” non è meno scritturale. Non vi è infatti nulla di ciò di cui parla il Nuovo Testamento che non sia profondamente radicato nell’Antico. Infatti gli apostoli annunciavano Gesù come Messia alla luce delle Scritture ebraiche. Anche oggi gli ebrei convertiti a Cristo adoperano la Tanakh per rivendicare il senso della loro fede nel Messia, storicizzata in Gesù di Nazareth.

Il Nuovo Testamento non serviva agli ebrei, ma ai Gentili; per questo venne scritto in greco e conobbe la sua diffusione fra le chiese al di fuori dell’ambito della cerchia giudaica. Forse Matteo fu l’unico resoconto in lingua originale ebraica tendente a dimostrare direttamente al popolo israelita la messianicità di Gesù.

Contro tendenze e convenienze, storiche ed intellettuali; contro il sensazionalismo, la fede cristiana prende oggi una migliore coscienza di sé, patrimonio a suo tempo già comunque della Chiesa primitiva.

L’approccio al Vangelo  – l’annuncio cristiano – e a Gesù deve tenere presenti due loro importanti caratteristiche: ebraicità ed universalità. Se abbracciamo l’ebraicità del messaggio cristiano soltanto rischiamo di essere animati dal semplice – e semplicistico – desiderio di trasformarci in ebrei. Abbracciare però soltanto l’universalità del messaggio evangelico senza la consapevolezza di quanto le sue radici siano profondamente ebraiche, ci farà perdere di vista da dove veniamo e dove stiamo andando.

Gesù non era un esseno, fariseo o sadduceo; egli era ebreo, nel senso religiosamente più profondo che può assumere questo termine. Ciò implicava il sostanziale accordo con alcuni aspetti del giudaismo del secondo tempio, ma anche il radicale disaccordo con i punti dove questo si era distaccato dalla purezza dell’insegnamento della Torah e dalla traccia lasciata dai profeti.

Gesù interpreta e vive l’ebraismo in maniera definitiva ed autorevole, segnando la fine di un’era e l’inizio di qualcosa di straordinariamente nuovo: il cristianesimo. L’autorità dell’Antico Testamento non è disconosciuta nel Nuovo, ma l’annuncio della morte e resurrezione del Maestro ed il suo prossimo ritorno diventano l’essenza dell’ Evangelo, della buona notizia, che eclissa ogni polemica e richiama la nostra attenzione sull’invito di Dio rivolto adesso ad ogni uomo, affinché accetti il Suo Amore in Cristo Gesù, nostro Signore e Salvatore.

Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore” (Giovanni 10:16).

 

Per approfondimenti,

RADICI EBRAICHE DELLA FEDE CRISTIANA di Giuseppe Guarino

E’ importante non  trascurare le radici ebraiche del cristianesimo. Questo libro rifiuta certi estremismi di alcuni,  ma invita ad attingere con sobrietà alla lingua ed alla cultura ebraiche per una migliore interpretazione del Nuovo Testamento ed una più completa comprensione di alcuni eventi lì descritti.

clicca sulla copertina o sui link per acquistare il libro.

Formato copertina flessibile: www.amazon.it/dp/B0BYB931M7