Tag Archives: Dio

In principio… Giovanni 1:1-18

di Giuseppe Guarino

Scarica qui il pdf dell’articolo  In principio… Gv 1,1-18

Non è facile tradurre. Bisogna valutare molte cose prima di stabilire che metodo adottare, valutando i destinatari del proprio lavoro, innanzi tutto e poi se si tratta di un testo che andrà ad essere utilizzato per la semplice lettura o per lo studio.

Il mio nuovo libro “IN PRINCIPIO…” è uno studio sul prologo di Giovanni. Ecco la versione che proporrò – soggetta ancora ad essere rivista. Ho tradotto cercando di far comprendere al lettore italiano del XXI secolo le sfumature del testo greco e del sostrato ebraico. Cosa non facile e che può anche esporre a critiche, dovendo qua e là fare delle scelte che vanno oltre la letteralità del testo. In particolare, è noto l’uso della congiunzione “e” in ebraico, che ha un senso molto più ampio della nostra semplice congiunzione. Il testo greco risente di questo semitismo. Nella nostra lingua non iniziamo mai delle frasi con “e”, ma in ebraico questa è una consuetudine. Noi preferiamo alternare “quindi”, “allora”, “comunque”, ecc. La “e” compare circa 17 volte in 18 versi. Si tratta di un uso che in italiano non ha paralleli. Se invece apriamo il libro della Genesi in ebraico, o anche nelle sue traduzioni letterali, troveremo la “e” all’inizio di quasi ogni frase. Questo ho cercato di smussarlo nella traduzione. Altri dettagli li discuto di seguito, dopo la traduzione.

GIOVANNI 1:1-18.

“In principio era Colui che è la Parola

Egli era con Dio

ed era Dio.

Egli era in principio con Dio.

Tutto è stato creato tramite Lui e senza Lui nulla sarebbe venuto all’esistenza di ciò che è stato creato.

In Lui era la Vita e la Vita era la luce degli uomini.

La luce splende nelle tenebre perché le tenebre non la possono sopraffare.

Vi fu un uomo, mandato da Dio, il cui nome era Giovanni. Egli venne per testimoniare della Luce, affinché tutti credessero per mezzo di lui.

Egli non era la Luce, ma era stato inviato affinché testimoniasse della Luce.

Colui che è la Luce vera, che illumina tutti gli uomini che vengono al mondo, era.

Era nel mondo,

il mondo è stato creato per mezzo di Lui,

ma il mondo non lo ha conosciuto.

Venne quindi ai suoi,

ma i suoi non l’hanno ricevuto.

Ma a coloro che l’hanno ricevuto, i quali credono nel suo nome, Egli ha dato l’autorità di essere figli di Dio. Costoro non da sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo, ma sono generati da Dio.

Colui che è la Parola si è incarnato ed ha dimorato fra noi. Noi abbiamo osservato la Sua gloria, quella dell’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e verità.

Giovanni ha testimoniato di Lui gridando: “Egli è colui del quale io vi dissi: ‘Colui che viene dopo di me, ma ha la precedenza su di me, perché era prima di me’”.

Tutti abbiamo ricevuto dalla sua Pienezza, grazia su grazia. Perché la Legge è stata data tramite Mosè, ma la Grazia e la Verità per mezzo di Gesù Cristo.

Dio non lo ha visto mai nessuno. Il Figlio unigenito che è nel seno del Padre (è la Parola che) lo ha rivelato”.

 

Discuto brevemente delle mie scelte, in maniera da poter raccogliere qualche commento che mi aiuti nella stesura del mio libro, per rendere un servizio migliore al corpo di Cristo.

 

Ho tradotto: Colui che è la Parola

Il problema che incontra ogni traduttore nella versione della parola greca logos, è che essa è al maschile in greco, ma al femminile in italiano. Il problema nasce dal fatto che poi, per conseguenza, passare al pronome soggetto maschile usato nelle frasi che seguono riferite al logos crea un errore grammaticale in italiano, anche se il brano è troppo noto per mandare fuori strada il lettore. Buona la soluzione della Nuova Diodati, che cerca di aggirare l’ostacolo. Io ho preferito sfruttare l’occasione portami dalla presenza dell’articolo davanti a logos, ho, ed ho tradotto Colui (ho) che è (sottinteso) la Parola (logos).

 

Ho tradotto: Tutto è stato creato tramite Lui

Sembra interessare poco gli autori biblici di incorrere in ripetizioni, che invece suonano piuttosto male nella nostra lingua. Ho alternato “tramite” a “per mezzo di” proprio per evitare una ripetizione.

 

Ho tradotto: La luce splende nelle tenebre perché le tenebre non la possono sopraffare.

Qui ho osato dare un significato tutto semitico ad “e”, traducendo con “perché”. Credo che ci possa stare.

 

Ho tradotto: ma era stato inviato affinché…

Ho cercato di mettere in grassetto le parole che palesemente non vi sono nel testo originale ma che possono chiarire il senso di una frase nella nostra lingua.

 

Ho tradotto: ma il mondo non lo ha conosciuto.

Vorrei trovare un verbo o una espressione più adatta che semplicemente “conosciuto”, che è la traduzione letterale del verbo, ma non trasmette l’idea dell’originale. Vi è infatti in greco più di un modo per esprimere il “conoscere”. Giovanni stesso è molto attento nei suoi scritti ad usare l’uno o l’altro termine disponibile in greco. Mi ripropongo di valutare se posso utilizzare un altro vocabolo senza passare dalla traduzione alla parafrasi del testo.

 

Ho tradotto: Venne quindi ai suoi

Ho cercato di evidenziare ulteriormente un crescendo che mi sembra evidente.

 

Ho tradotto: non da sangue, né per volontà della carne, né per volontà d’uomo

Credo che queste espressioni siano intrise di cultura ebraica, e mirano a togliere ogni dubbio che solo Dio può fare di noi dei figli di Dio: “non si eredita, non è per appartenenza, né perché lo decide un uomo”, è questo il senso delle parole di Giovanni – ma mi discosterò così tanto dal testo solo nelle note, per non scadere, come ho detto prima, in una parafrasi del testo.

 

Ho tradotto: Colui che è la Parola si è incarnato ed ha dimorato fra noi

Menomale che in italiano esiste il verbo “incarnarsi” che può rendere in maniera meno oscura il letterale “si è fatto carne”. Anche qui ho tradotto ho logos con “colui che è la Parola”.

 

Ho tradotto: Il Figlio Unigenito che è nel seno del Padre (è la Parola che) lo ha rivelato

Come ho ampiamente giustificato nelle mie varie pubblicazioni, prediligo senza remore il testo Maggioritario. Qui esso si traduce con grande semplicità “Figlio Unigenito”. Non invidio i sostenitori del testo alternativo – ne esistono un paio di versioni, con e senza articoli – che, a mio avviso, non ha senso ed è solo una corruzione gnostica del testo originale.

Aggiungo “è la Parola che” prima di “lo ha rivelato” perché non so trovare un termine che traduca il greco senza fare perdere il senso della frase. Esso infatti letteralmente corrisponde a “dichiarato”, si tratta di una rivelazione verbale, perché fa riferimento alla “Parola” iniziale, al logos, che, appunto, rivela Dio, lo rende visibile e comprensibile.

 

Nel libro proporrò anche una traduzione interlineare ultra letterale, con note testuali e approfondimenti sulle parole in greco.

 

 

 

La lingua del Nuovo Testamento

di Giuseppe Guarino

Secondo i criteri di datazione che ho già proposto altrove, sono convinto che i libri che fanno parte del Nuovo Testamento furono scritti tutti entro il I secolo d.C. in quella forma di greco koinè che ho già definito come greco biblico.
E’ vero che in quel periodo l’impero romano dominava da tempo tutte le terre che si affacciavano sul Mediterraneo, ma la sua potenza militare non era riuscita a spodestare la cultura e la lingua greche. Come la caduta dell’impero britannico non ha significato la fine della diffusione della lingua e cultura inglese – che continua inarrestabile – anche nel mondo antico, con la morte di Alessandro Magno, il grande promotore dell’ellenismo nel mondo, lo smembramento del suo vastissimo impero prima e l’inarrestabile e sistematica conquista romana poi, non riuscirono a porre fine al dominio mondiale della cultura greca.
Già nel III secolo a.C., in Egitto, sotto la dinastia (greca) dei Tolomei, si era cominciato a tradurre la Bibbia ebraica in greco. Questa versione fu detta – e tale nome rimane fino ad oggi – dei Settanta (LXX), ovvero Septuaginta, a motivo del numero (fra storia e leggenda) dei traduttori originari del Pentateuco.
In quale greco venne approntata questa antica versione?
La lingua greca forniva almeno due possibilità di scelta. La prima era quella del greco classico, l’elegante ma rigido linguaggio letterario; la seconda era quella del greco Koiné, il greco parlato, più pratico e meno retorico, meno rigido, più fluido ed aperto all’innovazione ed al cambiamento – come sono di solito le forme colloquiali di tutte le lingue.
La scelta della versione dei LXX ricadde sul Koiné.
Ancora oggi la Settanta è oggetto di particolare studio ed offre spunti di riflessione sulla terminologia greca proposta per interpretare le parole ed i fatti della fede ebraica.
Il mandato di Gesù agli apostoli era diffondere la buona notizia della salvezza a tutto il mondo.

“Andate dunque e fate miei discepoli tutti i popoli battezzandoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.” (Matteo 28:19)

” … mi sarete testimoni in Gerusalemme, e in tutta la Giudea e Samaria, e fino all’estremità della terra.” (Atti 1:8)

La cosa più ovvia era che gli apostoli ed i loro discepoli ripiegassero sull’utilizzo del greco per le Scritture sacre della nuova fede, in modo da poterne assicurare la diffusione e la lettura al di fuori della cerchia ristretta del mondo ebraico.
Anche per la composizione del Nuovo Testamento, la scelta non ricadde su una lingua colta e sofisticata, ma su un linguaggio che rendeva accessibile e chiaro il messaggio evangelico. Continuando il percorso già felicemente inaugurato dalla LXX, le Scritture cristiane furono scritte in Koiné.
Ovviamente il Nuovo Testamento, da un punto di vista squisitamente letterario, non è opera di un solo scrittore. Purtroppo nelle sue versioni in italiano, l’intervento determinante del traduttore – sostanzialmente, sebbene non in maniera premeditata – uniforma lo stile dei singoli libri che lo compongono. Leggendolo invece nell’originale greco, questa omogeneità non si riscontra affatto. Mettendo Marco a confronto con Giovanni, è evidente la netta differenza di stile e di linguaggio. Paolo, poi, è ancora diverso. Per non parlare di Luca, la cui introduzione al vangelo è scritta in un greco piuttosto sofisticato – anche questo favorì la popolarità della sua opera presso alcune fazioni gnostiche avverse all’ebraismo.
Tutti gli autori del Nuovo Testamento – mi sento di dire, quindi, anche l’Autore dietro gli autori che è lo Spirito Santo – hanno rinunciato agli schemi fissi, alla retorica artificiosa della lingua letteraria, preferendo la vitalità ed immediatezza della lingua parlata.
Le ripercussioni di tale scelta sono state stupefacenti e le sperimentiamo quotidianamente nella lettura della Parola di Dio, nel modo in cui la comprendiamo e viviamo.
Il greco del Nuovo Testamento è quindi semplice e chiaro, ma non elementare o banale: non è sofisticato, perché vuole innanzi tutto comunicare; ma non rinuncia ad esprimere una propria identità e quelle caratteristiche che ne fanno un fenomeno letterario di tutto rispetto.
Vale la pena evidenziare il felice connubio fra cultura ebraica e lingua greca. Per quanto riguarda invece le influenze della cultura greca su quella ebraica, le idee sono state diverse in vari ambienti ed in vari periodi storici. Alcuni hanno attribuito un ruolo preponderante al senso del contributo greco – a mio avviso immotivatamente: l’ebraismo non disconosceva di fatto i meriti del mondo greco e accettava il valore della sua lingua, ma non era certamente pronto a soccombere ai suoi schemi culturali. La tradizione ebraica era troppo forte e troppo sicura della propria identità ed eredità perché potesse facilmente cedere ad influenze esterne.
Ecco quindi che il linguaggio della LXX e quello del Nuovo Testamento, suo logico prosieguo, è allo stesso tempo semplice, ma innovativo: chiaro, ma vivo e stimolante.

La parola greca “agape” (in alfabeto greco: αγαπη), famosa anche al di fuori della cerchia di chi studia il greco biblico, è propria della traduzione dei LXX e del Nuovo Testamento: non la si trova infatti nel greco classico.

La famosa parola greca “zoe” (ζωη) che significa “vita”, è stata adottata dalla Bibbia, in particolare dal Nuovo Testamento e dagli scritti di Giovanni, per ricevere connotati più definiti e specifici di quanto il termine greco in sé non intendesse originariamente comunicare. E’ incredibile come un vocabolo colloquiale sia stato arricchito di significato al punto da reinventarlo quasi del tutto, mantenendo soltanto la riconoscibilità della sua forma, per trasmettere dettagli nuovi e meravigliosi. L’uso giovanneo della parola “zoe”, “vita” in particolare, le dona connotati di una profondità spirituale davvero notevole.

Un vocabolo degno di nota particolare è quello che troviamo nell’Apocalisse: “pantokrator” (παντοκράτωρ), cioè “onnipotente”. Il contesto in cui esso viene utilizzato è solenne, in armonia con la forza di un’espressione di questo genere. Al di fuori dell’Apocalisse, il Nuovo Testamento lo riporta soltanto in 2 Corinzi 16:18.

“Io sono l’alfa e l’omega”, dice il Signore Dio, “colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente”. (Apocalisse 1:8)

Giovanni prese in prestito la parola “pantokrator” dai brani dell’Antico Testamento dove i LXX avevano reso così l’espressione ebraica che le nostre Bibbie traducono in italiano “SIGNORE degli Eserciti” ovvero “Eterno degli Eserciti”.
In Nahum 2:13, ad esempio, la LXX riportava Kyrios Pantokrator (κύριος παντοκράτωρ), letteralmente: “Signore Onnipotente”.
Perché questa scelta da parte dei traduttori in greco dell’Antico Testamento?
Pantokrator “(che pure è stato usato per tradurre Sebaoth anche nei libri più antichi) interpreta l’espressione nel significato più universale: non nel significato originario di <<Dio degli eserciti (di Israele)>>, che dà al suo popolo la vittoria sui nemici, bensì nel senso di <<Dio dominatore di tutte le potenze terrestri e celesti.>> […] l’evoluzione di significato dell’espressione ebraica Sebaoth ha la sua continuazione nella parola greca, che fu scelta per tradurlo (o addirittura coniata a questo scopo) …” – Orsolina Montevecchi, Bibbia e papiri, Luce dai papiri sulla Bibbia greca, pag. 39. Le affermazioni di questa studiosa gettano luce sul fenomeno della cultura religiosa ebraica che si spinge al di fuori dei suoi confini, per divenire la cultura propria di chiunque voglia avvicinarsi alla fede del Dio unico ebraico.
In questo contesto non sarà inopportuno notare un ulteriore dettaglio nelle parole dell’Apocalisse: quando Giovanni si riferì a Dio come Colui “che è, che era e che viene”, esprimeva una valenza – evoluzione universalistica di un termine ebraico, simile a quella che ha portato alla nascita ed uso di “pantokrator”. Giovanni conosceva il Tetragramma, YHVH (in ebraico ), il Nome di Dio rivelato a Mosè nell’Antico Testamento, ma anziché proporlo nell’originale, preferì trasmetterne il significato al lettore di lingua greca.
Le quattro consonanti ebraiche vengono così vocalizzate nel testo Masoretico, : aggiungendo semplicemente le vocali alla sequenza delle consonanti, avremo nel nostro alfabeto YeHoVaH.
In proposito Asher Intrater, ebreo messianico, dice qualcosa che può spiegare il perché delle parole dell’apostolo Giovanni: “Aggiungendo le vocali “e”, “o”, “a” alle consonanti YHVH, si ottiene il nome YeHoVaH. In questa struttura verbale, la “e” (sh’va) indica il tempo versale futuro, la “o” (holom) il presente e la “a” (patach) il passato, dando al nome YeHoVaH il significato di “Egli sarà, Egli è, Egli era”: in altre parole, l’Eterno”. Asher Intrater, “Chi ha pranzato con Abrahamo?”, edizioni Perciballi, novembre 2012, p. 162.
Potremmo quindi ipotizzare che Giovanni stesse letteralmente traducendo ed universalizzando l’espressione ebraica יהוה צבאות (Adonai Sebaoth) tradotta di solito nell’Antico Testamento “Signore degli Eserciti”.

Molto importante per la corretta lettura del senso dell’incarnazione del Figlio di Dio, è la comprensione del termine greco Logos (Λόγος) – utilizzato nell’originale greco del Vangelo di Giovanni. Di solito questo viene tradotto “Parola” dai protestanti mentre i cattolici preferiscono “Verbo”, seguendo la lezione dell’antica versione latina della Bibbia.

“Nel principio era la Parola, la Parola era con Dio, e la Parola era Dio.” (Giovanni 1:1)

Si tratta di un vocabolo importante perché nel mondo della filosofia greca il concetto di Logos era già esistente quando Giovanni scriveva il suo Vangelo. Ma ciò non deve indurre a cadere nell’errore di immaginare che l’apostolo si ispirasse a concetti estranei al mondo ebraico: anche qui, una terminologia presa in prestito dalla lingua greca, esprime un concetto profondamente semitico. Gli antichi scrittori cristiani di lingua greca – come Giustino (nel II sec. d.C.) – hanno colto l’occasione per esprimere il senso dell’incarnazione ai non ebrei, proprio sfruttando questa somiglianza fra il Logos greco e quello neotestamentario.

Nulla accade per caso, ne sono profondamente convinto. La lingua ebraica è nata e cresciuta con la fede nel Dio unico ed è per questo che esprime meglio di ogni altra il linguaggio delle cose di Dio. Quella greca aveva raggiunto una grande diffusione ed una maturità perfetta proprio nel momento in cui venne a contatto con l’Antico Testamento: nelle mani giuste, permise di esprimere al meglio qualsiasi tipo di concetto, dal più concreto al più astratto. Divenne la lingua della Settanta prima e del Nuovo Testamento poi, il perfetto veicolo attraverso il quale la fede in Cristo poté essere diffusa in tutto il mondo.
 




Prassi ebraica nel Nuovo Testamento

La prassi ebraica della circonlocuzione del Nome divino e il Nuovo Testamento.

Chi ha letto gli articoli ed il libro che ho scritto sull’argomento sa che i miei studi mi hanno ormai portato a maturare la convinzione che il Tetragramma non fosse parte degli autografi del Nuovo Testamento. Vi sono, infatti, poco più che mere supposizioni e deduzioni dalla parte di chi lo ritiene possibile, ma prove oggettive ed unanimi dalla parte di chi è contro una tale eventualità.

Eppure, io sono convinto che l’utilizzo di una lingua che non sia quella madre difficilmente potrà non risentire della mentalità natia di chi vi si cimenta. A volte mi imbatto in degli scritti in inglese che sono così chiaramente opera di italiani, che di italiano hanno proprio tutto tranne la lingua: la costruzione delle frasi, la scelta dei vocaboli, ecc…, rimangono profondamente legati alla cultura e lingua italiane. Tomasi di Lampedusa scriveva in italiano, ma le sue continue revisioni del Gattopardo miravano ad epurare la sua opera dai sicilianismi che originavano involontariamente nel testo a causa della sua cultura.

La dipendenza dalla mentalità ebraica degli autori del Nuovo Testamento è riscontrabile nei cosiddetti ebraismi, o semitismi: espressioni verbali in greco palesemente dipendenti dalla lingua e dal pensiero ebraico dell’autore.

Se così è, voglio cercare di spingere l’analisi del Nuovo Testamento greco nella direzione della ricerca della prassi ebraica del I secolo che impegnava gli Ebrei nella ricerca di circonlocuzioni  che permettessero di evitare l’utilizzo del Nome veterotestamentario di Dio.

Perché appurare un tale fatto può essere importante? Perché può contribuire ai fattori che attestano l’antichità ed ebraicità del testo del Nuovo Testamento. E’ infatti praticamente impossibile che certi comportamenti siano originati da ambienti al di fuori dell’ebraismo e ciò, se teniamo conto che la distruzione del tempio segna un po’ la fine della Chiesa ebraica, riunita in Gerusalemme come luogo stesso di nascita della comunità cristiana.

“La normale procedura dello scriba di Qumran era scrivere il Tetragramma liberamente quando si copiavano i manoscritti biblici, ma nei commentari biblici quali 1QpHab, 1QpZeph, ecc., dove vi è una citazione biblica … seguita da un commentario, lo scriba scriveva il Tetragramma soltanto nella citazione, ma nel commentario egli scriveva la parola אל, (Nel nostro alfabeto: El) cioè “Dio”. George Howard, The Tetragram and the New Testament, Journal of Biblical Literature, 96/I (1977), p. 66.

Se ravvisiamo questa stessa prassi nel NT, allora abbiamo un’ulteriore conferma della sua antichità. Chi ad esempio immagina che gli scritti neotestamentari siano un prodotto tardo della Chiesa ormai totalmente in mano ai Gentili, deve arrendersi all’evidenza che da troppe prospettive l’antichità degli scritti apostolici è dimostrata dalla chiara assonanza con i documenti del periodo nel quale la loro composizione è stata sostenuta dalla tradizione della comunità cristiana.

Il Nuovo Testamento è stato scritto in greco, ma vi è una tradizione manoscritta che ci tramanda un testo ebraico di Matteo. L’ho già citato nel capitolo precedente. E abbiamo già rilevato come il comportamento nell’uso del Tetragramma sia in perfetta armonia con la prassi della comunità di Qumran.

Attraverso uno studio statistico delle occorrenze dei nomi sacri, mi sono convinto che una tale prassi è perfettamente riscontrabile anche nel Nuovo Testamento sebbene scritto in greco, grazie a quella dipendenza dagli schemi linguistici e tradizionali tipici dalla cultura ebraica.

Facciamo parlare i numeri e quanto sto dicendo apparirà chiaro da sé.

Per i dati statistici ho utilizzato il software biblico e-swordfreeware disponibile sul sito www.e-sword.net La traduzione biblica cui faccio riferimento è la Nuova Riveduta edizione del 1994.

LIBRO o PORZIONE DELLA SCRITTURA OCCORRENZE DEL TETRAGRAMMA OCCORRENZE PAROLA “DIO”
Pentateuco 1934 810
Isaia 500 138
Geremia 736 127
Ezechiele 445 253

Nell’Antico Testamento, principalmente nei libri dei profeti maggiori e nel Pentateuco, la preferenza per l’utilizzo del Tetragramma rispetto all’alternativa generica “Dio” è evidente.

A Qumran abbiamo visto che il Tetragramma veniva riportato nelle citazioni dell’Antico Testamento, ma nei commenti la circonlocuzione “Dio” veniva utilizzata come sostituto.

Se vediamo le statistiche dell’epistola agli Ebrei ci renderemo conto che questa è anche la prassi neotestamentaria, talmente evidente da essere visibile anche attraverso il greco e la sua traduzione in italiano.

  NOME SACRO NUMERO OCCORRENZE
Dio 83
Figlio 16
Gesù 16
Cristo 13
Signore (il Padre) 11
Padre 5
Signore (il Figlio) 5

Come vediamo la prassi, la tendenza, è invertita rispetto all’Antico Testamento. Se immaginiamo che Kyrios, Signore, riferito a Dio Padre potrebbe rappresentare il Tetragramma e che comunque ciò sarebbe incorporato nelle citazioni veterotestamentarie o nei diretti riferimenti alle espressioni ebraiche che lo incorporano, quanto affermo è presto dimostrato: la parola “Dio” è presente nel testo oltre sette volte più di “Signore”, che corrisponde al Tetragramma nell’originale ebraico cui fa riferimento il testo.

Ebrei è un’eccezione? Vediamo un altro esempio.

Marco è molto semitico. Di greco ha veramente solo l’aspetto. Carmignac lo ha sottolineato e dimostrato abbondantemente ed io l’ho citato in questo senso. Vediamo i dati statistici di questo vangelo sull’utilizzo dei nomi sacri.

NOME SACRO NUMERO OCCORRENZE
Gesù 151
Dio 52
Figlio 36
Signore (citazioni dall’A.T.) 7
Cristo 7
Signore (il Figlio) 6
Padre 5
Signore (il Padre) 2

Delle 9 volte che il libro chiama Dio col termine generico di “Signore”, 7 sono citazioni dall’Antico Testamento. La proporzione fra la frequenza della parola Signore e quella “Dio” è schiacciante a favore di quest’ultima.

Prendiamo ancora ad esempio due scritti di Paolo indirizzati a credenti di lingua e cultura greca: la prima e la seconda epistola ai Corinzi.

  NOME SACRO TOTALE OCCORRENZE 1 Corinzi 2 Corinzi
Dio 187 107 80
Cristo 111 64 47
Signore (il Figlio) 87 64 23
Gesù 46 27 19
Signore (il Padre) 11 5 6
Padre 6 3 3
Figlio 3 2 1

 

Il risultato è evidente nel rapporto Dio – Signore rispettivamente di 187 a 11.

L’esame dell’epistola ai Galati è addirittura sorprendente

  NOME SACRO NUMERO OCCORRENZE
Cristo 38
Dio 30
Gesù 16
Signore (il Figlio) 5
Figlio 4
Padre 4

 

Il tema di Galati è volutamente trattato in maniera forte e diretta e ciò non può non aver influenzato lo stile di scrittura dell’apostolo. In questo scritto troviamo nette conferme, ai fini della nostra ricerca, nell’assenza del termine “Signore” inteso come potenziale surrogato del Tetragramma e l’uso di “Dio” in armonia con il resto dei dati osservati finora.

Ritengo di aver sufficientemente trattato altrove la questione del rapporto fra Tetragramma e Scritture cristiane. Sono convinto di avere ampiamente dimostrato che non vi sono prove a favore della tesi che gli originali del Nuovo Testamento contenessero il Tetragramma, il Nome di Dio nella sua forma ebraica; anzi che tutte le prove dimostrano esattamente il contrario. Come è noto, invece, la Traduzione del Nuovo Mondo dei Testimoni di Geova, promuove comunque anche nel Nuovo Testamento la presenza (in questo caso non riesco a parlare di ripristino) della sua translitterazione del nome di Dio, Geova. Cito questa versione perché ci fornisce il dato più estremo a favore di una possibile presenza del Tetragramma nel Nuovo Testamento.

Questo il risultato del confronto del dato statistico per tutto il Nuovo Testamento:

Tetragramma nella TNM Dio nella Nuova Riveduta
Nuovo Testamento 237 1363

Ricordiamo qual era il dato dell’Antico Testamento.

LIBRO o PORZIONE DELLA SCRITTURA OCCORRENZE DEL TETRAGRAMMA OCCORRENZE PAROLA “DIO”
Pentateuco 1934 810
Isaia 500 138
Geremia 736 127
Ezechiele 445 253

Con le Scritture apostoliche ci troviamo oggettivamente, dati alla mano, davanti ad una drastica inversione di tendenza. Ciò, a mio avviso, si somma alle altre prove per dimostrare: a) l’antichità del Nuovo Testamento; b) il suo essere contemporaneo con gli scritti ebraici del primo secolo; c) il suo provenire da ambienti ancora profondamente influenzati dalla cultura ebraica. Il distacco definitivo da quest’ultima inizierà per il movimento cristiano con la distruzione del tempio di Gerusalemme: l’elemento non ebraico della Chiesa sarà già predominante prima della fine del I secolo. E’, quindi, impossibile che le Scritture cristiane – troppo intrise di cultura ebraica – siano state composte più tardi del periodo loro tradizionalmente ascritto dalla Chiesa delle stesse origini e, in generale, dagli studiosi cristiani conservatori dei nostri giorni.

Ho preso in considerazione il dato della Traduzione del Nuovo Mondo perché è a mio avviso eccessivamente ottimista sulla potenziale presenza del Tetragramma nel Nuovo Testamento. Ciò per dimostrare che, nella peggiore delle ipotesi, la tesi che stiamo discutendo qui è, comunque, già più che sostenibile.

Rimanendo invece sui dati offerti dal software e-sword, nella traduzione ebraica del Nuovo Testamento che esso mette a disposizione, il Tetragramma compare 133 volte. Ciò significa che nella migliore (o peggiore, dipende della prospettiva) delle ipotesi, gli autori del Nuovo Testamento, usando come riferimento la Traduzione del Nuovo Mondo, avrebbero fatto riferimento al Tetragramma, al di fuori delle citazioni bibliche, circa 104 volte, ma hanno preferito la parola “Dio” al suo posto 1363 volte.

Credo che quanto mi sono inizialmente proposto di dimostrare in questo paragrafo, sia adesso evidente anche per il lettore, numeri alla mano. Il Nuovo Testamento ha tracce di chiari comportamenti linguistico-culturali tipici di ebrei vissuti nel primo secolo ed in armonia con la prassi riscontrata negli scritti di Qumran.

Sempre facendo riferimento ai dati statistici, prima di chiudere la mia discussione non posso non considerare il Nuovo Testamento nella sua globalità. Il risultato è prova tangibile dell’orientamento della stessa fede cristiana.

Dio compare 1363 volte
Gesù compare 1112 volte
Cristo compare 536 volte
Messia compare 3 volte
Signore compare 680 volte (indistintamente riferibile al Padre o al Figlio)
Padre compare 368 volte
Figlio di Dio compare 236 volte
Salvatore compare 24 volte

Il numero dei riferimenti a Gesù (1112 + 536 + 3 + 236 + 24 + tutte le volte che è chiamato “Signore”) è talmente elevato che non possiamo non rilevare la tendenza nettamente cristocentrica delle Scritture neotestamentarie. Un dato forse ovvio, ma che confermiamo qui ulteriormente con la schiacciante oggettività della prova matematica.

The Christian Counter

 

“Un dio” nella antica versione Copta del Vangelo di Giovanni?

di Giuseppe Guarino

Di recente mi è stato chiesto di esprimermi in merito ad un’affermazione dei Testimoni di Geova che riguarda il famoso articolo indeterminativo davanti alla parola “Dio” riferita alla Parola (logos nell’originale), Gesù prima che diventasse uomo, in Giovanni 1:1. Ad ulteriore sostegno della loro versione la Watch Tower infatti ha evidenziato che la traduzione copta del Nuovo Testamento aggiunge in quel brano l’articolo indeterminativo davanti a “Dio”, o “dio”, proprio come fa la Traduzione del Nuovo Mondo.

Onestamente non provo più molto interesse per ciò che la Watch Tower ed i suoi sostenitori affermano. Sono sempre pronto al dialogo che porti alla crescita, e mi stimolano le opinioni diverse dalla mia, ma con i tdg  dialogo non ce n’è e non vi è nemmeno crescita. Perché l’unico scopo di certe affermazioni o “scoperte” mira soltanto ad un cieco proselitismo selvaggio e non alla ricerca di una migliore comprensione della Verità biblica. Ogni volta che vado a consultare le fonti dalle quali i Testimoni citano, mi trovo davanti alla realtà che i testi da loro chiamati in causa sostengono il contrario di quello che loro vogliono fargli dire. Citano Harner su Giovanni 1:1 e quando leggo per esteso ciò che lui ha scritto vedo che afferma esattamente il contrario di quello che credono i Testimoni. Citano i padri della Chiesa e quando li vado a leggere, mi accorgo che questi credono esattamente l’opposto della Torre di Guardia e che questa, per tirare l’acqua al proprio mulino, li cita vergognosamente solo in parte ed in maniera fuorviante circa il loro autentico pensiero.

È per questo che quando il sito ufficiale dei Testimoni di Geova mi informa che il vangelo copto di Giovanni fa precedere “Dio” riferito al logos, alla Parola, dall’articolo indeterminativo, non posso non chiedermi di quanta fiducia o interesse sia degna una tale affermazione. Purtroppo, però, mi rendo conto che c’è bisogno di dire qualcosa, perché vi sono dei credenti che possono essere confusi. Quindi faccio il mio dovere ed esamino la questione.

Innanzi tutto, qual è il credo della Chiesa copta sul Cristo?

“Per i copti, Gesù è Dio completo e uomo completo insieme.”

(fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_ortodossa_copta)

Posso essere almeno perplesso? Credo sia lecito.

Lo so, lo so: anche in questo caso la Watch Tower capisce il copto meglio dei copti, come capisce il greco ed interpreta meglio la Bibbia di tutti i padri della Chiesa di lingua greca!

O forse no?

Allora faccio una cosa, vado alla ricerca della loro grammatica ufficiale di greco del Nuovo Testamento, vediamo se trovo lì delle notizie specifiche.

Ops, non credo che i Testimoni abbiano una grammatica di greco del Nuovo Testamento.

– Come no?

– No, no, non ce l’hanno.

– Ma hanno il dovere di scriverne una, sono gli unici che capiscono davvero il testo originale e non permettono all’umanità di beneficiare della loro immensa conoscenza?

– Lo so, mi sento anch’io derubato di qualcosa.

– Ma, perdona la mia immensa ignoranza, se non hanno grammatiche loro, su quali testi studiano il greco originale del Nuovo Testamento i Testimoni di Geova?

– Le uniche grammatiche sono di cattolici e protestanti, di ignoranti del testo biblico greco: non possono avere studiato su quelle! Non ci credo!

– Ecchenesò, amico mio, sono più perplesso di te.

 

Torniamo al copto ed esaminiamo cosa dice la Torre di Guardia nel suo sito ufficiale.

(Fonte: https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/2008812#h=3)

Il dettato della Watch Tower, molto più importante della mia opinione e persino dei fatti storici oggettivi, è in grassetto. Le mie umilissime osservazioni, in corsivo.

INIZIO CITAZIONE

La Parola era “Dio” o era “un dio”?

QUESTO è un problema di cui i traduttori della Bibbia devono tener conto nel rendere il primo versetto del Vangelo di Giovanni. La Traduzione del Nuovo Mondo lo rende così: “In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio”. (Giovanni 1:1) In altre traduzioni l’ultima parte del versetto dice che la Parola era “divina”, o qualcosa di simile. (An American Translation; A New Translation of the Bible, di James Moffatt) Tuttavia in molte traduzioni l’ultima parte di Giovanni 1:1 è resa: “La Parola era Dio”. — La Bibbia Concordata; Nuova Riveduta.

(Dovremmo fare un inventario di tutte le centinaia di versioni della Bibbia non concordi con la TNM? Sarebbe costruttivo o una perdita di tempo? Io opto per la seconda opzione, perché è un dato di fatto oggettivo: ai Testimoni di Geova non fai cambiare opinione con inezie di questo tipo. A ripensarci, non li convinci nemmeno con dati storici, citazioni corrette, grammatiche di greco … tutto ciò che non è conforme all’opinione della Torre di Guardia è sbagliato. Ma come è possibile che noi non Testimoni non ce ne rendiamo conto?)

La grammatica greca e il contesto indicano chiaramente che la lezione della Traduzione del Nuovo Mondo è corretta e che “la Parola” non va identificata con il “Dio” a cui si fa riferimento nella prima parte del versetto.

(Mi sono perso qualcosa? Di quale “grammatica greca” si parla qui? La vorrei consultare. Che il contesto indichi che la TNM sia corretta è almeno opinabile, visto che la parola Theos compare diverse volte nei primi 18 versi di Giovanni senza articolo ed è sempre da riferirsi a Dio e un autore non può utilizzare una parola una sola volta in modo diverso da come la utilizza con regolarità e allo stesso tempo sperare di essere chiaro. Comunque sarei curioso di sapere chi scrive questa frase che titoli ha per affermare che la grammatica greca conferma la giustezza della TNM, e su quali grammatiche ha studiato? E cosa ne pensano gli autori delle grammatiche che ha studiato sulla traduzione di Giovanni 1:1?

Ma la Torre di Guardia si rende conto che questa affermazione è trinitaria: “la Parola” non va identificata con il “Dio” a cui si fa riferimento nella prima parte del versetto”? Perché il verso afferma che Gesù è Dio, ha la qualità di Dio, ma non è il Padre. Quindi mi sorge il dubbio che chi scrive queste parole oltre a non credere nella Trinità non abbia nemmeno capito cosa sia.)

Comunque, il fatto che il greco del I secolo non avesse l’articolo indeterminativo lascia qualche perplessità nella mente di alcuni.

(Sicuramente il nostro ignoto autore sarà competente, ma la sua affermazione è imprecisa e mi lascia pensare che il greco o non lo conosca, o non si sia soffermato sullo studio dell’articolo. Nessuna lingua si esprime rapportandosi a forme linguistiche che non conosce. Quindi l’articolo greco non è “determinativo”, perché non esiste un “indeterminativo”: è articolo e basta. Lo è in un senso diverso rispetto a quello che assume nella nostra lingua, come lo dimostra l’uso in diversi punti: il suo precedere gli stessi nomi personali, il suo essere declinabile, e la sua ripetizione per noi impossibile, ecc. Quindi l’articolo in greco non è “determinativo”, ed i sostantivi in greco non sono meno determinativi se non sono preceduti dall’articolo. “The function of the article is not primarily to make something definite that would otherwise be indefinite.” Daniel B. Wallace, Greek Grammar Beyond the Basics, p. 209. Sicuramente le 800 pagine di questo manuale di greco intermedio non è degno degli studiosi che stanno dietro la Traduzione del Nuovo Mondo. Ma fin quando quelli ci lasceranno orbi di una loro magnifica grammatica, dell’opera definitiva che metterà fine ad ogni disputa linguistica sul greco biblico cui attingere sicuri per le nostre certezze, dovremo accontentarci dei miseri sforzi a nostra disposizione come quello di Wallace.)

Per questo è di grande interesse la traduzione della Bibbia in una lingua parlata nei primi secoli dell’Era Volgare.

La lingua in questione è il saidico, che era un dialetto copto. Il copto veniva parlato in Egitto nei secoli immediatamente successivi al ministero terreno di Gesù, e il saidico ne era l’antica forma letteraria. A proposito delle più antiche traduzioni copte della Bibbia, un’opera di consultazione dice: “Dato che la [Settanta] e le [Scritture Greche Cristiane] venivano tradotte in copto nel III secolo E.V., la versione copta si basa su [manoscritti in greco] notevolmente più antichi della maggioranza dei testi pervenutici”. — The Anchor Bible Dictionary.

(La citazione della Torre di Guardia è fuori contesto, perché non riguarda la traduzione di Giovanni 1:1 ma le problematiche relative alla critica testuale del Nuovo Testamento, al suo testo ed alla sua trasmissione! Ma si può citare così fuori contesto con onestà intellettuale? L’autore ignoto fa palesemente e vergognosamente leva sull’ignoranza di chi legge per lasciargli intendere che i manoscritti dei primi secoli di Giovanni fossero diversi rispetto a quelli che abbiamo oggi in nostro possesso e fossero ad ulteriore sostegno della TNM. Il che è falso! Giovanni 1:1 è lo stesso in tutti i manoscritti e le versioni: P66, P75, che sono i papiri più antichi in nostro possesso e risalgono al II-III secolo d.C. Vaticano, Sinaitico, ecc. Il problema è di traduzione, non riguarda il testo greco da tradurre, che è certo.)

Il testo copto-saidico è particolarmente interessante per due motivi. Innanzi tutto, come indicato sopra, rispecchia un intendimento delle Scritture anteriore al IV secolo, quando quella della Trinità divenne una dottrina ufficiale.

(Non stiamo parlando di Trinità, ma di divinità del logos. Una traduzione poi non deve trasmettere un intendimento ma tradurre.)

In secondo luogo, la grammatica copta è relativamente simile alla nostra grammatica sotto un aspetto importante. Le prime traduzioni delle Scritture Greche Cristiane erano in siriaco, latino e copto. Il siriaco e il latino, come il greco dell’epoca, non hanno l’articolo indeterminativo. Il copto invece ce l’ha. Inoltre vari studiosi concordano sul fatto che nel copto l’uso dell’articolo determinativo e di quello indeterminativo è molto simile all’uso di questi articoli in alcune lingue moderne come l’italiano o l’inglese.

(Potremmo sapere chi sono i “vari studiosi”? L’uso dell’articolo è “molto simile”? Quindi non è uguale!)

Pertanto, la traduzione copta fornisce un elemento interessante che fa luce su come probabilmente all’epoca veniva compreso Giovanni 1:1. Di cosa si tratta? La traduzione in copto-saidico usa l’articolo indeterminativo con il sostantivo “dio” nell’ultima parte di Giovanni 1:1. Perciò, resa in italiano sarebbe: “E la Parola era un dio”.

(Come viene puntualizzato nella citazione che segue, l’uso dell’articolo indeterminativo nella traduzione saidica, un antico dialetto copto, è soltanto prova che anche nei manoscritti in possesso dei traduttori di quella versione la parola “Theos” fosse senza articolo. “…the fact that θεός was translated into Sahidic (and Bohairic) as an indefinite noun strongly suggests that the translator was translating a Greek text without the article.”

Fonte: https://bible.org/article/jesus-%CE%B8%CE%B5%CF%8C%CF%82-god-textual-examination#P78_32938)

Evidentemente, quegli antichi traduttori compresero che le parole di Giovanni riportate nel primo versetto del suo Vangelo non significavano che Gesù fosse Dio Onnipotente. La Parola era un dio, non Dio Onnipotente.

(Le conclusioni della Torre di Guardia sono incredibili: hanno trasformato un ignoto traduttore, o degli ignoti traduttori, dei primi secoli in Testimoni di Geova. Fantastico. Fantastico nel senso che siamo al limite delle narrazioni di fantascienza.

L’espressione italiana “un dio” non è uguale al copto di Giovanni 1:1.

Il traduttore in inglese della versione saidica, Horner, traduce così Giovanni 1:1c: “. . . and [a] God was the Word.”. Nell’apparato spiega: “Square brackets imply words used by the Coptic and not required by the English”. In parole povere ciò che in copto è preceduto dall’articolo indeterminativo non necessariamente deve esserlo anche quando si traduce in inglese. Quindi dal copto potremmo tradurre: “… and God was the Word.”

Ovviamente i Testimoni di Geova conoscono il copto meglio di chi ha tradotto questa versione – attendo, quindi, con ansia la loro INTEGRALE traduzione di questa versione copta del Nuovo Testamento, in inglese prima e, poi, come è loro costume, in un secondo tempo, quella in italiano. Fino ad allora dovremo fare affidamento su questo misero sforzo: “George W. Horner ed., The Coptic Version of the New Testament in the Southern Dialect, Otherwise Called Sahidic and Thebaic, with Critical Apparatus, Literal English Translation, Register of Fragments and Estimate of the Version (7 vols. Oxford: Clarendon, 1911-1924)”

Il problema della trasposizione dell’articolo indeterminativo saidico in inglese (e in italiano, quindi, indirettamente) è spiegato poco più avanti nello stesso articolo: “Unlike English, the Sahidic indefinite article is used with abstract nouns (e.g., truth, love, hate) and nouns of substance (e.g., water, bread, meat). An example of this can be seen in Horner’s translation of John 19.34b (where there are no Greek articles, καὶ ἐξῆλθεν εὐθὺς αἷμα καὶ ὕδωρ): “. . . and immediately came out [a] blood and [a] water.” None of the words in brackets are necessary in English but are still noted by Horner due the presence of the indefinite article in the Coptic MSS.”

Evidentemente, quegli antichi traduttori compresero che le parole di Giovanni riportate nel primo versetto del suo Vangelo non significavano che Gesù fosse Dio Onnipotente. La Parola era un dio, non Dio Onnipotente.

(Purtroppo l’affermazione qui sopra riportata è assolutamente priva di alcun fondamento – ma mi sta quasi dispiacendo: leggo tanto entusiasmo e tanta voglia di far dire ciò che si pensa a tutti e a tutti i costi, che quasi quasi mi rammarico di non poter essere d’accordo. La presenza dell’articolo indeterminativo nella versione saidica non dimostra che i suoi traduttori fossero precursori della Traduzione del Nuovo Mondo o Testimoni di Geova nel loro intimo più profondo, magari senza saperlo, né purtroppo ci fa capire cosa credevano. Ciò che oggettivamente si comprende dalla loro condotta, invece, è che i manoscritti in greco in loro possesso erano identici ai nostri e che grazie al loro contributo abbiamo conferma del fatto che “Theos” nella parte finale di Giovanni 1:1 non è preceduto dall’articolo come nelle due prime occorrenze dello stesso verso. Anche il loro testo era trinitario, anche la versione saidica di Giovanni è trinitaria, perché conferma che la Parola” non va identificata con il “Dio” a cui si fa riferimento nella prima parte del versetto, ma che come quello, come il Padre, il logos, il Figlio, possiede la qualità di Dio.)

FINE CITAZIONE

 

Visto che siamo in amore di citazioni di partiti contrari, chiamo in causa Pincas Lapide uno studioso di fede ebraica degno di grande rispetto per la sua cultura e per il suo esemplare atteggiamento verso le opinioni altrui. Riporto qui di seguito, stando attento a citarmi nel giusto contesto, quanto ho scritto nel mio libro sulla Trinità. Per un approfondimento serio  consiglio senz’altro la lettura del libro “Monoteismo ebraico – dottrina trinitaria cristiana” che raccoglie una sorta di dialogo fra Pincas Lapide (studioso ebreo) e Jurgen Moltmann (teologo cristiano) edito da Queriniana e che cito qui dalla sua seconda edizione.

“I mistici della Cabala scoprirono tracce di una triade già nella prima pagina della Bibbia: “In principio Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu”. Qui i mistici, anche se non l’ebraismo normativo, affermano: “ci troviamo di fronte a Tre: Dio stesso, il suo Spirito e il suo Detto, in ebraico DAVAR, e poi in aramaico MEMRA, i due antenati del futuro Logos greco, concepiti come prima rivelazione dell’unico Dio” (p. 22).

Proseguendo il suo discorso, parlando di Isaia 6:3, “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti” aggiunge: “Nessuna meraviglia quindi se questa triplicazione così frequente della santità di Dio ha condotto a tutta una serie di speculazioni quasi-trinitarie in gruppi marginali dell’ebraismo…” (p.23).

Io mi permetto di far notare l’ovvio: noi cristiani siamo lo sviluppo di un gruppo marginale dell’ebraismo!

Filone alessandrino (Alessandria d’Egitto, 20 a.C. circa – 45 d.C. circa) ha scritto sul logos forse più di quanto non faccia il Nuovo Testamento. Lui dimostra che all’interno del giudaismo del secondo tempio c’era spazio per una dottrina della “Parola”. Si guarda bene, però, come fa tutta la riflessione giudaica su questo tema, dal definire il logos Dio. Egli inoltre non riconosce alcuna incarnazione della Parola di Dio.

Giovanni va oltre l’interpretazione giudaica perché nel riprenderla (Giovanni 1:1-18) puntualizza che:

  • La Parola è un individuo
  • Che la Parola si è incarnata in Gesù di Nazareth
  • Che la Parola è Dio, sebbene distinto dal Padre.

Facciamo ancora qualche semplice riflessione.

Se Giovanni avesse voluto davvero dire a chi leggeva il suo vangelo che Gesù è Dio, come l’avrebbe scritto? L’unica risposta è: esattamente come leggiamo in Giovanni 1:1.

Se Giovanni avesse voluto puntualizzare che Gesù è Dio, ma non è il Padre, come avrebbe dovuto scriverlo? Esattamente come leggiamo nel suo Vangelo.

In Giovanni 1:1-18 la parola Theos la troviamo solo due volte con l’articolo, al verso 1, ma ben 5 volte senza, ai versi: 1, 6, 12, 13 e 18. Non ha senso, lo dico anche da scrittore, utilizzare una parola – e una parola così importante e delicata – nello stesso contesto ben 5 volte ed attribuirle in una delle cinque volte un senso totalmente diverso rispetto alle altre 4.

Sempre in Giovanni 1:1-18 troviamo nell’originale, sia con che senza articolo, le parole: “unigenito”, “padre”, “uomo”, “vita”, “gloria”, “grazia” e “verità”. In tutti i casi, con l’articolo o senza, tutte queste parole hanno lo stesso significato. È quindi impossibile, proprio con la parola più importante di tutte le altre messe insieme, cioè Dio, che una sola volta sulle 5 in cui occorre, questa abbia un significato diverso, radicalmente diverso, dalle altre.

“La Parola è Dio” è la traduzione più naturale della frase di Giovanni nella nostra lingua. In greco è molto più profonda e significativa, ma il limite della nostra lingua non ci permette di trasmettere in italiano le sfumature dell’originale. E sono delle sfumature che puntano in direzione della dottrina della Trinità e sconfessano il modalismo, il sabellianismo e chi vorrebbe vedere nel figlio “un dio minore” o un semplice uomo, o un uomo divenuto divino o Dio, tutte possibili eresie, antiche e nuove, sulla figura del Cristo.

Un’ultima osservazione.

Nessuna lingua nasce per essere tradotta in un’altra. Per potere apprezzare il Nuovo Testamento originale, bisogna leggerlo in greco. È questo che faccio da oltre 20 anni ormai. So quanto sia difficile tradurre da una lingua ad un’altra. Ho tradotto la prima epistola di Giovanni e Colossesi: non è stato per niente facile. Ho iniziato Marco, del quale ho pubblicato i primi 4 capitoli. Lavoravo come traduttore in un’azienda e faccio a volte il simultaneista dall’inglese all’italiano e viceversa. So che è un compito ingrato.

Quando leggo il Nuovo Testamento in greco – quando non devo nemmeno pensare ad una traduzione – non ho dubbi che esso attesti che Gesù è Dio e Dio fatto uomo. Ad oggi nessuno mi ha portato valide argomentazioni per credere il contrario e di sicuro non i Testimoni di Geova.

Shalom.

 




Giovanni 8:58 nella Bibbia dei Testimoni di Geova

di Giuseppe Guarino

Giovanni 8:58 è un testo molto importante, ma non di facile comprensione. O meglio, proprio perché non semplice, soggetto a essere mal interpretato o peggio tradotto.

Problemi dei traduttori geovisti italiani con il greco originale o con l’inglese della loro versione americana?

Il testo originale: Eἶπεν αὐτοῖς ὁ ᾿Ιησοῦς· Aμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν, πρὶν ᾿Αβραὰμ γενέσθαι ἐγώ εἰμι.

La Nuova Riveduta: “Gesù disse loro: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono”.

La Traduzione del Nuovo Mondo: “Gesù disse loro: Verissimamente io vi dico: Prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero”.

The New World Translation: “Jesus said to them: “Most truly I say to you, before Abraham came into existence, I have been.”

La TNM toglie di mezzo l’“io sono” di Gesù, in forte contrasto con “venisse all’esistenza” riferito per Abraamo, di solito considerato un’affermazione dell’eternità di Cristo, sostituendolo con un meno imbarazzante “io ero”.

Secondo Richard A. Young l’idea che l’originale “io sono” trasmette al lettore “ … è più dell’esistenza di Cristo prima di Abraamo; significa che Egli esiste eternamente” (Intermediate New Testament Greek, a linguistic and exegetical approach, pag. 166).

L’introduzione della frase di Gesù con il tipico “in verità, in verità” lascia intendere che qualcosa di più che il fatto che Gesù fosse solo più vecchio di Abraamo fosse da intendersi in quell’“io sono”.

Altri punti del vangelo di Giovanni ci propongono dei forti “io sono” seguiti da “la Luce”, “la Via”, “la Verità”, ecc., nello stesso capitolo 8, ai vv. 24 e 28. Questa caratteristica dell’evangelista è chiaramente a favore di una ulteriore ripetizione al v. 58.

Scrivendo in greco “ἐγώ εἰμι”, “egò eimì”, in italiano “io sono”, Giovanni non poteva non essere cosciente che per la Chiesa, uscita ormai dai confini della Palestina, della lingua e cultura ebraica, il raffronto fra la frase di Gesù e la traduzione greca dell’Antico Testamento di Esodo 3:14 sarebbe stato inevitabile.

Asher Intrater, nel suo libro “Chi ha pranzato con Abrahamo?” edito da Perciballi: “Aggiungendo le vocali “e”, “o”, “a” alle consonanti YHVH, si ottiene il nome YeHoVaH. In questa struttura verbale, la “e” (sh’va) indica il tempo versale futuro, la “o” (holom) il presente e la “a” (patach) il passato, dando al nome YeHoVaH il significato di “Egli sarà, Egli è, Egli era”: in altre parole, l’Eterno”, pag. 102. È quindi con un aperto riferimento a questa estraneità da vincoli temporali, che l’apostolo Giovanni parla del Signore come di “Colui che è, che era e che viene”. (Apocalisse 1:8)

L’eternità di Gesù è ribadita con altre parole nell’epistola agli Ebrei, quando ci viene detto che “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8) e quindi non vi è per noi cristiani alcuno scandalo se egli rifiuta i vincoli temporali dicendo: io sono.

La reazione dei giudei sarebbe immotivata se la frase di Gesù non fosse stata per loro oltraggiosa al punto da spingerli a volerlo lapidare immediatamente, senza un ulteriore esame di quello che stesse affermando.

Vale la pena analizzare qui le motivazioni della Torre di Guardia per la sua traduzione. Chiedo al lettore di fare molta adesso molta attenzione.

La traduzione italiana TNM non è una traduzione dai testi originali o indipendente. Essa è fondamentalmente un adattamento in italiano della versione ufficiale in inglese della Torre di Guardia. Non vi sono dei traduttori italiani, perché, al contrario di come accade per tutte le altri confessioni cristiane, non vi è alcuna autonomia dei Testimoni italiani da quelli americani, dai quali dipendono.

Proprio nel caso di Giovanni 8:58, la Watch Tower americana trova delle motivazioni per rifiutare la lettura “io sono” che sono applicabili alla lingua inglese ed a quella soltanto. Infatti, l’originale inglese della TNM utilizza il verbo essere al passato prossimo (perfect indicative), mentre i traduttori italiani utilizzano il tempo imperfetto: ma nel farlo sbagliano la traduzione dall’inglese!

Leggiamo il commento alla propria versione di Giovanni 8:58 della Watch Tower americana – così come sono riportate nell’edizione del 1985 di “The Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures”: “The action expressed in John 8:58 started “before Abraham came into existence” and is still in progress. In such situation εἰμι, which is the first- person singular present indicative, is properly translated by the perfect indicative.”

La Torre di Guardia italiana traduce alla meno peggio questa affermazione – che non può contestare in quanto proveniente dal suo organo direttivo americano, ma che fondamentalmente parla di una regola grammaticale della lingua inglese, che in italiano semplicemente non esiste.

“L’azione espressa in Giovanni 8:58 iniziò “prima che Abraamo venisse all’esistenza” ed è ancora in corso. In tale contesto εἰμι (eimì), prima persona singolare del presente indicativo, si può correttamente tradurre con  un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo”.

Mi chiedo: è possibile che fra i Testimoni di Geova italiani nessuno conosca l’inglese a sufficienza da accorgersi di questa incongruenza?

Intanto in italiano il testo dice:  “si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo” ma l’inglese non parla di imperfetto indicativo, bensì di passato prossimo (perfect) perché in inglese 1. Non esiste l’imperfetto e 2. In inglese il tempo del verbo che descrive delle azioni che cominciano nel passato e che sono tutt’ora in corso, è soltanto il perfect indicative – che corrisponde al nostro passato prossimo.

Ma c’è qualcosa di più ovvio. In italiano le azioni che cominciano nel passato e proseguono nel presente non si esprimono né con l’imperfetto né con il passato prossimo, bensì col tempo presente.  Esempio: “Io vivo in Italia dal 1974”. Se avessimo utilizzato passato  prossimo o imperfetto, avremmo ottenuto tutt’altro significato: 1. Imperfetto: “Io vivevo in Italia dal 1974”, 2. “Ho vissuto in Italia dal 1974”.

L’espressione: “io vivo in Italia dal 1974” si traduce in inglese “I have lived in Italy since 1974”. Il presente deve essere tradotto con un present perfect.

Allo stesso modo un’espressione inglese del tipo: “I have lived in England since 1974”, si deve tradurre: “vivo in Inghilterra dal 1974”. Perché quando un’azione comincia nel passato ed è ancora in essere, in inglese si deve utilizzare il perfect (passato prossimo), ma in italiano il presente!

Quindi la traduzione inglese dei Testimoni che dice: “before Abraham came into existence, I have been”, se origina dal fatto che il perfect descrive in inglese un’azione cominciata nel passato e tutt’ora in essere, deve tradursi con un tempo presente italiano: “prima che Abraamo venisse all’esistenza, io sono”.

Stavolta per appurare l’accuratezza della versione dei Testimoni di Geova basterà consultare un insegnante di inglese.