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Isaia 9:5 e la Deità del Figlio di Dio

di Giuseppe Guarino

Sto studiando Isaia in una edizione multilingue molto bella (italiano, greco, latino ed ebraico interlineare) edita dalle Paoline. Il contatto con l’originale ebraico, ma anche con una versione così antica come la LXX è davvero emozionante, significativo, ci fa scoprire dettagli non subito evidenti nella traduzione. Qui esamino l’affermazione “Dio Potente” di Isaia 9:5.

Copertina di 'Isaia'

Isaia 9:5

“Poiché un bambino ci è nato, un figlio ci è stato dato, e il dominio riposerà sulle sue spalle; sarà chiamato Consigliere ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace…”

L’interpretazione messianica di questo brano è praticamente unanime. Esso è attribuito al Cristo che è Consigliere Ammirabile, Dio potente, Padre eterno, Principe della pace…

Gesù quindi è Dio. Ciò è inteso anche nell’Antico Testamento – come persino gli ebrei messianici di lingua ebraica credono, e proprio sulla scorta di affermazioni del tenore di Isaia 9 e altri brani messianici di questo libro meraviglioso.

Quando ai Testimoni di Geova viene presentato questo passo della Scrittura, ovviamente essi hanno da ridire, cercano delle scappatoie, delle possibili soluzioni che facciano dire alla Bibbia ciò che il loro organo direttivo sostiene, quello che l’organizzazione insegna – è la loro prassi.

I semplici cadono vittime di un errore che un esegeta, ma anche un intelligente lettore serio e motivato della Bibbia non può permettersi di commettere.

Chi legge la Bibbia, se ritiene che essa sia la Parola di Dio, la legge per capire cosa dice e conformare il proprio pensiero al suo insegnamento. Procedere in senso inverso, cioè trovare ogni possibile spiegazione per aggirare il senso letterale ed evidente di un brano per rimanere alle proprie idee preconcette è proprio la strada da non percorrere, è quella che ci allontana dalla Verità e da Dio.

Isaia insegna che il Messia è Dio?

La semplice risposta è: si.

Lo apprendiamo semplicemente leggendo il brano. Definire il bimbo nato, il figlio dato, come Dio (potente) già dovrebbe bastarci a farci ritenere che egli sia Dio.

A volte può sfuggire una semplice immediata regola per la comprensione di un testo: il testo dice quello che dice. Ma è proprio la prima da tenersi in considerazione. Poi, ovviamente, vanno considerati contesto, storico e letterario, circostanze, ecc.

I Testimoni di Geova mi hanno detto che Gesù è “dio potente” e non l’Iddio Onnipotente. Eppure la Traduzione del Nuovo Mondo traduce “Dio potente” qui, con la D maiuscola. Non è “un dio”, non è “divino”, è Dio, e Dio potente.

In ebraico Dio potente è

Nel nostro alfabeto:

El Ghibbor

Se questa affermazione non fa del Messia Dio, come possiamo spiegare che la stessa, la medesima, identica, poco più avanti, in Isaia 10:21 è inequivocabilmente riferita a Dio, a יהוה (Geova)?

Isaia 10:20-21 dice così:

“In quel giorno il residuo d’Israele e gli scampati della casa di Giacobbe smetteranno di appoggiarsi su colui che li colpiva, e si appoggeranno con sincerità sul SIGNORE (יהוה), sul Santo d’Israele.  Un residuo, il residuo di Giacobbe, tornerà al Dio potente (אל גבור)”.

La Traduzione del Nuovo Mondo traduce così:

“Quel giorno i rimanenti d’Israele e i superstiti della casa di Giacobbe non si appoggeranno più a chi li colpiva, ma si appoggeranno a Geova, il Santo d’Israele, con fedeltà. Solo quelli che rimarranno, il resto di Giacobbe, torneranno dal Dio Potente“.

Geova è Dio potente (אל גבור); il Messia è Dio potente (אל גבור). Due più due fa quattro. Chi si vuole convincere a ogni costo che faccia cinque è il problema, non il dato oggettivo che il risultato sia quattro.

Per l’ennesima volta rimando al mittente quel fastidioso: Svegliatevi!

 

 

 

 

Il ritorno del Signore nella chiesa primitiva

di Giuseppe Guarino

(tratto ed adattato dal mio libro: “Il ritorno di Gesù”)

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Leggo cose incredibili sulle profezie bibliche.  Eppure l‘insegnamento della Chiesa primitiva è sopravvissuto in molti testi, facilmente reperibili oggi grazie a internet. E’ vero che vi sono opinioni contrastanti su alcuni dettagli (minori, a mio avviso), ma vi è un’unanime visione d’insieme nelle chiese evangeliche circa gli eventi che precederanno il ritorno di Gesù e questa visione rispecchia la fede della Chiesa cristiana fin dai suoi albori: smettiamo di imputare tutte le colpe del cristianesimo al Concilio di Nicea!

Questo articolo vuole dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio la coerenza dell’interpretazione “futuristica” delle Scritture  circa il ritorno di Gesù e la realtà della manifestazione dell’Anticristo che lo precederà.

***

Questo libro non sostiene alcuna teoria nuova o interpretazioni sensazionalistiche della Parola di Dio.

La cosa più bella che qualcuno possa dire dei miei libri è che non vi è nulla di nuovo, nulla che già non si sapeva e che la Chiesa non abbia insegnato fin dalle origini. Abbiamo anche visto che quanto abbiamo detto è condiviso anche dal Catechismo della Chiesa Cattolica – purtroppo poco conosciuto, se non ignorato del tutto, dai fedeli di quella confessione.

In questo paragrafo voglio dimostrare la continuità di quanto abbiamo detto qui con quello che insegnava la chiesa primitiva.

I cosiddetti “padri della Chiesa” sono di solito sopravvalutati – a mio avviso, ovviamente – dalla Chiesa Cattolica, ma allo stesso tempo troppo trascurati dalle altre confessioni. Credo che una saggia via di mezzo sia da preferire – come spesso accade nella vita.

Una cosa è certa: gli scritti dei cristiani dei primi secoli sono una preziosa testimonianza alla Verità, seconda sola al Nuovo Testamento.

Vediamo cosa hanno da dire questi antichi testimoni della nostra fede sul ritorno di Gesù e sugli eventi ad esso collegati.

1 Clemente risale al 95/96 d.C. Si tratta di una lettera scritta dalla chiesa di Roma a quella di Corinto. Qui vi rinveniamo l’attesa del ritorno di Gesù.

Ed egli ci preannuncia “Ecco, il Signore viene e la sua ricompensa con lui per rendere a ciascuno secondo le proprie opere”.

Il Didachè è uno dei miei scritti preferiti. Non si conosce esattamente la sua data di composizione, perché nell’antichità questa non veniva indicata. Alcuni, ed io concordo, pensano che questo scritto sia molto antico, almeno nella sua essenza. Vi è chi lo data nel 50 d.C., quindi contemporaneo degli scritti apostolici del Nuovo Testamento. Altri però si spingono oltre, nel primo secolo ed alcuni fino al 150 d.C.

Negli ultimi giorni i falsi profeti ed i corruttori abbonderanno, ed a causa di ciò le pecore saranno tramutate in lupi e l’amore diverrà odio. L’iniquità crescerà, e loro odieranno, perseguiteranno e si tradiranno a vicenda. E il seduttore del mondo apparirà come un figlio di Dio e farà segni e prodigi e la terra gli sarà data nelle mani e commetterà delle abominazioni come non ne sono state mai fatte prima. Tutta l’umanità sarà messa a dura prova e molti si apostateranno e periranno. Ma chi persevererà nella propria fede sarà salvato dal maledetto. E allora apparirà un segno della verità: prima il segno del cielo che si aprirà e quindi il segno del suono di una tromba e per terza cosa, la resurrezione dei morti, ma non di tutti, piuttosto, come è stato detto, il Signore verrà e tutti i suoi santi con lui. Quindi il mondo vedrà il Signore venire sulle nuvole del cielo”.

La chiesa primitiva aveva una visione molto sobria delle profezie bibliche, ma anche molto chiara. L’insegnamento era incentrato sull’attesa del ritorno del Signore e sul giudizio che sarebbe seguito – non è forse questo che leggiamo nella Scrittura!? Vi era inoltre questo accostamento fra il ritorno di Gesù e la comparsa dell’Anticristo che l’avrebbe di poco preceduto.

Non credo vi sia una confessione cristiana che non possa sottoscrivere quanto affermato dal Didachè sul ritorno di Gesù e questa continuità della fede credo che sia davvero importante. Non determinante, ma di sicuro non trascurabile.

La cosiddetta Epistola di Barnaba è stata composta in un qualche periodo fra il 70 ed il 135 d.C. Si tratta di uno scritto di straordinaria bellezza. Tra le tante belle testimonianze della fede cristiana leggiamo: “il giorno è vicino quando tutto perirà insieme al maligno. Il Signore è vicino con la sua ricompensa”.

Le citazioni le ho tratte da The Apostolic Fathers – Second Edition – Translated by J.B. Lightfoot and J.R. Harmer, Edited and Revised by Michael W. Holmes, Baker Book House, Second printing, August 1990. La traduzione dall’inglese è mia.

Gli scritti che ho citato fin qui fanno parte dei cosiddetti Padri Apostolici. Si tratta di una raccolta facilmente reperibile anche in lingua italiana. La consiglio a chi volesse approfondire la stupenda semplicità e forza della fede della Chiesa del primo e secondo secolo.

Nella seconda metà del secondo secolo cominciano le conversioni di intellettuali, che trovano nel cristianesimo una fede che riesce a rispondere alla domande più profonde degli uomini.  Questi intellettuali, una volta divenuti cristiani, diventano per inclinazione quasi naturale, degli apologeti, cioè dei difensori della fede cristiana in un mondo totalmente immerso in una cultura greco-pagana.

Giustino morì martire e visse fra il 110 ed il 165 d.C. Lui fu proprio un apologeta e lo fu sia con i pagani che con gli ebrei. Il suo “Dialogo con Trifone giudeo”, è un capolavoro che consiglio a tutti di leggere. Oltre questo, ci sono giunte due sue apologie. Traggo un brano dalla prima.

Visto quindi che noi proviamo che tutte le cose che sono già successe sono state predette dai profeti prima che avvenissero, noi dobbiamo per forza di cosa anche che allo stesso modo che le cose predette ma non ancora successe, sicuramente accadranno… Perché i profeti hanno predetto due sue venute: la prima, che è già avvenuta, quando è comparso come un uomo disprezzato e sofferente, ma la seconda quando, secondo la profezia, egli verrà dal cielo in gloria, insieme alle orde angeliche, quando anche resusciterà i corpi di tutti gli uomini che sono vissuti, e rivestirà coloro che ne sono degli di immortalità …

Ippolito visse fra il 170 ed il 236. Sebbene fosse originario dell’oriente si trasferì e visse a Roma. Egli scrisse un interessantissimo trattato sull’Anticristo.

Ippolito concorda sul fatto che per l’ultima delle settanta settimane profetiche di Daniele 9 sia riservato un avveramento futuro, scrivendo: “…l’ultima settimana che vi sarà alla fine del mondo intero”.

Non solo il suo scritto è utile, risulta addirittura prezioso; è anche molto bello. Questo è quanto egli afferma: “Due avventi del nostro Signore e Salvatore sono descritti dalle Scritture. Uno è la sua incarnazione, che è avvenuta senza onore a motivo della sua umiliazione, come Isaia ne aveva parlato tempo addietro… Ma la sua seconda venuta è annunciata come gloriosa, quando scenderà dal cielo con i suoi angeli, e nella gloria del Padre, come disse il profeta: ‘vedrete il Re in gloria’ e ‘io vidi uno come un Figlio dell’uomo che veniva con le nuvole del cielo’”. Ippolito cita Isaia 53:2-5, 33:17 e Daniele 7:13-14.

La fede della Chiesa oggi è la stessa della Chiesa di duemila anni fa. Non esistono denominazioni o confessioni, ma solo individui che vivono questa speranza ed altri che la trascurano – e ciò all’interno di tutte le chiese. Difatti, nella parabola delle dieci vergini – che rappresentano la chiesa al ritorno di Cristo – la metà viene colta di sorpresa, viene trovata impreparata, dalla seconda venuta del Signore come Re e Giudice di questo mondo.

Ireneo fu vescovo di Lione e visse fra il 120 ed il 202 d.C. La sua maestosa opera Contro le Eresie è un’apologia della fede autentica della Chiesa contro le dottrine gnostiche in ben cinque volumi. Sebbene la profezia non sia l’argomento principale del suo scritto, troviamo dei riferimenti al ritorno del Signore ed alle profezie connesse a quel evento.

Nel quinto libro leggiamo: “Anche Daniele, il quale attendeva con trepidazione la fine dell’ultimo regno, i dieci re, fra i quali il regno degli uomini sarebbe stato diviso, e fra i quali comparirà il figlio della perdizione, dichiara che le dieci corna sorgeranno dalla bestia, e che un altro piccolo corno sorgerà fra loro… per tre anni e sei mesi, tempo durante il quale egli regnerà sulla terra… Ora tre anni e sei mesi costituiscono la metà della settimana”.

Anche Ireneo riferiva l’avverarsi della profezia sull’ultima settimana di Daniele riferita al periodo subito precedente il ritorno di Gesù. La sua testimonianza è di particolare rilievo perché egli era stato discepolo di Policarpo, che aveva conosciuto personalmente l’apostolo Giovanni, autore dell’Apocalisse.

Le citazioni delle opere di Giustino, Ippolito ed Ireneo le ho tratte dall’opera in dieci volumi Ante-Nicene Fathers, Hendrickson Publishers, first printing 1994. La traduzione è mia.

Come ci si renderà conto facilmente, ho imparato dalla Chiesa primitiva la semplicità e la potenza di una fede viva e vera nella certezza della veridicità della Parola di Dio, che ci promette che un giorno Gesù ritornerà. Il resto sono dettagli, interessanti, ma spesso troppo enfatizzati e discussi fino ad estremi che mi sembra ci facciano perdere di vista l’oggetto autentico ed il senso delle profezie contenute nella Bibbia: “la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia”. (Apocalisse 19:10)

Girolamo nacque nel 347 e morì nel 420 d.C. Il suo lavoro più famoso è la sua traduzione della Bibbia in latino, la cosiddetta Vulgata. Ma egli scrisse anche un commentario al libro di Daniele, che ho letto e studiato nella traduzione di Gleason L. Archer (1916-2004), pubblicato originariamente nel 1958 dalla Baker Book House. Il commentario di Girolamo è senza dubbio il migliore e più completo che io abbia mai letto sul libro di Daniele. Ed è, a mio avviso, anche il più autorevole.

Il suo commento ai capitoli due e sette di Daniele confermano quanto abbiamo detto in questo nostro studio.

Noi dobbiamo inoltre concordare con l’interpretazione tradizionale di tutti i commentatori della Chiesa Cristiana i quali affermano che alla fine del mondo, quando l’impero romano sarà stato distrutto, vi saranno dieci re che si spartiranno il mondo romano fra di loro. Quindi un undicesimo re comparirà… questi è l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, che si spingerà fino ad osare sedere nel tempio di Dio e innalzarsi come un Dio”.

Continua l’autorevole interprete: e i santi “… gli saranno dati nelle mani per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo. ‘Tempo’ equivale ad ‘anno’. La parola  ‘tempi’, secondo la lingua ebraica (che ha anche il numero duale) rappresenta ‘due anni’. La metà di un anno significa ‘sei mesi’. Durante questo periodo i santi saranno in potere dell’Anticristo…”.

Questa la testimonianza della Chiesa delle origini. Questa la testimonianza e l’attesa della Chiesa da sempre: MARANATHA.

Non lasciamoci ingannare da chi ostenta solo sicurezza ma non proclama Verità, ma solo opinioni senza fondamento.

Gli Elohim di Mauro Biglino negli scritti dell’apostolo Paolo

Gli Elohim di Mauro Biglino negli scritti dell’apostolo Paolo di Giuseppe Guarino

Da tempo mi viene chiesto di dire qualcosa sulle idee che con particolare successo sta diffondendo il dott.Mauro Biglino. Confesso che a me non va di fare contestazione diretta e non capisco lo scandalo di molti credenti. E mi rendo conto che chi difende la fede ma non  approfondisce, non cresce, non studia, poi si trova a pagare lo scotto ed essere confuso da chi tira fuori dal cilindro un po’ di greco ed ebraico.

Innanzi tutto ogni catena ha i suoi anelli deboli. Chi ha studiato la Bibbia, come è chiaro che ha fatto Biglino, sa dove andare a colpire. Non va di certo ad intaccare gli anelli più forti, ma usa i più deboli per tentare di spezzare la catena.

Veniamo quindi ad una discussione in concreto, visto che da qualche parte devo cominciare.

Ho aperto youtube e mi sono imbattuto in una sua conferenza che ha avuto luogo a Savona il 28 Marzo 2015. Per chi volesse vedere il video, questo il link 

Egli qui afferma, proprio all’inizio del video, che Paolo dice che vi sono molti (in greco) Theoi, quindi “dèi”. Siamo in 1 Corinzi 8. Mette quindi in relazione la parola greca Theoi con quella ebraica Elohim, dicendo che la seconda è una traduzione della prima. Ed ecco che Paolo direbbe che vi sono molti “dèi”, molti “Elohim”, che altri non sarebbero se non i componenti delle gerarchie aliene immaginate da Biglino dietro le parole dell’Antico Testamento.

La sua premessa è davvero precisa: è Paolo che dice questa cosa e non lui e siamo noi credenti a dare autorità alle parole dell’apostolo. Quindi l’autorità dietro le sue idee (di Biglino) sarebbe quella dell’apostolo Paolo stesso.

Poi lo studioso continua citando Ebrei 13:2. Egli sostiene che lì Paolo stia parlando di angeli e che questi siano un gruppo con un particolare grado all’interno dell’ordine gerarchico degli Elohimpreposti a far eseguire o ad eseguire loro stessi gli ordini degli Elohim. Gli angeli sono talmente simili a noi che qualcuno può averli ospitati in casa senza saperlo.

Fin qui quello che sostiene Biglino. Ora vediamo invece cosa dice realmente la Bibbia.

Leggiamo per esteso 1 Corinzi 8 e vediamo che succede.

“Ora, riguardo alle cose sacrificate agli idoli, noi sappiamo che tutti abbiamo conoscenza; la conoscenza gonfia, ma l’amore edifica. Ora, se uno pensa di sapere qualche cosa, non sa ancora nulla di come egli dovrebbe sapere. Ma se uno ama Dio, egli è da lui conosciuto. Perciò quanto al mangiare le cose sacrificate agli idoli, noi sappiamo che l’idolo non è nulla nel mondo, e che non vi è alcun altro Dio, se non uno solo, E infatti, anche se vi sono i cosiddetti dèi sia in cielo che in terra (come vi sono molti dèi e molti signori), per noi c’è un solo Dio, il Padre dal quale sono tutte le cose e noi in lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, per mezzo del quale sono tutte le cose, e noi esistiamo per mezzo di lui”. (1 Corinzi 8:1-6 Nuova Diodati)

Dal contesto nel quale Paolo fa l’affermazione estrapolata dallo studioso, comprendiamo il suo chiaro intento. 1. Stabilire che coloro che alcuni sostengono essere dèi, tali non sono. 2. Noi cristiani adoriamo e serviamo un solo Dio. E mi chiedo subito come si fa a vedere delle affermazioni politeiste in un brano così chiaramente contro il politeismo?

Erano gli gnostici che immaginavano successive emanazioni di divinità inferiori, provenienti da un essere supremo, con diverse gerarchie “celesti”. Paolo contestò apertamente questa concezione.

“Egli (Gesù) è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui”. (Colossesi 1:15-16)

Paolo doveva esprimersi in questo modo per spiazzare in un colpo solo gli attacchi, se non addirittura le contaminazioni di pensiero gnostico-pagano, cui erano esposti i credenti di alcune zone tradizionalmente imbevute di strani culti e concezioni filosofiche di vario genere.

Vediamo cosa dice il testo di 1 Corinzi 8:1-6 in greco, la lingua originale nella quale l’epistola è stata scritta.

“καὶ γὰρ εἴπερ εἰσὶ λεγόμενοι θεοὶ εἴτε ἐν οὐρανῷ εἴτε ἐπὶ τῆς γῆς, ὥσπερ εἰσὶ θεοὶ πολλοὶ καὶ κύριοι πολλοί.”

La parola greca θεοὶ, theoi, dèi, viene tradotta nel Nuovo Testamento ebraico con אלהים, Elohim. Ma è anche importante aggiungere che “κύριοι”, “signori”, viene tradotta אדנים. Per questa seconda espressione Paolo utilizza, quindi, il plurale della parola ebraica אדנ. Nel Nuovo Testamento ebraico questa stessa parola, al plurale, è utilizzata anche in Matteo 6:4 e Luca 16:13.

La semplice realtà del rapporto fra il greco θεοι e l’ebraico אלהים è che Paolo non può tradurre il greco in maniera efficace perché, in un certo senso, il termine ebraico non ha singolare o plurale. La conferma ce lo da il fatto che il Nuovo Testamento in ebraico traduce invece perfettamente al plurale “κύριοι” con il corrispondente ebraico אדנים che ha anche la forma al singolare אדנ. Quindi questo fatto che egli parli di una pluralità di dèi è parzialmente vera, e vedremo adesso in che senso; ma di sicuro non sta parlando del Dio unico dell’Antico Testamento.

Prima di fare l’affermazione incriminata di 1 Corinzi 8:5, l’apostolo Paolo aveva scritto:

“non vi è alcun altro Dio, se non uno solo” (1 Corinzi 8:4 – Nuova Diodati)

Nella versione ebraica del Nuovo Testamento, leggiamo che per noi di Dio (אלהים) ve ne è uno solo (אחד). Qui la parola ebraica אלהים traduce quella greca al singolare Θεὸς, theos: “Dio”.

Più chiaro di così come avrebbe dovuto esprimere il suo monoteismo l’apostolo? La traduzione ebraica del Nuovo Testamento ci fa inoltre comprendere che Paolo fa chiaramente eco alla confessione monoteista veterotestamentaria di Deuteronomio 6:4 che dice:

שׁמע ישׂראל יהוה אלהינו יהוה אחד

In italiano: “Ascolta, Israele: Il SIGNORE, il nostro Dio, è l’unico SIGNORE”. (Deuteronomio 6:4).

Quindi, mettendo da parte l’idea che la Bibbia sia ispirata e Parola di Dio, chiediamoci semplicemente: Ma Paolo è un completo idiota perché afferma una cosa e l’esatto contrario immediatamente dopo? O, forse, invece, c’è chi vuole fargli dire, con giri di parole ed estrapolazioni, cose che in realtà non dice?

Io direi che la seconda ipotesi è quella corretta.

Il greco di Paolo è perfettamente chiaro ed anche la traduzione italiana:

“Poiché, sebbene vi siano cosiddetti dèi, sia in cielo sia in terra, come infatti ci sono molti dèi e signori …”

La seconda parte della frase mantiene il senso della precedente evitando la ripetizione. Cioè i “molti dèi” e i molti “signori” di cui parla alla fine della frase sono quelli cui aveva appena fatto riferimento: i “cosiddetti dèi”. In questo senso la frase è perfettamente in armonia con la dichiarazione di fede monoteistica che l’ha preceduta.

Soffermiamoci ancora un attimo su 1 Corinzi 8:4 leggendo attentamente il testo greco originale:

“ὅτι οὐδεὶς Θεὸς ἕτερος εἰ μὴ εἷς”.

Traduciamolo letteralmente:

“ὅτι (perché) οὐδεὶς (nessun) Θεὸς (Dio) ἕτερος (altro) εἰ (se) μὴ (non) εἷς (uno)”

Il verbo essere in greco può sottintendersi. Quindi la frase corrisponde in italiano a:

“perché nessun altro è Dio se non uno”.

Qui il greco è, purtroppo, come accade in diversi punti, intraducibile nella totalità del suo significato. Perché quando Paolo scrive che non vi è altro Dio utilizza la parola greca ἕτερος. Ora mentre “altro” è in italiano l’unico modo di dire … “altro”, lo stesso non vale per il greco.

Diamo uno sguardo al testo greco di un’altra epistola di Paolo.

“Θαυμάζω ὅτι οὕτω ταχέως μετατίθεσθε ἀπὸ τοῦ καλέσαντος ὑμᾶς ἐν χάριτι Χριστοῦ εἰς ἕτερον εὐαγγέλιον, ὃ οὐκ ἔστιν ἄλλο, εἰ μή τινές εἰσιν οἱ ταράσσοντες ὑμᾶς καὶ θέλοντες μεταστρέψαι τὸ εὐαγγέλιον τοῦ Χριστοῦ.”

In italiano questo brano si può tradurre così:

“Mi meraviglio che da colui che vi ha chiamati mediante la grazia di Cristo, passiate così presto ad un altro evangelo, il quale non è un altro evangelo; ma vi sono alcuni che vi turbano e vogliono pervertire l’evangelo di Cristo.”(Galati 1:6-7 Nuova Diodati)

A una prima lettura, questa frase non ha molto senso. Perché l’evangelo è un altro o non è un altro evangelo? Il contesto potrebbe aiutare a comprendere cosa vuol dire l’apostolo anche in italiano; ma il greco è chiarissimo. Infatti il primo “altro” è “ἕτερον” (ἕτερος nella sua declinazione determinata dal caso nella frase greca. Lo dico per chi la differenza nella consonante finale potrebbe suggerire che si tratti di due parole diverse) mentre il secondo è ἄλλο.

Poche persone possono vantare una conoscenza del greco del Nuovo Testamento come J. B. Lightfoot, D.D., D.L.C., L.L.D. In merito a questa possibile distinzione, questa estrema esattezza della lingua greca, egli commenta: ἕτερος, ovvero in questo caso specifico la sua declinazione: “ἕτερον implica una distinzione di genere, che non è contemplata in ἄλλο. La distinzione primaria fra le parole sembra essere che ἄλλος è un “altro oltre”, ἕτερος un altro come “uno dei due”. Quindi ἄλλος aggiunge, mentre ἕτερος distingue”.

(Questo l’originale inglese della citazione che ho tradotto: “ἕτερον implies a difference of kind, which is not involved in ἄλλο. The primary distinction between the words appears to be, that ἄλλος is another one as ‘one besides’, ἕτερος another as ‘one of two.’ Thus ἄλλος adds, while ἕτερος distinguishes.”)

Un altro dettaglio va notato: Θεὸς, Theos, non è preceduto dall’articolo. In greco non esiste l’articolo indeterminativo, ma solo l’articolo e, sebbene sia l’antenato del nostro aggettivo dimostrativo, per semplicità diremo che assomiglia molto al nostro articolo determinativo. Ora, l’assenza dell’articolo davanti ad un sostantivo può voler dire due cose: che si parla di qualcosa di generico o si vuol sottolineare qualità. In questo caso è ovvio che Paolo non parli di “un Dio”, bensì che si voglia attirare l’attenzione sulla qualità di Dio.

Quindi se vogliamo espandere il testo di 1 Corinzi 8:4 potremmo tradurre il senso di quello che implica la terminologia greca di Paolo.

“Perché non vi è nessun altro che possiede la qualità di essere Dio come l’unico e solo vero Dio.”

Paolo scriveva a dei credenti che vivevano circondati dalle molte divinità adorate dai pagani. Pagani intellettualmente consapevoli delle loro credenze, capaci di esprimere concetti filosofici complessi e giustificare il proprio comportamento con un linguaggio che era stato in grado di partorire la filosofia più sofisticata della storia dell’umanità. La terminologia dell’apostolo ne tiene il dovuto conto: è precisa, attenta, pertinente. La sua difesa del monoteismo, della fede nel Dio unico che è soltanto lui Dio e non un altro Dio da aggiungere al pantheon, è assoluta.

Le affermazioni di Biglino sono errate, imprecise. Egli stravolge il senso delle parole di Paolo. Ma testo e contesto sono lì per chiunque voglia capire realmente cosa intendeva dire l’apostolo. 

Per concludere, il fatto che la parola ebraica Elohim sia una forma plurale non implica che il testo biblico parli di più “dèi”. La versione Septuaginta (abbr. LXX) della Bibbia è molto antica, in particolare la parte iniziale, la Torah, il Pentateuco. Si tratta infatti di un progetto di traduzione per arricchire la biblioteca di Alessandria d’Egitto sponsorizzato dal faraone Tolomeo Filadelfo intorno alla metà del terzo secolo a.C. La parola ebraica Elohim (אלהים) venne tradotta dalla LXX “ho theos” (ὁ θεὸς), Dio, senza esitazione:

“Ἐν ἀρχῇ ἐποίησεν ὁ θεὸς τὸν οὐρανὸν καὶ τὴν γῆν”.

Perché Elohim è accompagnato da un verbo nella forma singolare! Perché il politeismo o altre fantasie sulla pluralità di esseri in Genesi 1:1 e seguenti, non si trovano nell’Antico Testamento, né nel resto dei libri della Bibbia. Perché degli ebrei bilingue che vivevano nella città più intellettualmente progredita del mondo di allora, sapevano quello che facevano quando traducevano gli scritti di Mosè più di un italiano che vive nel XXI secolo. Perché nel verso che viene dopo, “lo Spirito di Dio” che “aleggiava sulla superficie delle acque” non è femmina soltanto perché la parola ebraica Spirito (רוח) è al femminile. Infatti traducendo in greco essa diviene neutra, perché neutra è la parola corrispondente in greco, πνεῦμα. Perché Filone Alessandrino, filosofo sofisticato, ebreo che viveva ad Alessandria ed autore di moltissimi libri che difendono il Dio unico di Israele non può non aver capito quello che invece risulta così chiaro ad un italiano oltre due millenni dopo. Perché l’Antico Testamento riferisce a Dio attributi di unicità inequivocabili.

Concludo questa discussione con una nota forse un po’ provocatoria. Visto che il dott. Biglino ama citare gli scritti ebraico-cristiani e farlo per il proprio tornaconto, io gli propongo di far proprio il consiglio di Paolo: “la conoscenza gonfia, ma l’amore edifica”. Perché la conoscenza non gli manca, ma l’amore per chi lo ascolta si.