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Mose: incontro o scontro di due culture?

di Giuseppe Guarino

Mosè: incontro o scontro di due culture.

In quel tempo nacque Mosè, che era bello agli occhi di Dio; egli fu nutrito per tre mesi in casa di suo padre; e, quando fu abbandonato, la figlia del faraone lo raccolse e lo allevò come figlio. Mosè fu istruito in tutta la sapienza degli Egiziani e divenne potente in parole e opere”. (Atti 7:20-22)

La millenaria cultura egiziana e la fede del Dio unico si incontrano in Mosè, cresciuto all’ombra delle più nobili culture del tempo, uomo che Dio userà per dare al suo popolo la Legge.

Il film che più mi piaceva guardare con mio figlio maggiore era “Il Principe d’Egitto” della Disney. Ma più ne riporto alla mente i dettagli più mi rendo conto di quanto si discosti dalla realtà  biblica e storica dei fatti. Ciò non ne diminuisce la  bellezza, perché  ogni narrazione intesa ad intrattenere deve poter lasciare un margine di manovra a chi la gestisce, perché l’intrattenimento è appunto il suo scopo.

Allo stesso modo i miei ricordi di quanto ho appreso sui banchi di scuola su Mosè, l’Esodo e persino la storia dell’antico Egitto assume oggi connotati così deludenti, deprimenti quasi, da avermi spinto da un bel po’ a mettere da parte le nozioni scolastiche per uno studio decisamente più soddisfacente.

Quanto leggerete nelle righe a seguire sono le mie conclusioni sulla figura di Mosè alla luce delle mie conoscenze innanzi tutto bibliche, ma anche storiche.

Do subito per scontata la realtà storica della persona di Mosè.

Premetto questa cosa non perché io dia alcun peso o persino creda si possa dare alcun peso alle affermazioni di chi nega l’esistenza di un uomo chiamato Mosè dietro la Torah ebraica, ma perché anche la più assurda teoria può trovare da qualche parte qualcuno che la enunci e qualcuno che la sostenga.

Se è vero che non vi sono evidenze extra bibliche a sostegno dell’esistenza di Mosè, è anche vero che è soltanto questo l’argomento che si può muovere contro il dato biblico. Un argomento basato sul silenzio e tra l’altro sul silenzio di un popolo su una sua amara sconfitta ha valore pressoché nullo, come il buon senso ed anche una certa conoscenza della storia antica ci impongono.

Ma se è vero che vi è chi nega l’olocausto – documentato come pochi eventi storici – non riesco certo a stupirmi se qualcuno nega la realtà storica di qualsiasi altro evento.

Il popolo di Dio, i discendenti di Giacobbe, entrarono in Egitto grazie all’intervento provvidenziale di Giuseppe, figlio di Giacobbe e visir2 del faraone, durante un periodo di carestia che interessò l’Egitto stesso ed il medio – oriente che rocambolesche vicende, all’ingresso dei patriarchi in Egitto.

Il libro della Genesi si conclude con questo evento.

L’Esodo, il libro che segue, comincia invece evidenziando il cambio della condizione del popolo di Dio ormai stabilmente presente in Egitto, dovuto ad un avvicendamento sfavorevole nelle forze al potere in quella terra. Probabilmente quando la Bibbia ci dice che “sorse sopra l’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe”. (Esodo 1:8), dobbiamo intenderlo come un avvicendamento dinastico al potere in Egitto.

Saranno le circostanze che seguono, proprio l’ostilità verso Israele, a gettare le basi per la futura gloriosa liberazione di quel popolo. Mosè, infatti, fu per scampare agli intenti omicidi del re egiziano che finì per essere adottato dalla figlia del Faraone stesso.

Leggiamo dalla Scrittura stessa cosa accadde.

“La figlia del faraone scese al Fiume  per fare il bagno, e le sue ancelle passeggiavano lungo la riva del Fiume. Vide il canestro nel canneto e mandò la sua cameriera a prenderlo. Lo aprì e vide il bambino: ed ecco, il piccino piangeva; ne ebbe compassione e disse: “Questo è uno dei figli degli Ebrei”. Allora la sorella del bambino disse alla figlia del faraone: “Devo andare a chiamarti una balia tra le donne ebree che allatti questo bambino?” La figlia del faraone le rispose: bambino. “Va'”. E la fanciulla andò a chiamare la madre del bambino. La figlia del faraone le disse: “Porta con te questo bambino, allattalo e io ti darò un salario”. Quella donna prese il bambino e lo allattò. Quando il bambino fu cresciuto, lo portò dalla figlia del faraone; egli fu per lei come un figlio ed ella dalle acque”. lo chiamò Mosè; “perché”, disse: “io l’ho tirato fuori

La narrazione biblica è in perfetta armonia con quanto sappiamo da altre fonti storiche: “… i figli di genitori stranieri potevano essere affidati volontariamente o in modo meno pacifico al Kep , in cui ricevevano una formazione identica (studio delle lingue, religione, uso delle armi e così via) a quella dei figli del sovrano egiziano”. Sophie Desplancques, “L’Antico Egitto”, Newton Compton Editori, Collana Biblioteca del Sapere, p. 23.

Kep”, viene di solito tradotto “figli reali” e possiamo immaginarlo come un programma di egizianizzazione per stranieri. Non è una pratica sconosciuta anche ad altri popoli. Il re babilonese Nabucodonosor infoltiva il suo apparato statale deportando in Babilonia il fior fiore dei giovani delle nazioni che aveva conquistato, e alla sua corte li istruiva sulla lingua e cultura babilonesi. Ne leggiamo nel libro biblico di Daniele.

E’ lecito pensare che Dio usò l’accanimento e la malvagità del re egiziano per cominciare l’opera che avrebbe condotto alla liberazione del Suo popolo. Quindi, con le vicende descritte nell’Esodo, il piccolo ebreo si trovò ad essere introdotto alla corte egiziana, il più grande, meglio organizzato e più evoluto paese del periodo storico in cui egli visse.

Nel 1500 a.C. circa, periodo nel quale ambientiamo la nascita di Mosè, il popolo egiziano era già una civiltà antica circa 1700 anni, computando dal periodo predinastico. Le piramidi venivano costruite da oltre un millennio, visto che alcune fra le più note risalgono a 1200 anni prima e dall’altezza della loro imponenza testimoniavano la grandezza dell’Egitto e del Faraone.

L’orgoglio egiziano non era immotivato.

Nella Genesi e nell’Esodo non viene nominato nessun re egiziano per nome ma è semplicemente definito Faraone. Ciò crea difficoltà (direi insormontabili) nell’identificazione del sovrano del quale sta parlando il testo biblico. Anche in questo, però, la Bibbia si dimostra una straordinaria accuratezza storica. “Il termine “faraone” viene da un’espressione egiziana che significa “grande dal Nuovo Regno designò la persona del re”. Sophie Desplancques, “L’Antico Egitto”, Newton Compton Editori, Collana Biblioteca del Sapere, dallo stesso re. “L’insegnamento di Merikare” è un antico scritto dove un faraone istruisce il proprio figlio sui nobili principi della cultura egiziana, dei quali Faraone deve essere garante ed amministratore ed è un esempio di come il re egiziano percepisse l’importanza del suo ruolo.

E’ credenza comune (e così si sostiene anche nel film “Il Principe d’Egitto”) che il re che si mosse contro gli Ebrei fosse Sethi e che il suo successore Ramesse II fosse il faraone dell’Esodo. Se anche ciò corrispondesse alla realtà storica dei fatti, non cambierebbe nulla alle mie argomentazioni. Tuttavia, ci tengo a precisare che dopo aver letto le tesi di David Rohl e le teorie alla base della sua New Chronology, mi sono convinto che Ramesse non sia il Faraone dell’Esodo. Sono stato anche spinto in questa direzione dalla validità che riconosco alla Bibbia come documento storico, fonte attendibile in linea puramente teorica – almeno dal punto di vista scientifico – almeno quanto ogni altra fonte storica antica, ma praticamente più attendibile di altre.

Mosè viene portato alla corte di Faraone, come figlio adottivo della stessa figlia del re. Ciò implica che Mosè poté avere accesso ai più alti gradi dell’istruzioni della nazione più evoluta che esistesse al mondo. Gli egiziani infatti eccellevano in molti campi e la loro cultura era avanzatissima.

La scrittura classica degli egiziani erano i geroglifici. La bellezza di tale espressione del linguaggio tramite immagine ne favorì l’uso ornamentale all’interno dei vari monumenti funerari e non. Guardiamo questo tipo di scrittura da una parte ammirati per il gusto artistico, dall’altra compiaciuti per i progressi che diamo per scontati considerando il nostro praticissimo alfabeto. In realtà già in tempi remotissimi ai geroglifici si accompagnò in Egitto un più pratico metodo di scrittura chiamato “ieratico”. Quest’ultimo era in pratica un corsivo,   che   si   semplificò   ulteriormente   nelle   epoche successive,  assumendo  le caratteristiche che lo faranno descrivere agli studiosi con il termine “demotico”.

La scrittura in geroglifici non deve farci pensare che il popolo egiziano fosse primitivo – perché mi è parso che ad alcuni possa sembrare così. L’utilizzo dei geroglifici in quasi tutta la storia egiziana è motivato dalla bellezza di questa forma di scrittura, dal suo innegabile valore decorativo quindi, ma anche dal significato religioso che veniva attribuito ai simboli che la costituivano.

In alto un esempio di scrittura ieratica e geroglifica in basso tratto dalla prestigiosa grammatica di egiziano antico di Alan Gardiner, Egyptian Grammar.

Lo    ieratico,    vista    la    sua praticità veniva utilizzato su papiro per scrivere trattati o testi di narrativa.

Purtroppo i papiri non resistono altrettanto bene al trascorre del tempo quanto le incisioni su tombe o monumenti.

Il cosiddetto papiro Rhind, nell’immagine, è un papiro risalente al XVII secolo a.C. Riproduce un testo matematico; contiene anche esercizi di algebra e geometria. La matematica degli egiziani era molto evoluta, come si potrà immaginare dal fatto che furono capaci di costruire le loro piramidi con una precisione anche oggi difficile da eguagliare. Non sarà fuori luogo evidenziare che le più grandi piramidi furono costruite durante il regno antico e che questo papiro risale al secondo periodo intermedio – circa mille anni dopo!

Nell’immagine qui sopra il papiro Edwin Smith, che tratta di medicina.

La scelta degli egiziani di continuare a mantenere la scrittura in geroglifici, come ho già detto, è facilmente spiegabile dal punto di vista storico, per il significato magico attribuito ai segni che utilizzava; ma anche comprensibile vista   la   bellezza   oggettiva   e   la   potenzialità decorativa che questa scrittura possedeva. Abbiamo esempi nella storia più prossimi a noi. I giapponesi, ad esempio, che fanno largo uso ormai del nostro alfabeto, rimangono fedeli alla loro complica scrittura tradizionale. Eppure sono uno dei popoli più avanzati tecnologicamente del pianeta!

Un’ultima cosa va aggiunta, che ci tornerà utile più avanti: la scrittura in geroglifici aveva in sé un seme importante, che sarebbe servito dopo a dare una spinta importante verso la nascita dell’alfabeto: la valenza fonetica di 22 dei suoi segni.

Dal punto di vista politico l’Egitto rappresentava una nazione solida al suo interno, ben organizzata e con un’economia intelligente ed accorta. La politica estera aveva quasi sempre visto il prestigio e la forza egiziana permettere a quella nazione di mantenere un certo controllo della zona palestinese, con il conseguente buon uso delle vie commerciali che collegavano l’Egitto alla Mesopotamia. La posizione dell’Egitto era duplicemente vantaggiosa. Da una parte si affacciava sul Mediterraneo, dall’altra era protetto dalla natura del territorio nelle vie che lo collegavano alla Mezzaluna Crescente.

Era questa la nazione più grande del mondo di allora, paragonabile agli Stati Uniti d’America dei nostri giorni.

Dio aveva fatto si che il futuro legislatore del suo popolo ricevesse la migliore istruzione disponibile allora sul pianeta. Alla corte di Faraone soltanto Mosè avrebbe potuto apprendere l’antica sapienza degli egiziani, la scrittura, le più evolute conoscenze  matematiche, scientifiche, mediche, ecc …

Ma non era ancora pronto. Qualcosa doveva ancora avvenire nella sua vita prima di poter essere adatto al compito al quale Dio stava per chiamarlo.

In quei giorni, Mosè, già diventato adulto, andò a trovare i suoi fratelli; notò i lavori di cui erano gravati e vide un Egiziano che percoteva uno degli Ebrei suoi fratelli. Egli volse lo sguardo di qua e di là e, visto che non c’era nessuno, uccise l’Egiziano e lo nascose nella sabbia. Il giorno seguente uscì, vide due Ebrei che litigavano e disse a quello che aveva torto: “Perché percuoti il tuo compagno?” Quello rispose: “Chi ti ha costituito principe e giudice sopra di noi? Vuoi forse uccidermi come uccidesti l’Egiziano?” Allora Mosè ebbe paura e disse: “Certo la cosa è nota”. Quando il faraone udì il fatto, cercò di uccidere Mosè, ma Mosè fuggì dalla presenza del faraone, e si fermò nel paese di Madian e si mise seduto presso un pozzo. Il sacerdote di Madian aveva sette figlie. Esse andarono al pozzo ad attingere acqua per riempire gli abbeveratoi e abbeverare il padre. Ma sopraggiunsero i pastori e le scacciarono. Allora gregge di loro Mosè si alzò, prese la loro difesa e abbeverò il loro gregge. Quando esse giunsero da Reuel, loro padre, questi disse: “Come mai siete tornate così presto oggi?” Esse risposero: “Un Egiziano ci ha liberate dalle mani dei pastori, per di più ci ha attinto l’acqua e ha abbeverato il gregge”. Egli disse alle figlie: “Dov’è? Perché avete lasciato cibo”. Mosè accettò di là quell’uomo? Chiamatelo, ché venga a prendere del abitare da quell’uomo. Egli diede a Mosè sua figlia Sefora. Ella partorì un figlio che Mosè chiamò Ghersom; perché disse: “Abito in terra straniera“. (Esodo 2:11-22)

Mosè abbandona l’Egitto per fuggire al guaio che ha combinato – inutile nascondere la realtà. Ma è proprio di quell’uomo in fuga, senza una vera identità nazionale (era un ebreo che ha  le sembianze di un egiziano – Esodo 2:19) che Dio farà il più grande legislatore della storia dell’umanità. I madianiti erano discendenti di Abramo. Quando Mosè entrò in contatto con questo popolo nomade, aveva circa quarant’anni e con loro rimase per altri quarant’anni.

In quegli anni egli apprese le antiche tradizioni mesopotamiche sulla creazione, sul diluvio, sulla nascita delle prime città. Egli apprese lì la cultura del Abraamo, Isacco e Giacobbe.

C’è un problema di fondo della storia antica che adesso ritengo importante dover comunicare al lettore per ben comprendere alcune problematiche.

Siamo in condizione di ricostruire la storia antica dell’Egitto e grazie ai ritrovamenti archeologici che testimoniano di queste grandi della Mesopotamia culture del passato, integrando queste informazioni con i pochi scritti storici che sopravvivono. Questi ritrovamenti archeologici sono possibili grazie al fatto che tali antiche civiltà erano sedentarie. Quindi vivevano in città, costruivano palazzi con iscrizioni. Avevano archivi dove raccoglievano informazioni amministrative, commerciali, ecc … Possedevano biblioteche – il re assiro si vantava di possedere una biblioteca con oltre 100.000 testi. Non è un caso se molto di ciò che sappiamo è dovuto a documenti o testi che venivano incisi e conservati su tavolette. E’ il caso della cosiddetta corrispondenza di Amarna o degli archivi di Ebla, della stele di Rosetta, del codice di Hammurabi.

Sarebbe, però, ingenuo credere che possediamo una testimonianza del passato che attinga a più dell’1% della documentazione che deve essere esistita. Abbiamo pochi papiri, supporto per scrittura molto pratico e maneggevole – come la nostra carta – ma poco resistente nel tempo. Eppure molta letteratura e documenti devono aver avuto una diffusione su questo tipo di materiale da scrittura. Frammenti di papiro ci sono giunti da epoche remotissime e non è difficile supporre che questo fosse diffuso anche quando ancora venivano utilizzate le tavolette di argilla, con funzioni ed usi diversi. Ovviamente i papiri non potevano resistere al decadimento causato dal tempo – credete che la nostra carta potrebbe preservare i nostri libri per oltre 2000 anni? O, visto che ora stiamo digitalizzando tutto, se cambiassero nei secoli le fonti di energia e la nostra civiltà subisse – come è già accaduto nella storia – un salto indietro, la nostra cultura della quale andiamo tanto fieri, non potrebbe andare quasi del tutto perduta? Se vi sono stati dei films di fantascienza che hanno trattato questo tema è perché vi è scientificamente la possibilità che ciò accada5. Ed in una certa misura ciò è accaduto alle civiltà del passato.

Se non fosse stato per la testimonianza della Bibbia, sarebbe andata perduta la memoria dell’antico oriente e dell’antico  Egitto.  L’archeologia è in realtà una scienza relativamente giovane, tanto che siamo ancora lontani persino dall’avere esaminato e valutato tutti i ritrovamenti degli ultimi due secoli. Si discute ad esempio ancora della corrispondenza di Amarna, scoperta oltre un secolo fa. Abbiamo  appena grattato la superficie della scoperta dei rotoli del Mar  Morto senza riuscire ad avere un verdetto unanime sull’autentico significato di questo importantissimo ritrovamento6.

Non ci dobbiamo quindi meravigliare se di popolazioni nomadi come era il clan di Abraamo, Isacco e Giacobbe, così come era il popolo dei madianiti, non possediamo alcuna prova archeologica che ci metta in condizione di sapere più di quanto ci riferisce la Bibbia.

Essendo nomadi, non vi erano monumenti che potevano resistere al trascorrere del tempo. Non è inoltre verosimile che utilizzassero delle tavolette di argilla per scrivere, perché ciò avrebbe reso i loro archivi e la loro letteratura difficile da trasportare. Essendo pastori, è molto più probabile che si affidassero alla scrittura su pelli di animali per la trasmissione e diffusione della loro cultura.

Mosè ebbe tempo – circa quarant’anni – per ricevere un’accurata istruzione sulla cultura del Dio unico – la stessa cultura tramandata dai patriarchi del suo popolo.

All’età di ottant’anni Mosè era pronto, il perfetto strumento nelle mani di Dio per portare a compimento il più grande compito della storia del popolo di Israele: l’esodo di un intero popolo fuori dall’Egitto.

Alcuni sottovalutano l’importanza della scuola, dello studio, della cultura. Io no. Io credo, per l’esperienza che viene anche dalla Parola di Dio, che è molto importante per un cristiano avere più istruzione possibile. Mosè era un uomo istruito nelle più importanti culture del tempo. Paolo era poliglotta e profondo conoscitore della cultura ebraica e greca – fu così che Dio ne fece il primo grande strumento per la diffusione della nostra fede fra i non ebrei. Gli apostoli erano ebrei, ma ben istruiti nella Sacra Scrittura; conoscevano l’ebraico, per leggere le Scritture, l’aramaico, che gli ebrei del tempo parlavano nella vita quotidiana, e il greco, lingua Testamento.

Personalmente devo dire che lo studio della storia antica e delle lingue bibliche (ma non solo) mi hanno aiutato a comprendere meglio la Parola di Dio. Mi hanno inoltre dato cognizione di causa per dire attendibile o è ignorante o che chi crede che la Bibbia non sia un libro storicamente è in malafede – perché fondamentalmente spaventato dall’autorità spirituale che rivendica la Parola di Dio! Sono le mie conclusioni, mi scuso con chi non le condivide; ma le sosterrò finché non mi sarà stato dimostrato che siano errate.

La conoscenza, la cultura, non sto dicendo questo, non può prendere il posto dello Spirito Santo. E’ quest’ultimo che ci fa comprendere la Parola di Dio. Senza di Lui, il significato spirituale della Sacra Scrittura non può essere percepito. Non possiamo, quindi, da cristiani nemmeno commettere l’errore inverso ed affidarci totalmente ed esclusivamente alla nostra cultura ed istruzione – non basterebbe.

Senza la Rivelazione personale di Dio a Mosè, i suoi scritti o le sue considerazioni non sarebbero andate molto più lontano della filosofia greca. Senza l’assistenza dello Spirito Santo le convinzioni di Paolo non sarebbero state la guida della dottrina della Chiesa per due millenni, ma solo un impossibile tentativo di far uscire la fede ebraica al di fuori dei suoi confini storici nazionali.

E’ vero che è Dio che ha in mano lo strumento e che è questo che fa la differenza. Ma è anche vero che non si può martellare un chiodo con un giravite o suonare un concerto per pianoforte con una pianola. Il Signore stesso ha creato le condizioni perché questi strumenti fossero forgiati e pronti per l’utilizzo per il quale Lui li aveva preparati. Ed anche noi abbiamo il dovere di seguire la volontà di Dio per essere pronti nella nostra vita al compito al quale il Signore ci prepara.

Ormai giunto ai suoi ottant’anni, Mosè era finalmente pronto ad incontrare Dio ed a conoscere il motivo delle cose straordinarie che avevano interessato la sua vita.

Mosè pascolava il gregge di Ietro suo suocero, sacerdote di Madian, e, guidando il gregge oltre il deserto, giunse alla montagna di Dio, a Oreb. L’angelo del SIGNORE gli apparve in una fiamma di fuoco, in mezzo a un pruno. Mosè guardò, ed ecco il pruno era tutto in fiamme, ma non si consumava. Mosè disse: “Ora voglio andare da quella parte a vedere questa grande visione e come mai il pruno non si consuma!” Il SIGNORE vide che egli si era mosso per andare a vedere. Allora Dio lo chiamò di mezzo al pruno e disse: “Mosè! Mosè!” Ed egli rispose: “Eccomi”. Dio disse: “Non ti avvicinare qua; togliti i calzari dai piedi, perché il luogo sul quale stai è suolo sacro”. Poi aggiunse: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio d’Abraamo, il Dio d’Isacco e il Dio di Giacobbe”. Mosè allora si nascose la faccia, perché aveva paura di guardare Dio. Il SIGNORE disse: “Ho visto, ho visto l’afflizione del mio popolo che è in Egitto e ho udito il grido che gli strappano i suoi oppressori; infatti conosco i suoi affanni. Sono sceso per liberarlo dalla mano degli Egiziani e per farlo salire da quel paese in un paese buono e spazioso, in un paese nel quale scorre il latte e il miele, nel luogo dove sono i Cananei, gli Ittiti, gli Amorei, i Ferezei, gli Ivvei e i Gebusei. E ora, ecco, le grida dei figli d’Israele sono giunte a me; e ho anche visto l’oppressione con cui gli Egiziani li fanno soffrire. Or dunque va’; io ti mando dal faraone perché tu faccia uscire dall’Egitto il mio popolo, i figli d’Israele”. Mosè disse a Dio: “Chi sono io per andare dal faraone e far uscire dall’Egitto i figli d’Israele? ” (Esodo 3:1-11)

Sappiamo tutti cosa accadde dopo e come Dio usò Mosè per liberare il suo popolo e guidarli nel deserto prima – che aveva imparato a conoscere negli anni durante i quali aveva vissuto da nomade con i madianiti – e nella “terra promessa” poi, in capo ai terzi quarant’anni della sua vita.

Fu durante quel periodo che Mosè lasciò il segno nella storia di Israele in maniera indelebile, nella composizione della Torah, la Legge.

Dio lo aveva preparato anche per questo compito.

Ho già dato dei cenni sulla scrittura egiziana.

La funzionalità raggiunta  dallo ieratico già in tempi remotissimi, aveva permesso agli egiziani di scrivere testi di narrativa, trattati di matematica, scritti di medicina. I presupposti c’erano tutti perché Mosè potesse mettere per iscritto – come Dio stesso gli aveva comandato di fare – la Legge.

Ma c’era un problema.

La scrittura egiziana era profondamente legata alla lingua del popolo che l’aveva concepita e non era probabilmente adatta per altre lingue. Ma aveva in sé una potenzialità: 22 segni geroglifici avevano infatti valenza consonantica, costituivano, quindi, un vero e proprio alfabeto. Venivano utilizzati quando dovevano   trascriversi   dei  nomi  non egiziani,  per permettere,   con   simboli fonetici,  consonantici,   di mettere per iscritto anche le parole di altre lingue.

Qualcosa di simile era accaduto in Mesopotamia. Quando la lingua sumerica scomparve, gli scribi si adoperarono per utilizzare la scrittura cuneiforme per la nuova lingua dominante, l’accadico. Ma non senza difficoltà, visto il legame intimo esistente fra il sumerico e quella forma di scrittura. Fu per questo che anche quando la lingua dei sumeri divenne ormai una lingua morta, la si continuò a far studiare agli scribi per poter meglio comprendere i meccanismi della scrittura cuneiforme. Per molto tempo la cultura orientale non volle arrendersi alla rivoluzione dell’alfabeto aramaico, preferendo ancora per lungo tempo dopo la sua comparsa e spontanea diffusione, la complicata – ma culturalmente propria! – scrittura in caratteri cuneiformi!

La praticità dell’alfabeto – con qualsiasi tipo di segni lo si rappresenti – è evidente. Esso, in quanto esprime il suono di consonanti e vocali, può asetticamente adattarsi a qualsiasi lingua. Esistono dei testi in siciliano antico trascritti con alfabeto ebraico: sono tali le potenzialità dell’alfabeto!

Qui di seguito il nome di Cleopatra scritto utilizzando il valore fonetico dei geroglifici. 8

L’immagine è tratta da “Egyptian Grammar, being an introduction to the study of Hieroglyphs”, by Sir Alan Gardiner, p.14.

Questa stupenda grammatica spiega che l’alfabeto egiziano era costituito da 22 segni, anzi da 22 consonanti. Gli scribi egiziani infatti ignoravano le vocali, per motivazioni connesse ad una praticità possibile nella loro lingua. Due simboli comunque hanno una valenza semi-consonantica, identificabili con una “i” ed una “u”.

Come l’egiziano anche l’alfabeto ebraico ha 22 consonanti e nessuna vocale. Ha, come l’egiziano, delle consonanti con valenza di vocali che permettono una maggiore precisione nella pronuncia.

Ovviamente Mosè non scrisse nell’alfabeto ebraico che vediamo oggi. Quella forma di scrittura “quadrata” fu adottata dal popolo ebraico molti secoli dopo, presa in prestito dall’aramaico.

Egli probabilmente utilizzò qualcosa di simile all’alfabeto protosinaitico, detto così per le tracce rimaste nelle miniere del Sinai, ed è per questo che è stato definito protosinaitico.

L’alfabeto utilizzato dagli ebrei del primo tempio è il cosiddetto proto ebraico, del quale si trovano tracce nei manoscritti di Qumran, risalenti ad un periodo compreso fra il II secolo a.C. e la prima metà del I secolo.

E’ possibile che da questo ottimo punto di partenza, Mosè aveva gli strumenti per mettere per iscritto la lingua ebraica in un alfabeto che poteva adattare alle esigenze della sua lingua.

“… ci vollero le capacità poliglotte di un colto principe d’Egitto ebreo per trasformare queste prime semplici incisioni in una scrittura funzionale, capace di veicolare idee complesse e un racconto fluente. I Dieci Comandamenti e le Leggi di Mosè erano scritte in lingua protosinaitica. Il profeta di Yahweh, che aveva dimestichezza sia con la letteratura epica egizia, sia con quella mesopotamica, non fu solo il padre fondatore del Giudaismo, della Cristianità e, attraverso le tradizioni iraniche, dell’Islam, ma fu il progenitore delle scritture alfabetiche ebraica, cananea, fenicia, greca e, quindi, del moderno mondo occidentale.” – David Rohl, Il Testamento Perduto, Newton & Compton Editori, pag. 222-223.

La storia, quindi, insieme alle Sacre Scritture ci dice che Mosè fu il prodotto dell’incontro di due culture. Entrambe servirono ad istruirlo ed a formarlo culturalmente e personalmente. Ma fu poi nelle mani di Dio che ogni cosa che gli era successa e quello che la sua esperienza l’aveva fatto diventare, che tutto ebbe finalmente un senso. Grazie all’intervento di Dio un esiliato dal suo popolo e dal suo popolo di adozione, poté divenire il mezzo per l’esodo del popolo di Dio fuori dall’Egitto e l’autore, grazie alla guida dello Spirito Santo, delle prime pagine di quel libro che noi definiamo le Sacre Scritture.

 

Di seguito riporto una pagina di un giornale immaginario che ho disegnato un po’ per gioco, un po’ sperando che potesse interessare e diventare un progetto vero e proprio.

 




Il decimo comandamento

di Giuseppe Guarino

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Chi non crede nella mosaicità del Pentateuco ignora delle realtà ormai oggettive, sia storiche sia archeologiche. I codici, intesi come raccolte di leggi sono una tradizione che nell’antica Mesopotamia, risale a secoli e secoli prima della nascita di Mosè. Fino a qualche tempo fa si riteneva che il codice di Hammurabi, re del primo impero babilonese, fosse il più antico codice di leggi conosciuto. Scavi archeologici hanno però riportato alla luce le leggi di Ur-Nammu, re della III dinastia di Ur, vissuto circa 400-500 anni prima di Hammurabi.

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Gli ebrei sono i discendenti di Abramo, il quale molto verosimilmente proveniva dal medesimo ambiente culturale in cui quel codice di leggi fu redatto. Nulla di più logico che Mosè, ebreo vissuto alla corte egiziana, il più grande stato di allora ed il più avanzato culturalmente, percepisse l’importanza di un codice di leggi per un popolo che aspirasse ad una organizzazione statale.

Cosa aveva di speciale la Legge scritta da Mosè? Che questa era ispirata da Dio, data da Dio stesso al popolo che aveva accettato di seguirLo fuori dall’Egitto verso una terra già promessa al patriarca Abraamo.

Riprendo quanto ho scritto nel mio precedente articolo sull’argomento (Qual è il secondo dei dieci comandamenti? ) prima di soffermarmi sul decimo comandamento, oggetto della nostra discussione.

La Torah ebraica, per noi Pentateuco, cioè i primi cinque libri della Bibbia, contiene circa 613 comandamenti, di cui dieci hanno un significato davvero speciale, come ci tramanda lo stesso testo biblico.

E Mosè rimase lì con il SIGNORE quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua. E il SIGNORE scrisse sulle tavole le parole del patto, i dieci comandamenti.” (Esodo 34:28)

Il fatto che le parole furono incise da Dio stesso sulla pietra ci fa comprendere quanto importante sia il Decalogo.

Ecco i Dieci Comandamenti come li leggiamo in Esodo 20, traduzione Nuova Riveduta.

  1. “Io sono il SIGNORE, il tuo Dio, che ti ho fatto uscire dal paese d’Egitto, dalla casa di schiavitù. Non avere altri dèi oltre a me.
  2. Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti.
  3. Non pronunciare il nome del SIGNORE, Dio tuo, invano; perché il SIGNORE non riterrà innocente chi pronuncia il suo nome invano.
  4. Ricòrdati del giorno del riposo per santificarlo. Lavora sei giorni e fa’ tutto il tuo lavoro, ma il settimo è giorno di riposo, consacrato al SIGNORE Dio tuo; non fare in esso nessun lavoro ordinario, né tu, né tuo figlio, né tua figlia, né il tuo servo, né la tua serva, né il tuo bestiame, né lo straniero che abita nella tua città; poiché in sei giorni il SIGNORE fece i cieli, la terra, il mare e tutto ciò che è in essi, e si riposò il settimo giorno; perciò il SIGNORE ha benedetto il giorno del riposo e lo ha santificato.
  5. Onora tuo padre e tua madre, affinché i tuoi giorni siano prolungati sulla terra che il SIGNORE, il tuo Dio, ti dà.
  6. Non uccidere.
  7. Non commettere adulterio.
  8. Non rubare.
  9. Non attestare il falso contro il tuo prossimo.
  10. Non desiderare la casa del tuo prossimo; non desiderare la moglie del tuo prossimo, né il suo servo, né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino, né cosa alcuna del tuo prossimo“.

Cosa aveva di straordinario questo nuovo codice di leggi che promulgava Mosè?

Il fatto che venisse da Dio, è l’ovvia risposta. Si, ma a parte la sua origine: Cosa? Io credo che proprio il decimo comandamento sia quello che fa la differenza fra questo codice di leggi ed ogni altro codice promulgato da re o repubbliche.

La legge italiana si preoccupa che io non rubi, che non uccida, che non faccia male in alcun modo male al mio prossimo. Ma la Legge di Dio va oltre, Dio va oltre: l’attenzione infatti si sposta dall’azione in sé al cuore dell’uomo. Se allo Stato Italiano non importa che io desideri la macchina del mio vicino, ma soltanto che non gliela rubi, Dio va oltre, Dio vuole cambiare il mio cuore, si cura del mio stato d’animo e mi invita a rimuovere il malessere che mi procura il desiderare la macchina del mio vicino.

Come ho detto altrove (1), la religione dell’antico Israele è qualcosa di talmente straordinario, di così meravigliosamente profondo, di unico, che se anche non si condivide l’idea che l’origine di questa sia Dio, come noi credenti sosteniamo, non si può non rimanere meravigliati di come a verità tanto profonde siano pervenuti gli uomini appartenenti ad una nazione che culturalmente non è riuscita ad esprimere nulla di particolarmente eclatante quanto sumeri, egiziani, babilonesi, assiri, ittiti, greci o romani.

Lo stesso Gesù era il figlio di un artigiano e nacque in una nazione soggetta al dominio romano. Eppure le sue parole sono rimaste nella storia come le più sagge mai proferite da un essere umano.

Ecco cosa ebbe Gesù a dire quando spiegò i comandamenti a chi lo interrogava.

E la folla, udite queste cose, stupiva del suo insegnamento. I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono; e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: “Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?” Gesù gli disse: “”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso” (2). Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti.” (Matteo 22:33-40)

Gesù esalta l’aspetto prettamente spirituale della Legge. Lo fa esponendolo proprio alla setta giudaica dei farisei che erano invece interessati all’esteriorità delle cose, alla scrupolosa aderenza a precetti e tradizioni, probabilmente – e Gesù non ha paura di mettere il dito nella piaga – a discapito dell’autentica spiritualità che la Legge di Dio vuole generare nel credente. Nel Nuovo Patto in Gesù questo aspetto spirituale della fede nel Dio di Abraamo viene ad essere preponderante e la mera osservanza della Legge mosaica, così come l’appartenenza al popolo di Israele in sé e per sé, non erano più rilevanti: conta piuttosto la realtà spirituale ed individuale di chi crede, che sia Giudeo o meno.

La circoncisione (segno visibile dell’appartenenza al popolo giudaico) è utile se tu osservi la legge; ma se tu sei trasgressore della legge, la tua circoncisione diventa incirconcisione. Se l’incirconciso (quindi chi non è per diritto di nascita giudeo) osserva le prescrizioni della legge, la sua incirconcisione non sarà considerata come circoncisione? Così colui che è per natura incirconciso, se adempie la legge, giudicherà te, che con la lettera e la circoncisione sei un trasgressore della legge. Giudeo infatti non è colui che è tale all’esterno; e la circoncisione non è quella esterna, nella carne; ma Giudeo è colui che lo è interiormente; e la circoncisione è quella del cuore, nello spirito, non nella lettera; di un tale Giudeo la lode proviene non dagli uomini, ma da Dio.” (Romani 2:25-29)

Ciò che poi è davvero bello nell’insegnamento di Gesù, ripreso anche dall’apostolo Paolo, è il sottolineare che per noi cristiani, la nuova Legge – quella della nostra fede in Gesù – ci impone un’azione, un’attività positiva, un fare: cioè amare e ciò equivale ad adempiere tutti i precetti raccolti nella Legge mosaica, come dice apertamente la Scrittura.

Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge. Infatti il “non commettere adulterio”, “non uccidere”, “non rubare”, “non concupire” e qualsiasi altro comandamento si riassumono in questa parola: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. L’amore non fa nessun male al prossimo; l’amore quindi è l’adempimento della legge.
(Romani 13:8-10)

La differenza principale fra i precetti del Sinai, così come il rimanente dei comandamenti biblici, e le leggi del vivere civile non sta nel contenuto. Anche il codice civile italiano ci dice: non rubare, non uccidere, ecc … La Legge biblica, però, è spirituale, non è fine a se stessa: il suo scopo non è “proibire”, bensì risvegliare la coscienza del singolo sulla propria incapacità ad adempiere il bene, offrendo l’opportunità all’uomo di affidarsi a Dio per curare la causa prima del male: il suo cuore.

Concludo questo studio con un brano dell’Antico Testamento che è davvero di straordinaria bellezza. Sono convinto che quanto Dio ha promesso ad Israele allora, oggi, alla luce del Nuovo Testamento, possa riguardare ogni uomo che spera in Lui.

… metterò dentro di loro un nuovo spirito, toglierò dal loro corpo il cuore di pietra, e metterò in loro un cuore di carne, perché camminino secondo le mie prescrizioni e osservino le mie leggi e le mettano in pratica; essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.” (Ezechiele 11:19-20)

(1) La religione di Israele

(2) Levitico 19:11-18: “Non ruberete, e non userete inganno né menzogna gli uni a danno degli altri. Non giurerete il falso, usando il mio nome; perché profanereste il nome del vostro Dio. Io sono il SIGNORE. Non opprimerai il tuo prossimo, e non gli rapirai ciò che è suo; il salario dell’operaio al tuo servizio non ti resti in mano la notte fino al mattino. Non maledirai il sordo, e non metterai inciampo davanti al cieco, ma temerai il tuo Dio. Io sono il SIGNORE. Non commetterete iniquità nel giudicare; non avrai riguardo alla persona del povero, né tributerai speciale onore alla persona del potente; ma giudicherai il tuo prossimo con giustizia. “”Non andrai qua e là facendo il diffamatore in mezzo al tuo popolo, né ti presenterai ad attestare il falso a danno della vita del tuo prossimo. Io sono il SIGNORE. Non odierai tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera pure il tuo prossimo, ma non ti caricare di un peccato a causa sua. Non ti vendicherai e non serberai rancore contro i figli del tuo popolo, ma amerai il prossimo tuo come te stesso. Io sono il SIGNORE.
(Levitico 19:11-18)

 

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Salmo 1 – una riflessione

di Giuseppe Guarino

1.Beato l’uomo che non cammina secondo il consiglio degli empi, che non si ferma nella via dei peccatori; né si siede in compagnia degli schernitori; 2. ma il cui diletto è nella legge del SIGNORE, e su quella legge medita giorno e notte. 3. Egli sarà come un albero piantato vicino a ruscelli, il quale dà il suo frutto nella sua stagione, e il cui fogliame non appassisce; e tutto quello che fa, prospererà. 4. Non così gli empi; anzi son come pula che il vento disperde. 5. Perciò gli empi non reggeranno davanti al giudizio, né i peccatori nell’assemblea dei giusti. 6. Poiché il SIGNORE conosce la via dei giusti, ma la via degli empi conduce alla rovina.

L’invito viene da Dio, ma la scelta spetta all’uomo.

Oggi è in voga un atteggiamento socialmente e personalmente dannoso. E’ nell’aria. E me lo ha confermato mio figlio di 7 anni poco tempo addietro, quando, dopo averlo rimproverato, mi ha risposto: “Io sono fatto così”. Non va bene! Perché se ciò che siamo non è come dovremmo essere, bisogna essere pronti a cambiare ed a farlo prima possibile.

Il cambiamento per eccellenza al profondo dell’essere dell’uomo ci viene dalla Parola di Dio.

Vediamo qualche brano biblico in proposito.

“Come potrà il giovane render pura la sua via? Badando a essa mediante la Tua Parola”. (Salmo 119:9)

“Infatti la Parola di Dio è vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a doppio taglio, e penetrante fino a dividere l’anima dallo spirito, le giunture dalle midolla; essa giudica i sentimenti e i pensieri del cuore”. (Ebrei 4:12)

L’uomo è un essere dotato di intelletto, ma, soprattutto, per quanto ci interessa in questa riflessione, di una spiritualità. Quest’ultima è una delle poche cose della nostra vita della quale possiamo decidere l’indirizzo. Possiamo sopirla e lasciarci trascinare dalla corrente: gli schernitori, i peccatori si incontrano lungo la via  – non dobbiamo andarli a cercare, è facile apprendere e seguire i loro modi. Al contrario possiamo decidere di curare la nostra vita spirituale meditando la Scrittura,  “giorno e notte”, cioè con impegno, animati da un desiderio reale di volere conoscere e fare ciò che è bene.

Ricordiamo cosa disse Gesù:

“Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa”. (Matteo 7:13)

Oggi più che mai l’uomo è schiavo dei suoi istinti e dei suoi desideri, molti divenuti vizi, che non riesce più a controllare. E ciò è la conseguenza dell’atteggiamento di accettazione per qualsiasi comportamento. Oggi il rimprovero non è più permesso. Un insegnante non può nemmeno dire un “ti boccio” senza rischiare il posto di lavoro. Un genitore non può dare uno scappellotto al figlio senza rischiare conseguenze. Dappertutto la politica è del lasciare fare a tutti tutto quello che vogliono fare.

Molti, ragazzi ed adulti, agiscono giustificandosi: “mi sono sentito di fare così”. Altri: “io faccio come mi pare”. Altri ancora: “io sono come sono”.

In tutti questi atteggiamenti che oggi sembra anacronistico definire di ribellione, l’uomo moderno sente di avere finalmente acquistato la propria libertà perché può agire come meglio gli aggrada. Ma siamo sicuri che questa falsa libertà non mascheri una prigionia ancora più subdola?

Alexander Crowley è definito il padre del satanismo moderno. Il suo motto era: “Fai ciò che vuoi”. Per lui era questa l’unica legge che contava: in pratica, l’assenza di ogni legge. Crowley visse circa un secolo fa. Ha influenzato tantissimi artisti, fra i quali: The Beatles, Led Zeppelin, Marylin Manson, Ozzy Osborne, ecc. La verità è che, in maniera subdola, per anni, la filosofia della negazione del bene è stata promossa attraverso tutti i media (musica, films, ecc.) fino a riuscire oggi di fatto a sostituirsi all’atteggiamento che ogni uomo dovrebbe avere e che Gesù sintetizza  nelle parole della sua meravigliosa preghiera: “sia fatta la Tua volontà”. Chi si crede libero “facendo ciò che vuole” è solo caduto nella trappola del nemico più grande dell’uomo.

Anche quando veniva scritto il Salmo 1, oltre due millenni fa, non era facile scegliere la volontà di Dio ed era più semplice seguire la scia, l’andazzo di questo mondo. E non è facile giornalmente, aggrapparci al Signore con tutto noi stessi per non essere trascinati via dalla malvagità che ci circonda e ci vorrebbe sommergere. Ma mi danno una grande consolazione le parole di questo Salmo: mentre il mondo va alla rovina spirituale, Dio ci vede (“Poiché il SIGNORE conosce la via dei giusti”) ed è per questo che il Salmo premette su tutto che è “Beato …” l’uomo che sceglie la via di Dio. Sono inoltre meravigliose le parole dell’apostolo Giovanni, scritte quando ormai verosimilmente si trovava al tramonto della sua esistenza terrena, così come la promessa che queste implicano:

“E il mondo passa con la sua concupiscenza; ma chi fa la volontà di Dio rimane in eterno.” (1 Giovanni 2:17)

L’invito viene da Dio, ma la scelta spetta all’uomo.

Caro amico, cara amica, adesso è il momento di scegliere la via del Signore! Questa la promessa:

“Vi darò un cuore nuovo e metterò dentro di voi uno spirito nuovo; toglierò dal vostro corpo il cuore di pietra, e vi darò un cuore di carne.” (Ezechiele 36:26)

 




Due fratelli, due strade diverse

di Giuseppe Guarino 

GENESI 4:1-10

“Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse: “Ho acquistato un uomo con l’aiuto del SIGNORE”. Poi partorì ancora Abele, fratello di lui. Abele fu pastore di pecore; Caino lavoratore della terra. Avvenne, dopo qualche tempo, che Caino fece un’offerta di frutti della terra al SIGNORE.

Abele offrì anch’egli dei primogeniti del suo gregge e del loro grasso. Il SIGNORE guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò con favore Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato, e il suo viso era abbattuto.

Il SIGNORE disse a Caino: “Perché sei irritato? e perché hai il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti contro di te; ma tu dominalo!”

Un giorno Caino parlava con suo fratello Abele e, trovandosi nei campi, Caino si avventò contro Abele, suo fratello, e l’uccise.

Il SIGNORE disse a Caino: “Dov’è Abele, tuo fratello?” Egli rispose: “Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?”

Il SIGNORE disse: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra.”

Questo brano è uno dei più tristi di tutta la Bibbia. Mi sono chiesto: “come mai è così sintetico?” Mi sono risposto nel seguente modo: “perché non basterebbero libri e libri per analizzare ciò che succede qui, ma lo Spirito Santo che ci ammaestra ed alla luce di tutta la Scrittura, riusciamo a comprendere quanto questa narrazione sia profonda e piena di significato.” Spero questa spiegazione vada bene anche per voi.

Caino ed Abele erano fratelli. Erano nati dagli stessi genitori e cresciuti nella stessa casa, quindi è ragionevole pensare che fossero stati cresciuti allo stesso modo. Eppure Caino prese una strada ed Abele un’altra.

Ad un certo punto, Caino, agricoltore, fa una meravigliosa offerta a Dio, profumata, colorata, di frutta, stupendi prodotti della terra.

Abele ne fece un’altra, sanguinaria e cruenta, con sangue appiccicoso di animale e grasso.

Eppure Dio gradì il sacrificio di Abele. Immaginate l’incredula rabbia di Caino, una rabbia che lo porterà fino all’estremo di uccidere il fratello.

Perché il sacrificio di Abele venne accettato da Dio e quello di Caino no?

“Per fede Abele offrì a Dio un sacrificio più eccellente di quello di Caino; per mezzo di essa gli fu resa testimonianza che egli era giusto, quando Dio attestò di gradire le sue offerte; e per mezzo di essa, benché morto, egli parla ancora”. (Ebrei 11:4)

Fu la fede a fare la differenza.

Chiunque con la propria intelligenza avrebbe detto che un’offerta di frutta sarebbe stata più gradevole di una che prevedeva l’uccisione di un animale e lo spargimento di sangue. Caino deve essersi sentito orgoglioso, certo di aver fatto meglio di suo fratello. E non si chiese nemmeno perché Dio non accettò la sua offerta quando il Signore stesso lo interrogò e lo incitò a fare bene. Non cercò di riparare, di andare da suo fratello e scambiare i suoi frutti con degli animali per offrire di corsa anche lui un offerta gradita a Dio. Forse il suo orgoglio non glielo permetteva. Gli mancò la fede.

La fede si estrinseca nell’obbedienza. L’obbedienza conduce alla benedizione, personale e degli altri che ci stanno intorno. E solo grazie alla nostra obbedienza Dio potrà mostrare la Sua Potenza e la Sua Gloria. Infatti proprio grazie all’obbedienza di Abele troviamo già nelle prime pagine della Parola di Dio, ispirata dallo Spirito Santo, l’annuncio profetico del sacrificio di Gesù avvenuto millenni dopo, per la nostra salvezza.

Il comportamento di Caino ci parla dell’espressione di una religiosità personale che tanto caratterizza chi vuol credere a modo proprio. Caino vuole offrire a Dio ciò che egli ritiene giusto e quando Dio stesso gli parla (Genesi 4:6-7) non lo interroga nemmeno per capire dove ha sbagliato. È come se ad ogni costo egli volesse, per orgoglio, per mancanza di fede, come deduciamo dal brano di Ebrei citato, far prevalere il suo modo di credere e di fare “religione”.

Molti vogliono offrire a Dio il sacrificio che loro ritengono giusto, vogliono servire Dio come più pare a loro e non vanno alla Sacra Scrittura per capire se è davvero a quel modo che Dio vuole che essi agiscano: perché prevale l’orgoglio, la convinzione personale e non il bisogno di obbedire alla Parola di Dio.

Caino ed Abele erano fratelli, ma i loro destini furono totalmente opposti. Oggi molta gente si sente come intrappolata all’interno della propria sorte, dettata da fattori esterni determinanti. Ma non è così. Caino ed Abele avevano vissuto nella stessa casa, nelle stesse condizioni. Come loro allora, anche noi siamo esseri umani pensanti e con una spiritualità. E quando la Parola di Dio ci viene annunciata il nostro spirito sussulta perché riconosce la voce del nostro Creatore e Dio. Sta a noi, alla nostra libera e consapevole scelta, rispondere alla Sua chiamata o meno.

Badate di non rifiutarvi d’ascoltare colui che parla … ” (Ebrei 12:25) è il monito della Bibbia ad ogni uomo … anche a te che stai leggendo queste parole. Possa Dio guidarti a fare la scelta giusta ed abbracciare il Suo amore in Cristo, per la tua salvezza.

 

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Biblical Greek Lessons

The following are a series of biblical Greek lessons for beginners

INTRODUCTION – where I explain why the Greek language was chosen to write the Christian Scriptures.

LESSON 1 – How to read Greek

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Destino ed ineluttabilità degli eventi

di Giuseppe Guarino

È stato sconvolgente leggere il resoconto dello storico giudeo Giuseppe Flavio circa l’epilogo della rivolta giudaica che portò nel 70 d.C. alla distruzione del tempio e della città di Gerusalemme. Egli riporta che il numero delle vittime di quella catastrofe fu di oltre 1.300.000 persone. Tremenda fu in particolare la sorte di coloro i quali, dopo la distruzione di Gerusalemme, si erano arroccati nella fortezza di Masada. Questi, infatti, decisero, dopo un ultimo accorato discorso del loro leader, di suicidarsi in massa pur di non cadere in mano dei romani.

Per chi conosce la Bibbia ed ha letto di come Gesù profetizzò innanzi tempo la distruzione del tempio e della città di Gerusalemme e del fatto specifico che questi due eventi sono direttamente collegati alla reiezione del Messia da parte della nazione di Israele, questo ultimo fatale discorso fatto a Masada da parte di un giudeo assume dei toni davvero molto significativi. Riporta così Giuseppe Flavio: “Avremmo fatto meglio ad intuire il proposito di Dio molto prima … e comprendere che lo stesso Dio che anticamente aveva avuto in favore la nazione giudaica, l’ha adesso abbandonata alla distruzione; perché se avesse continuato ad esserle favorevole o se non fosse stato tanto dispiaciuto di noi, egli non avrebbe permesso la distruzione di così tanti uomini e avrebbe liberato la città santa dal fuoco e dalla distruzione che è avvenuta per mano dei nostri nemici”. Dalla “Guerra Giudaica”, citata nel libro “Readings from the First Century World” edito da Walter A. Elwell e Robert W. Yarbrough, pag. 53-54.

Vi è un senso di ineluttabilità di chi nel commentare questo o quell’evento sospira: “era destino che andasse così!”

Davanti ad una morte prematura, spesso si sente dire: “era il suo destino, era destinato così”.

Nel piangersi addosso di alcuni davanti all’ennesima svolta negativa nella propria vita si sussurra rassegnati: “è il mio destino, la mia sorte”.

L’esistenza o meno di un Destino all’interno delle vicende umane è un problema squisitamente filosofico. E come  nella Bibbia, che non è un libro filosofico ma è, invece, sempre diretta alle ripercussioni pratiche delle cose, nella mia mente la riflessione origina da una domanda:

– Credi nel Destino?

Ebbene, se credi nel Destino, sappi che Dio è Signore e Padrone anche di quello!

In pratica ed in maniera definitiva, apprendiamo dalla meditazione della Sacra Scrittura, che non esiste un “Destino” come molti lo intendono, cioè come il percorso inevitabile degli eventi, semplicemente perché Dio è Signore di ogni cosa e di ogni evento.

Un medesimo modo di dibattere sulle credenze popolari lo incontriamo negli scritti di Paolo, nella sua epistola ai Colossesi. Qui egli discute della complessa cosmologia gnostica, della contemplazione di “emanazioni divine” da Dio immaginata dai sostenitori di questa eresia. Paolo non ne confuta le dottrine o il pensiero; sembra invece opporre, con sottile intelligenza, un ragionamento molto semplice, nel quale è come se dicesse: “inventatevi tutte le genealogie celesti che volete, Cristo è sempre al di sopra di tutto e di tutti e Lui solo vale la pena conoscere e servire.”

La risposta di Paolo evita una polemica difficile, lunga e forse anche inutile, e ribadisce con fermezza la devastante semplicità della fede cristiana.

Egli – Gesù – è l’immagine del Dio invisibile, il primogenito di ogni creatura; poiché in lui sono state create tutte le cose che sono nei cieli e sulla terra, le visibili e le invisibili: troni, signorie, principati, potenze; tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui”.

(Colossesi 1:15-17)

Per dimostrarci con un linguaggio incredibilmente semplice – è un pregio della Scrittura, non un suo limite – che non esiste alcun decreto immutabile sulla sorte di nessuno, la Bibbia spesso ci parla di Dio che si “pente” di ciò che ha fatto o di ciò che sta per fare e decide di tornare sui suoi passi, cambiando opinione sul da farsi su questa o quella questione. In parole povere, se apprendiamo dalla Parola di Dio che Dio stesso può “cambiare idea”, allora possiamo concludere che il corso degli eventi, apparentemente immutabile, può invece essere cambiato e che, quindi, per logica conseguenza, non vi è nulla di inevitabile.

Vediamo qualche esempio biblico di ciò che dico

In quel tempo Ezechia si ammalò di una malattia che doveva condurlo alla morte. Il profeta Isaia, figlio di Amots, andò da lui, e gli disse: “Così parla il SIGNORE: Dà i tuoi ordini alla tua casa; perché tu morirai; non guarirai”. Allora Ezechia voltò la faccia verso il muro e pregò il SIGNORE, dicendo: “SIGNORE ricòrdati, ti prego, che ho camminato davanti a te con fedeltà e con cuore integro, e che ho fatto ciò che è bene ai tuoi occhi”. Ezechia scoppiò in un gran pianto. Isaia non era ancora giunto al centro della città, quando la parola del SIGNORE gli fu rivolta in questi termini: “Torna indietro, e di’ a Ezechia, principe del mio popolo: “Così parla il SIGNORE, Dio di Davide tuo padre: Ho udito la tua preghiera, ho visto le tue lacrime; ecco, io ti guarisco; fra tre giorni salirai alla casa del SIGNORE. Aggiungerò alla tua vita quindici anni, libererò te e questa città dalle mani del re di Assiria, e proteggerò questa città per amor di me stesso, e per amor di Davide mio servo”.

(2 Re 20:1-6)

La preghiera di Ezechia cambiò il suo “destino”! Isaia gli aveva annunciato la sua morte con parole molto forti: “Così parla il Signore”, aveva detto il profeta. Nonostante questo, però, la preghiera di Ezechia fa mutare il consiglio stesso di Dio e il Signore lo guarisce concedendogli quindici anni in più da vivere.

E’ difficile sopravvalutare il potere della preghiera, quando vediamo che può influenzare gli stessi decreti di Dio. Questo deve farci comprendere che possiamo cambiare la nostra vita e la vita di coloro che stanno intorno a noi, possiamo cambiare le situazioni, possiamo volgere le circostanze a nostro favore!

La preghiera fa la differenza nella vita di un uomo, perché tramite la preghiera invitiamo Dio nella nostra vita con tutto ciò di positivo che la sua presenza implica.

La differenza fra Giuda e Pietro – come fra chi crede e chi non crede – non è poi così marcata: è una preghiera di ravvedimento a fare la differenza. Un cuore che capisce di avere peccato, si appella alla grazia di Dio per il perdono e la riconciliazione con il Padre – così fece Pietro. Giuda non pregò, ravvedendosi di quanto aveva fatto, ma disperato, senza fiducia nella grandezza di Dio, nella sua Grazia, nel suo perdono, seppe solo suicidarsi.

Tanto è lontana la salvezza dall’uomo: una preghiera!

Torniamo al tremendo evento che abbiamo citato all’inizio, la distruzione di Gerusalemme. Eusebio di Cesarea, storico della Chiesa del IV secolo, narra che i cristiani residenti a Gerusalemme furono divinamente avvertiti della distruzione che da lì a poco sarebbe avvenuta ed abbandonarono la città. Eppure io sono certo che l’intero popolo avrebbe potuto essere risparmiato: sarebbe stato sufficiente credere al messaggio degli apostoli.

E’ vero quindi che Dio sa e conosce ogni cosa, passato, presente e futuro. Ma chiamare in causa il “destino” o la “sorte” come responsabili per gli eventi della nostra vita non solo è troppo facile, ma è anche e soprattutto stupido (mi si perdoni questo termine), perché significa soltanto “gettare la spugna”.

Riconoscendo, invece, che Dio è Padrone e Signore di ogni cosa – anche di quello che gli uomini chiamano “Destino” – rivolgendoci a Lui, possiamo cambiare il corso degli eventi a nostro favore e permettere al Signore di fare la differenza nella nostra vita.

Maggio 2011