Vangelo di Matteo Capitolo 3Note di Giuseppe Guarino
Questo il terzo capitolo del Vangelo di Matteo, con le note al testo a seguire. Il Vangelo va letto con attenzione e il commento è soltanto un aiuto e la comprensione la dobbiamo principalmente allo Spirito Santo e al suo perfetto ministero.
La proclamazione del regno dei cieli
Giovanni Battista
Capitolo 3
1 Or in quei giorni venne Giovanni Battista, che predicava nel deserto della Giudea,
2 e diceva: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino![1]”
3 Questi infatti è colui di cui parlò il profeta Isaia quando disse: “Una voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri””.
4 Or Giovanni stesso portava un vestito di peli di cammello e una cintura di cuoio intorno ai lombi e il suo cibo erano locuste e miele selvatico.
5 Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione adiacente il Giordano accorrevano a lui,
6 ed erano battezzati da lui nel Giordano, confessando i loro peccati.
7 Ma egli, vedendo molti dei farisei, e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere, chi vi ha mostrato a fuggire dall’ira a venire?
8 Fate dunque frutti degni di ravvedimento!
9 E non pensate di dir fra voi stessi: “Noi abbiamo Abrahamo per padre” perché io vi dico che Dio può far sorgere dei figli di Abrahamo anche da queste pietre.
10 E la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco,
11 Io vi battezzo in acqua, per il ravvedimento; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno neanche di portare i suoi sandali, egli vi battezzerà con lo Spirito Santo[2], e col fuoco.
12 Egli ha in mano il suo ventilabro e pulirà interamente la sua aia; raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula con fuoco inestinguibile”.
Il battesimo di Gesù
13 Allora Gesù venne dalla Galilea al Giordano da Giovanni per essere da lui battezzato.
14 Ma Giovanni gli si opponeva fortemente dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”.
15 E Gesù, rispondendo, gli disse: “Lascia fare per ora, perché così ci conviene adempiere ogni giustizia”. Allora egli lo lasciò fare.
16 E Gesù, appena fu battezzato uscì fuori dall’acqua[3]; ed ecco i cieli gli si aprirono, ed egli vide lo Spirito di DIO scendere come una colomba e venire su di lui;
17 ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il mio amato Figlio[4], nel quale mi sono compiaciuto”[5].
NOTE
[1] Qual è questo “regno dei cieli” che il cui arrivo è prossimo? Il riferimento al libro di Daniele è evidente. Nel sogno che il Signore fece interpretare al profeta esule in Babilonia, veniva previsto che alla fine di una successione di regni, “il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto; questo regno non sarà lasciato a un altro popolo, ma frantumerà e annienterà tutti quei regni, e sussisterà in eterno”. (Daniele 2:44)
[2] I fratelli di fede pentecostale (ai quali appartengono) preferiscono leggere questo brano “vi battezzerà nello Spirito Santo” piuttosto che “con lo Spirito Santo”. Entrambe le letture sono possibili, ma, visto il senso della parola originale che da vita alla traslitterazione “battesimo” e il senso della frase in generale, sono più propenso per “nello Spirito Santo”.
[3] Sembra superfluo dirlo, perché la parola Battesimo, nella nostra lingua potremmo tradurla quasi “immersione”, ma, ove mai vi fosse bisogno di prove, qui le abbiamo che il battesimo originario, praticato già nel giudaismo prima ancora che nel cristianesimo, fosse un rito di immersione. Gesù infatti “esce” fuori dall’acqua. Capisco, vivendo in Italia, che agli occhi dei fedeli cattolici, i quali sono abituati al battesimo per aspersione, questo sembra un dettaglio di poco conto. Non lo è però, perché quando il battesimo è praticato per aspersione ed agli infanti – mentre nella Bibbia tutti i battezzati sono adulti che hanno creduto, battezzati per immersione – si perde il senso profondo di quest’atto della fede giudaica incorporato nella nuova fede cristiana come segno primo della propria, volontaria adesione alla Chiesa di Cristo.
[4] Gesù è il Figlio di Dio in un senso in cui nessun altro può mai esserlo. E’ per questo che Giovanni, nel suo vangelo, aggiunge la parola Unigenito al Figlio, per sottolineare proprio l’unicità dell’essere Figlio di Gesù.
[5] Le tre persone della Trinità sono qui presenti, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo
Questo il secondo capitolo di Matteo, con le note al testo a seguire. Il Vangelo va letto con attenzione e il commento è soltanto un aiuto e la comprensione la dobbiamo principalmente allo Spirito Santo e al suo perfetto ministero.
I savi d’oriente cercano Gesù, il re dei giudei
Capitolo 2
1 Ora, dopo che Gesù era nato in Betlemme di Giudea al tempo del re Erode, ecco dei magi[1] dall’oriente arrivarono a Gerusalemme,
2 dicendo: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo”.
3 All’udire ciò, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.
4 E, radunati tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi, del popolo, s’informò da loro dove doveva nascere il Cristo.
5 Ed essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:
6 “E tu, Betlemme terra di Giuda, non sei certo la minima fra i principi di Giuda, perché da te uscirà un capo, che pascerà il mio popolo Israele””[2].
7 Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, domandò loro con esattezza da quanto tempo la stella era apparsa.
8 E, mandandoli a Betlemme, disse loro “Andate e domandate diligentemente del bambino, e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo”.
9 Ed essi, udito il re, partirono; ed ecco, la stella che avevano veduta in oriente andava davanti a loro finché, giunta sul luogo dov’era il bambino, vi si fermò.
10 Quando essi videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.
11 E, entrati nella casa[3], trovarono il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono[4]. Poi aperti i loro tesori, gli offrirono doni: oro, incenso e mirra.
12 Quindi, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.
Fuga in Egitto
13 Ora, dopo che furono partiti, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e rimani là finché io non ti avvertirò, perché Erode cercherà il bambino per farlo morire”.
14 Egli dunque, destatosi, prese il bambino e sua madre di notte, e si rifugiò in Egitto.
15 E rimase là fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta, che dice: “Ho chiamato il mio figlio fuori dall’Egitto”.
16 Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò grandemente e mandò a far uccidere tutti i bambini che erano in Betlemme e in tutti i suoi dintorni, dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era diligentemente informato dai magi[5].
17 Allora si adempì quello che fu detto dal profeta Geremia che dice:
18 “Un grido è stato udito in Rama, un lamento, un pianto e un grande cordoglio; Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più”.
Ritorno in patria, a Nazaret
19 Ora, morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto,
20 e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e va’nel paese d’Israele, perché coloro che cercavano la vita del bambino sono morti”.
21 Ed egli, alzatosi, prese il bambino e sua madre e venne nel paese d’Israele;
22 ma, avendo udito che Archelao regnava in Giudea al posto di Erode suo padre, ebbe paura di andare là. E, divinamente avvertito in sogno, si rifugiò nel territorio della Galilea,
23 e, giunto là, abitò in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti: “Egli sarà chiamato Nazareno”[6].
NOTE
[1] Un’altra maniera di tradurre la parola “magi”, che è quasi una traslitterazione del greco originale, sarebbe “savi”. La Bibbia non ci dice quanti siano questi uomini che venivano dall’oriente per adorare il neonato re dei Giudei, né i loro nomi. Certo il loro arrivo è provvidenziale. Saranno i doni che fanno al neonato re, oro, incenso e mirra, prodotti di indiscusso valore, a fornire a Giuseppe i mezzi per poter trasferire la propria famiglia in Egitto.
Chi siano in realtà questi savi non c’è dato saperlo e come facevano a sapere che quella stella li stava conducendo al re dei giudei è solo argomento di supposizioni. Personalmente ho maturato la convinzione che questi uomini appartenessero alla medesima categoria di savi cui era appartenuto in tempi remoti Daniele, l’esule giudeo in Babilonia. Avendo questo grande profeta di Dio ricevuto delle profezie che annunciavano proprio l’arrivo del Messia promesso, deve aver collegato i suoi studi alla scienza babilonese – molto avanzata, come attestano i ritrovamenti oggi disponibili presso il British Museum – e riferito l’arrivo del re promesso ad un fenomeno astrale, che avrebbe avuto molto più senso per gli “scienziati” babilonesi di una oscura profezia ebraica (quella delle Settanta Settimane). Annotata l’attesa astronomica nei dettagliati rapporti degli osservatori babilonesi, giunto il tempo, questi savi devono aver ritenuto opportuno andare ad omaggiare il neonato.
L’intento di Matteo è chiaro: anche le stelle hanno reso testimonianza all’arrivo del Messia tanto atteso da Israele, concorrendo ai segni che ne confermano l’avvenuta nascita.
In un’appendice che riporto alla fine di questo libro, riprendo la mia teoria sull’origine delle credenze dei savi orientali citati da Matteo.
[2] Matteo mette in bocca allo stesso clero giudaico la profezia che Gesù avvera con la sua nascita. La troviamo nel profeta Michea.
[3] E’ chiaro che è trascorso un certo periodo dalla nascita di Gesù fino all’arrivo dei magi. Adesso la piccola famiglia vive in una casa e Giuseppe non è in quel momento presente. Si ritiene di solito che la narrazione occorra quando Gesù ha all’incirca due anni; ma non è certo.
[4] Di qualsiasi forma di culto fu oggetto Gesù, questa venne riservata a lui. Per quanto rispetto ed affetto susciti la meravigliosa figura di Maria, ciò non ci autorizza in nessun modo a renderla oggetto di qualsiasi forma di culto, venerazione o adorazione che possiamo chiamarla. In altri brani della Scrittura gli apostoli stessi (Atti degli Apostoli ) e persino gli angeli (Apocalisse) hanno rifiutato di essere adorati!
[5] Compare già dalle prime pagine del Vangelo di Matteo uno degli argomenti portanti della sua narrazione: il rifiuto del Messia da parte di Israele e l’apertura agli stranieri, ai Gentili, che al contrario l’avrebbero accolto.
[6] Nessuna traccia scritta di questa profezia al di fuori della citazione in questo vangelo. Credo sia possibile che, come ha fatto nella narrazione dei magi, l’evangelista voglia dimostrare che Gesù è il Messia promesso anche perché avvera una profezia, trasmessa magari soltanto oralmente ed in quel periodo particolarmente popolare e ciò spiegherebbe l’affermazione di Matteo. Ma è solo una supposizione. I duemila anni che ci separano da questa narrazione rendono davvero difficile potersi illudere di riuscire a comprendere tutto.
Introduzione al vangelo di Matteo di Giuseppe Guarino
Ogni volta che rileggo il vangelo di Matteo percepisco il senso della sua presenza fra i libri del Nuovo Testamento e persino il fatto che l’uso ormai consolidato della Chiesa l’abbia voluto come primo dei libri del nuovo patto. Si tratta infatti d’un’opera stupenda, sulla quale è evidente il sigillo dello Spirito Santo. Mi ha particolarmente affascinato l’incredibile onnipresente unità d’intento dello scritto e questo ho cercato di trasmettere al lettore nello schema del vangelo che propongo più avanti.
Il mio commento l’ho confinato a delle note, che non possono né vogliono sostituirsi al testo, bensì facilitarne la lettura. È per questo che saranno ridotte al minimo indispensabile e il tutto sarà inteso con l’unisco scopo di aiutare il lettore a percepire la grandezza dell’intento narrativo di questo stupendo vangelo.
Perché Matteo?
Quello che (tra virgolette) è un “mistero” è perché lo Spirito Santo abbia scelto figure minori come oggettivamente sono state Matteo, Marco o Luca per la composizione delle prime narrazioni ufficiali della cristianità e non apostoli come Pietro o Giacomo. Questo paradosso, se così possiamo chiamarlo, venne percepito dalle sette eretiche dei primi secoli che si diedero da fare per produrre e diffondere falsi vangeli curandosi di attribuirli a personaggi di spicco, fra i discepoli quali Pietro o Tommaso, Giacomo, ecc. È, quindi, di particolare rilevanza il fatto che il vangelo di Matteo, sebbene in realtà anonimo, sia stato universalmente e già dalle origini attribuito a quell’apostolo e sia riuscito ad essere scelto unanimemente come ispirato ed autentico.
Eusebio, vescovo di Cesarea vissuto nel IV secolo, è autore di una importante “Storia ecclesiastica”. Nel suo lavoro consegna alle future generazioni quella che molto probabilmente era l’idea della Chiesa del suo tempo sul primo vangelo.
“… e di tutti i discepoli, Matteo e Giovanni sono gli unici che ci hanno lasciato un resoconto scritto, e anche loro, come ci dice la tradizione, hanno intrapreso questo lavoro per necessità. Matteo avendo già proclamato l’evangelo in ebraico, quando stava per recarsi anche in altre nazioni, scrisse nella sua lingua natia, supplendo alla mancanza della propria presenza fra loro, per mezzo dei suoi scritti”.
L’idea che Matteo possa avere composto il suo vangelo in un originale ebraico in seguito tradotto in greco ed in questa lingua soltanto giunto a noi, è piuttosto antica. Quanto abbia di vero questa opinione non è facile dirlo. È molto difficile – per non dire impossibile – cercare di supporre l’esistenza di un documento in una lingua esaminandolo in un’altra.
Sono dell’avviso che il vangelo di Matteo sia stato originariamente composto in greco, la lingua nella quale c’è arrivato.
Jean Carmignac ha scritto un libro interessantissimo “La nascita dei vangeli sinottici”. La sua teoria sull’origine ebraica di Marco è fondata e ben proposta. Leggendo il suo lavoro mi sono convinto che il forte sostrato ebraico dei vangeli sia dovuto a dei documenti originali scritti appunto in lingua ebraica (meno verosimilmente aramaica) ai quali – Luca dice apertamente di averlo fatto nel prologo del suo vangelo – gli evangelisti devono avere attinto come fonti per la loro narrazione.
Per me è naturale che gli apostoli e i discepoli trascrivessero i detti di Gesù o altri eventi principali del suo ministero, che mi sembra di dire una cosa persino troppo ovvia. Che questi documenti siano stati custoditi dalla prima cerchia dei cristiani è inevitabile conseguenza. Che Matteo, Marco e Luca li abbiano utilizzati per il loro lavoro deve essere stato naturale. Ciò spiega sia le similitudini nelle loro narrazioni, sia le piccole differenze, dovute ad una diversa lettura o traduzione in greco di medesimi documenti, oltre ad elementi aggiunti dal contatto diretto con gli apostoli o il contatto con altre fonti indipendenti. Ciò spiega le divergenze dei vari evangelisti, se vengono intese come peculiarità narrative fondamentali per dare un’impronta che distingueva – e, in un certo senso, quindi, motivava – il proprio scritto, con un intento narrativo che, come un filo conduttore, legava quelle fonti indipendenti.
Allo stato attuale, da un’analisi del testo in nostro possesso, dalle evidenze manoscritte che sopravvivono dall’antichità a testimoniare l’esistenza e la diffusione di questo vangelo, non abbiamo un motivo concreto per dubitare che il vangelo di Matteo sia stato scritto dall’apostolo al quale viene tradizionalmente ed unanimemente ascritto da ormai due millenni e che la lingua originale di composizione di questo scritto sia la stessa nella quale è giunto sino a noi, il greco.
Chi ha studiato la trasmissione del testo del Nuovo Testamento, il suo percorso in copie manoscritte fino all’invenzione della stampa, sa che la Bibbia è il libro meglio attestato dell’antichità, per numero, qualità ed antichità dei manoscritti che testimoniano la sua esistenza e diffusione.
Per quanto riguarda il vangelo di Matteo, Carsten Peter Thiede ha avanzato l’ipotesi che il frammento di questo vangelo chiamato P64, il cosiddetto Papiro Magdalen, custodito appunto al Magdalen College di Oxford, risalga a prima del 70 d.C. Perché ciò potrebbe essere importante? Perché avremmo una prova oggettiva – offerta dalla papirologia, una scienza sufficientemente al di sopra delle parti da garantire un ottimo livello di oggettività – che la datazione di questo vangelo ad un’età più prossima agli eventi, concezione da sempre sostenuta nella tradizione cristiana, è tutt’altro che inverosimile. Scrivo questo perché alcuni che studiano le Sacre Scritture potrebbero imbattersi in testi che propongono una datazione tarda sia i vangeli che per gli altri scritti del Nuovo Testamento – una posizione oggi meno sostenibile che in passato.
Parlando della datazione di tutto il Nuovo Testamento in generale, scrive così Thiede: “Si è dato per scontato che, se il Vangelo secondo Marco (al quale di solito viene attribuita la preminenza fra i sinottici) fosse stato composto approssimativamente verso il 70 d.C., il Vangelo secondo Matteo sarebbe stato scritto intorno all’anno 80 d.C. Schadewalt (filologo classico contemporaneo) riconosce che “questo errore nella storia della tradizione – come egli la definisce – era piuttosto frequente negli studi classici, finché i filologi, diversamente dagli studiosi del Nuovo Testamento, non migliorarono le loro conoscenze”. Testimone oculare di Gesù, Piemme, I edizione, 1996, pag. 37.
Insomma, non solo non vi sono motivi per non credere che gli apostoli ed il loro seguito abbiano dato vita alle pagine del Nuovo Testamento, ma è addirittura saggio crederlo anche da un punto di vista scientifico, alla luce di nuovi recenti risvolti negli studi di papirologia e filologia.
Perché un altro studio su Matteo?
Perché voglio comunicare al lettore la struttura narrativa che ho percepito nelle varie letture che ho dedicato a questo meraviglioso libro.
Prego il Signore di benedire questo mio studio e coloro che si impegnano per comprendere la Sua Parola.
Il battesimo di Gesù, la voce dai cieli e la tentazione nel deserto di Giuseppe Guarino
Il nostro testo di riferimento è Matteo, ovviamente. Il Battista apre la via Gesù, come avevano previsto i profeti secoli prima e Gesù si presenta per essere battezzato da lui e iniziare il suo ministero. Siamo alla fine del capitolo 3 del vangelo. Appena Gesù esce dall’acqua, accade qualcosa di meraviglioso,
“ed ecco, una voce dai cieli disse:
Questi è il Figlio mio
l’amato,
nel quale mi sono compiaciuto”.
(Matteo 3:17)
La traduzione è mia. Ho preferito tradurre io perché qui nel testo greco originale ravvisiamo questa triplice attribuzione a Gesù di titoli e qualità che può scomparire traducendo in maniera meno letterale. Il lettore vedrà perché questo importante dettaglio.
Gesù è il Figlio di Dio.
Ciò è un chiaro riferimento messianico, che avvera in lui quanto profetizzato nell’Antico Testamento.
l’Amato
Egli non è un figlio qualsiasi, ma il Figlio Unigenito di Dio. L’intima unione fra il Padre e il Figlio sarà poi ribadita e anche meglio chiarita nel Vangelo di Giovanni, in molti punti.
In lui Dio è compiaciuto
Gesù è il perfetto Adamo. È la Parola (il logos) di Dio che si fa uomo, è colui che “essendo in forma di Dio” (Filippesi 2:6) si spoglia, nell’esteriore, della sua divinità per “assumere forma di servo” (Filippesi 2:7), per amore nostro e per obbedienza al Padre.
Quando si battezza, Gesù ha raggiunto i suoi trent’anni ed è arrivato il suo momento, nell’immediato di annunciare il vangelo, la buona notizia, del regno di Dio, di rivelarsi a Israele.
Quanto accade a lui riflette un po’ le nostre vite di credenti. Dopo aver creduto nel Signore, anche noi iniziamo il nostro cammino pubblico di credenti con il battesimo. Da quel momento cominciano le lotte. O sbaglio? E come vuole distruggerci il nemico, se non mettendo in discussione tutto ciò che il Padre ha detto di noi e vuole fare in noi?
Gesù era un uomo. La sua perfetta e autentica umanità lo ha reso il perfetto giudice che giudicherà un giorno il mondo. Vedi Giovanni 5:22 e rif. Alcuni mettono in discussione la letteralità della tentazione di Gesù descritta in Matteo 4. Non capisco in base a quale criterio, se non la loro ristrettezza mentale. La tentazione di Gesù è un momento importantissimo. È fondamentale perché nella sua vittoria traccia l’inizio della strada che conduce alla nostra salvezza. È fondamentale perché ci dice che come lui e con lui possiamo vincere anche noi.
Dopo il battesimo, Gesù si prepara alla battaglia spirituale del suo ministero. Lo fa digiunando. C’è molto da dire sul digiuno. Vi sono vari tipi di digiuno che di solito vengono osservati nella Chiesa. Famoso è il digiuno di Daniele, che ho visto diversi fratelli mettono in pratica, e che si limita all’astensione da carni e cibi ricercati in genere, basando la propria alimentazione su vegetali e frutta. In generale, tranne dei casi dove per motivi medici il digiuno non è raccomandabile, digiunare è una pratica che, insieme alla preghiera, ci prepara al compito di servire Dio, permettendo di mettere in soggezione la propria carne; indebolendola, diamo nuova forza, energia e consapevolezza allo spirito e alla trascendenza dagli elementi di questo mondo in genere.
Trovo la narrazione evangelica meravigliosa. Sottolinea l’umanità del Salvatore, la sua vera, reale, non fittizia umanità: dopo quaranta giorni di digiuno, ebbe fame!
“E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. Ora il tentatore, accostandosi, gli disse: …” (Matteo 4:2-3)
Per questo la Scrittura ci dice che il Diavolo va in giro come un leone ruggente… Attende il momento propizio.
Il diavolo tenta Gesù non in maniera confusa e casuale. Come nell’Eden, egli riprende le parole di Dio e le distorce, le usa mischiandole alla sua menzogna. Ed è quindi nella corretta comprensione e applicazione della Parola di Dio che sta la chiave per vincere le menzogne di Satana.
“Se tu sei il Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. (Matteo 4:3)
Ecco che Satana mette in dubbio l’identità di Gesù, vuole insinuare il dubbio, con quel “se”. Richiede una prova di ciò che Dio ha detto, una dimostrazione. Ma nella fede nella Parola di Dio è la certezza di chi siamo e non abbiamo bisogno di dimostrarlo, bensì di crederlo. Gesù zittisce il nemico citando la Sacra Scrittura.
Il “se” nel testo originale greco del vangelo è qui “ei”, un “se” dubitativo, che pone una sfida. Sarà così anche per il secondo “se” che incontreremo, ma non per il terzo.
Questa la risposta di Gesù al nemico:
“Sta scritto: “L’uomo non vive di solo pane, ma di ogni parola che procede dalla bocca di Dio””
Ciò che siamo lo definisce la Parola di Dio, che è ben più importante delle percezioni della nostra carne mortale.
Il secondo “se”, il secondo dubbio, la pulce nell’orecchio è …
5 Allora il diavolo lo trasportò nella santa città, lo pose sull’orlo del tempio 6 e gli disse: “Se sei il Figlio di Dio, gettati giù, perché sta scritto: “Egli darà ordine ai suoi angeli riguardo a te; ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché non urti col tuo piede in alcuna pietra””. (Matteo 4:5-6)
Qui il nemico è come se dicesse a Gesù: “vediamo se davvero Dio ti ama come ha detto” e cita anche la Sacra Scrittura, nella sua consueta, vile maniera.
Ma Gesù risponde ancora ricacciando indietro il dubbio, ponendo fede nelle parole di Dio sul suo conto, senza bisogno di dover avere o dover dare alcuna dimostrazione tangibile di chi egli sia. Egli sa chi è Dio perché Dio lo ha detto, definendolo: quelle del diavolo sono solo menzogne.
7 Gesù gli disse: “Sta anche scritto “Non tentare il Signore Dio tuo””.
Arriva il terzo “se”. In questo caso nella lingua originale del vangelo non è come i primi due, (ei), bensì (ean) che possiamo tradurre anche con “quando”. Questo perché le parole del diavolo non mettono in discussione la natura della persona di Gesù, bensì vanno a provare a disilludere le parole pronunciate poco prima “Questi è il Figlio mio, l’amato, nel quale mi sono compiaciuto” e che riguardano la condotta del Figlio di Dio, che in ogni modo avrebbe onorato la missione affidatagli dal Padre.
“il diavolo lo trasportò sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria 9e gli disse: “Io ti darò tutte queste cose se (o quando), prostrandoti a terra, mi adorerai””.
Gesù veniva dalla gloria del cielo. Aveva lasciato il suo trono per rimediare al danno causato dalla sua stessa creatura. La richiesta del diavolo è assurda. Oppure è soltanto lo schema della sua menzogna e delle sue medesime tattiche che si ripetono – dall’Eden a oggi. Infatti, vediamo i ricchi e i potenti di questa terra che adorano Satana, più o meno consapevolmente. Vivono nella sua menzogna e se ne fanno ambasciatori. E così vivono cercando di appagare la loro vita con le cose che offre questo mondo.
Gesù non può non rispondere come ognuno di noi deve rispondere davanti alle lusinghe di questo mondo che promette (promette e spesso nemmeno mantiene) fama, ricchezze e potere.
10 Allora Gesù gli disse: “Vattene Satana, poiché sta scritto: “Adora il Signore Dio tuo e servi a lui solo””.
Nella sua perfetta obbedienza Gesù esprime la sua identità, di Figlio di Dio, la sua certezza di essere amato dal Padre e l’approvazione che ricerca nella sua condotta conforme alla Parola di Dio.
Gesù traccia il solco che anche noi, per quanto più piccoli e limitati, dobbiamo sforzarci di seguire.
Allo stesso tempo, con la sua obbedienza, con il suo non cedere, inizia la sua opera che disfa, annulla, in lui, secondo Adamo, la caduta del primo Uomo in Eden.
Romani 5:12-19: “Perciò, come per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e per mezzo del peccato la morte, e così la morte è passata su tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato… 13Poiché, fino alla legge, il peccato era nel mondo, ma il peccato non è imputato quando non c’è legge. 14Eppure, la morte regnò, da Adamo fino a Mosè, anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. 15Però, la grazia non è come la trasgressione. Perché se per la trasgressione di uno solo, molti sono morti, a maggior ragione la grazia di Dio e il dono della grazia proveniente da un solo uomo, Gesù Cristo, sono stati riversati abbondantemente su molti.16Riguardo al dono non avviene quello che è avvenuto nel caso dell’uno che ha peccato; perché dopo una sola trasgressione il giudizio è diventato condanna, mentre il dono diventa giustificazione dopo molte trasgressioni. 17Infatti, se per la trasgressione di uno solo la morte ha regnato a causa di quell’uno, tanto più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia, regneranno nella vita per mezzo di quell’uno che è Gesù Cristo. 18Dunque, come con una sola trasgressione la condanna si è estesa a tutti gli uomini, così pure, con un solo atto di giustizia, la giustificazione che dà la vita si è estesa a tutti gli uomini.19Infatti, come per la disubbidienza di un solo uomo i molti sono stati resi peccatori, così anche per l’ubbidienza di uno solo, i molti saranno costituiti giusti.”
Perché i Vangeli sono stati scritti in questo modo? Perché non troviamo date o descrizioni che ci avrebbero fatto così comodo? Come mai gli eventi sono narrati in maniera a volta tanto sintetica?
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Dr. Who è il titolo di una fortunata serie televisiva di fantascienza cominciata nei lontani anni ’60 ed ancora oggi prodotta dalla BBC. La seguivo, poco più che bambino, negli anni ’70, quando la RAI – allora c’era solo quella! – ne trasmise alcuni episodi. Ho visto con piacere gli episodi più recenti (dalla quinta all’ottava stagione) e devo dire che il progresso della serie e dei personaggi è notevole – sono ancora oggi un cultore di fantascienza, sebbene non abbia più da dedicarvi molto tempo.
La cosa che più mi affascina in Dr. Who è la sua astro-tempo- nave che serve al protagonista per viaggiare nello spazio e nel tempo, il Tardis. Sebbene appaia come una comune cabina telefonica inglese, il Tardis si rivela al suo interno come un ambiente molto spazioso, come ci si aspetterebbe da un mezzo capace di fungere da astronave e da macchina del tempo.
A vederlo da fuori chi l’avrebbe detto che un oggetto tanto comune potesse nascondere al suo interno simili fantastiche potenzialità?
Questa premessa perché, qualche giorno fa, mi sono trovato a discutere sullo stile di composizione dei vangeli con un mio amico, Riccardo, come me appassionato di fantascienza ed anche di fantascienza datata (ricordate Spazio 1999? Star Trek? Ufo?). Riccardo si lamentava dello stile scarno, troppo essenziale a suo avviso, delle narrazioni evangeliche e mi chiedeva apertamente: Perché la Bibbia riporta così pochi dettagli sulla vita di Gesù?
Non è che anche io non mi sia posto questa domanda. Ma credo di aver trovato delle spiegazioni sufficientemente soddisfacenti.
Marco è davvero essenziale nello stile e nei contenuti, ma è un’opera perfettamente in sintonia con gli altri scritti suoi contemporanei. In parole povere, era quello il metodo corrente di scrittura nel periodo in cui quel vangelo fu scritto. Come è logico, ogni autore deve adottare uno stile accettabile dai propri contemporanei, per senso di praticità, ma anche per risultare più chiaro ed efficace possibile.
Se consideriamo che un film o telefilm appena degli anni ’70 ci appare oggi rozzo ed ingenuo, dobbiamo tenere conto che il risultato dei Vangeli, dal punta di vista squisitamente letterario, è più che buono.
Se Matteo propone una cronologia diversa degli eventi rispetto a Marco, è perché il suo intento narrativo tende più a sottolineare il senso di ciò che accade piuttosto che il loro ordine cronologico – che invece ossessiona noi uomini del XXI secolo! Matteo mi ha “sconvolto” con il “disordine” cronologico che compare in alcuni punti della sua narrazione, ma così tanto meravigliato per il suo grande ordine tematico che così compariva!
Perché poi tre vangeli sinottici ed un quarto, quello di Giovanni? La risposta che mi sono data è stata la seguente: quattro narrazioni ci offrono una prospettiva completa, a 360 gradi, di quanto dobbiamo sapere sulla persona di Gesù e sugli eventi che hanno caratterizzato il suo ministero terreno. Da cristiano e da studioso, lo dico in tutta onestà, non ho mai avvertito il bisogno di un quinto evangelo.
Sempre considerando l’approccio storico ai vangeli intesi come documenti, il loro valore di evidenze storiche è più che attendibile, in quanto chiaramente dipendenti dal resoconto di testimoni oculari degli eventi che in essi sono descritti. E, paradossalmente, in quanto documenti anonimi risultano per ciò essere ancora più attendibili, visto che prima di arrivare ad un tale unanime accoglimento nel canone biblico, devono aver dovuto passare l’attento esame di tutta la Chiesa nascente: per essere prima riconosciuti come resoconti attendibili e poi, ma anche soprattutto, Parola di Dio.
I vangeli clamorosamente falsi, attribuiti a questo o quell’apostolo, invece, che hanno proliferato nel II secolo, essendo palesemente di valore pressoché nullo dal punto di vista teologico ma anche storico, hanno goduto soltanto per qualche tempo del favore di questa o quella setta eretica dove erano stati prodotti o diffusi, scivolando presto nell’oblio, almeno fino a quando qualche fortuito ritrovamento non li ha portati alla luce e qualche sapiente operazione commerciale non ne ha sfruttato le potenzialità di guadagno, cercando di attribuire loro un valore storico e religioso che oggettivamente non hanno mai avuto.
Quando si parla di contrasti all’interno delle narrazioni evangeliche o fra di loro, invito a riflettere su quanto sia difficile a volte attingere dalle diverse fonti di informazione (giornali, notiziari) circa la verità di eventi dei nostri giorni; o quanto sia difficile a volte in un’aula di tribunale accertare la verità dei fatti accaduti anche in presenza di diversi testimoni.
L’attendibilità dei testimoni per eccellenza della nostra fede, gli apostoli, sta nel fatto che costoro erano così certi di quanto avevano visto da dedicare tutta la loro vita alla causa del Cristo, e di non fermarsi dal proclamare la Verità nemmeno quando minacciati di morte e poi veramente uccisi.
Scriveva l’apostolo Pietro: “Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà.” (2 Pietro 1:16 – Nuova Riveduta)
Forse ancora più incisivo scrisse poi l’apostolo Giovanni: “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.” (1 Giovanni 1:1-3 – Nuova Riveduta).
Tralasciando i profondi significati dell’ultima citazione, quello che inequivocabilmente si capisce è che l’apostolo Giovanni dice apertamente: Guardate che abbiamo perfettamente capito ciò di cui siamo testimoni (notate il plurale!), sentito, visto e persino toccato; noi siamo sicuri delle cose che annunciamo, dell’evangelo.
Bisogna essere onesti: non molti eventi storici possono vantare fonti tanto attendibili.
Ma il mio amico, poco interessato alla storia, non rimase per nulla convinto dai cenni che gli feci di quanto sopra ho detto. Riflettendoci a casa, quindi, ho elaborato tutt’altra risposta.
I vangeli e la Bibbia in generale, sono come il Tardis di Dr. Who! Esteriormente appaiono come semplici libri di 27 o 16 capitoli, ma quando entri dentro trovi immensi significati, interi libri dentro i libri, i capitoli, i versi, a volte persino le singole parole. Gli innumerevoli testi scritti sulla Bibbia, se li vogliamo considerare come il frutto dell’osservazione di quanto trovato durante le ricognizioni all’interno di questo stupefacente “contenitore”, sono lì ad attestare l’immensa mole di informazioni che custodiscono questi scritti all’apparenza tanto scarni.
Non è forse vero che oggi per facilitare lo spostamento di grossi files si usa “zipparli”? Lo faccio spesso per mandare diverso materiale via e-mail: raccolgo tutto in una cartella, poi comprimo; quindi allego e spedisco il tutto.
La Bibbia possiamo immaginarla come un messaggio di Dio inviato all’uomo, accuratamente “zippato” in maniera da potersi recapitare con successo all’umanità intera.
Me la cavo meglio con la storia che con la scienza e l’informatica, ma spero di non aver fatto troppa brutta figura ed aver dato nuovi spunti di riflessione da altre prospettive che non siano le solite che regolarmente propongo nei miei studi.
Chiudo con un’ultima importante considerazione.
I tempi sono maturi e c’è poco spazio per i dubbi. Il Signore è alle porte ed il ritorno di Gesù è vicino. L’unica cosa sensata che ci conviene fare è prepararci per quel glorioso momento … il resto conta così poco!
C’è un’affermazione nel Nuovo Testamento davvero degna di seria nota, e che riguarda il vangelo di Luca. La rinveniamo in una epistola di Paolo. In 2 Corinzi 8:18, scrive l’apostolo: “E noi abbiamo mandato con lui (con Tito) il fratello (Luca) la cui lode è per l’evangelo in tutte le chiese.”
Il fratello menzionato da Paolo ed associato a Tito è Luca. Ciò è dimostrabile anche dalla parte finale della narrazione del libro degli Atti degli Apostoli, dove il racconto in prima persona fa intendere che l’autore del libro si sia associato a Paolo nei suoi spostamenti e dal prosieguo della citazione dalla seconda epistola ai Corinzi: “non solo, ma egli è anche stato scelto dalle chiese come nostro compagno di viaggio in quest’opera di grazia, da noi amministrata per la gloria del Signore stesso e per dimostrare la prontezza dell’animo nostro.” (2 Corinzi 8:19)
Possiamo concludere che quando l’apostolo Paolo scriveva quell’epistola, Luca era già conosciuto “in tutte le chiese” a motivo del suo Vangelo. È un’affermazione importante ed una testimonianza di non poco conto.
Eppure, nelle versioni oggi comunemente disponibili, il testo è totalmente diverso dalla traduzione (mia) che ho proposto.
Il testo greco originale di questo brano legge: “συνεπέμψαμεν δὲ μετ᾿ αὐτοῦ τὸν ἀδελφὸν οὗ ὁ ἔπαινος ἐν τῷ εὐαγγελίῳ διὰ πασῶν τῶν ἐκκλησιῶν”.
La Riveduta Luzzi traduce: “E assieme a lui abbiam mandato questo fratello, la cui lode nella predicazione dell’Evangelo è sparsa per tutte le chiese”. Il testo originale, però, non dice “questo” fratello, bensì “il” fratello. La frase “nella predicazione” non c’è nell’originale!
La Nuova Riveduta traduce: “Insieme a lui abbiamo mandato il fratello il cui servizio nel vangelo è apprezzato in tutte le chiese”. La parola “servizio” traduce male la parola che nell’originale invece è “lode”. La parola “apprezzato” non è nel testo greco!
Il tentativo, lo capisco, è quello di dare un significato alla frase di Paolo. Ma forse nel farlo, assecondando visioni preconcette che ritengono impossibile la composizione del vangelo di Luca già in un’epoca tanto remota, non si rischia di allontanarsi dal semplice ed immediato senso letterale della frase dell’apostolo? È per questo motivo che, in via generale, quindi, con le dovute eccezioni ed una ovvia ragionevole (sana) flessibilità, prediligo di solito le traduzioni letterali.
Una traduzione letterale di 2 Corinzi 8:18, e, secondo me, più corretta, la troviamo nella versione della CEI: “Con lui (con Tito) abbiamo inviato pure il fratello (Luca) che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo”.
Se riteniamo autentico il prologo di Luca alla sua narrazione evangelica e non un artificio letterario, il suo essersi diligentemente informato presso i testimoni oculari per proporre una narrazione accurata ed attendibile, colloca l’opera dell’evangelista nel periodo apostolico e tale datazione è coerente con l’affermazione di Paolo nella sua lettera.
Proprio negli stessi scritti di Luca abbiamo un’altra conferma.
Leggendo gli Atti degli Apostoli, notiamo subito nell’introduzione che, sebbene questo libro si trovi nelle nostre Bibbie dopo il vangelo di Giovanni, esso è stato composto dal medesimo autore del terzo vangelo ed in un secondo momento rispetto a quello.
“Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare … ” (Atti 1:1)
Un altro punto fermo della nostra discussione è che gli Atti degli Apostoli si concludono … o meglio non si concludono: la narrazione, infatti, si arresta ed è facile dedurre che l’autore non avesse più nulla da narrare al tempo passato.
“E Paolo rimase due anni interi in una casa da lui presa in affitto, e riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento”. (Atti 28:30-31)
Da questa conclusione del libro è facile argomentare che la sua composizione deve essere avvenuta dopo due anni della prigionia a Roma dell’apostolo, ma prima della sua eventuale liberazione o del suo martirio; viceversa Luca ne avrebbe certamente parlato.
Tenendo presente quanto detto, risulta evidente l’antichità del terzo Vangelo, che precede la composizione degli Atti di qualche tempo, sebbene non sappiamo quanto tempo prima sia stato scritto. Di certo prima che Paolo partisse per il suo terzo viaggio missionario e scrivesse la sua seconda epistola, cioè tra il 54 ed il 58 d.C. E con sufficiente anticipo perché la sua opera si diffondesse in maniera tanto estesa da motivare l’affermazione dell’apostolo.
5 luglio 2020
La bella immagine – che comunque ho usato anche altrove perché di facile reperimento sul web – con la citazione, l’ho presa dal web, cercando su google e si trova su https://www.uccronline.it. Lo aggiungo per dovere di correttezza.
L’articolo è adattato dal testo del mio libro “7Q5, il vangelo a Qumran?”
7Q5 IL VANGELO A QUMRAN?
7Q5 è un piccolo frammento di papiro ritrovato in una delle grotte di Qumran facente parte di quella straordinaria scoperta che sono i cosiddetti rotoli del Mar Morto. Nel 1972 Josè O’ Callaghan avanzò l’ipotesi che il frammento di papiro in greco chiamato 7Q5 fosse quanto restava di una copia del Vangelo di Marco. Una tale eventualità mette in discussione le datazioni dei Vangeli date dagli studiosi, per renderle più coerenti con l’antica tradizione cristiana.
“Gesù rispose loro: non io eletto voi dodici? Eppure uno di voi è il diavolo.” (versione mia)
Una traduzione di questo genere è piuttosto “forte” e comporta delle ovvie difficoltà esegetiche, ma si tratta della versione che rispetta le regole grammaticali del greco. E’ la conoscenza della lingua originale a doverci guidare nella ricerca del senso di un testo e della sua traduzione, non l’esegesi, che è invece il passo successivo: accertato un testo e la corretta traduzione allora si procede all’interpretazione.
Le varie versioni italiane interpretano così questo brano:
“Gesù rispose loro: “Non ho io scelto voi dodici? Eppure, uno di voi è un diavolo!” (Nuova Riveduta, CEI, Nuova Diodati)
La Traduzione del Nuovo Mondo che parafrasa così (non possiamo sostenere certo che traduca): “Gesù rispose loro: “io ho scelto voi dodici, non è vero? Eppure uno di voi è un calunniatore.”
La Diodati (1649) rende così il brano: “Gesù rispose loro: Non ho io eletti voi dodici? E pure uno di voi è diavolo”.
La parola “diavolo” è un nome monadico, cioè non ha bisogno dell’articolo determinativo per riferirsi ad un singolo, specifico soggetto. Sebbene, quindi, in questo caso non vi sia l’articolo (determinativo) davanti la parola greca διάβολός questa non si può intendere come indefinita o peggio qualitativa. Non si parla cioè in questo brano di “un diavolo” perché non vi sono più “diavoli”. Esistono più demoni, ma il nome greco di Satana è Diavolo; entrambi i nomi sono propri dello stesso individuo e non di una categoria.
In Luca 21:25 rinveniamo una casistica simile, stavolta non turbata da perplessità esegetiche:
“Καὶ ἔσται σημεῖα ἐν ἡλίῳ καὶ σελήνῃ …”
Sebbene non vi sia l’articolo davanti le parole “sole” e “luna”, è così che viene tradotto il brano:
“Vi saranno segni nel sole, nella luna …” (Nuova Riveduta, CEI, Nuova Diodati, Diodati, Traduzione del Nuovo Mondo).
Le traduzioni aggiungono con grande serenità – ed a ragione – l’articolo determinativo davanti la parola “sole” e “luna” sebbene non vi sia l’articolo in greco, perché è ovvio non vi è un altro “sole”, né un’altra “luna”.
Cosa dire dei problemi di esegesi del testo? Non li possiamo di certo risolvere aggirando la realtà oggettiva del testo che abbiamo davanti. Del resto non ci troviamo davanti ad una difficoltà più grande di quella che si presenta in altri brani simili. Ad esempio in Marco Gesù chiama Pietro “Satana” e non “un satana”: “Ma Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: “Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini.” (Marco 8:33 – Nuova Riveduta)
Concludendo, in Giovanni 6:70 Gesù non si riferisce a Giuda come ad “un diavolo”, bensì come al “Diavolo”. Fondamentalmente quasi nulle le implicazioni per la sostanza della storicità dei fatti descritti, ma valeva la pena osservare un dettaglio tanto interessante dal punta di vista linguistico.
Osservazioni grammaticali tratte da “Greek Grammar Beyond the Basics” di Daniel B. Wallace.
Giovanni 8:58 è un testo molto importante, ma non di facile comprensione. O meglio, proprio perché non semplice, soggetto a essere mal interpretato o peggio tradotto.
Problemi dei traduttori geovisti italiani con il greco originale o con l’inglese della loro versione americana?
La Nuova Riveduta: “Gesù disse loro: “In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse nato, io sono”.
La Traduzione del Nuovo Mondo: “Gesù disse loro: Verissimamente io vi dico: Prima che Abraamo venisse all’esistenza, io ero”.
The New World Translation: “Jesus said to them: “Most truly I say to you, before Abraham came into existence, I have been.”
La TNM toglie di mezzo l’“io sono” di Gesù, in forte contrasto con “venisse all’esistenza” riferito per Abraamo, di solito considerato un’affermazione dell’eternità di Cristo, sostituendolo con un meno imbarazzante “io ero”.
Secondo Richard A. Young l’idea che l’originale “io sono” trasmette al lettore “ … è più dell’esistenza di Cristo prima di Abraamo; significa che Egli esiste eternamente” (Intermediate New Testament Greek, a linguistic and exegetical approach, pag. 166).
L’introduzione della frase di Gesù con il tipico “in verità, in verità” lascia intendere che qualcosa di più che il fatto che Gesù fosse solo più vecchio di Abraamo fosse da intendersi in quell’“io sono”.
Altri punti del vangelo di Giovanni ci propongono dei forti “io sono” seguiti da “la Luce”, “la Via”, “la Verità”, ecc., nello stesso capitolo 8, ai vv. 24 e 28. Questa caratteristica dell’evangelista è chiaramente a favore di una ulteriore ripetizione al v. 58.
Scrivendo in greco “ἐγώ εἰμι”, “egò eimì”, in italiano “io sono”, Giovanni non poteva non essere cosciente che per la Chiesa, uscita ormai dai confini della Palestina, della lingua e cultura ebraica, il raffronto fra la frase di Gesù e la traduzione greca dell’Antico Testamento di Esodo 3:14 sarebbe stato inevitabile.
Asher Intrater, nel suo libro “Chi ha pranzato con Abrahamo?” edito da Perciballi: “Aggiungendo le vocali “e”, “o”, “a” alle consonanti YHVH, si ottiene il nome YeHoVaH. In questa struttura verbale, la “e” (sh’va) indica il tempo versale futuro, la “o” (holom) il presente e la “a” (patach) il passato, dando al nome YeHoVaH il significato di “Egli sarà, Egli è, Egli era”: in altre parole, l’Eterno”, pag. 102. È quindi con un aperto riferimento a questa estraneità da vincoli temporali, che l’apostolo Giovanni parla del Signore come di “Colui che è, che era e che viene”. (Apocalisse 1:8)
L’eternità di Gesù è ribadita con altre parole nell’epistola agli Ebrei, quando ci viene detto che “Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno” (Ebrei 13:8) e quindi non vi è per noi cristiani alcuno scandalo se egli rifiuta i vincoli temporali dicendo: io sono.
La reazione dei giudei sarebbe immotivata se la frase di Gesù non fosse stata per loro oltraggiosa al punto da spingerli a volerlo lapidare immediatamente, senza un ulteriore esame di quello che stesse affermando.
Vale la pena analizzare qui le motivazioni della Torre di Guardia per la sua traduzione. Chiedo al lettore di fare molta adesso molta attenzione.
La traduzione italiana TNM non è una traduzione dai testi originali o indipendente. Essa è fondamentalmente un adattamento in italiano della versione ufficiale in inglese della Torre di Guardia. Non vi sono dei traduttori italiani, perché, al contrario di come accade per tutte le altri confessioni cristiane, non vi è alcuna autonomia dei Testimoni italiani da quelli americani, dai quali dipendono.
Proprio nel caso di Giovanni 8:58, la Watch Tower americana trova delle motivazioni per rifiutare la lettura “io sono” che sono applicabili alla lingua inglese ed a quella soltanto. Infatti, l’originale inglese della TNM utilizza il verbo essere al passato prossimo (perfect indicative), mentre i traduttori italiani utilizzano il tempo imperfetto: ma nel farlo sbagliano la traduzione dall’inglese!
Leggiamo il commento alla propria versione di Giovanni 8:58 della Watch Tower americana – così come sono riportate nell’edizione del 1985 di “The Kingdom Interlinear Translation of the Greek Scriptures”: “The action expressed in John 8:58 started “before Abraham came into existence” and is still in progress. In such situation εἰμι, which is the first- person singular present indicative, is properly translated by the perfect indicative.”
La Torre di Guardia italiana traduce alla meno peggio questa affermazione – che non può contestare in quanto proveniente dal suo organo direttivo americano, ma che fondamentalmente parla di una regola grammaticale della lingua inglese, che in italiano semplicemente non esiste.
“L’azione espressa in Giovanni 8:58 iniziò “prima che Abraamo venisse all’esistenza” ed è ancora in corso. In tale contesto εἰμι (eimì), prima persona singolare del presente indicativo, si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo”.
Mi chiedo: è possibile che fra i Testimoni di Geova italiani nessuno conosca l’inglese a sufficienza da accorgersi di questa incongruenza?
Intanto in italiano il testo dice: “si può correttamente tradurre con un tempo passato come l’imperfetto indicativo o il passato prossimo” ma l’inglese non parla di imperfetto indicativo, bensì di passato prossimo (perfect) perché in inglese 1. Non esiste l’imperfetto e 2. In inglese il tempo del verbo che descrive delle azioni che cominciano nel passato e che sono tutt’ora in corso, è soltanto il perfectindicative – che corrisponde al nostro passato prossimo.
Ma c’è qualcosa di più ovvio. In italiano le azioni che cominciano nel passato e proseguono nel presente non si esprimono né con l’imperfetto né con il passato prossimo, bensì col tempo presente. Esempio: “Io vivo in Italia dal 1974”. Se avessimo utilizzato passato prossimo o imperfetto, avremmo ottenuto tutt’altro significato: 1. Imperfetto: “Io vivevo in Italia dal 1974”, 2. “Ho vissuto in Italia dal 1974”.
L’espressione: “io vivo in Italia dal 1974” si traduce in inglese “I have lived in Italy since 1974”. Il presente deve essere tradotto con un presentperfect.
Allo stesso modo un’espressione inglese del tipo: “I have lived in England since 1974”, si deve tradurre: “vivo in Inghilterra dal 1974”. Perché quando un’azione comincia nel passato ed è ancora in essere, in inglese si deve utilizzare il perfect (passato prossimo), ma in italiano il presente!
Quindi la traduzione inglese dei Testimoni che dice: “before Abraham came into existence, I have been”, se origina dal fatto che il perfect descrive in inglese un’azione cominciata nel passato e tutt’ora in essere, deve tradursi con un tempo presente italiano: “prima che Abraamo venisse all’esistenza, io sono”.
Stavolta per appurare l’accuratezza della versione dei Testimoni di Geova basterà consultare un insegnante di inglese.