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Vangelo di Matteo – Capitolo 3

Vangelo di Matteo Capitolo 3 Note di Giuseppe Guarino

Questo il terzo capitolo del Vangelo di Matteo, con le note al testo a seguire. Il Vangelo va letto con attenzione  e il commento è soltanto un aiuto e la comprensione la dobbiamo principalmente allo Spirito Santo e al suo perfetto ministero.

La proclamazione del regno dei cieli

Giovanni Battista

Capitolo 3

1 Or in quei giorni venne Giovanni Battista, che predicava nel deserto della Giudea,

2 e diceva: “Ravvedetevi, perché il regno dei cieli è vicino![1]

3 Questi infatti è colui di cui parlò il profeta Isaia quando disse: “Una voce di uno che grida nel deserto: “Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri””.

4 Or Giovanni stesso portava un vestito di peli di cammello e una cintura di cuoio intorno ai lombi e il suo cibo erano locuste e miele selvatico.

5 Allora Gerusalemme, tutta la Giudea e tutta la regione adiacente il Giordano accorrevano a lui,

6 ed erano battezzati da lui nel Giordano, confessando i loro peccati.

7 Ma egli, vedendo molti dei farisei, e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: “Razza di vipere, chi vi ha mostrato a fuggire dall’ira a venire?

8 Fate dunque frutti degni di ravvedimento!

9 E non pensate di dir fra voi stessi: “Noi abbiamo Abrahamo per padre” perché io vi dico che Dio può far sorgere dei figli di Abrahamo anche da queste pietre.

10 E la scure è già posta alla radice degli alberi; ogni albero dunque che non fa buon frutto, sarà tagliato e gettato nel fuoco,

11 Io vi battezzo in acqua, per il ravvedimento; ma colui che viene dopo di me è più forte di me e io non sono degno neanche di portare i suoi sandali, egli vi battezzerà con lo Spirito Santo[2], e col fuoco.

12 Egli ha in mano il suo ventilabro e pulirà interamente la sua aia; raccoglierà il suo grano nel granaio, ma arderà la pula con fuoco inestinguibile”.

Il battesimo di Gesù

13 Allora Gesù venne dalla Galilea al Giordano da Giovanni per essere da lui battezzato.

14 Ma Giovanni gli si opponeva fortemente dicendo: “Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?”.

15 E Gesù, rispondendo, gli disse: “Lascia fare per ora, perché così ci conviene adempiere ogni giustizia”. Allora egli lo lasciò fare.

16 E Gesù, appena fu battezzato uscì fuori dall’acqua[3]; ed ecco i cieli gli si aprirono, ed egli vide lo Spirito di DIO scendere come una colomba e venire su di lui;

17 ed ecco una voce dal cielo che disse: “Questi è il mio amato Figlio[4], nel quale mi sono compiaciuto”[5].

NOTE

[1] Qual è questo “regno dei cieli” che il cui arrivo è prossimo? Il riferimento al libro di Daniele è evidente. Nel sogno che il Signore fece interpretare al profeta esule in Babilonia, veniva previsto che alla fine di una successione di regni, “il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto; questo regno non sarà lasciato a un altro popolo, ma frantumerà e annienterà tutti quei regni, e sussisterà in eterno”. (Daniele 2:44)

[2] I fratelli di fede pentecostale (ai quali appartengono) preferiscono leggere questo brano “vi battezzerà nello Spirito Santo” piuttosto che “con lo Spirito Santo”. Entrambe le letture sono possibili, ma, visto il senso della parola originale che da vita alla traslitterazione “battesimo” e il senso della frase in generale, sono più propenso per “nello Spirito Santo”.

[3] Sembra superfluo dirlo, perché la parola Battesimo, nella nostra lingua potremmo tradurla quasi “immersione”, ma, ove mai vi fosse bisogno di prove, qui le abbiamo che il battesimo originario, praticato già nel giudaismo prima ancora che nel cristianesimo, fosse un rito di immersione. Gesù infatti “esce” fuori dall’acqua. Capisco, vivendo in Italia,  che agli occhi dei fedeli cattolici, i quali sono abituati al battesimo per aspersione, questo sembra un dettaglio di poco conto. Non lo è però, perché quando il battesimo è praticato per aspersione ed agli infanti – mentre nella Bibbia tutti i battezzati sono adulti che hanno creduto, battezzati per immersione – si perde il senso profondo di quest’atto della fede giudaica incorporato nella nuova fede cristiana come segno primo della propria, volontaria adesione alla Chiesa di Cristo.

[4] Gesù è il Figlio di Dio in un senso in cui nessun altro può mai esserlo. E’ per questo che Giovanni, nel suo vangelo, aggiunge la parola Unigenito al Figlio, per sottolineare proprio l’unicità dell’essere Figlio di Gesù.

[5] Le tre persone della Trinità sono qui presenti, il Padre, il Figlio, lo Spirito Santo

 




Vangelo di Matteo – Capitolo 2

Note di Giuseppe Guarino

Questo il secondo capitolo di Matteo, con le note al testo a seguire. Il Vangelo va letto con attenzione  e il commento è soltanto un aiuto e la comprensione la dobbiamo principalmente allo Spirito Santo e al suo perfetto ministero.

I savi d’oriente cercano Gesù, il re dei giudei

Capitolo 2

1 Ora, dopo che Gesù era nato in Betlemme di Giudea al tempo del re Erode, ecco dei magi[1] dall’oriente arrivarono a Gerusalemme,

2 dicendo: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in oriente e siamo venuti per adorarlo”.

3 All’udire ciò, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.

4 E, radunati tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi, del popolo, s’informò da loro dove doveva nascere il Cristo.

5 Ed essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea, perché così è scritto per mezzo del profeta:

6 “E tu, Betlemme terra di Giuda, non sei certo la minima fra i principi di Giuda, perché da te uscirà un capo, che pascerà il mio popolo Israele””[2].

7 Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, domandò loro con esattezza da quanto tempo la stella era apparsa.

8 E, mandandoli a Betlemme, disse loro “Andate e domandate diligentemente del bambino, e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, affinché io pure venga ad adorarlo”.

9 Ed essi, udito il re, partirono; ed ecco, la stella che avevano veduta in oriente andava davanti a loro finché, giunta sul luogo dov’era il bambino, vi si fermò.

10 Quando essi videro la stella, si rallegrarono di grandissima gioia.

11 E, entrati nella casa[3], trovarono il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono[4]. Poi aperti i loro tesori, gli offrirono doni: oro, incenso e mirra.

12 Quindi, divinamente avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese.

Fuga in Egitto

13 Ora, dopo che furono partiti, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e fuggi in Egitto, e rimani là finché io non ti avvertirò, perché Erode cercherà il bambino per farlo morire”.

14 Egli dunque, destatosi, prese il bambino e sua madre di notte, e si rifugiò in Egitto.

15 E rimase là fino alla morte di Erode, affinché si adempisse quello che fu detto dal Signore per mezzo del profeta, che dice: “Ho chiamato il mio figlio fuori dall’Egitto”.

16 Allora Erode, vedendosi beffato dai magi, si adirò grandemente e mandò a far uccidere tutti i bambini che erano in Betlemme e in tutti i suoi dintorni, dall’età di due anni in giù, secondo il tempo del quale si era diligentemente informato dai magi[5].

17 Allora si adempì quello che fu detto dal profeta Geremia che dice:

18 “Un grido è stato udito in Rama, un lamento, un pianto e un grande cordoglio; Rachele piange i suoi figli e rifiuta di essere consolata, perché non sono più”.

Ritorno in patria, a Nazaret

19 Ora, morto Erode, ecco un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto,

20 e gli disse: “Alzati, prendi il bambino e sua madre e va’nel paese d’Israele, perché coloro che cercavano la vita del bambino sono morti”.

21 Ed egli, alzatosi, prese il bambino e sua madre e venne nel paese d’Israele;

22 ma, avendo udito che Archelao regnava in Giudea al posto di Erode suo padre, ebbe paura di andare là. E, divinamente avvertito in sogno, si rifugiò nel territorio della Galilea,

23 e, giunto là, abitò in una città detta Nazaret, affinché si adempisse quello che era stato detto dai profeti: “Egli sarà chiamato Nazareno”[6].

NOTE

[1] Un’altra maniera di tradurre la parola “magi”, che è quasi una traslitterazione del greco originale, sarebbe “savi”. La Bibbia non ci dice quanti siano questi uomini che venivano dall’oriente per adorare il neonato re dei Giudei, né i loro nomi. Certo il loro arrivo è provvidenziale. Saranno i doni che fanno al neonato re, oro, incenso e mirra, prodotti di indiscusso valore, a fornire a Giuseppe i mezzi per poter trasferire la propria famiglia in Egitto.

Chi siano in realtà questi savi non c’è dato saperlo e come facevano a sapere che quella stella li stava conducendo al re dei giudei è solo argomento di supposizioni. Personalmente ho maturato la convinzione che questi uomini appartenessero alla medesima categoria di savi cui era appartenuto in tempi remoti Daniele, l’esule giudeo in Babilonia. Avendo questo grande profeta di Dio ricevuto delle profezie che annunciavano proprio l’arrivo del Messia promesso, deve aver collegato i suoi studi alla scienza babilonese – molto avanzata, come attestano i ritrovamenti oggi disponibili  presso il British Museum – e riferito l’arrivo del re promesso ad un fenomeno astrale, che avrebbe avuto molto più senso per gli “scienziati” babilonesi di una oscura profezia ebraica (quella delle Settanta Settimane). Annotata l’attesa astronomica nei dettagliati rapporti degli osservatori babilonesi, giunto il tempo, questi savi devono aver ritenuto opportuno andare ad omaggiare il neonato.

L’intento di Matteo è chiaro: anche le stelle hanno reso testimonianza all’arrivo del Messia tanto atteso da Israele, concorrendo ai segni che ne confermano l’avvenuta nascita.

In un’appendice che riporto alla fine di questo libro, riprendo la mia teoria sull’origine delle credenze dei savi orientali citati da Matteo.

[2] Matteo mette in bocca allo stesso clero giudaico la profezia che Gesù avvera con la sua nascita. La troviamo nel profeta Michea.

[3] E’ chiaro che è trascorso un certo periodo dalla nascita di Gesù fino all’arrivo dei magi. Adesso la piccola famiglia vive in una casa e Giuseppe non è in quel momento presente. Si ritiene di solito che la  narrazione occorra quando Gesù ha all’incirca due anni; ma non è certo.

[4] Di qualsiasi forma di culto fu oggetto Gesù, questa venne riservata a lui. Per quanto rispetto ed affetto susciti la meravigliosa figura di Maria, ciò non ci autorizza in nessun modo a renderla oggetto di qualsiasi forma di culto, venerazione o adorazione che possiamo chiamarla. In altri brani della Scrittura gli apostoli stessi (Atti degli Apostoli ) e persino gli angeli (Apocalisse) hanno rifiutato di essere adorati!

[5] Compare già dalle prime pagine del Vangelo di Matteo uno degli argomenti portanti della sua narrazione: il rifiuto del Messia da parte di Israele e l’apertura agli stranieri, ai Gentili, che al contrario l’avrebbero accolto.

[6] Nessuna traccia scritta di questa profezia al di fuori della citazione in questo vangelo. Credo sia possibile che, come ha fatto nella narrazione dei magi, l’evangelista voglia dimostrare che Gesù è il Messia promesso anche perché avvera una profezia, trasmessa magari soltanto oralmente ed in quel periodo particolarmente popolare e ciò spiegherebbe l’affermazione di Matteo. Ma è solo una supposizione. I duemila anni che ci separano da questa narrazione rendono davvero difficile potersi illudere di riuscire a comprendere tutto.

 

 

 




Introduzione al Vangelo di Matteo

Introduzione al vangelo di Matteo di Giuseppe Guarino

Ogni volta che rileggo il vangelo di Matteo percepisco il senso della sua presenza fra i libri del Nuovo Testamento e persino il fatto che l’uso ormai consolidato della Chiesa l’abbia voluto come primo dei libri del nuovo patto. Si tratta infatti d’un’opera stupenda, sulla quale è evidente il sigillo dello Spirito Santo. Mi ha particolarmente affascinato l’incredibile onnipresente unità d’intento dello scritto e questo ho cercato di trasmettere al lettore nello schema del vangelo che propongo più avanti.

Il mio commento l’ho confinato a delle note, che non possono né vogliono sostituirsi al testo, bensì facilitarne la lettura. È per questo che saranno ridotte al minimo indispensabile e il tutto sarà inteso con l’unisco scopo di aiutare il lettore a percepire la grandezza dell’intento narrativo di questo stupendo vangelo.

Perché Matteo?

Quello che (tra virgolette) è un “mistero” è perché lo Spirito Santo abbia scelto figure minori come oggettivamente sono state Matteo, Marco o Luca per la composizione delle prime narrazioni ufficiali della cristianità e non apostoli come Pietro o Giacomo. Questo paradosso, se così possiamo chiamarlo, venne percepito dalle sette eretiche dei primi secoli che si diedero da fare per produrre e diffondere falsi vangeli curandosi di attribuirli a personaggi di spicco, fra i discepoli quali Pietro o Tommaso, Giacomo, ecc. È, quindi, di particolare rilevanza il fatto che il vangelo di Matteo, sebbene in realtà anonimo, sia stato  universalmente e già dalle origini attribuito a quell’apostolo e sia riuscito ad essere scelto unanimemente come ispirato ed autentico.

Eusebio, vescovo di Cesarea vissuto nel IV secolo, è autore di una importante “Storia ecclesiastica”. Nel suo lavoro consegna alle future generazioni quella che molto probabilmente era l’idea della Chiesa del suo tempo sul primo vangelo.

“… e di tutti i discepoli, Matteo e Giovanni sono gli unici che ci hanno lasciato un resoconto scritto, e anche loro, come ci dice la tradizione, hanno intrapreso questo lavoro per necessità. Matteo avendo già proclamato l’evangelo in ebraico, quando stava per recarsi anche in altre nazioni, scrisse nella sua lingua natia, supplendo alla mancanza della propria presenza fra loro, per mezzo dei suoi scritti”.

L’idea che Matteo possa avere composto il suo vangelo in un originale ebraico in seguito tradotto in greco ed in questa lingua soltanto giunto a noi, è piuttosto antica. Quanto abbia di vero questa opinione non è facile dirlo. È molto difficile – per non dire impossibile – cercare di supporre l’esistenza di un documento in una lingua esaminandolo in un’altra.

Sono dell’avviso che il vangelo di Matteo sia stato originariamente composto in greco, la lingua nella quale c’è arrivato.

Jean Carmignac ha scritto un libro interessantissimo “La nascita dei vangeli sinottici”. La sua teoria sull’origine ebraica di Marco è fondata e ben proposta. Leggendo il suo lavoro mi sono convinto che il forte sostrato ebraico dei vangeli sia dovuto a dei documenti originali scritti appunto in lingua ebraica (meno verosimilmente aramaica) ai quali – Luca dice apertamente di averlo fatto nel prologo del suo vangelo – gli evangelisti devono avere attinto come fonti per la loro narrazione.

Per me è naturale che gli apostoli e i discepoli trascrivessero i detti di Gesù o altri eventi principali del suo ministero, che mi sembra di dire una cosa persino troppo ovvia. Che questi documenti siano stati custoditi dalla prima cerchia dei cristiani è inevitabile conseguenza. Che Matteo, Marco e Luca li abbiano utilizzati per il loro lavoro deve essere stato naturale. Ciò spiega sia le similitudini nelle loro narrazioni, sia le piccole differenze, dovute ad una diversa lettura o traduzione in greco di medesimi documenti, oltre ad elementi aggiunti dal contatto diretto con gli apostoli o il contatto con altre fonti indipendenti. Ciò spiega le divergenze dei vari evangelisti, se vengono intese come peculiarità narrative fondamentali per dare un’impronta che distingueva – e, in un certo senso, quindi, motivava – il proprio scritto, con un intento narrativo che, come un filo conduttore, legava quelle fonti indipendenti.

Allo stato attuale, da un’analisi del testo in nostro possesso, dalle evidenze manoscritte che sopravvivono dall’antichità a testimoniare l’esistenza e la diffusione di questo vangelo, non abbiamo un motivo concreto per dubitare che il vangelo di Matteo sia stato scritto dall’apostolo al quale viene tradizionalmente ed unanimemente ascritto da ormai due millenni e che la lingua originale di composizione di questo scritto sia la stessa nella quale è giunto sino a noi, il greco.

Chi ha studiato la trasmissione del testo del Nuovo Testamento, il suo percorso in copie manoscritte fino all’invenzione della stampa, sa che la Bibbia è il libro meglio attestato dell’antichità, per numero, qualità ed antichità dei manoscritti che testimoniano la sua esistenza e diffusione.

Per quanto riguarda il vangelo di Matteo, Carsten Peter Thiede ha avanzato l’ipotesi che il frammento di questo vangelo chiamato P64, il cosiddetto Papiro Magdalen, custodito appunto al Magdalen College di Oxford, risalga a prima del 70 d.C. Perché ciò potrebbe essere importante? Perché avremmo una prova oggettiva – offerta dalla papirologia, una scienza sufficientemente al di sopra delle parti da garantire un ottimo livello di oggettività – che la datazione di questo vangelo ad un’età più prossima agli eventi, concezione da sempre sostenuta nella tradizione cristiana, è tutt’altro che inverosimile. Scrivo questo perché alcuni che studiano le Sacre Scritture potrebbero imbattersi in testi che propongono una datazione tarda sia i vangeli che per gli altri scritti del Nuovo Testamento – una posizione oggi meno sostenibile che in passato.

Parlando della datazione di tutto il Nuovo Testamento in generale, scrive così Thiede: “Si è dato per scontato che, se il Vangelo secondo Marco (al quale di solito viene attribuita la preminenza fra i sinottici) fosse stato composto approssimativamente verso il 70 d.C., il Vangelo secondo Matteo sarebbe stato scritto intorno all’anno 80 d.C. Schadewalt (filologo classico contemporaneo) riconosce che “questo errore nella storia della tradizione – come egli la definisce – era piuttosto frequente negli studi classici, finché i filologi, diversamente dagli studiosi del Nuovo Testamento, non migliorarono le loro conoscenze”. Testimone oculare di Gesù, Piemme, I edizione, 1996, pag. 37.

Insomma, non solo non vi sono motivi per non credere che gli apostoli ed il loro seguito abbiano dato vita alle pagine del Nuovo Testamento, ma è addirittura saggio crederlo anche da un punto di vista scientifico, alla luce di nuovi recenti risvolti negli studi di papirologia e filologia.

 

Perché un altro studio su Matteo?

Perché voglio comunicare al lettore la struttura narrativa che ho percepito nelle varie letture che ho dedicato a questo meraviglioso libro.

Prego il Signore di benedire questo mio studio e coloro che si impegnano per comprendere la Sua Parola.

 

 

 




Perché i vangeli sono stati scritti in questo modo?

di Giuseppe Guarino

Perché i Vangeli sono stati scritti in questo modo? Perché non troviamo date o descrizioni che ci avrebbero fatto così comodo? Come mai gli eventi sono narrati in maniera a volta tanto sintetica?

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Dr. Who è il titolo di una fortunata serie televisiva di fantascienza cominciata nei lontani anni ’60 ed ancora oggi prodotta dalla BBC. La seguivo, poco più che bambino, negli anni ’70, quando la RAI – allora c’era solo quella! – ne trasmise alcuni episodi. Ho visto con piacere gli episodi più recenti (dalla quinta all’ottava stagione) e devo dire che il progresso della serie e dei personaggi è notevole – sono ancora oggi un cultore di fantascienza, sebbene non abbia più da dedicarvi molto tempo.

La cosa che più mi affascina in Dr. Who è la sua astro-tempo- nave che serve al protagonista per viaggiare nello spazio e nel tempo, il Tardis. Sebbene appaia come una comune cabina telefonica inglese, il Tardis si rivela al suo interno come un ambiente molto spazioso, come ci si aspetterebbe da un mezzo capace di fungere da astronave e da macchina del tempo.

A vederlo da fuori chi l’avrebbe detto che un oggetto tanto comune potesse nascondere al suo interno simili fantastiche potenzialità?

Questa premessa perché, qualche giorno fa, mi sono trovato a discutere sullo stile di composizione dei vangeli con un mio amico, Riccardo, come me appassionato di fantascienza ed anche di fantascienza datata (ricordate Spazio 1999? Star Trek? Ufo?). Riccardo si lamentava dello stile scarno, troppo essenziale a suo avviso, delle narrazioni evangeliche e mi chiedeva apertamente: Perché la Bibbia riporta così pochi dettagli sulla vita di Gesù?

Non è che anche io non mi sia posto questa domanda. Ma credo di aver trovato delle spiegazioni sufficientemente soddisfacenti.

Marco è davvero essenziale nello stile e nei contenuti, ma è un’opera perfettamente in sintonia con gli altri scritti suoi contemporanei. In parole povere, era quello il metodo corrente di scrittura nel periodo in cui quel vangelo fu scritto. Come è logico, ogni autore deve adottare uno stile accettabile dai propri contemporanei, per senso di praticità, ma anche per risultare più chiaro ed efficace possibile.

Se consideriamo che un film o telefilm appena degli anni ’70 ci appare oggi rozzo ed ingenuo, dobbiamo tenere conto che il risultato dei Vangeli, dal punta di vista squisitamente letterario, è più che buono.

Se Matteo propone una cronologia diversa degli eventi rispetto a Marco, è perché il suo intento narrativo tende più a sottolineare il senso di ciò che accade piuttosto che il loro ordine cronologico – che invece ossessiona noi uomini del XXI secolo! Matteo mi ha “sconvolto” con il “disordine” cronologico che compare in alcuni punti della sua narrazione, ma così tanto meravigliato per il suo grande ordine tematico che così compariva!

Perché poi tre vangeli sinottici ed un quarto, quello di Giovanni? La risposta che mi sono data è stata la seguente: quattro narrazioni ci offrono una prospettiva completa, a 360 gradi, di quanto dobbiamo sapere sulla persona di Gesù e sugli eventi che hanno caratterizzato il suo ministero terreno. Da cristiano e da studioso, lo dico in tutta onestà, non ho mai avvertito il bisogno di un quinto evangelo.

Sempre considerando l’approccio storico ai vangeli intesi come documenti, il loro valore di evidenze storiche è più che attendibile, in quanto chiaramente dipendenti dal resoconto di testimoni oculari degli eventi che in essi sono descritti. E, paradossalmente, in quanto documenti anonimi risultano per ciò essere ancora più attendibili, visto che prima di arrivare ad un tale unanime accoglimento nel canone biblico, devono aver dovuto passare l’attento esame di tutta la Chiesa nascente: per essere prima riconosciuti come resoconti attendibili e poi, ma anche soprattutto, Parola di Dio.

I vangeli clamorosamente falsi, attribuiti a questo o quell’apostolo, invece, che hanno proliferato nel II secolo, essendo palesemente di valore pressoché nullo dal punto di vista teologico ma anche storico, hanno goduto soltanto per qualche tempo del favore di questa o quella setta eretica dove erano stati prodotti o diffusi, scivolando presto nell’oblio, almeno fino a quando qualche fortuito ritrovamento non li ha portati alla luce e qualche sapiente operazione commerciale non ne ha sfruttato le potenzialità di guadagno, cercando di attribuire loro un valore storico e religioso che oggettivamente non hanno mai avuto.

Quando si parla di contrasti all’interno delle narrazioni evangeliche o fra di loro, invito a riflettere su quanto sia difficile a volte attingere dalle diverse fonti di informazione (giornali, notiziari) circa la verità di eventi dei nostri giorni; o quanto sia difficile a volte in un’aula di tribunale accertare la verità dei fatti accaduti anche in presenza di diversi testimoni.

L’attendibilità dei testimoni per eccellenza della nostra fede, gli apostoli, sta nel fatto che costoro erano così certi di quanto avevano visto da dedicare tutta la loro vita alla causa del Cristo, e di non fermarsi dal proclamare la Verità nemmeno quando minacciati di morte e poi veramente uccisi.

Scriveva l’apostolo Pietro: “Infatti vi abbiamo fatto conoscere la potenza e la venuta del nostro Signore Gesù Cristo, non perché siamo andati dietro a favole abilmente inventate, ma perché siamo stati testimoni oculari della sua maestà.” (2 Pietro 1:16 – Nuova Riveduta)

Forse ancora più incisivo scrisse poi l’apostolo Giovanni: Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi, quel che abbiamo contemplato e che le nostre mani hanno toccato della parola della vita (poiché la vita è stata manifestata e noi l’abbiamo vista e ne rendiamo testimonianza, e vi annunziamo la vita eterna che era presso il Padre e che ci fu manifestata), quel che abbiamo visto e udito, noi lo annunziamo anche a voi, perché voi pure siate in comunione con noi; e la nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo, Gesù Cristo.” (1 Giovanni 1:1-3 – Nuova Riveduta).

Tralasciando i profondi significati dell’ultima citazione, quello che inequivocabilmente si capisce è che l’apostolo Giovanni dice apertamente: Guardate che abbiamo perfettamente capito ciò di cui siamo testimoni (notate il plurale!), sentito, visto e persino toccato; noi siamo sicuri delle cose che annunciamo, dell’evangelo.

Bisogna essere onesti: non molti eventi storici possono vantare fonti tanto attendibili.

Ma il mio amico, poco interessato alla storia, non rimase per nulla convinto dai cenni che gli feci di quanto sopra ho detto. Riflettendoci a casa, quindi, ho elaborato tutt’altra risposta.

I vangeli e la Bibbia in generale, sono come il Tardis di Dr. Who! Esteriormente appaiono come semplici libri di 27 o 16 capitoli, ma quando entri dentro trovi immensi significati, interi libri dentro i libri, i capitoli, i versi, a volte persino le singole parole. Gli innumerevoli testi scritti sulla Bibbia, se li vogliamo considerare come il frutto dell’osservazione di quanto trovato durante le ricognizioni all’interno di questo stupefacente “contenitore”, sono lì ad attestare l’immensa mole di informazioni che custodiscono questi scritti all’apparenza tanto scarni.

Non è forse vero che oggi per facilitare lo spostamento di grossi files si usa “zipparli”? Lo faccio spesso per mandare diverso materiale via e-mail: raccolgo tutto in una cartella, poi comprimo; quindi allego e spedisco il tutto.

La Bibbia possiamo immaginarla come un messaggio di Dio inviato all’uomo, accuratamente “zippato” in maniera da potersi recapitare con successo all’umanità intera.

Me la cavo meglio con la storia che con la scienza e l’informatica, ma spero di non aver fatto troppa brutta figura ed aver dato nuovi spunti di riflessione da altre prospettive che non siano le solite che regolarmente propongo nei miei studi.

Chiudo con un’ultima importante considerazione.

I tempi sono maturi e c’è poco spazio per i dubbi. Il Signore è alle porte ed il ritorno di Gesù è vicino. L’unica cosa sensata che ci conviene fare è prepararci per quel glorioso momento … il resto conta così poco!

Maranatha!

 




IO SONO nel Vangelo di Giovanni

di Giuseppe Guarino

Gli IO SONO del Vangelo di Giovanni non trovano alcun parallelo nei Sinottici. La contemplazione della persona e delle azioni del Cristo nel quarto vangelo rivelano la sua Eternità, Deità, il suo essere sia Rivelazione perfetta di Dio, Creatore e Salvatore.

Li elenco aggiungendo qualche rapido commento. La traduzione dal greco è mia, ma non sono brani che troverete di solito tradotti in maniera diversa, cioè non presentano particolari problemi di traduzione e comprensione del fenomeno linguistico in se.

IO SONO IL PANE SCESO DAL CIELO – 6:41 

ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος ὁ καταβὰς ἐκ τοῦ οὐρανοῦ

IO SONO PANE DELLA VITA – 6:35, 48 

ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος τῆς ζωῆς.

IO SONO IL PANE VIVENTE – 6:51 

ἐγώ εἰμι ὁ ἄρτος ὁ ζῶν

IO SONO LA LUCE DEL MONDO – 8:12 

ἐγώ εἰμι τὸ φῶς τοῦ κόσμου·

SONO LUCE DEL MONDO – 9:5 

φῶς εἰμι τοῦ κόσμου.

IO SONO LA PORTA DELLE PECORE – 10:7 

ἐγώ εἰμι ἡ θύρα τῶν προβάτων.

IO SONO LA PORTA – 10:9 

ἐγώ εἰμι ἡ θύρα·

IO SONO IL BUON PASTORE – 10:11, 14 

ἐγώ εἰμι ὁ ποιμὴν ὁ καλός.

IO SONO LA RESURREZIONE E LA VITA – 11:25 

ἐγώ εἰμι ἡ ἀνάστασις καὶ ἡ ζωή.

IO SONO LA VIA, LA VERITÀ E LA VITA – 14:6

ἐγώ εἰμι ἡ ὁδὸς καὶ ἡ ἀλήθεια καὶ ἡ ζωή·

IO SONO LA VERA VITE – 15:1 

᾿Εγώ εἰμι ἡ ἄμπελος ἡ ἀληθινή,

IO SONO LA VITE – 15:5 

ἐγώ εἰμι ἡ ἄμπελος

 

Se non credete che IO SONO, morirete nei vostri peccati – 8:24

ἐὰν γὰρ μὴ πιστεύσητε ὅτι ἐγώ εἰμι, ἀποθανεῖσθε ἐν ταῖς ἁμαρτίαις ὑμῶν.

Disse dunque loro Gesù: quando sarà elevato il figlio dell’uomo, allora saprete che IO SONO – 8:28 

εἶπεν οὖν αὐτοῖς ὁ ᾿Ιησοῦς· ὅταν ὑψώσητε τὸν Υἱὸν τοῦ ἀνθρώπου, τότε γνώσεσθε ὅτι ἐγώ εἰμι

Disse loro Gesù: In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse IO SONO – 8:58

εἶπεν αὐτοῖς ᾿Ιησοῦς· ἀμὴν ἀμὴν λέγω ὑμῖν, πρὶν ᾿Αβραὰμ γενέσθαι ἐγὼ εἰμί.

Ve lo dico prima che accada, così che quando accadrà crederete che IO SONO – 13:19 

ἀπ᾿ ἄρτι λέγω ὑμῖν πρὸ τοῦ γενέσθαι, ἵνα ὅταν γένηται πιστεύσητε ὅτι ἐγώ εἰμι.

Appena disse loro IO SONO, si allontanarono e caddero – 18:6 

ὡς οὖν εἶπεν αὐτοῖς ὅτι εγώ εἰμι, ἀπῆλθον εἰς τὰ ὀπίσω καὶ ἔπεσον χαμαί.

I primi quattro capitoli di Giovanni: un vangelo completo

di Giuseppe Guarino

I primi quattro capitoli del Vangelo di Giovanni rappresentano una narrazione quasi completa, a se stante, che definisce con chiarezza inequivocabile l’universalità del messaggio di salvezza in Cristo.

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La cronologia è un problema tutto nostro. Siamo abituati a pensare in termini di passato, presente e futuro. Non è  certamente sbagliato, ma l’eccessiva dipendenza da questa prospettiva può divenire un problema se ci avviciniamo alle Scritture, volendo che a tutti i costi risponda alle nostre aspettative.

Per questo alcuni leggono la Bibbia e la vedono contradditoria: perché non vi ravvisano la loro logica applicata, piuttosto una libertà, nell’esposizione e nella logica, che appare stridula ed inconciliabile con la mentalità dell’uomo moderno.

La presenza di lunghe genealogie ci annoia, ci lascia indifferenti o addirittura perplessi. Quando poi ci convinciamo a studiarle, rimaniamo ancora più perplessi se vediamo differenze fra quella di Matteo e quella di Luca. Se ci fermiamo però su quella di Matteo, noteremo che l’autore ha fatto in modo di suddividere la genealogia del Cristo in tre gruppi di 14 nomi, per un totale di 42 nomi – numero chiaramente arrotondato. Per noi occidentali questo è un “modus operandi” impensabile. Ma non per Matteo, che scriveva nel primo secolo, e per il popolo ebraico – primo fruitore del suo scritto. 42 nella Bibbia è un numero che parla di travaglio, prova, persino tribolazione – vedi Daniele e Apocalisse. Il numero 14 è ancora più significativo. In ebraico i numeri venivano “rappresentati” con le lettere dell’alfabeto. (Lo stesso accadeva anche in greco, altra lingua biblica.) Non è quindi una mera coincidenza che il nome del grande re David avesse valore numerico proprio di 14.

Per capire i vangeli dobbiamo sforzarci di capire chi li ha scritti, quando sono stati scritti, con quale intento e, in ultimo, ma forse più importante di tutto, che ci troviamo davanti ad un genere letterario unico: il vangelo è uno stile che nasce e muore con i quattro canonici.

Se leggiamo la Scrittura assistiti dallo Spirito Santo, senza alcun sussidio, se non un cuore aperto alla voce di Dio, Dio ci parlerà. Lo so in prima persona. Come diceva il mio amico Davide, la Bibbia è un libro spirituale: non puoi spiegarlo, ma quando la leggi “senti” che è la Parola di Dio.

Quando invece ci approcciamo con un intento da studiosi, dobbiamo farlo con molta attenzione. Perché i presupposti sbagliati, la presunzione, o l’ignoranza, rischiano di portarci fatalmente fuori strada. Ed accade l’inverosimile: a volte può comprendere di più un lettore semplice col cuore aperto, che uno studioso che si inventa labirinti di idee e teorie e finisce solo per perdersi. Perché un altro importante presupposto della Scrittura, è che essa ha come primo destinatario proprio il lettore e non lo studioso. Insomma lo studioso rischia di complicarsi la vita e perdere di vista la semplicità ed immediatezza del messaggio, solo perché è innato in lui complicarsi la vita, creare difficoltà che forse nemmeno esistono e cercare di districare la matassa  – che non era per nulla intricata.

Torniamo alla nostra discussione.

Studiando prima e scrivendo poi il commento al libro di Daniele, mi sono reso conto del suo “disordine cronologico”. Quest’ultimo, è chiaro, è dovuto al prevalere dell’intento dell’esposizione sul bisogno di una cronologia.

Più di Daniele mi ha colpito Geremia: dove la cronologia è totalmente asservita al senso spirituale degli eventi.

Errori? No. Caratteristiche. Stile letterario.

Anni fa – una trentina – lessi i sinottici a caccia della corretta cronologia degli eventi che riguardavano l’ultima settimana di Gesù a Gerusalemme. Mi resi conto delle evidenti incongruenze fra Matteo e Marco. La mia mentalità occidentale ne rimase confusa, ma la mia giovane età ed apertura mentale mi fece sforzare di capire cosa stesse succedendo. Se, infatti, Matteo, subito dopo l’entrata trionfale a Gerusalemme, Matteo posiziona la purificazione del tempio e poi la storia del fico seccato, in Marco questi ultimi due eventi sono invertiti ed avvengono il giorno dopo. Confronta Matteo 21:1-22 con Marco 11:1-18.

Se Matteo descrive subito la purificazione del tempio, ciò, per il lettore ebraico del suo testo, ha un profondo significato spirituale. Gesù disconosce subito il ritualismo, il vuoto formalismo e persino materialismo in cui era scaduto il culto a Dio proprio nel suo tempio, dove avrebbe dovuto raggiungere la sua massima sagralità. Si tratta di una presa di posizione decisa, netta, inequivocabile, che sfocia persino nella violenza. Si tratta del culmine degli eventi che lo hanno preceduto, il finale di un lungo percorso che ha segnato la fine del rapporto nazionale fra Dio e il suo popolo, che non ha riconosciuto il Messia promesso; anzi, che trama per metterlo a morte.

I primi quattro capitoli di Giovanni stanno quasi a sé. Introducono, essendo essi stessi autoconclusivi.

Alla luce di quanto detto fin qui non dobbiamo sconvolgerci più di tanto se la purificazione del tempio qui la troviamo già in Giovanni 2:13-25. Al contrario, dobbiamo vederlo come una chiave di lettura. Infatti è ingenuo ed assurdo pensare che questo evento tanto importante si trovi qui per caso. Ma se segna un’aperta, definitiva rottura con il giudaismo del secondo tempio, e lo fa subito, diventa una possibile chiave di lettura.

Nel quarto vangelo i discepoli non predicano il vangelo del regno, che invece nei sinottici è il tema principale del ministero di Gesù. In Matteo, Gesù manda i suoi ad annunciare che il regno di Dio è vicino, raccomandando di andare ai soli israeliti. Giovanni omette questa parte tanto fondamentale nei sinottici. Ed è significativo che l’espressione “regno di Dio” compaia soltanto nel dialogo fra Gesù e Nicodemo, esponente del giudaismo ufficiale.

 

Il quarto vangelo introduce subito Dio come creatore ed il suo logos, la Parola, il Verbo quale tramite, mediatore, fra Lui, invisibile, e la sua creazione (Gv. 1:9).

L’umanità intera non ha conosciuto Dio (Gv. 1:10). Egli si è manifestato ai suoi – Israele – ma anche i suoi non l’hanno (ri)conosciuto (Gv. 1:11).

Adesso quindi l’invito riguarda “chiunque” e “tutti”. Chi è interessato a conoscere Dio può farlo (Gv. 1:12).

Giovanni 1:12 è una chiave di lettura del messaggio di Giovanni. Questo tema sarà sviluppato in un crescendo in tutto il vangelo, ma è chiarito e definito subito nei primi quattro capitoli.

Il logos di Dio diventa uomo in Gesù, Dio diventa visibile, chiunque lo riceve, riceve Dio ed è toccato dalla Grazia e dalla Verità.

I primi quattro capitoli sono come un’introduzione che spiega ciò che è successo. Dal capitolo cinque in avanti è come se si affrontasse la discussione: vediamo nei dettagli come è successo e come Gesù ha adempiuto la missione affidatagli da Dio e conclamata da Giovanni Battista quando vedendolo ha esclamato: “ecco l’AGNELLO di Dio che TOGLIE il PECCATO del MONDO.”

 

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VANGELO DI GIOVANNI 1:1-14. TRADUZIONE E NOTE.

VANGELO DI GIOVANNI 1:1-14. TRADUZIONE E NOTE di Giuseppe Guarino

Cominciamo la traduzione di questo vangelo con un inno cristologico che per millenni ha suscitato grandi entusiasmi e grandi polemiche. La Chiesa ha da sempre compreso la Divinità di Cristo, ed essa è chiaramente visibile qui, insieme al meraviglioso ruolo di Creatore, Signore, Salvatore, perfetto rivelatore del Padre e della Sua volontà. Le varie eresie sono deviazioni temporanee e limitate di una fedele lettura che ha caratterizzato studenti della Parola e lettori, teologi e semplici credenti.

DIO SI RIVELA TRAMITE LA SUA PAROLA

Capitolo 1

1In principio era il Logos,[1]

il Logos era presso Dio

ed il Logos era Dio. 2

Egli era in principio presso Dio:3

tutto è venuto all’esistenza per mezzo di lui,

e senza di lui nulla esisterebbe di ciò che invece è.[2]

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini.

5La luce splende nelle tenebre,

ma le tenebre non l’hanno ricevuta.

TESTIMONIANZA DI GIOVANNI BATTISTA

6Venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone, affinché testimoniasse della luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Egli non era la luce, ma testimone della luce.

DIO SI RIVELA AL MONDO, A OGNI UOMO

9La luce vera, quella che illumina ogni uomo venuto al mondo, era.

10Egli era nel mondo,

il mondo è stato fatto per mezzo di lui,

MA IL MONDO NON LO HA CONOSCIUTO

e il mondo non lo ha conosciuto.

DIO SI E’ RIVELATO AL SUO POPOLO

11È andato alla sua gente,

IL SUO POPOLO NON LO HA RICEVUTO

ma i suoi non l’hanno ricevuto.

DIO ESTENDE IL SUO INVITO AD OGNI UOMO

12A quanti, però, l’hanno ricevuto,[3] Egli ha dato loro l’autorità di diventare figli di Dio: a quelli cioè che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue, né per volontà di carne, né per volontà d’uomo, ma sono nati da Dio.

DIO SI MANIFESTA VISIBILMENTE IN GESU’

14E il Logos si è fatto carne[4] ed ha dimorato fra noi. E noi[5] abbiamo visto la sua gloria, gloria come dell’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

__________________________

NOTE

[1] Essendo questa una versione annotata e di studio, mi permetto di ritenere il vocabolo Logos in originale. Esso ha un significato più ampio dei termini di solito utilizzati per tradurlo, cioè Parola o Verbo, quest’ultimo termine essendo palesemente dipendente dalla versione latina di Giovanni. Logos è sia Ragione che Parola, così come il Figlio di Dio è sia Parola di Dio sia Dio stesso col Padre. Le polemiche antitrinitarie finiscono quando Giovanni 1.1 è ben compreso. Il Logos è Dio, ma è distinto dal Padre.

[2] Troviamo qui uno stupendo esempio del parallelismo ebraico, dove, come spesso accade per alcuni detti di Gesù, l’affermazione di un fatto viene seguita dalla negazione del fatto contrario.

[3] Dal verso 10 assistiamo ad un meraviglioso crescendo. L’uomo ha i mezzi per riconoscere l’esistenza di Dio, ma non lo riconosce. Dio si è poi manifestato ai suoi, al suo popolo, Israele; ma anche questi non lo hanno riconosciuto. E quindi adesso l’invito è universale, riguarda ogni uomo, v.12, tutti coloro che vogliono ricevere il Figlio di Dio, credendo in Lui, loro, generati nello spirito da Dio, diventano figli di Dio, entrano il quel rapporto speciale di Figliolanza con Dio per mezzo dell’adozione in Gesù Cristo.

[4] La forza dell’affermazione di Giovanni è necessaria contro coloro che negano la reale incarnazione, umanità, del Figlio di Dio. Nelle sue epistole e anche in altri punti del suo Vangelo questa importante verità è ribadita.

[5] Qui si fa avanti l’apostolo Giovanni, testimone oculare della persona e maestà di Gesù Cristo! Egli non era un profeta, un semplice uomo, bensì l’Unigenito Figlio di Dio.

Giovanni capitoli da 1 a 4: schema

Giovanni capitoli da 1 a 4: schema e discussione di Giuseppe Guarino

Questo semplice schema potrebbe risultare molto utile anche durante una semplice lettura del quarto vangelo. Ci mostra infatti come proprio in questi quattro capitoli si chiarisca l’universalità del messaggio cristiano, saltando il preambolo della predicazione del vangelo del regno ai giudei, caratteristico dei sinottici.

Giovanni capitoli 1 – 4
 Il vangelo: messaggio universale 

 

Capitolo 1      

1-5. Dio crea e si rivela tramite la sua Parola

6-8. Testimonianza di Giovanni Battista

9-10. Dio si rivela ad ogni uomo

11. al suo popolo (Israele)

12-13. a chiunque lo voglia accettare

14-18. Dio si è rivelato in Gesù, Parola di Dio fatta uomo

19-34. Testimonianza di Giovanni Battista

35-51. I discepoli di Gesù

Capitolo 2      

1-11. Le nozze di Cana

12. Gesù si ritira a Cafarnao

13-22. Gesù purifica il tempio di Gerusalemme

23-25. molti credono in lui

Capitolo 3      

1-21. Gesù discute con Nicodemo sul regno di Dio ed afferma l’universalità della sua missione

22-36. Terza menzione della testimonianza del Battista

Capitolo 4      

1-42. Gesù è riconosciuto come Messia dai Samaritani

43-45. Gesù è creduto in Galilea

46-54. Il figlio dell’ufficiale regio viene guarito

 

Breve commento

La purificazione del tempio giudaico sembra l’evento che inaugura il ministero pubblico di Gesù nel quarto vangelo.

Perché?

Nel quarto vangelo inoltre Gesù non predica il Vangelo del Regno, come nei sinottici. Il graduale transitare dalla realtà ebraica della fede nel Dio unico di Abramo e della sua discendenza alla sua universalità è subito introdotto in Giovanni, è già un fatto. Come vedremo dal quinto capitolo in avanti, lo scontro con il clero giudaico è immediato ed è basato su cavilli della Legge mosaica come veniva interpretata da farisei e dai “giudei”.

Il verso chiave è 1:11: “Egli venne in casa sua, ma i suoi non l’hanno ricevuto. Ma a quanti lo hanno ricevuto, egli ha dato l’autorità di essere figli di Dio”.

All’universalità del messaggio viene anche posta enfasi sull’universalità della missione del Messia, Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!

In Giovanni Gesù e i suoi non vanno in giro a predicare il vangelo del regno di Dio, chiamando il popolo a ravvedimento.

Il primo miracolo  – segno – avviene in un matrimonio. Il vino è finito, a descrivere che in Israele ormai manca l’autenticità del rapporto con Dio e toccherà al Figlio di Dio supplire a questa mancanza, tramutando l’acqua in vino. Già altrove, nei sinottici, Gesù parlò di vino nuovo in otri nuove, per descrivere come la sua Parola sarebbe stata ricevuta da altri che non fossero i credenti “tradizionali”.

Il logico prosieguo è la purificazione del tempio di Gerusalemme, Gesù indignato che entra nella casa del suo Padre e mostra il suo sdegno che prorompe in vera e propria violenza. Subito la sua testimonianza ai giudei: distruggete questo tempio, ed io lo riedificherò in tre giorni. Stavano per cambiare tante cose, nella realtà vera e spirituale dell’era del Messia, Dio si era manifestato fisicamente in Cristo. La profondità dell’affermazione di Gesù verrà compresa soltanto dopo, anche dai suoi stessi discepoli – ma Giovanni lo spiega subito al suo lettore: il rifiuto di accettare il Messia risulterà nella sua uccisione, ma Dio lo resusciterà e trasformerà la sconfitta in una vittoria definitiva. Si avvera così Genesi 3:15 e Gesù vincerà definitivamente sulla morte, portando la vita eterna ad ogni uomo che alzerà lo sguardo verso di lui, come per il serpente di Mosè, figura profetica del Messia che sarebbe venuto un giorno (Giovanni 3:14-15).

La purificazione del tempio nei sinottici avviene alla fine del ministero di Gesù, dopo che egli ed i suoi discepoli hanno predicato il vangelo del regno ed invitato il popolo a ravvedersi. Questo periodo di transizione non è visto qui. Da subito l’esclusivismo giudaico è accantonato a favore all’universalismo ed inclusivismo del messaggio cristiano.

La cronologia che per noi è tanto fondamentale, passa in secondo piano quando l’intento teologico è il centro di tutto.

Segue il discorso con Nicodemo, che avviene di notte. Un capo giudaico ha paura di interrogare Gesù apertamente e si trova spiazzato quando il Signore gli espone Verità così profonde. Attenzione: nulla di nuovo! Si tratta soltanto di promesse messianiche, viste dai profeti, che adesso stanno per divenire realtà.

A Nicodemo ed al lettore del vangelo, viene presentata la meravigliosa universalità del messaggio cristiano: “chiunque … crede”.

Gesù si sposta dalla Giudea (capitolo 3) verso la Galilea. Passa per la Samaria, e i samaritani si convertono. Arriva in Galilea, ed anche qui credono in lui. Il messaggio del vangelo raggiunge i popoli, più aperti dei giudei alla Verità.

Addirittura Gesù trova una grande fede in un ufficiale regio, del quale guarisce il figlio a distanza. Questa porzione del vangelo non si chiude a caso con questo dettaglio, simbolico della fede che avrebbe guarito i molti lontani da Israele, che non avevano visto personalmente Gesù.

“Beati coloro che non vedendo crederanno” (Giovanni 20:29b) dirà Gesù a Tommaso!

 

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La traduzione di 2 Corinzi 2:18 e la data di composizione del vangelo di Luca.

di Giuseppe Guarino

leggi l’articolo in pdf 

C’è un’affermazione nel Nuovo Testamento davvero degna di seria nota, e che riguarda il vangelo di Luca. La rinveniamo in una epistola di Paolo. In 2 Corinzi 8:18, scrive l’apostolo: “E noi abbiamo mandato con lui (con Tito) il fratello (Luca)  la cui lode è per l’evangelo in tutte le chiese.

Il fratello menzionato da Paolo ed associato a Tito è Luca. Ciò è dimostrabile anche dalla parte finale della narrazione del libro degli Atti degli Apostoli, dove il racconto in prima persona fa intendere che l’autore del libro si sia associato a Paolo nei suoi spostamenti e dal prosieguo della citazione dalla seconda epistola ai Corinzi: “non solo, ma egli è anche stato scelto dalle chiese come nostro compagno di viaggio in quest’opera di grazia, da noi amministrata per la gloria del Signore stesso e per dimostrare la prontezza dell’animo nostro.” (2 Corinzi 8:19)

Possiamo concludere che quando l’apostolo Paolo scriveva quell’epistola, Luca era già conosciuto “in tutte le chiese” a motivo del suo Vangelo. È un’affermazione importante ed una testimonianza di non poco conto.

Eppure, nelle versioni oggi comunemente disponibili, il testo è totalmente diverso  dalla traduzione (mia) che ho proposto.

Il testo greco originale di questo brano legge: “συνεπέμψαμεν δὲ μετ᾿ αὐτοῦ τὸν ἀδελφὸν οὗ ὁ ἔπαινος ἐν τῷ εὐαγγελίῳ διὰ πασῶν τῶν ἐκκλησιῶν”.

La Riveduta Luzzi traduce: “E assieme a lui abbiam mandato questo fratello, la cui lode nella predicazione dell’Evangelo è sparsa per tutte le chiese”. Il testo originale, però, non dice “questo” fratello, bensì “il” fratello. La frase “nella predicazione” non c’è nell’originale!

La Nuova Riveduta traduce: “Insieme a lui abbiamo mandato il fratello il cui servizio nel vangelo è apprezzato in tutte le chiese”. La parola “servizio” traduce male la parola che nell’originale invece è “lode”. La parola “apprezzato” non è nel testo greco!

Il tentativo, lo capisco, è quello di dare un significato alla frase di Paolo. Ma forse nel farlo, assecondando visioni preconcette che ritengono impossibile la composizione del vangelo di Luca già in un’epoca tanto remota, non si rischia di allontanarsi dal semplice ed immediato senso letterale della frase dell’apostolo? È per questo motivo che, in via generale, quindi, con le dovute eccezioni ed una ovvia ragionevole (sana) flessibilità, prediligo di solito le traduzioni letterali.

Una traduzione letterale di 2 Corinzi 8:18, e, secondo me, più corretta, la troviamo nella versione della CEI: “Con lui (con Tito) abbiamo inviato pure il fratello (Luca) che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo”.

Se riteniamo autentico il prologo di Luca alla sua narrazione evangelica e non un artificio letterario, il suo essersi diligentemente informato presso i testimoni oculari per proporre una narrazione accurata ed attendibile, colloca l’opera dell’evangelista nel periodo apostolico e tale datazione è coerente con l’affermazione di Paolo nella sua lettera.

Proprio negli stessi scritti di Luca abbiamo un’altra conferma.

Leggendo gli Atti degli Apostoli, notiamo subito nell’introduzione che, sebbene questo libro si trovi nelle nostre Bibbie dopo il vangelo di Giovanni, esso è stato composto dal medesimo autore del terzo vangelo ed in un secondo momento rispetto a quello.

“Nel mio primo libro, o Teofilo, ho parlato di tutto quello che Gesù cominciò a fare e a insegnare … ” (Atti 1:1)

Un altro punto fermo della nostra discussione è che gli Atti degli Apostoli si concludono … o meglio non si concludono: la narrazione, infatti, si arresta ed è facile dedurre che l’autore non avesse più nulla da narrare al tempo passato.

“E Paolo rimase due anni interi in una casa da lui presa in affitto, e riceveva tutti quelli che venivano a trovarlo, proclamando il regno di Dio e insegnando le cose relative al Signore Gesù Cristo, con tutta franchezza e senza impedimento”. (Atti 28:30-31)

Da questa conclusione del libro è facile argomentare che la sua composizione deve essere avvenuta dopo due anni della prigionia a Roma dell’apostolo, ma prima della sua eventuale liberazione o del suo martirio; viceversa Luca ne avrebbe certamente parlato.

Tenendo presente quanto detto, risulta evidente l’antichità del terzo Vangelo, che precede la composizione degli Atti di qualche tempo, sebbene non sappiamo quanto tempo prima sia stato scritto. Di certo prima che Paolo partisse per il suo terzo viaggio missionario e scrivesse la sua seconda epistola, cioè tra il 54 ed il 58 d.C. E con sufficiente anticipo perché la sua opera si diffondesse in maniera tanto estesa da motivare l’affermazione dell’apostolo.

5 luglio 2020

La bella immagine – che comunque ho usato anche altrove perché di facile reperimento sul web – con la citazione, l’ho presa dal web, cercando su google e si trova su https://www.uccronline.it. Lo aggiungo per dovere di correttezza.

L’articolo è adattato dal testo del mio libro “7Q5, il vangelo a Qumran?”

7Q5 IL VANGELO A QUMRAN? 

7Q5 è un piccolo frammento di papiro ritrovato in una delle grotte di Qumran facente parte di quella straordinaria scoperta che sono i cosiddetti rotoli del Mar Morto. Nel 1972 Josè O’ Callaghan avanzò l’ipotesi che il frammento di papiro in greco chiamato 7Q5 fosse quanto restava di una copia del Vangelo di Marco. Una tale eventualità mette in discussione le datazioni dei Vangeli date dagli studiosi, per renderle più coerenti con l’antica tradizione cristiana.

 

libro copertina rigida: www.amazon.it/dp/B09KN4H12Y

libro copertina flessibile: www.amazon.it/dp/1710096497

e-book: www.amazon.com/dp/B086Q24MX9

 




Giovanni 6:70, un problema di traduzione o di interpretazione?

di Giuseppe Guarino

In Giovanni 6:70 rileviamo un problema di traduzione che viene risolto di solito alla luce di una soluzione interpretativa, ma non grammaticale.

Vediamo il testo greco originale.

“ἀπεκρίθη αὐτοῖς ὁ ᾿Ιησοῦς· οὐκ ἐγὼ ὑμᾶς τοὺς δώδεκα ἐξελεξάμην; καὶ ἐξ ὑμῶν εἷς διάβολός ἐστιν.”

“Gesù rispose loro: non io eletto voi dodici? Eppure uno di voi è il diavolo.” (versione mia)

Una traduzione di questo genere è piuttosto “forte” e comporta delle ovvie difficoltà esegetiche, ma si tratta della versione che rispetta le regole grammaticali del greco. E’ la conoscenza della lingua originale a doverci guidare nella ricerca del senso di un testo e della sua traduzione, non l’esegesi, che è invece il passo successivo: accertato un testo e la corretta traduzione allora si procede all’interpretazione.

Le varie versioni italiane interpretano così questo brano:

“Gesù rispose loro: “Non ho io scelto voi dodici? Eppure, uno di voi è un diavolo!” (Nuova Riveduta, CEI, Nuova Diodati)

La Traduzione del Nuovo Mondo che parafrasa così (non possiamo sostenere certo che traduca): “Gesù rispose loro: “io ho scelto voi dodici, non è vero? Eppure uno di voi è un calunniatore.”

La Diodati (1649) rende così il brano: “Gesù rispose loro: Non ho io eletti voi dodici? E pure uno di voi è diavolo”.

La parola “diavolo” è un nome monadico, cioè non ha bisogno dell’articolo determinativo per riferirsi ad un singolo, specifico soggetto. Sebbene, quindi, in questo caso non vi sia l’articolo (determinativo) davanti la parola greca διάβολός questa non si può intendere come indefinita o peggio qualitativa. Non si parla cioè in questo brano di “un diavolo” perché non vi sono più “diavoli”. Esistono più demoni, ma il nome greco di Satana è Diavolo; entrambi i nomi sono propri dello stesso individuo e non di una categoria.

In Luca 21:25 rinveniamo una casistica simile, stavolta non turbata da perplessità esegetiche:

“Καὶ ἔσται σημεῖα ἐν ἡλίῳ καὶ σελήνῃ …”

Sebbene non vi sia l’articolo davanti le parole “sole” e “luna”, è così che viene tradotto il brano:

Vi saranno segni nel sole, nella luna …” (Nuova Riveduta, CEI, Nuova Diodati, Diodati, Traduzione del Nuovo Mondo).

Le traduzioni aggiungono con grande serenità – ed a ragione – l’articolo determinativo davanti la parola “sole” e “luna” sebbene non vi sia l’articolo in greco, perché è ovvio non vi è un altro “sole”, né un’altra “luna”.

Cosa dire dei problemi di esegesi del testo? Non li possiamo di certo risolvere aggirando la realtà oggettiva del testo che abbiamo davanti. Del resto non ci troviamo davanti ad una difficoltà più grande di quella che si presenta in altri brani simili. Ad esempio in Marco Gesù chiama Pietro “Satana” e non “un satana”: “Ma Gesù si voltò e, guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro dicendo: “Vattene via da me, Satana! Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini.” (Marco 8:33 – Nuova Riveduta)

Concludendo, in Giovanni 6:70 Gesù non si riferisce a Giuda come ad “un diavolo”, bensì come al “Diavolo”. Fondamentalmente quasi nulle le implicazioni per la sostanza della storicità dei fatti descritti, ma valeva la pena osservare un dettaglio tanto interessante dal punta di vista linguistico.

 

Osservazioni grammaticali tratte da “Greek Grammar Beyond the Basics” di Daniel B. Wallace.

L’immagine in capo all’articolo è tratta dal sito

John 6:70 | Daily Dose of Greek.

Se capite l’inglese potete consultare proprio questo video che conferma un po’ il contenuto del mio articolo.

 

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