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Creazione, caduta ed opportunità di redenzione

di Giuseppe Guarino

Ogni libro della Bibbia mi piace per un motivo diverso. Perché ha qualcosa di diverso da dirmi ed insegnarmi. E lo fa ogni volta che lo rileggo o anche se solo lo medito.

Sto traducendo un libro sul racconto della Creazione che troviamo nel libro della Genesi. Se qualcuno mi considera un bigotto, fondamentalista ignorante, sappia che non mi sento tale. Asimov è uno dei miei autori preferiti. E, di recente, mi sono imbattuto e sto leggendo un meraviglioso libro di Stephen Hawking.

Se da una parte ciò può sollevare alcuni miei lettori, preoccuperà altri. Perché mi sono reso conto che gli individui dalla mente chiusa non stanno da una parte soltanto della barricata. Infatti, spesso, dalle mie parti, fa più vittime il fuoco amico che quello del nemico.

Detto ciò, spero di avere appianato la strada per una lettura che voglia essere rilassata, interessata e non critica ed ipercritica.

Leggiamo questo stupendo brano della Genesi che riguarda il nostro rapporto con Dio.

Genesi 2

15 L’Eterno DIO prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo lavorasse e lo custodisse. 16 E l’Eterno DIO comandò l’uomo dicendo: «Mangia pure liberamente di ogni albero del giardino; 17 ma dell’albero della conoscenza del bene e del male non ne mangiare, perché nel giorno che tu ne mangerai, per certo morrai».

Dio crea l’uomo e gli dà un luogo dove vivere e da curare.

E’ per questo che abbiamo bisogno di una dimora. E’ per questo che abbiamo bisogno di qualcosa e di qualcuno di cui occuparci e di qualcosa da fare. Un gatto riesce a stare seduto e non fare nulla. Un cagnolino è felice accanto al suo padrone. Gli uccelli volano nel cielo e si posano su dei fili e sono appagati. Ma noi esseri umani abbiamo bisogno di uno scopo. Abbiamo bisogno di qualcosa che ci tenga occupati. Altrimenti, come diceva il Vate: “il tedio assale”.

E’ così che Dio ci ha creati ed è questo che ci conferma la Bibbia: non siamo così per caso, ma perché creati ad immagine e somiglianza di Dio.

Dio dà l’intera creazione all’uomo. Ogni cosa è a sua disposizione. Una sola cosa gli è negata, un solo frutto, un solo divieto gli viene posto davanti.

Perché Dio fa questo?

Perché proibisco a mio figlio di mettere le dita in bocca? Perché gli dico di mangiare cibi sani? Perché lo obbligo a studiare? Lo faccio perché lo amo. Lo faccio perché voglio il meglio per lui.

Ma Dio perché crea l’albero della conoscenza del bene e del male?

E’ implicito che creando l’uomo a Sua immagine e somiglianza, l’uomo ha capacità di capire, di scegliere. Quindi, piuttosto che abbandonarlo ad una sorte oscura, Dio rende la scelta di vita più facile possibile: relega la scelta sbagliata ad un singolo atto, a mangiare di un singolo frutto. Per mantenere la sua integrità l’uomo doveva semplicemente non fare una singola cosa. E’ come se ti dessi un castello con mille stanze e ti dicessi: “una sola stanza non puoi usare. E lo faccio perché quella stanza riserva pericoli mortali.” Ti spiego pure il motivo. Invece di pensare alle 999 che ti dò, però, ti crucci per l’una che per il tuo bene ti precludo?

21 Allora l’Eterno DIO fece cadere un profondo sonno sull’uomo, che si addormentò; e prese una delle sue costole, e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Poi l’Eterno DIO con la costola che aveva tolta all’uomo ne formò una donna e la condusse all’uomo. 23 E l’uomo disse:

Questa finalmente

è ossa delle mie ossa

e carne della mia carne.

Lei sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo». 24 Perciò l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una sola carne. 25 E l’uomo e sua moglie erano ambedue nudi e non ne avevano vergogna.

Il verso 23 è la prima poesia d’amore mai scritta. Ed è stata scritta da un uomo innamorato, innamorato a prima vista!

Come mai Dio creò la donna da una costola dell’uomo?

La lezione di questo brano della Scrittura basterebbe a dimostrare quanto contrario sia all’ideale voluto da Dio il comportamento inqualificabile dell’uomo nei confronti della donna. Chi in tutta la creazione può meritare altrettanto rispetto da parte dell’uomo se non la donna, che viene proprio da lui? E se viene dalla sua costola – avrete sentito dei predicatori ed insegnanti della parola già dirlo – è perché  è stata creata per stare accanto all’uomo. Né sopra, né sotto, ma accanto!

L’uomo e la donna vivevano in uno stato di purezza morale e intellettuale. Come dei bimbi, non avevano alcuna vergogna della loro nudità, nessuna malizia era entrata nel loro cuore. Essi vivevano una vita produttiva in comunione con il loro Creatore, godendo della felicità personale e di coppia. Chissà quale meraviglia di stato doveva essere il loro. Come anche oggi accade, quando tutto va bene e tutto fila liscio deve venire qualcuno a sfasciare tutto.

Genesi 3

1 Or il serpente era il più astuto di tutte le fiere dei campi che l’Eterno DIO aveva fatto, e disse alla donna: «Ha DIO veramente detto: “Non mangiate di tutti gli alberi del giardino”?». 2 E la donna rispose al serpente: «Del frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; 3 ma del frutto dell’albero che è in mezzo al giardino DIO ha detto: “Non ne mangiate e non lo toccate, altrimenti morirete”». 4 Allora il serpente disse alla donna: «Voi non morrete affatto; 5 ma DIO sa che nel giorno che ne mangerete, gli occhi vostri si apriranno, e sarete come DIO, conoscendo il bene e il male».

Da altri brani della Scrittura sappiamo che il serpente altri non è che il nemico delle nostre anime, colui che è Satana e Diavolo. Le sue parole sono astute, mischia sapientemente, come fa anche oggi, verità a bugia; anzi, tanta verità riesce ad inquinarla persino con una sola menzogna, insinuando il tarlo del dubbio nella mente umana.

Questa settimana il mio pastore ha predicato su parte di questo brano biblico ed ha detto una cosa che mi ha davvero colpito. Non so quanto possa essere in tema con la nostra discussione – lo era con la sua predica – ma è davvero molto interessante come concetto e voglio riportarlo: dov’era l’uomo quando tutto questo succedeva? Il nostro – parlo agli uomini – ruolo di custodi delle cose che Dio ci affida dobbiamo prenderlo seriamente. Dobbiamo essere noi uomini a proteggere, salvaguardare e custodire saggiamente la donna – per alcuni aspetti più debole di noi. Chiusa parentesi.

Il serpente compie la sua opera. Le sue parole insinuano quel dubbio che è in ogni uomo: ma il comandamento di Dio è davvero per il mio bene o è solo per impedirmi di godere di quest’altra esperienza, di godere pienamente la mia vita? In parole povere, la donna dubita dell’amore di Dio e dello scopo per il quale Dio proibisce il frutto, cioè preservarla dal male.

6 E la donna vide che l’albero era buono da mangiare, che era piacevole agli occhi e che l’albero era desiderabile per rendere uno intelligente; ed ella prese del suo frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito che era con lei, ed egli ne mangiò. 7 Allora si apersero gli occhi di ambedue e si accorsero di essere nudi; così cucirono delle foglie di fico e fecero delle cinture per coprirsi.

La bellezza e profondità di questo brano della Scrittura rende innumerevoli il numero di pagine che si possono scrivere per descriverlo o analizzarlo.

La donna guarda il frutto: il peccato diventa bello. Prima forse non l’aveva davvero preso in considerazione. Ora lo guarda e diventa, ai suoi occhi, attraente, invitante. Mangiarlo diviene occasione di  risvolti positivi, ora lei vuole conoscere il bene ed il male. Ci riflette, quindi. Vaglia la cosa. I suoi sensi ed il suo intelletto ne sono sedotti prima, coinvolti poi. E mangia del frutto. Non solo ne mangia lei, ma lo fa mangiare anche al marito.

Di colpo, come un bimbo di due anni che in un attimo diviene un adulto, gli occhi degli uomini divengono maliziosi e si accorgono subito di un primo cambiamento non nella realtà che li circonda, bensì nella loro percezione della stessa: sono nudi. Cercano quindi di riparare alla menopeggio e si coprono. Da sempre facciamo errori e vi rimediamo meglio che possiamo. Meglio che possiamo implica: in maniera imperfetta e transitoria.

Sarà che la narrazione della Genesi sembra un po’ troppo ingenua e semplice all’uomo del ventunesimo secolo. Ma se davvero è così, come mai descrive perfettamente le nostre malefatte quotidiane, perpretate nella stessa ingenua o addirittura stupida maniera?

Ho riflettuto tanto su questa caratteristica della Bibbia.

Non credo vi sia una sola possibile descrizione per spiegare lo stile narrativo biblico in questo brano come in altri.

Mio padre mi spinse a studiare ragioneria da giovane e per anni ho fatto il lavoro di contabile e se c’è una cosa che ho imparato è che su ogni disquisizione teorico-filosofica prevale l’importanza del risultato. Se per millenni questa spiegazione sull’origine del male ha parlato ad uomini vissuti in epoche ed in luoghi distantissimi l’uno dall’altro, se così poche parole riescono a dire e spiegare così tanto, allora siamo davanti alla maniera giusta per veicolare la Rivelazione di Dio all’uomo.

Tante euridite e complesse denigrazioni elaborate in passato contro la Scrittura sono cadute nel dimenticatoio, divenute obsolete e superate, inutili in ogni senso. Lo saranno domani quelle elaborate oggi. Ma io credo che “la Parola del Signore rimane in eterno” (1 Pietro 1:25)

Ascoltavo Bob Dylan in auto. Una delle sue più belle canzoni è Hurricane. Con le sue rime e le sue note, in pochi minuti, riesce ad essere così incisivo! Un libro di duecento pagine scritto con paroloni, non potrebbe essere altrettanto efficace. Allora, anche la Bibbia, con questo suo linguaggio semplice, con la sua ritmica schematicità risulta davvero efficace come mi riesce difficile immaginare potrebbe essere se fosse narrata in qualsiasi altro modo.

8 Poi udirono la voce dell’Eterno DIO che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno; e l’uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza dell’Eterno DIO fra gli alberi del giardino.

Questa scena è stupenda. Dio cammina nel giardino alla ricerca dell’uomo. Abbiamo davvero toppato: per un frutto abbiamo perso di passeggiare e conversare con il nostro creatore.

9 Allora l’Eterno DIO chiamò l’uomo e gli disse: «Dove sei?». 10 Egli rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino, e ho avuto paura perché ero nudo, e mi sono nascosto». 11 E DIO disse: «Chi ti ha mostrato che eri nudo? Hai forse mangiato dell’albero del quale io ti avevo comandato di non mangiare?». 12 L’uomo rispose: «La donna che tu mi hai messo accanto mi ha dato dell’albero e io ne ho mangiato». 13 E l’Eterno DIO disse alla donna: «Perché hai fatto questo?». La donna rispose: «Il serpente mi ha sedotta, e io ne ho mangiato».

Quante volte ho visto scene simili. Tutti a dare la colpa agli altri per le proprie misfatte. Ho conosciuto poche persone capaci di assumersi le proprie responsabilità. Ricordo in terza elementare la maestra tornava dalla pausa caffè e tutti a negare di aver fatto il monello. Pensavo che con gli anni sarebbe cambiato tutto, ma trent’anni dopo il mio capo sbaglia una cosa, l’altro mio capo dice: “Giuseppe che hai combinato?” Dando la colpa a me. E l’altro, zitto, non ha avuto il coraggio di assumersi la sua responsabilità. Più che indispormi, la cosa mi ha fatto ridere. Ricordo poi quella volta quando il commercialista aziendale, pensando di non essere sentito, dava a noi all’amministrazione la colpa di errori suoi. E così via. Che delusione quando da piccolo sono diventato grande e ho potuto amaramente constatare che non solo con gli anni non si migliora, ma gli errori diventano solo più grandi ed i tentativi di coprirli più ridicoli e patetici.

14 Allora l’Eterno DIO disse al serpente: «Poiché hai fatto questo, sii maledetto fra tutto il bestiame e fra tutte le fiere dei campi! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai polvere tutti i giorni della tua vita. 15 E io porrò inimicizia fra te e la donna e fra il tuo seme e il seme di lei; esso ti schiaccerà il capo, e tu ferirai il suo calcagno». 16 Alla donna disse: «Io moltiplicherò grandemente le tue sofferenze e le tue gravidanze; con doglie partorirai figli: i tuoi desideri si volgeranno verso il tuo marito, ed egli dominerà su di te». 17 Poi disse ad Adamo: «Poiché hai dato ascolto alla voce di tua moglie e hai mangiato dell’albero circa il quale io ti avevo comandato dicendo: “Non ne mangiare”, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne mangerai il frutto con fatica tutti i giorni della tua vita. 18 Esso ti produrrà spine e triboli, e tu mangerai l’erba dei campi; 19 mangerai il pane col sudore del tuo volto, finché tu ritorni alla terra perché da essa fosti tratto; poiché tu sei polvere, e in polvere ritornerai». 20 E l’uomo diede a sua moglie il nome di Eva, perché lei fu la madre di tutti i viventi.

Questa è la parte più brutta: arriva il momento di subire le conseguenze per ciò che abbiamo fatto. Le subiamo noi e chi ci circonda. Se sbaglio io purtroppo pagano anche mia moglie ed i miei figli. Se non rispetto i segnali stradali sfascio una macchina in un incidente e rischio di far male a qualcuno. Se inquiniamo senza curarci del pianeta non possiamo pensare di cavarcela senza che l’intera umanità paghi. Se siamo ciechi egoisti, non ce la dobbiamo prendere se non con noistessi quando finiamo per essere soli. Se diamo un pugno nel muro ci faremo male ad una mano. Se mentiamo a raffica prima o poi noi stessi e chi ci sta intorno piangeremo le conseguenze.

La maledizione sul creato e sull’umanità è inevitabile conseguenza del nostro aver scelto di fare a modo nostro.

Anche oggi Dio dà i suoi comandamenti, ma oggi ci indispone persino l’idea di dover obbedire a qualcosa o qualcuno. Ci rendiamo conto che lo stato dell’uomo odierno è frutto della medesima disobbedienza dei nostri progenitori?

Anche oggi, forse più consapevolmente di allora, scegliamo di cogliere il frutto, vogliamo essere noi a decidere cosa è bene e cosa è male, affidare al nostro giudizio ciò che è giusto o sbagliato. Millenni di storia testimoniano che questa condotta non porta da nessuna parte. Sia individualmente che collettivamente. Credo di non dire nulla che non sia sotto gli occhi di tutti o meglio, come diceva Craxi, “non lo vede solo chi non lo vuole vedere.“

 21 Poi l’Eterno DIO fece ad Adamo e a sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì.

Dopo aver parlato della conseguenza del peccato dell’uomo, Dio stesso, come un genitore amorevole davanti ad un figlio messosi nei guai, si interessa attivamente per trovare una soluzione riparatoria.  Dio mostra subito  all’uomo che i suoi tentativi per rimediare alla sua condizione non sono sufficienti. Il semplice rimedio della foglie di fico non basta. La redenzione dell’uomo non sarà così semplice ed indolore e non potrà avvenire senza l’intervento determinante del creatore. Dio uccide un animale innocente per coprire l’uomo e la donna. Così facendo preannuncia che un innocente dovrà pagare con la sua vita affinché l’uomo sia davvero redento. Profeticamente viene qui annunciata – millenni prima – l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua morte per la nostra salvezza. É proprio il dialogo fra Dio Padre e Dio Figlio che porta alla conversazione che segue.

22 E l’Eterno DIO disse: «Ecco, l’uomo è divenuto come uno di noi, perché conosce il bene e il male. Ed ora non bisogna permettergli di stendere la sua mano per prendere anche dell’albero della vita perché, mangiandone, viva per sempre». 23 Perciò l’Eterno DIO mandò via l’uomo dal giardino di Eden, perché lavorasse la terra da cui era stato tratto. 24 Così egli scacciò l’uomo; e pose ad est del giardino di Eden i cherubini, che roteavano da tutt’intorno una spada fiammeggiante, per custodire la via dell’albero della vita.

Allontanato per sempre dal luogo della sua originaria pace e gioia comincia il lungo cammino dell’uomo verso la sua opportunità di redenzione.

Il resto della storia la stiamo scrivendo noi ed é già tutta narrata nelle pagine della Bibbia che seguono a quelle sulle quali abbiamo appena meditato.

 

La Trinità – una domanda

Un mio contatto di Facebook mi ha posto una domanda e questa è stata motivo di una riflessione che vorrei condividere con i lettori del mio sito.

Domanda:

Giuseppe… ma Lei cosa pensa di coloro che dicono che vi sono “tre persone nello stesso Dio”? Io ho iniziato solo ora a ragionare davvero sulla “trinità” ma devo dire che sono veramente allucinato da quello che sento dire da alcuni su questo argomento.

Risposta:

Non è facile descrivere Dio con parole umane, probabilmente è impossibile.

La parola “persona” viene dal latino e fu utilizzata quando si cercò di tradurre il greco hypostasis in quella lingua. Ovviamente “persona” va visto oggi più come un termine tecnico che come l’esatto equivalente della parola d’uso comune.

Parliamo di tre persone dell’unico Dio per cercare di sintetizzare quello che la Scrittura ci dice del nostro Dio, che è UNO, ma è anche Padre, Figlio e Spirito Santo.

La Parola di Dio presenta questo fatto e ci invita a viverlo nella nostra quotidianità, come Dio sopra noi, fra noi e in noi, ma l’elaborazione della spiegazione del dato biblico non può essere perfetta, perché perfetto non è il nostro linguaggio, né lo siamo noi.

Viviamo la Trinità di Dio quotidianamente. Preghiamo dicendo “Padre nostro”, nel nome di Gesù, attraverso lo Spirito Santo che è in noi.

Sono convinto che vi sia troppa enfasi ormai sulla formula dottrinale, quando invece, proprio seguendo la traccia presente nella Parola di Dio, dobbiamo vivere questa realtà, la realtà di un Dio meraviglioso che si rivela a noi in maniera così completa.

Se il termine persona non ci soddisfa, difficile che un altro riuscirà appieno. Ma vivere la realtà della presenza dello Spirito Santo in noi, vivere la salvezza in Gesù Cristo e instaurare tramite questi una relazione filiale con il nostro Padre celeste, è molto più importante di una convinzione intellettuale.

Sto leggendo un libro di fisica. La gravità era al nostro servizio molto tempo prima che la scoprissimo e che la definissimo o sbaglio? Ed è lì a regolare in maniera non del tutto chiara il movimento degli astri.

In fisica la elaborazione teorica non sempre è accompagnata da una dimostrazione in laboratorio. Ciò vale per molte delle realtà del nostro universo. Leggi divine immutabili reggono l’universo, che noi le conosciamo o meno, che noi le comprendiamo o meno.

A volte vorremmo rinchiudere Dio all’interno della nostra mente, ma è come voler travasare l’oceano in una bottiglia con un cucchiaino. Un’azione più produttiva è sedere sulla spiaggia a contemplare la bellezza del mare, o fare una bella nuotata.

Il nostro Dio, in parole povere, non è una realtà che è vera e concreta solo se riusciamo a comprenderlo e descriverlo. Dio è Dio a prescindere da noi. E la meraviglia della Trinità è la descrizione di come questo Dio indescrivibile, non del tutto comprensibile, diviene vero e presente nella storia e nella nostra vita, tramite il Figlio e lo Spirito Santo. La strada della serenità spirituale non è la ricerca di una formula dottrinale all’interno della quale imprigionare Dio, bensì la ricerca del “Dio con noi” e del “Dio in noi” che ci permette di vivere in pace e comunione con il “Dio su noi”.


Quaderno per appunti 2019 con piano di lettura della Bibbia in un anno

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Questo quaderno per appunti l’ho  concepito per me stesso. Per ogni mese ha il piano di lettura della Bibbia che poi ha un quaderno per appunti a seguire. Molto semplice, molto utile. Ho acquistato la mia copia su Amazon.

Io non arrivo a leggere la Bibbia in un anno. Ma mi piace avere questo schema che mi da delle indicazioni. Ad esempio, l’anno scorso ho seguito un piano di lettura per il solo Nuovo Testamento,  perché richiede meno tempo.

Come si vede dall’immagine che segue, l’interno è molto semplice.

Dio benedica la lettura della sua Parola e spero questo mio lavoro vi possa essere utile.

Prassi ebraica nel Nuovo Testamento

La prassi ebraica della circonlocuzione del Nome divino e il Nuovo Testamento.

Chi ha letto gli articoli ed il libro che ho scritto sull’argomento sa che i miei studi mi hanno ormai portato a maturare la convinzione che il Tetragramma non fosse parte degli autografi del Nuovo Testamento. Vi sono, infatti, poco più che mere supposizioni e deduzioni dalla parte di chi lo ritiene possibile, ma prove oggettive ed unanimi dalla parte di chi è contro una tale eventualità.

Eppure, io sono convinto che l’utilizzo di una lingua che non sia quella madre difficilmente potrà non risentire della mentalità natia di chi vi si cimenta. A volte mi imbatto in degli scritti in inglese che sono così chiaramente opera di italiani, che di italiano hanno proprio tutto tranne la lingua: la costruzione delle frasi, la scelta dei vocaboli, ecc…, rimangono profondamente legati alla cultura e lingua italiane. Tomasi di Lampedusa scriveva in italiano, ma le sue continue revisioni del Gattopardo miravano ad epurare la sua opera dai sicilianismi che originavano involontariamente nel testo a causa della sua cultura.

La dipendenza dalla mentalità ebraica degli autori del Nuovo Testamento è riscontrabile nei cosiddetti ebraismi, o semitismi: espressioni verbali in greco palesemente dipendenti dalla lingua e dal pensiero ebraico dell’autore.

Se così è, voglio cercare di spingere l’analisi del Nuovo Testamento greco nella direzione della ricerca della prassi ebraica del I secolo che impegnava gli Ebrei nella ricerca di circonlocuzioni  che permettessero di evitare l’utilizzo del Nome veterotestamentario di Dio.

Perché appurare un tale fatto può essere importante? Perché può contribuire ai fattori che attestano l’antichità ed ebraicità del testo del Nuovo Testamento. E’ infatti praticamente impossibile che certi comportamenti siano originati da ambienti al di fuori dell’ebraismo e ciò, se teniamo conto che la distruzione del tempio segna un po’ la fine della Chiesa ebraica, riunita in Gerusalemme come luogo stesso di nascita della comunità cristiana.

“La normale procedura dello scriba di Qumran era scrivere il Tetragramma liberamente quando si copiavano i manoscritti biblici, ma nei commentari biblici quali 1QpHab, 1QpZeph, ecc., dove vi è una citazione biblica … seguita da un commentario, lo scriba scriveva il Tetragramma soltanto nella citazione, ma nel commentario egli scriveva la parola אל, (Nel nostro alfabeto: El) cioè “Dio”. George Howard, The Tetragram and the New Testament, Journal of Biblical Literature, 96/I (1977), p. 66.

Se ravvisiamo questa stessa prassi nel NT, allora abbiamo un’ulteriore conferma della sua antichità. Chi ad esempio immagina che gli scritti neotestamentari siano un prodotto tardo della Chiesa ormai totalmente in mano ai Gentili, deve arrendersi all’evidenza che da troppe prospettive l’antichità degli scritti apostolici è dimostrata dalla chiara assonanza con i documenti del periodo nel quale la loro composizione è stata sostenuta dalla tradizione della comunità cristiana.

Il Nuovo Testamento è stato scritto in greco, ma vi è una tradizione manoscritta che ci tramanda un testo ebraico di Matteo. L’ho già citato nel capitolo precedente. E abbiamo già rilevato come il comportamento nell’uso del Tetragramma sia in perfetta armonia con la prassi della comunità di Qumran.

Attraverso uno studio statistico delle occorrenze dei nomi sacri, mi sono convinto che una tale prassi è perfettamente riscontrabile anche nel Nuovo Testamento sebbene scritto in greco, grazie a quella dipendenza dagli schemi linguistici e tradizionali tipici dalla cultura ebraica.

Facciamo parlare i numeri e quanto sto dicendo apparirà chiaro da sé.

Per i dati statistici ho utilizzato il software biblico e-swordfreeware disponibile sul sito www.e-sword.net La traduzione biblica cui faccio riferimento è la Nuova Riveduta edizione del 1994.

LIBRO o PORZIONE DELLA SCRITTURA OCCORRENZE DEL TETRAGRAMMA OCCORRENZE PAROLA “DIO”
Pentateuco 1934 810
Isaia 500 138
Geremia 736 127
Ezechiele 445 253

Nell’Antico Testamento, principalmente nei libri dei profeti maggiori e nel Pentateuco, la preferenza per l’utilizzo del Tetragramma rispetto all’alternativa generica “Dio” è evidente.

A Qumran abbiamo visto che il Tetragramma veniva riportato nelle citazioni dell’Antico Testamento, ma nei commenti la circonlocuzione “Dio” veniva utilizzata come sostituto.

Se vediamo le statistiche dell’epistola agli Ebrei ci renderemo conto che questa è anche la prassi neotestamentaria, talmente evidente da essere visibile anche attraverso il greco e la sua traduzione in italiano.

  NOME SACRO NUMERO OCCORRENZE
Dio 83
Figlio 16
Gesù 16
Cristo 13
Signore (il Padre) 11
Padre 5
Signore (il Figlio) 5

Come vediamo la prassi, la tendenza, è invertita rispetto all’Antico Testamento. Se immaginiamo che Kyrios, Signore, riferito a Dio Padre potrebbe rappresentare il Tetragramma e che comunque ciò sarebbe incorporato nelle citazioni veterotestamentarie o nei diretti riferimenti alle espressioni ebraiche che lo incorporano, quanto affermo è presto dimostrato: la parola “Dio” è presente nel testo oltre sette volte più di “Signore”, che corrisponde al Tetragramma nell’originale ebraico cui fa riferimento il testo.

Ebrei è un’eccezione? Vediamo un altro esempio.

Marco è molto semitico. Di greco ha veramente solo l’aspetto. Carmignac lo ha sottolineato e dimostrato abbondantemente ed io l’ho citato in questo senso. Vediamo i dati statistici di questo vangelo sull’utilizzo dei nomi sacri.

NOME SACRO NUMERO OCCORRENZE
Gesù 151
Dio 52
Figlio 36
Signore (citazioni dall’A.T.) 7
Cristo 7
Signore (il Figlio) 6
Padre 5
Signore (il Padre) 2

Delle 9 volte che il libro chiama Dio col termine generico di “Signore”, 7 sono citazioni dall’Antico Testamento. La proporzione fra la frequenza della parola Signore e quella “Dio” è schiacciante a favore di quest’ultima.

Prendiamo ancora ad esempio due scritti di Paolo indirizzati a credenti di lingua e cultura greca: la prima e la seconda epistola ai Corinzi.

  NOME SACRO TOTALE OCCORRENZE 1 Corinzi 2 Corinzi
Dio 187 107 80
Cristo 111 64 47
Signore (il Figlio) 87 64 23
Gesù 46 27 19
Signore (il Padre) 11 5 6
Padre 6 3 3
Figlio 3 2 1

 

Il risultato è evidente nel rapporto Dio – Signore rispettivamente di 187 a 11.

L’esame dell’epistola ai Galati è addirittura sorprendente

  NOME SACRO NUMERO OCCORRENZE
Cristo 38
Dio 30
Gesù 16
Signore (il Figlio) 5
Figlio 4
Padre 4

 

Il tema di Galati è volutamente trattato in maniera forte e diretta e ciò non può non aver influenzato lo stile di scrittura dell’apostolo. In questo scritto troviamo nette conferme, ai fini della nostra ricerca, nell’assenza del termine “Signore” inteso come potenziale surrogato del Tetragramma e l’uso di “Dio” in armonia con il resto dei dati osservati finora.

Ritengo di aver sufficientemente trattato altrove la questione del rapporto fra Tetragramma e Scritture cristiane. Sono convinto di avere ampiamente dimostrato che non vi sono prove a favore della tesi che gli originali del Nuovo Testamento contenessero il Tetragramma, il Nome di Dio nella sua forma ebraica; anzi che tutte le prove dimostrano esattamente il contrario. Come è noto, invece, la Traduzione del Nuovo Mondo dei Testimoni di Geova, promuove comunque anche nel Nuovo Testamento la presenza (in questo caso non riesco a parlare di ripristino) della sua translitterazione del nome di Dio, Geova. Cito questa versione perché ci fornisce il dato più estremo a favore di una possibile presenza del Tetragramma nel Nuovo Testamento.

Questo il risultato del confronto del dato statistico per tutto il Nuovo Testamento:

Tetragramma nella TNM Dio nella Nuova Riveduta
Nuovo Testamento 237 1363

Ricordiamo qual era il dato dell’Antico Testamento.

LIBRO o PORZIONE DELLA SCRITTURA OCCORRENZE DEL TETRAGRAMMA OCCORRENZE PAROLA “DIO”
Pentateuco 1934 810
Isaia 500 138
Geremia 736 127
Ezechiele 445 253

Con le Scritture apostoliche ci troviamo oggettivamente, dati alla mano, davanti ad una drastica inversione di tendenza. Ciò, a mio avviso, si somma alle altre prove per dimostrare: a) l’antichità del Nuovo Testamento; b) il suo essere contemporaneo con gli scritti ebraici del primo secolo; c) il suo provenire da ambienti ancora profondamente influenzati dalla cultura ebraica. Il distacco definitivo da quest’ultima inizierà per il movimento cristiano con la distruzione del tempio di Gerusalemme: l’elemento non ebraico della Chiesa sarà già predominante prima della fine del I secolo. E’, quindi, impossibile che le Scritture cristiane – troppo intrise di cultura ebraica – siano state composte più tardi del periodo loro tradizionalmente ascritto dalla Chiesa delle stesse origini e, in generale, dagli studiosi cristiani conservatori dei nostri giorni.

Ho preso in considerazione il dato della Traduzione del Nuovo Mondo perché è a mio avviso eccessivamente ottimista sulla potenziale presenza del Tetragramma nel Nuovo Testamento. Ciò per dimostrare che, nella peggiore delle ipotesi, la tesi che stiamo discutendo qui è, comunque, già più che sostenibile.

Rimanendo invece sui dati offerti dal software e-sword, nella traduzione ebraica del Nuovo Testamento che esso mette a disposizione, il Tetragramma compare 133 volte. Ciò significa che nella migliore (o peggiore, dipende della prospettiva) delle ipotesi, gli autori del Nuovo Testamento, usando come riferimento la Traduzione del Nuovo Mondo, avrebbero fatto riferimento al Tetragramma, al di fuori delle citazioni bibliche, circa 104 volte, ma hanno preferito la parola “Dio” al suo posto 1363 volte.

Credo che quanto mi sono inizialmente proposto di dimostrare in questo paragrafo, sia adesso evidente anche per il lettore, numeri alla mano. Il Nuovo Testamento ha tracce di chiari comportamenti linguistico-culturali tipici di ebrei vissuti nel primo secolo ed in armonia con la prassi riscontrata negli scritti di Qumran.

Sempre facendo riferimento ai dati statistici, prima di chiudere la mia discussione non posso non considerare il Nuovo Testamento nella sua globalità. Il risultato è prova tangibile dell’orientamento della stessa fede cristiana.

Dio compare 1363 volte
Gesù compare 1112 volte
Cristo compare 536 volte
Messia compare 3 volte
Signore compare 680 volte (indistintamente riferibile al Padre o al Figlio)
Padre compare 368 volte
Figlio di Dio compare 236 volte
Salvatore compare 24 volte

Il numero dei riferimenti a Gesù (1112 + 536 + 3 + 236 + 24 + tutte le volte che è chiamato “Signore”) è talmente elevato che non possiamo non rilevare la tendenza nettamente cristocentrica delle Scritture neotestamentarie. Un dato forse ovvio, ma che confermiamo qui ulteriormente con la schiacciante oggettività della prova matematica.

The Christian Counter

 

L’insegnamento di Gesù e la fede ebraica

di Giuseppe Guarino

La revisione delle idee dei rapporti fra fede giudaica e cristianesimo è relativamente recente. Una migliore e più concreta comprensione del senso della missione e degli insegnamenti di Gesù passa per l’accettazione del Gesù ebreo, fedele all’insegnamento ed a sua volta rabbi ed interprete della Torah.

Il tempo sta sempre più rivelando l’infondatezza delle posizioni di chi si prodiga per screditare la fede cristiana tradizionale. L’assenza di una concreta alternativa sta, però, sempre più avvalorando l’attendibilità storica degli eventi che riguardano la vita di Gesù ed i suoi insegnamenti come li rinveniamo nel Nuovo Testamento.

Etichettare Gesù come esseno significa non avere compreso il senso del suo insegnamento ed aver fatto dell’essenismo una struttura statica ed uniforme, cosa che non era. Un doppio errore fatale.

L’insegnamento degli esseni, la dottrina dei farisei, dei sadducei e delle altre fazioni ebraiche non può inquadrarsi all’interno di rigidi schemi ma vedersi all’interno della realtà ad ampio respiro e variegata che era il giudaismo del primo secolo. In parole povere, non possiamo vedere l’esclusivismo proprio delle varie espressioni  di fede cristiana come un fenomeno che aveva dei paralleli all’interno della fede ebraica del secondo tempio.

La semplice devastante realtà è che la corrispondenza del pensiero di Gesù con quello degli esseni era altrettanto inevitabile quanto il suo condividere molte posizioni dei farisei o di altre fazioni del giudaismo, per il semplice fatto che tutte queste poggiavano sullo stesso principio sul quale si basava anche il “rabbi” Gesù: l’autorità della Torah e delle Scritture ebraiche in genere.

Gesù si sarà trovato diverse volte a favore dell’insegnamento farisaico contro quello del partito dei sadducei; ma si trattava di una questione incidentale e non un segno di appartenenza. Il Signore infatti non esitava a censurare scribi e farisei, contestando senza mezzi termini l’ipocrisia e l’inutile ritualismo che essi promuovevano e che sostanzialmente finiva per prendere il posto di un’autentica, sincera spiritualità.

Gesù avrà condiviso alcune posizioni degli esseni quando questi riprendevano legittimamente alcuni punti della fede ebraica, trascurati dalle altre fazioni del tempo o dal giudaismo in genere. Ma di sicuro non era un esseno, visto il modo in cui il suo insegnamento si discostava dal loro. Gesù condivideva la sua tavola con i peccatori ed era a suo agio a circondarsi di ogni genere di persone. Ciò è incompatibile con l’essenismo. La polemica di Gesù si faceva addirittura diretta quando condannava apertamente l’odio per i nemici – promosso invece dall’essenismo qumraniano.

Gesù era dunque  promotore di un insegnamento nuovo ma comunque profondamente ebraico. Inquadrare Gesù all’interno di una qualsiasi delle fazioni religiose del suo tempo significa disconoscere la profonda unicità del suo insegnamento. Scorporalo dal tempo storico in cui egli ha vissuto significa d’altra parte rinnegare il senso del Dio che si fa uomo, dell’incomprensibile che si rivela, dell’eterno che indossa tempo e spazio per parlare all’uomo nel linguaggio dell’uomo.

Per spiegare il senso della Rivelazione definitiva di Dio in Cristo, le Scritture affermano: “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti,  in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che egli ha costituito erede di tutte le cose, mediante il quale ha pure creato i mondi.Egli, che è splendore della sua gloria e impronta della sua essenza, e che sostiene tutte le cose con la parola della sua potenza, dopo aver fatto la purificazione dei peccati, si è seduto alla destra della Maestà nei luoghi altissimi.” (Ebrei 1:1-3 – Nuova Riveduta)

C’è qualcosa di incredibilmente nuovo nell’insegnamento di Gesù rispetto ai suoi predecessori. Ma questo “nuovo” non è meno scritturale. Non vi è infatti nulla di ciò di cui parla il Nuovo Testamento che non sia profondamente radicato nell’Antico. Infatti gli apostoli annunciavano Gesù come Messia alla luce delle Scritture ebraiche. Anche oggi gli ebrei convertiti a Cristo adoperano la Tanakh per rivendicare il senso della loro fede nel Messia, storicizzata in Gesù di Nazareth.

Il Nuovo Testamento non serviva agli ebrei, ma ai Gentili; per questo venne scritto in greco e conobbe la sua diffusione fra le chiese al di fuori dell’ambito della cerchia giudaica. Forse Matteo fu l’unico resoconto in lingua originale ebraica tendente a dimostrare direttamente al popolo israelita la messianicità di Gesù.

Contro tendenze e convenienze, storiche ed intellettuali; contro il sensazionalismo, la fede cristiana prende oggi una migliore coscienza di sé, patrimonio a suo tempo già comunque della Chiesa primitiva.

L’approccio al Vangelo  – l’annuncio cristiano – e a Gesù deve tenere presenti due loro importanti caratteristiche: ebraicità ed universalità. Se abbracciamo l’ebraicità del messaggio cristiano soltanto rischiamo di essere animati dal semplice – e semplicistico – desiderio di trasformarci in ebrei. Abbracciare però soltanto l’universalità del messaggio evangelico senza la consapevolezza di quanto le sue radici siano profondamente ebraiche, ci farà perdere di vista da dove veniamo e dove stiamo andando.

Gesù non era un esseno, fariseo o sadduceo; egli era ebreo, nel senso religiosamente più profondo che può assumere questo termine. Ciò implicava il sostanziale accordo con alcuni aspetti del giudaismo del secondo tempio, ma anche il radicale disaccordo con i punti dove questo si era distaccato dalla purezza dell’insegnamento della Torah e dalla traccia lasciata dai profeti.

Gesù interpreta e vive l’ebraismo in maniera definitiva ed autorevole, segnando la fine di un’era e l’inizio di qualcosa di straordinariamente nuovo: il cristianesimo. L’autorità dell’Antico Testamento non è disconosciuta nel Nuovo, ma l’annuncio della morte e resurrezione del Maestro ed il suo prossimo ritorno diventano l’essenza dell’ Evangelo, della buona notizia, che eclissa ogni polemica e richiama la nostra attenzione sull’invito di Dio rivolto adesso ad ogni uomo, affinché accetti il Suo Amore in Cristo Gesù, nostro Signore e Salvatore.

Io ho anche delle altre pecore che non sono di quest’ovile; anche quelle io devo raccogliere, ed esse ascolteranno la mia voce, e vi sarà un solo gregge e un solo pastore” (Giovanni 10:16).

 

Per approfondimenti,

RADICI EBRAICHE DELLA FEDE CRISTIANA di Giuseppe Guarino

E’ importante non  trascurare le radici ebraiche del cristianesimo. Questo libro rifiuta certi estremismi di alcuni,  ma invita ad attingere con sobrietà alla lingua ed alla cultura ebraiche per una migliore interpretazione del Nuovo Testamento ed una più completa comprensione di alcuni eventi lì descritti.

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Battesimo in acqua, battesimo nello Spirito Santo

di Giuseppe Guarino

Se non vedessi bene i caratteri in greco, leggi il pdf

Vi sono sfumature di una lingua che nessuna traduzione potrà mai rendere appieno in un’altra.

Quando ho tradotto la prima epistola di Giovanni, mi sono servito di molte note a piè di pagina per illustrare le possibili alternative. Sapevo che avrei commentato quanto avevo tradotto e ciò ha reso il mio compito senz’altro più facile. Anche nel tradurre Colossesi ho arricchito il testo con delle note. Ho invece volutamente utilizzato un sistema di traduzione diversa per Marco, dove non ho voluto appesantire il testo con delle note, proponendo una versione adatta più alla lettura che allo studio.

Spesso la scelta di un traduttore (o di un gruppo di traduttori) davanti a varie possibili traduzioni di un testo, dipende dal metodo di traduzione adottato, dal tipo di lettore al quale ci si vuole rivolgere, ecc. Fare una scelta significa esporsi; ma in alcuni punti, ciò è inevitabile. Si dovranno sacrificare alcune sfumature del testo, alcuni possibili significati; a volte per amore di chiarezza della lingua in cui si traduce, o per forza di cose.

Il brano oggetto della mia discussione è Marco 1:8 che la Nuova Diodati traduce così: “Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo“. La versione della Nuova Riveduta è pressoché identica: “Io vi ho battezzati con acqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo“.

Riflettendo su questo passo, mi sono chiesto: ma si battezza conacqua, o in acqua? Questa riflessione mi è nata spontanea anche alla luce del greco. Legge così infatti il testo nell’originale: “ἐγὼ μὲν ἐβάπτισα ὑμᾶς ἐν ὕδατι, αὐτὸς δὲ βαπτίσει ὑμᾶς ἐν Πνεύματι ῾Αγίῳ”.

La preposizione (ἐν) tradotta “con” è in greco la medesima utilizzata per “in”. Si  tratta di un dativo che all’occorrenza può essere di mezzo (con) o di luogo (in). Quindi in realtà tradurre “con acqua” e “con Spirito Santo” non è sbagliato; è possibile. Ma, allo stesso tempo, tradurre “in acqua” e “in Spirito Santo” è altrettanto possibile.

Esaminando Marco 1:8 ho ritenuto opportuno mettere per un momento in secondo piano l’affermazione sullo Spirito Santo. Analizzerò di seguito la simbologia del battesimo “in” o “con” acqua, perché da questa che Giovanni battista trae spunto per poi parlare anche di battesimo “in” o “con” lo Spirito Santo.

Il battesimo

Il “Lexical Aids for Students of the New Testament Greek” di Bruce Metzger è un libro che analizza la frequenza dei termini più importanti dell’originale del Nuovo Testamento. Metzger ci informa sull’occorrenza delle parole che ci interessano.

–  βάπτισμα – battesimo – è utilizzata 20 volte nel Nuovo Testamento

– βάπτιζω – battezzare – è fra le parole che nel Nuovo Testamento compaiono fra le 71 e 80 volte

– βαπτιστὴς – battista – è utilizzata 12 volte.

Il battesimo è più antico del cristianesimo. Giovanni battezzava prima ancora che cominciasse il ministero di Gesù ed anche il Signore partecipò a questo rito pubblico di purificazione, consacrazione, dichiarazione di fede.

La parola italiana “battesimo” non è la traduzione del termine greco originale, ma quasi la sua  translitterazione. Lo stesso dicasi per il sostantivo “battista” ed il verbo “battezzare”. Non trovare una vera e propria traduzione dei termini originali citati impedisce al lettore medio della Bibbia di percepire un’importante sfumatura. Infatti, la radice di queste parole ha in greco un chiaro riferimento all’immersione, che è il modo nel quale si era battezzati nel giudaismo prima e nella Chiesa primitiva poi. (Purtroppo noi cresciuti all’interno della fede cattolica vediamo il battesimo come un rito di aspersione, ma ciò proprio ai fini della discussione che stiamo facendo adesso può mandarci fuori strada).

Leggiamo così nell’Antico Testamento, nel libro dei Re: “Allora egli scese e si immerse sette volte nel Giordano …” (2 Re 5:14)

La versione greca di questo passo dell’Antico Testamento legge così: “ καὶ κατέβη Ναιμαν καὶἐβαπτίσατο ἐν τῷ Ιορδάνῃ ἑπτάκι …”

Lella versione greca dei LXX (Settanta, Septuaginta) ci aiuta a comprendere ciò che implica “battezzare” e dimostra che la terminologia del Nuovo Testamento, anche in questo punto, non è inventata per l’occasione, bensì introdotta grazie ad un uso già esistente.

E’ proprio avendo presente che il battesimo è un rito di immersione, e conseguente emersione, che possiamo apprezzare il senso di alcune affermazioni del Nuovo Testamento.

Essendo stati con lui sepolti nel battesimo, in lui siete stati anche insieme resuscitati, mediante la fede nella potenza di Dio che lo ha resuscitato dai morti“. (Colossesi 2:12 – Nuova Diodati).

Lo stesso apostolo Paolo  utilizza l’immagine battesimale in un brano di stupenda bellezza e profondità: il capitolo 6 dell’epistola ai Romani. Cito un verso soltanto: “Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché, come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita“. (Romani 6:4 – Nuova Riveduta)

Il battesimo biblico, praticato prima della venuta del Cristo ed in uso nella Chiesa, è quindi un rito di “immersione”. Fermo questo, continuiamo la nostra discussione.

 

Battezzati in acqua o con acqua?

Se il battesimo è un rito di immersione, la naturale conseguenza è che si è battezzati in acqua più di quanto non si sia battezzati conacqua. Sono vere entrambe le cose, ma a mio avviso la prima è più descrittiva della seconda.

Scrive così Daniel B. Wallace discutendo Luca 3:16: “Here ὕδατι, as occasionally happens with the dat. of sphere, seems to function in a double-duty capacity – specifying both the place of baptism and the means of baptism.” Greek Grammar Beyond the Basics, p. 155. L’uso proprio della lingua greca del dativo, consente quindi in un’unica frase di esprimere entrambi i concetti, “con acqua” e “in acqua”.

Andiamo ad esaminare un brano biblico davvero emblematico per la comprensione delle sfumature delle quali stiamo discutendo.

Ora noi tutti siamo stati battezzati in uno stesso Spirito nel medesimo corpo, sia Giudei che Greci, sia schiavi che liberi, e siamo stati abbeverati in un medesimo Spirito“. (1 Corinzi 12:13 – Nuova Diodati)

Questo il testo originale di questo passo: “καὶ γὰρ ἐν ἑνὶ Πνεύματι ἡμεῖς πάντες εἰς ἓν σῶμα ἐβαπτίσθημεν, εἴτε ᾿Ιουδαῖοι εἴτε ῞Ελληνες, εἴτε δοῦλοι εἴτε ἐλεύθεροι, καὶ πάντες εἰς ἓν Πνεῦμα ἐποτίσθημεν.”

Credo che la Nuova Diodati riesca a fornire una versione più fedele all’originale della Nuova Riveduta. Quest’ultima, a mio avviso, perde il ritmo e la bellezza dell’originale: “Infatti noi tutti siamo stati battezzati mediante un unico Spirito per formare un unico corpo, Giudei e Greci, schiavi e liberi; e tutti siamo stati abbeverati di un solo Spirito.” Purtroppo mi costa dovere notare che in più brani l’esame della Nuova Riveduta delude, mentre mi sorprende la lodevole fedeltà all’originale della versione CEI.

 

Vari brani e versioni a confronto

Metto di seguito a raffronto tre versioni, la CEI, la Nuova Riveduta e la Nuova Diodati per alcuni brani chiave dove si parla del battesimo/acqua, battesimo/Spirito Santo.

Le preferenze nella traduzione sono state le seguenti:

– Nuova Diodati – su 8 occorrenze: 1 volta traduce “in”, le altre 7 “con”

– Nuova Riveduta – su 8 occorrenze: 3 volte traduce “in”, le altre 5 “con”

– Nuova Versione CEI – su 8 occorrenze: 6 volte traduce “in” o “nel”, le altre 2 “con”

 Nuova Diodati Nuova Riveduta Versione CEI
Matteo 3:11
Io vi battezzo inacqua, per il ravvedimento; ma colui che viene dopo di me … vi battezzerà con lo Spirito Santo, e col fuoco. Io vi battezzo conacqua, in vista del ravvedimento; ma colui che viene dopo di me … vi battezzerà con lo Spirito Santo e con il fuoco. Io vi battezzo nell‘acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me … vi battezzerà inSpirito Santo e fuoco.
Marco 1:8
 Io vi ho battezzati conacqua, ma egli vi battezzeràcon lo Spirito Santo Io vi ho battezzati conacqua, ma lui vi battezzerà con lo Spirito Santo» Io vi ho battezzato con  acqua; ma egli vi battezzeràin Spirito Santo
Luca 3:16
“lo vi battezzo conacqua … egli vi battezzerà con lo Spirito Santo e col fuoco Io vi battezzo inacqua … Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco  Io vi battezzo conacqua … Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco
Giovanni 1:26
Giovanni rispose loro. dicendo: “Io battezzo conacqua … Giovanni rispose loro, dicendo: «Io battezzo inacqua … Giovanni rispose loro: “Io battezzo nell’acqua …
Giovanni 1:33
“Colui sul quale vedrai scendere lo Spirito e fermarsi su di lui, è quello che battezza con lo Spirito Santo “Colui sul quale vedrai lo Spirito scendere e fermarsi, è quello che battezza con lo Spirito Santo”. “Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezzanelloSpirito Santo”

 

Conclusioni

L’accostamento nei brani biblici del battesimo nell’acqua con il battesimo nello Spirito legittima una traduzione che preferisca il dativo di luogo a quello di mezzo. Non si può tralasciare comunque di menzionare il fatto che l’intraducibilità delle sfumature del testo greco sta nell’ampiezza del senso che può esprimere, abbracciando entrambe le valenze del dativo.

Vediamo di approntare una traduzione di Marco 1:8 che tenga conto di quanto detto finora.

Testo greco originale: “ἐγὼ μὲν ἐβάπτισα ὑμᾶς ἐν ὕδατι, αὐτὸς δὲ βαπτίσει ὑμᾶς ἐν Πνεύματι ῾Αγίῳ”

Traduzione letterale: “io vi ho battezzato in acqua, lui vi battezzerà nello Spirito Santo

Fin qui le motivazioni che riguardano la traduzione, agli esegeti le ulteriori considerazioni sul significato del testo.

 

The Christian Counter

“Un dio” nella antica versione Copta del Vangelo di Giovanni?

di Giuseppe Guarino

Di recente mi è stato chiesto di esprimermi in merito ad un’affermazione dei Testimoni di Geova che riguarda il famoso articolo indeterminativo davanti alla parola “Dio” riferita alla Parola (logos nell’originale), Gesù prima che diventasse uomo, in Giovanni 1:1. Ad ulteriore sostegno della loro versione la Watch Tower infatti ha evidenziato che la traduzione copta del Nuovo Testamento aggiunge in quel brano l’articolo indeterminativo davanti a “Dio”, o “dio”, proprio come fa la Traduzione del Nuovo Mondo.

Onestamente non provo più molto interesse per ciò che la Watch Tower ed i suoi sostenitori affermano. Sono sempre pronto al dialogo che porti alla crescita, e mi stimolano le opinioni diverse dalla mia, ma con i tdg  dialogo non ce n’è e non vi è nemmeno crescita. Perché l’unico scopo di certe affermazioni o “scoperte” mira soltanto ad un cieco proselitismo selvaggio e non alla ricerca di una migliore comprensione della Verità biblica. Ogni volta che vado a consultare le fonti dalle quali i Testimoni citano, mi trovo davanti alla realtà che i testi da loro chiamati in causa sostengono il contrario di quello che loro vogliono fargli dire. Citano Harner su Giovanni 1:1 e quando leggo per esteso ciò che lui ha scritto vedo che afferma esattamente il contrario di quello che credono i Testimoni. Citano i padri della Chiesa e quando li vado a leggere, mi accorgo che questi credono esattamente l’opposto della Torre di Guardia e che questa, per tirare l’acqua al proprio mulino, li cita vergognosamente solo in parte ed in maniera fuorviante circa il loro autentico pensiero.

È per questo che quando il sito ufficiale dei Testimoni di Geova mi informa che il vangelo copto di Giovanni fa precedere “Dio” riferito al logos, alla Parola, dall’articolo indeterminativo, non posso non chiedermi di quanta fiducia o interesse sia degna una tale affermazione. Purtroppo, però, mi rendo conto che c’è bisogno di dire qualcosa, perché vi sono dei credenti che possono essere confusi. Quindi faccio il mio dovere ed esamino la questione.

Innanzi tutto, qual è il credo della Chiesa copta sul Cristo?

“Per i copti, Gesù è Dio completo e uomo completo insieme.”

(fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_ortodossa_copta)

Posso essere almeno perplesso? Credo sia lecito.

Lo so, lo so: anche in questo caso la Watch Tower capisce il copto meglio dei copti, come capisce il greco ed interpreta meglio la Bibbia di tutti i padri della Chiesa di lingua greca!

O forse no?

Allora faccio una cosa, vado alla ricerca della loro grammatica ufficiale di greco del Nuovo Testamento, vediamo se trovo lì delle notizie specifiche.

Ops, non credo che i Testimoni abbiano una grammatica di greco del Nuovo Testamento.

– Come no?

– No, no, non ce l’hanno.

– Ma hanno il dovere di scriverne una, sono gli unici che capiscono davvero il testo originale e non permettono all’umanità di beneficiare della loro immensa conoscenza?

– Lo so, mi sento anch’io derubato di qualcosa.

– Ma, perdona la mia immensa ignoranza, se non hanno grammatiche loro, su quali testi studiano il greco originale del Nuovo Testamento i Testimoni di Geova?

– Le uniche grammatiche sono di cattolici e protestanti, di ignoranti del testo biblico greco: non possono avere studiato su quelle! Non ci credo!

– Ecchenesò, amico mio, sono più perplesso di te.

 

Torniamo al copto ed esaminiamo cosa dice la Torre di Guardia nel suo sito ufficiale.

(Fonte: https://wol.jw.org/it/wol/d/r6/lp-i/2008812#h=3)

Il dettato della Watch Tower, molto più importante della mia opinione e persino dei fatti storici oggettivi, è in grassetto. Le mie umilissime osservazioni, in corsivo.

INIZIO CITAZIONE

La Parola era “Dio” o era “un dio”?

QUESTO è un problema di cui i traduttori della Bibbia devono tener conto nel rendere il primo versetto del Vangelo di Giovanni. La Traduzione del Nuovo Mondo lo rende così: “In principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era un dio”. (Giovanni 1:1) In altre traduzioni l’ultima parte del versetto dice che la Parola era “divina”, o qualcosa di simile. (An American Translation; A New Translation of the Bible, di James Moffatt) Tuttavia in molte traduzioni l’ultima parte di Giovanni 1:1 è resa: “La Parola era Dio”. — La Bibbia Concordata; Nuova Riveduta.

(Dovremmo fare un inventario di tutte le centinaia di versioni della Bibbia non concordi con la TNM? Sarebbe costruttivo o una perdita di tempo? Io opto per la seconda opzione, perché è un dato di fatto oggettivo: ai Testimoni di Geova non fai cambiare opinione con inezie di questo tipo. A ripensarci, non li convinci nemmeno con dati storici, citazioni corrette, grammatiche di greco … tutto ciò che non è conforme all’opinione della Torre di Guardia è sbagliato. Ma come è possibile che noi non Testimoni non ce ne rendiamo conto?)

La grammatica greca e il contesto indicano chiaramente che la lezione della Traduzione del Nuovo Mondo è corretta e che “la Parola” non va identificata con il “Dio” a cui si fa riferimento nella prima parte del versetto.

(Mi sono perso qualcosa? Di quale “grammatica greca” si parla qui? La vorrei consultare. Che il contesto indichi che la TNM sia corretta è almeno opinabile, visto che la parola Theos compare diverse volte nei primi 18 versi di Giovanni senza articolo ed è sempre da riferirsi a Dio e un autore non può utilizzare una parola una sola volta in modo diverso da come la utilizza con regolarità e allo stesso tempo sperare di essere chiaro. Comunque sarei curioso di sapere chi scrive questa frase che titoli ha per affermare che la grammatica greca conferma la giustezza della TNM, e su quali grammatiche ha studiato? E cosa ne pensano gli autori delle grammatiche che ha studiato sulla traduzione di Giovanni 1:1?

Ma la Torre di Guardia si rende conto che questa affermazione è trinitaria: “la Parola” non va identificata con il “Dio” a cui si fa riferimento nella prima parte del versetto”? Perché il verso afferma che Gesù è Dio, ha la qualità di Dio, ma non è il Padre. Quindi mi sorge il dubbio che chi scrive queste parole oltre a non credere nella Trinità non abbia nemmeno capito cosa sia.)

Comunque, il fatto che il greco del I secolo non avesse l’articolo indeterminativo lascia qualche perplessità nella mente di alcuni.

(Sicuramente il nostro ignoto autore sarà competente, ma la sua affermazione è imprecisa e mi lascia pensare che il greco o non lo conosca, o non si sia soffermato sullo studio dell’articolo. Nessuna lingua si esprime rapportandosi a forme linguistiche che non conosce. Quindi l’articolo greco non è “determinativo”, perché non esiste un “indeterminativo”: è articolo e basta. Lo è in un senso diverso rispetto a quello che assume nella nostra lingua, come lo dimostra l’uso in diversi punti: il suo precedere gli stessi nomi personali, il suo essere declinabile, e la sua ripetizione per noi impossibile, ecc. Quindi l’articolo in greco non è “determinativo”, ed i sostantivi in greco non sono meno determinativi se non sono preceduti dall’articolo. “The function of the article is not primarily to make something definite that would otherwise be indefinite.” Daniel B. Wallace, Greek Grammar Beyond the Basics, p. 209. Sicuramente le 800 pagine di questo manuale di greco intermedio non è degno degli studiosi che stanno dietro la Traduzione del Nuovo Mondo. Ma fin quando quelli ci lasceranno orbi di una loro magnifica grammatica, dell’opera definitiva che metterà fine ad ogni disputa linguistica sul greco biblico cui attingere sicuri per le nostre certezze, dovremo accontentarci dei miseri sforzi a nostra disposizione come quello di Wallace.)

Per questo è di grande interesse la traduzione della Bibbia in una lingua parlata nei primi secoli dell’Era Volgare.

La lingua in questione è il saidico, che era un dialetto copto. Il copto veniva parlato in Egitto nei secoli immediatamente successivi al ministero terreno di Gesù, e il saidico ne era l’antica forma letteraria. A proposito delle più antiche traduzioni copte della Bibbia, un’opera di consultazione dice: “Dato che la [Settanta] e le [Scritture Greche Cristiane] venivano tradotte in copto nel III secolo E.V., la versione copta si basa su [manoscritti in greco] notevolmente più antichi della maggioranza dei testi pervenutici”. — The Anchor Bible Dictionary.

(La citazione della Torre di Guardia è fuori contesto, perché non riguarda la traduzione di Giovanni 1:1 ma le problematiche relative alla critica testuale del Nuovo Testamento, al suo testo ed alla sua trasmissione! Ma si può citare così fuori contesto con onestà intellettuale? L’autore ignoto fa palesemente e vergognosamente leva sull’ignoranza di chi legge per lasciargli intendere che i manoscritti dei primi secoli di Giovanni fossero diversi rispetto a quelli che abbiamo oggi in nostro possesso e fossero ad ulteriore sostegno della TNM. Il che è falso! Giovanni 1:1 è lo stesso in tutti i manoscritti e le versioni: P66, P75, che sono i papiri più antichi in nostro possesso e risalgono al II-III secolo d.C. Vaticano, Sinaitico, ecc. Il problema è di traduzione, non riguarda il testo greco da tradurre, che è certo.)

Il testo copto-saidico è particolarmente interessante per due motivi. Innanzi tutto, come indicato sopra, rispecchia un intendimento delle Scritture anteriore al IV secolo, quando quella della Trinità divenne una dottrina ufficiale.

(Non stiamo parlando di Trinità, ma di divinità del logos. Una traduzione poi non deve trasmettere un intendimento ma tradurre.)

In secondo luogo, la grammatica copta è relativamente simile alla nostra grammatica sotto un aspetto importante. Le prime traduzioni delle Scritture Greche Cristiane erano in siriaco, latino e copto. Il siriaco e il latino, come il greco dell’epoca, non hanno l’articolo indeterminativo. Il copto invece ce l’ha. Inoltre vari studiosi concordano sul fatto che nel copto l’uso dell’articolo determinativo e di quello indeterminativo è molto simile all’uso di questi articoli in alcune lingue moderne come l’italiano o l’inglese.

(Potremmo sapere chi sono i “vari studiosi”? L’uso dell’articolo è “molto simile”? Quindi non è uguale!)

Pertanto, la traduzione copta fornisce un elemento interessante che fa luce su come probabilmente all’epoca veniva compreso Giovanni 1:1. Di cosa si tratta? La traduzione in copto-saidico usa l’articolo indeterminativo con il sostantivo “dio” nell’ultima parte di Giovanni 1:1. Perciò, resa in italiano sarebbe: “E la Parola era un dio”.

(Come viene puntualizzato nella citazione che segue, l’uso dell’articolo indeterminativo nella traduzione saidica, un antico dialetto copto, è soltanto prova che anche nei manoscritti in possesso dei traduttori di quella versione la parola “Theos” fosse senza articolo. “…the fact that θεός was translated into Sahidic (and Bohairic) as an indefinite noun strongly suggests that the translator was translating a Greek text without the article.”

Fonte: https://bible.org/article/jesus-%CE%B8%CE%B5%CF%8C%CF%82-god-textual-examination#P78_32938)

Evidentemente, quegli antichi traduttori compresero che le parole di Giovanni riportate nel primo versetto del suo Vangelo non significavano che Gesù fosse Dio Onnipotente. La Parola era un dio, non Dio Onnipotente.

(Le conclusioni della Torre di Guardia sono incredibili: hanno trasformato un ignoto traduttore, o degli ignoti traduttori, dei primi secoli in Testimoni di Geova. Fantastico. Fantastico nel senso che siamo al limite delle narrazioni di fantascienza.

L’espressione italiana “un dio” non è uguale al copto di Giovanni 1:1.

Il traduttore in inglese della versione saidica, Horner, traduce così Giovanni 1:1c: “. . . and [a] God was the Word.”. Nell’apparato spiega: “Square brackets imply words used by the Coptic and not required by the English”. In parole povere ciò che in copto è preceduto dall’articolo indeterminativo non necessariamente deve esserlo anche quando si traduce in inglese. Quindi dal copto potremmo tradurre: “… and God was the Word.”

Ovviamente i Testimoni di Geova conoscono il copto meglio di chi ha tradotto questa versione – attendo, quindi, con ansia la loro INTEGRALE traduzione di questa versione copta del Nuovo Testamento, in inglese prima e, poi, come è loro costume, in un secondo tempo, quella in italiano. Fino ad allora dovremo fare affidamento su questo misero sforzo: “George W. Horner ed., The Coptic Version of the New Testament in the Southern Dialect, Otherwise Called Sahidic and Thebaic, with Critical Apparatus, Literal English Translation, Register of Fragments and Estimate of the Version (7 vols. Oxford: Clarendon, 1911-1924)”

Il problema della trasposizione dell’articolo indeterminativo saidico in inglese (e in italiano, quindi, indirettamente) è spiegato poco più avanti nello stesso articolo: “Unlike English, the Sahidic indefinite article is used with abstract nouns (e.g., truth, love, hate) and nouns of substance (e.g., water, bread, meat). An example of this can be seen in Horner’s translation of John 19.34b (where there are no Greek articles, καὶ ἐξῆλθεν εὐθὺς αἷμα καὶ ὕδωρ): “. . . and immediately came out [a] blood and [a] water.” None of the words in brackets are necessary in English but are still noted by Horner due the presence of the indefinite article in the Coptic MSS.”

Evidentemente, quegli antichi traduttori compresero che le parole di Giovanni riportate nel primo versetto del suo Vangelo non significavano che Gesù fosse Dio Onnipotente. La Parola era un dio, non Dio Onnipotente.

(Purtroppo l’affermazione qui sopra riportata è assolutamente priva di alcun fondamento – ma mi sta quasi dispiacendo: leggo tanto entusiasmo e tanta voglia di far dire ciò che si pensa a tutti e a tutti i costi, che quasi quasi mi rammarico di non poter essere d’accordo. La presenza dell’articolo indeterminativo nella versione saidica non dimostra che i suoi traduttori fossero precursori della Traduzione del Nuovo Mondo o Testimoni di Geova nel loro intimo più profondo, magari senza saperlo, né purtroppo ci fa capire cosa credevano. Ciò che oggettivamente si comprende dalla loro condotta, invece, è che i manoscritti in greco in loro possesso erano identici ai nostri e che grazie al loro contributo abbiamo conferma del fatto che “Theos” nella parte finale di Giovanni 1:1 non è preceduto dall’articolo come nelle due prime occorrenze dello stesso verso. Anche il loro testo era trinitario, anche la versione saidica di Giovanni è trinitaria, perché conferma che la Parola” non va identificata con il “Dio” a cui si fa riferimento nella prima parte del versetto, ma che come quello, come il Padre, il logos, il Figlio, possiede la qualità di Dio.)

FINE CITAZIONE

 

Visto che siamo in amore di citazioni di partiti contrari, chiamo in causa Pincas Lapide uno studioso di fede ebraica degno di grande rispetto per la sua cultura e per il suo esemplare atteggiamento verso le opinioni altrui. Riporto qui di seguito, stando attento a citarmi nel giusto contesto, quanto ho scritto nel mio libro sulla Trinità. Per un approfondimento serio  consiglio senz’altro la lettura del libro “Monoteismo ebraico – dottrina trinitaria cristiana” che raccoglie una sorta di dialogo fra Pincas Lapide (studioso ebreo) e Jurgen Moltmann (teologo cristiano) edito da Queriniana e che cito qui dalla sua seconda edizione.

“I mistici della Cabala scoprirono tracce di una triade già nella prima pagina della Bibbia: “In principio Dio creò il cielo e la terra, e lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: ‘Sia la luce!’. E la luce fu”. Qui i mistici, anche se non l’ebraismo normativo, affermano: “ci troviamo di fronte a Tre: Dio stesso, il suo Spirito e il suo Detto, in ebraico DAVAR, e poi in aramaico MEMRA, i due antenati del futuro Logos greco, concepiti come prima rivelazione dell’unico Dio” (p. 22).

Proseguendo il suo discorso, parlando di Isaia 6:3, “Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti” aggiunge: “Nessuna meraviglia quindi se questa triplicazione così frequente della santità di Dio ha condotto a tutta una serie di speculazioni quasi-trinitarie in gruppi marginali dell’ebraismo…” (p.23).

Io mi permetto di far notare l’ovvio: noi cristiani siamo lo sviluppo di un gruppo marginale dell’ebraismo!

Filone alessandrino (Alessandria d’Egitto, 20 a.C. circa – 45 d.C. circa) ha scritto sul logos forse più di quanto non faccia il Nuovo Testamento. Lui dimostra che all’interno del giudaismo del secondo tempio c’era spazio per una dottrina della “Parola”. Si guarda bene, però, come fa tutta la riflessione giudaica su questo tema, dal definire il logos Dio. Egli inoltre non riconosce alcuna incarnazione della Parola di Dio.

Giovanni va oltre l’interpretazione giudaica perché nel riprenderla (Giovanni 1:1-18) puntualizza che:

  • La Parola è un individuo
  • Che la Parola si è incarnata in Gesù di Nazareth
  • Che la Parola è Dio, sebbene distinto dal Padre.

Facciamo ancora qualche semplice riflessione.

Se Giovanni avesse voluto davvero dire a chi leggeva il suo vangelo che Gesù è Dio, come l’avrebbe scritto? L’unica risposta è: esattamente come leggiamo in Giovanni 1:1.

Se Giovanni avesse voluto puntualizzare che Gesù è Dio, ma non è il Padre, come avrebbe dovuto scriverlo? Esattamente come leggiamo nel suo Vangelo.

In Giovanni 1:1-18 la parola Theos la troviamo solo due volte con l’articolo, al verso 1, ma ben 5 volte senza, ai versi: 1, 6, 12, 13 e 18. Non ha senso, lo dico anche da scrittore, utilizzare una parola – e una parola così importante e delicata – nello stesso contesto ben 5 volte ed attribuirle in una delle cinque volte un senso totalmente diverso rispetto alle altre 4.

Sempre in Giovanni 1:1-18 troviamo nell’originale, sia con che senza articolo, le parole: “unigenito”, “padre”, “uomo”, “vita”, “gloria”, “grazia” e “verità”. In tutti i casi, con l’articolo o senza, tutte queste parole hanno lo stesso significato. È quindi impossibile, proprio con la parola più importante di tutte le altre messe insieme, cioè Dio, che una sola volta sulle 5 in cui occorre, questa abbia un significato diverso, radicalmente diverso, dalle altre.

“La Parola è Dio” è la traduzione più naturale della frase di Giovanni nella nostra lingua. In greco è molto più profonda e significativa, ma il limite della nostra lingua non ci permette di trasmettere in italiano le sfumature dell’originale. E sono delle sfumature che puntano in direzione della dottrina della Trinità e sconfessano il modalismo, il sabellianismo e chi vorrebbe vedere nel figlio “un dio minore” o un semplice uomo, o un uomo divenuto divino o Dio, tutte possibili eresie, antiche e nuove, sulla figura del Cristo.

Un’ultima osservazione.

Nessuna lingua nasce per essere tradotta in un’altra. Per potere apprezzare il Nuovo Testamento originale, bisogna leggerlo in greco. È questo che faccio da oltre 20 anni ormai. So quanto sia difficile tradurre da una lingua ad un’altra. Ho tradotto la prima epistola di Giovanni e Colossesi: non è stato per niente facile. Ho iniziato Marco, del quale ho pubblicato i primi 4 capitoli. Lavoravo come traduttore in un’azienda e faccio a volte il simultaneista dall’inglese all’italiano e viceversa. So che è un compito ingrato.

Quando leggo il Nuovo Testamento in greco – quando non devo nemmeno pensare ad una traduzione – non ho dubbi che esso attesti che Gesù è Dio e Dio fatto uomo. Ad oggi nessuno mi ha portato valide argomentazioni per credere il contrario e di sicuro non i Testimoni di Geova.

Shalom.

 




Lesson 2 – Biblical Greek: Reading Exercise

Gospel of John 1:1-8

 1  ᾿Εν ἀρχῇ ἦν ὁ Λόγος, καὶ ὁ Λόγος ἦν πρὸς τὸν Θεόν, καὶ Θεὸς ἦν ὁ Λόγος. 2 οὗτος ἦν ἐν ἀρχῇ πρὸς τὸν Θεόν. 3 πάντα δι᾿ αὐτοῦ ἐγένετο, καὶ χωρὶς αὐτοῦ ἐγένετο οὐδὲ ἕν ὃ γέγονεν. 4 ἐν αὐτῷ ζωὴ ἦν, καὶ ἡ ζωὴ ἦν τὸ φῶς τῶν ἀνθρώπων· 5 καὶ τὸ φῶς ἐν τῇ σκοτίᾳ φαίνει, καὶ ἡ σκοτία αὐτὸ οὐ κατέλαβεν. 6  ᾿Εγένετο ἄνθρωπος ἀπεσταλμένος παρὰ Θεοῦ, ὄνομα αὐτῷ ᾿Ιωάννης· 7 οὗτος ἦλθεν εἰς μαρτυρίαν, ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός, ἵνα πάντες πιστεύσωσι δι᾿ αὐτοῦ. 8 οὐκ ἦν ἐκεῖνος τὸ φῶς, ἀλλ᾿ ἵνα μαρτυρήσῃ περὶ τοῦ φωτός.

Watch any video online that reads the above passage.

I suggest the following video. It shows a conventional academic pronunciation of Greek.

 

Then read it out loud as many times as you think is necessary. You must be able to read pretty easily this passage before moving on.

If you record your voice (very easily done with cell phone these days), I will be glad to listen to your reading.

 

 

 

Lesson 1 – Biblical Greek: How to read Greek

by Giuseppe Guarino

The Greek alphabet is not so different than ours. At the same time, it is clear that it is different enough to cause some problems to us, who are totally depended on the Latin alphabet to write our western languages.

The change of letters from one alphabet into another is called “transliteration.” It is a common practice we find in the New Testament, where many Hebrew words were transliterated (Amen, Hallelujah) into Greek. Also, many Greek (and Hebrew) biblical words have been transliterated and adopted into our language without being actually translated – Baptism, Apostle, etc.

We will use the transliteration process first in a written form – as an exercise. Later it will take place in the mind of the student only. At last, the student will be able to recognize the Greek letters, just like the Latin and be able to read in Greek.

Greek has 24 letters. 17 Consonants. 7 Vowels.

 

Α α – A – Alpha

Β β – B – Beta

Γ γ – G – Gamma

Δ δ – D – Delta

Ε ε – E – Epsilon

Ζ ζ – Z – Zeta

Η η – E – Eta

Θ θ – Th – Theta

Ι ι – I – Iota

Κ κ – K – Kappa

Λ λ – L – Lambda

Μ μ – M – Mi

Ν ν – N – Ni

Ξ ξ – X – Chi

Ο ο – O – Omicron

Π π – P – Pi

Ρ ρ – R – Rho

Σ σ – S – Sigma

ς             S       Sigma end of the word

Τ  τ – T – Tau

Υ υ – U – Upsilon

Φ φ – F – Phi

Χ χ – Ch – Chi

Ψ ψ – Ps – Psi

Ω ω – O – Omega

 

Accents and breathings.

Accents and breathings were not part of the original Greek language. The Alphabet we – and the Greeks – use was officially adopted by the Athenians in 403/402 BC. But accents and breathings were invented by the Hellenized Alexandrians later on. For centuries, writing in Greek manuscripts continued as scriptio continua, which means simply that one letter was followed by the other, with no accents, no breathings, no punctuation and all in capital letters.

The critical editions which are in use today will provide every kind of possible help we need to read Greek easily and understand the text with much less difficulties.

I will spare the student the tedious and useless – let me say it – study of accents and breathings, which, without having any knowledge of Greek is truly a nightmare. He or she will easily get used to them and even understand their natural use when growing in the knowledge of the language.

 

How do we read ancient Greek?

Shakespeare’s writings are read today in the only English accent we know: today’s. The Old Testament is read by the Hebrews following today’s pronunciation. It makes sense, doesn’t it?

No-one actually knows how English was pronounced in the XVII century or Hebrew 3000 years ago. No-one knows how Greek was read when Homer wrote his poems.

That is why I strongly suggest that the same principle can be applied to the Bible and it is quite nice to apply modern Greek pronunciation when we read the New Testament too.

It is also true that in academic circles some choose to pronounce Greek differently. It is common practice to adopt the so called Erasmian pronunciation, which practically reads word the way they are written following the sounds I listed above when identifying the letters of the Alphabet.

In my course of study, I prefer to make things as easy as possible for the student. This is why we will start with the Erasmian pronunciation, but, in time, we will begin to approach and actually improve the fun – yes, the fun ! – of knowing Greek by understanding it as read my today’s Greek native speakers.

Exercise. Read out loud and transliterate the following Greek words. You can send your work to my e-mail (guarinous@yahoo.com) I will be more than glad to review it. Also, do not hesitate to contact me for any question you might need to ask.

Examples.

ἡ ζωὴ –   Life – HE ZOE.

ἡ ἀλήθεια – Truth – HE ALETHEIA

ἡ ἐντολὴ – Commandament

γράφω – To write

Ἀδελφοί          – Brothers

ἡ ἀγάπη – Love

ἡ σκοτία – Darkness

καὶ – And

ψεύστης – Liar

ὁ θεὸς – God

ὁ κόσμος – World

τὸ πνεῦμα – Spirit

ὁ χριστός – Christ

ὁ διάβολος – Devil

Ἀγαπητοί – Beloved

ἡ νίκη – Victory

ὅτι          – Because

ἡ καρδία – Heart

εἰ – If

ὅτι          – Why

ὁ ἀντίχριστος – Antichrist

ὁ υἱὸς – Son

Introduction to Biblical Koinè Greek: the Language of the New Testament

The Language of the New Testament. My studies convinced me that the books which are part of the New Testament were all written before the end of the first century in the most widely spread language of the time: Greek.

Why Greek?

During those days the Roman Empire was the leading world power, ruling over the lands around the Mediterranean Sea. But its military conquest had not been able to affect the extension of the supremacy of the Greek language and culture. Just like the fall of the British Empire did not mean the end of the diffusion of the English language, also in the ancient world neither the death of Alexander the Great, the first agent of worldwide hellenization, nor the division of his empire, nor the Roman conquest were able to remove the Greek influence. On the contrary, the Romans themselves were fascinated and seduced by the Greek world.

In the third century BC, in Egypt, under the Dynasty of the Tholomeos, the Bible began to be translated into Greek. This version of the Hebrew Scriptures began very early to be called the Septuagint, which means Seventy (abbr. LXX) because of the number of the original translators and the providential   circumstances  under  which  the  Pentateuch’s Greek version was completed. Whether history or myth, the name remains to this day.

What was the type of Greek used for the Septuagint?

Just like today’s English can be distinguished in its derivations: British, American, Australian, etc… The Greek of the third century BC, being a language spoken worldwide, also by non native speakers, offered a variety of choices.

Classical Greek was the elegant, sophisticated literary language. It was used by the intellectuals, philosophers and writers. But the LXX’s translators prefered Koiné Greek, a less rhetorical, more practical, accessible, elastic, fluid form of language. More open to innovation and to the introduction of new words, it was definitely more fit to express the Hebrew religious language. The latter was characterized by a very rigid, well fixed technical terminology, fundamentally impossible to be fully translated into classical Greek and that, by consequence, needed a form of language that could be better adapted to a better expression of foreign ideas and culture.

The Septuagint is an object of very deep study up to this day. It is indeed hard to underestimate the importance of the LXX version of the Old Testament, its contribution for a better understanding of the Hebrew Scriptures, facts and terminology. It also influenced the New Testament as we examine the original language in which it was written, that is a later development of the same Koiné Greek of the LXX.

Jesus’ mandate was to spread the good news throughout the whole world.

Go therefore and make disciples of all the nations, baptizing them in the name of the Father and of the Son and of the Holy Spirit.” (Matthew 28:19 – NKJV)

you shall be witnesses to Me in Jerusalem, and in all Judea and Samaria, and to the end of the earth.” (Acts 1:8 – NKJV)

The most obvious thing was that the apostles and the disciples would choose a language for the Scriptures of the Christian faith that would ensure the growth of the Church outside  of  the boundaries of the Jewish nation. Koiné Greek was perfect for this purpose.

Literarily speaking the New Testament – as well as the Old – is not the work of one single writer. Usually when we read the various translations, the change of the language and the presence of a translator will naturally uniform the style of the books of the Bible. But if we read the originals we will suddenly notice the different linguistic characteristics of each writer.

If we compare Mark to John, both words and style could hardly be more different. Paul writes even in a very peculiar way. He has a perfect knowledge both of Greek and Hebrew, which is quite evident in the accurate terminology that he displays to lay the foundations of the Christian doctrine.

Luke writes the introduction to his gospel in classical Greek, elegant and rhetorical in style, which made his work more popular among the sects hostile to the Jewish heritage.

All of the authors of the books of the New Testament – and I feel authorized to say, also the Holy Spirit – have given up artificial structures of literature, in order to embrace the vivid and accessible vernacular of the people.

The repercussions of this choice are amazing and we experience them on a daily basis when we read the Word of God, understand and live it.

The Greek of the New Testament is simple and clear, but by no means elementary or simplistic. It is not sophisticated for the simple reason that it is intended to communicate – not to boast knowledge and technique, but it never gives up its own identity and the characteristics. These traits, which make it a literary phenomenon of its own, are those with which almost every culture had to confront itself ever since the New Testament was written.

It is worthwhile notice that the Hebrew influence on the biblical Greek gave rise to a new religious terminology which would enrich the Greek vocabulary so that it could properly describe the truths of the Christian religion.

As far as the Greek influence on the Hebrew religion is concerned, there might be different opinions on the subject, since it is objectively a far more complicated matter. Personally, I believe that though the Jews might recognize the value of the Greek language, their religious identity was too strong to be contaminated with Hellenistic practice and beliefs. The strong influence of Antiocus Epiphanes or other rulers who tried to impose paganism, rituals and thought, simply led some to deny their Jewish heritage by accepting the Hellenic philosophy. In a few words, orthodox Judaism, after the Babylonian captivity of the sixth century BC, was not inclined to compromise with any foreign culture as time and circumstances have abundantly left evidence in history.

Going back to our main topic, the language of the LXX and of the New Testament, was simple, innovative; clear, live and stimulating.

Let’s see some examples in detail.

The Greek word “agape” (in the original Greek alphabet: αγαπη), which is famous also to many who have nothing to do with biblical Greek, is a peculiar word from the LXX and the New Testament. It is not found in classical Greek. The King James Version translates it “Charity”, which corresponds to modern “love” used by more up to date versions.

Another famous Greek word is “zoe” (ζωη) which means “life”. We find it used in particular in the gospel of John, where such a colloquial word has been enriched to the extent of reinventing it altogether, keeping only the original form of it, but to express and communicate wonderful new meanings.

In its original meaning, zoe has nothing of the deep spiritual meanings that the apostle attaches to it.

There is one word which is really worth not only mentioning but also considering.

We find it in the book of Revelation: “pantokrator” (παντοκράτωρ), which means “Almighty”.

I am the Alpha and the Omega,” says the Lord God, “He who is and He who was and He who is to come, The Almighty.” (Revelation 1:8)

Outside of the book of Revelation we find this same term in 2 Corinthians 6:18.

John took the word Pantokrator from the LXX translation where it thus rendered the Hebrew expression which in our Bibles is usually translated as “Jehovah of hosts” (ASV) or “Lord of Hosts” (KJV). In Nahum 2:13 the LXX reads Kyrios Pantokrator (κύριος παντοκράτωρ), literally: “Lord Almighty“.

Why did the LXX translators choose to do so?

The Greek Pantokrator was used to translate the Hebrew term Sebaoth (צבאות) also in ancient books of the Bible. It literally reviews the original Hebrew word (Jehovah of Hosts) giving it a more universal meaning, becoming its Greek evolution, expressing the absolute sovereignty of God over all creation and every creature.

The Greek term itself might even have been created to translate the Hebrew here. This would explain why some other Old Testament books of the LXX do not translate the word but simply transliterate it into the Greek alphabet: κύριος σαβαωθ, (Isaiah 1:9), which has been translated in English as: “Jehovah of Hosts” (ASV).

There is another expression used by John in the same context which is indeed worth mentioning. Addressing God as “the Lord God, who is and who was and who is to come” I believe he gave the equivalent in the Greek language of the Hebrew יהוה as much as “Pantokrator” translates the Hebrew צבאות (Sabaoth).

John knew the Tetragram, the Name of God revealed to Moses, YHVH (in Hebrew alphabet יהוה), but instead of transliterating it from the Hebrew, applying a similar process that brought to the birth of the word “Almighty”, he thinks it better to try to simply communicate the immediate meaning of that Name in Hebrew.

The four Hebrew consonants are vocalized in the Masoretic text as follows: יְהוָֹה If we simply add the vowels’ symbols to the consonants, we’ll read in our alphabet the familiar YeHoVaH.

Asher Intrater is a Messianic Jew. He writes in his book “Who ate with Abraham?” that the sequence of the three vowels “e” (sh’va), “o” (holom), “a” (patach), indicate the root of the future, present and past tense.

We might even conclude that the phrase found in Revelation 1:8 was an attempt to render the Jewish name of God (צבאות יהוה) “Adonai Sebaoth” following the principles of the LXX translators, expanding the narrow Hebrew expression Sebaoth, giving it a meaning, a religious meaning, for the Greek speaking world when interpreted it as “Pantokrator”, which is in English “Almighty”.

So the national צבאות יהוה (Adonai Sebaoth) – “Jehovah of Hosts” – becomes the  universal “Κύριος ὁ Θεός, ὁ ὢν καὶ ὁ ἦν καὶ ὁ ἐρχόμενος, ὁ παντοκράτωρ” which the ASV renders in English: “Lord God, who is and who was and who is to come, the Almighty.”

Another very important Greek word is Logos (Λόγος) used by John in his gospel, in order to fully explain the relationship of Jesus with the Father and the Creation, before becoming a man. Logos is usually translated as “Word”.

“In the beginning was the Word, and the Word was with God, and the Word was God.” (John 1:1)

Logos is found in Greek philosophy long before it was used by John. This must not entitle us to believe that the apostle was looking outside of the Hebrew world in order to find ideas that could express the eternal state of the Savior, but a Greek terminology was simply borrowed in order to express a deeply Semitic concept.

The Greek fathers of the Church, such as Justin Martyr (second century), took the chance of this familiarity of the Greek speaking world with the idea and term of Logos to preach Jesus in a way that might be familiar to the non-Jewish people.

Nothing happens by chance – every believer must be deeply convinced of this.

The Hebrew language was born and raised along with the Faith in the Personal God of the people who spoke it: that is why it perfectly conveys the facts and ideas of the Jewish religion.

The Greek language had reached quite a large diffusion and the necessary maturity when it came in contact with the Old Testament: in the right hands it could express any concept, abstract or practical. It became the language of the Septuagint and later that of the New Testament, the perfect means through which the faith in Jesus might be shared with people virtually everywhere.

A universal language for a universal message

There are some who try to recover the Jewish heritage of our faith by simply recovering in our Bibles the Hebrew original names of God (Jehovah or Yahweh, Elohim, etc.) of Jesus and even the apostles.

With due respect, it is not necessary to go back to Hebrew names or terminology in order to believe to be more faithful to the pure original doctrine of Jesus and the apostles.

Also because, taking a closer look at the language of the New Testament, we understand that the attitude of the early Church pointed to a totally different direction.

I am by no means trying to underestimate the importance of the study of the Jewish linguistic and cultural background in order to develop a better understanding of the New Testament, of the teachings of Jesus and of the Christian doctrine and practice. But at the same time, it is vital to understand that we must not neglect the universal linguistic heritage embraced in the New Testament when choosing the Greek language to convey the message of the new faith.

Let us consider a practical example, Isaiah 7:14.

 “Therefore the Lord Himself shall give you a sign: behold, the young woman shall conceive, and bear a son, and shall call his name Immanuel.” (Isa 7:14 Jewish Publication Society – 1917)

Therefore Adonai himself will give you people a sign: the young woman will become pregnant, bear a son and name him ‘Immanu El [God is with us].” (The Complete Jewish Bible – ed. 1998)

The above Jewish translations render the Hebrew word העלמה (transliterated in our alphabet as: ha-almah) as “young woman.”

Matthew so quotes this passage in the New Testament: “So all this was done that it might be fulfilled which was spoken by the Lord through the prophet, saying: “Behold, the virgin shall be with child, and bear a Son, and they shall call His name Immanuel,” which is translated, “God with us.” (Matthew 1:22-23 – NKJ)

The Greek original of Matthew renders the Hebrew word העלמה (ha-almah) of Isaiah 7:14 with “ἡ παρθένος” (he parténos), a word which inequivocably refers to a “virgin”.

If we put too much stress on the original Hebrew of Isaiah 7:14 we will miss the fulfillment of the virgin birth of Jesus of this precious Old Testament prophecy. Because the Hebrew word meant also “young woman” but the important detail is that this “young woman” implies a “virgin”. The Septuagint, the Greek translation much older than the New Testament sanctions the view of Matthew. It renders Isaiah 7:14: “ἰδοὺπαρθνος ἐν γαστρὶ ἕξει”.

The contribution of the Greek language in the correct understanding of a Hebrew original is here undeniable.

Monotheism was exclusive of the Jewish nation. Hebrew was the language that described the Jewish faith, its beliefs, God, etc. But in the New Testament the Gospel is universal and it takes a universal language to be able to express the new Faith to new believers, most of Greek cultural background,  not linked by any national bond or birthright, but by love..

Paul tore down the walls between Jewish and non-Jewish Christianity. His missionary activity was all directed to the people living outside of Israel, both physically and ethnically.

For I speak to you Gentiles; inasmuch as I am an apostle to the Gentiles, I magnify my ministry.” (Romans 11:13 – NKJ)

A very important step toward the universal message of the Gospel is substituting the ineffable Old Testament Name of God with the accessible and universal Kyrios, Lord.

This is evident in a very important passage of the epistles of Paul.

… that if you confess with your mouth the Lord Jesus and believe in your heart that God has raised Him from the dead, you will be saved.For with the heart one believes unto righteousness, and with the mouth confession is made unto salvation. For the Scripture says, “Whoever believes on Him will not be put to shame.” For there is no distinction between Jew and Greek, for the same Lord over all is rich to all who call upon Him. For “whoever calls on the name of the LORD shall be saved.” (Romans 10:9-13 – NKJV)

If Paul had inserted here the Tetragrammaton, he would have openly contradicted the basic value of his statement, since among the “whoever” he included even those who could not pronounce or had any knowledge at all of the Hebrew HaShem (The Name) of God יהוה. On the contrary, he speaks of God as Kyrios, so that virtually everyone and everywhere knew what he was talking about and could be saved by calling upon the name of the Lord. The last quotation in Romans 10:9-13 is an Old Testament passage which included the Tetragrammaton, יהוה!

Paul’s quotation recalls the Septuagint Greek translation.

πᾶς   γὰρ ὃς ἂν ἐπικαλέσηται τὸ ὄνομα Κυρίου σωθήσεται (New Testament)

καὶ ἔσται πᾶς,         ὃς ἂν ἐπικαλέσηται τὸ ὄνομα κυρίου, σωθήσεται (Septuagint)

The Greek text of Joel 2:32 available for Paul must have been the same as the one we consult today.

In the New Testament the national God who revealed Himself to Moses a יהוה, becomes Lord of every man  (Kyrios) calling upon His name.

The national bond of God with Israel is now substituted by relationship, which starts when anyone, anywhere open their heart to God. “But as many as received him, to them gave he the right to become children of God, even to them that believe on his name: who were born, not of blood, nor of the will of the flesh, nor of the will of man, but of God.” (John 1:12-13 – ASV)

New wine into new wineskins

We saw how the Greek of the New Testament took the Hebrew terminology. This guaranteed that continuity which was desirable, between the Old and the New Testaments.

At the same time, the circumstances were new, the language was new and the new faith had to shed light on many details of the Revelation now become more evident because of the incarnation of the Son of God.

Philo was a Jewish “philosopher” who live in Alexandria, Egypt, between 50 BC and 50 AD. His teachings on the logos, the word (see John 1:1) closely resembles that of Paul and of John and it must have been relying on the Jewish thought of the time as the Targumin confirm.

But the apostles move forward, they report something that the official Jewish religion failed to see. They openly declare that the logos was manifested in the flesh, became a man: Jesus of Nazareth.

The epistle to the Colossians introduces a terminology which has no parallel in Hebrew.

“ὅτι ἐν αὐτῷ εὐδόκησε πᾶν τὸ πλήρωμα κατοικῆσαι.” (Colossians 1:19).

For it pleased the Father that in Him all the fullness should dwell.” (NKJV)

The word πλήρωμα (pleroma), “fullness”, has here specific traits. It is a technical word which includes what Paul himself will clarify later in the same epistle. No trace of this terminology is found in the New Testament: the new faith needed new words!

“ … ὅτι ἐν αὐτῷ κατοικεῖ πᾶν τὸ πλήρωμα τῆς θεότητος σωματικῶς,” (Colossians 2:9).

for in Him dwells all the fullness of the Godhead bodily.

Paul is using a language which is so accurate! His terminolgy leaves no room for any doubt whatsoever on the fullness of the Deity of Jesus. If others today think otherwise, the apostle Paul has no fault at all.

“τὸ πλήρωμα” is the sum of all the divine attributes and qualities of God.

“θεότητος” is Godhead, a word that you will not find anywhere else in the New Testament.

Such terminology was never found in the Old Testament.

Another wonderful quality of our Lord Jesus Christ is

described by the word  εἰκὼν, image, which Paul uses in Colossians 1:15: “ὅς ἐστιν εἰκὼν τοῦ Θεοῦ τοῦ ἀοράτου.”

In English: “He is the image of the invisible God.

Again, this statement has no parallel in the Hebrew Scriptures.

The beginning of the epistle to the Hebrews has such a wonderful Christological terminology! It is almost impossible to exactly translate it into English.

“ὃς ὢν ἀπαύγασμα τῆς δόξης καὶ χαρακτὴρ τῆς ὑποστάσεως αὐτοῦ”. Which the New King James renders: “… who being the brightness of His glory and the express image of His person…

Both “εἰκὼν” and χαρακτὴρ express very deep Christological concepts and could be introduced in the Christian language, thanks to the high speculative level of the Greek language. Similar words are not referred to the Messiah in the Old Testament. Greek helped the holy men of God to shape the doctrine of the new faith in Jesus.

John wrote in his Gospel using a terminology that shaped the Christology of the Church. The prologue recalls the solemnity of the Genesis account of creation.

In the beginning was the Word (Gr. logos), and the Word was with God, and the Word was God.” (John 1:1).

Philo wrote about the logos, the Word, too. He does it from a Jewish perspective and very probably influenced by the Jewish speculations of the time on the matter. In his wonderful work “On The Creation”, also known as “De Opificio Mundi”. There Philo speaks of the “θείῳ λόγῳ”, a phrase that C. D. Yonge translates as “Divine Reason”, but that we can also interpreta s “Divine Word”, since logos in Greek can mean both “reason” and “word”.

John says more than Philo. The apostle connects to his Jewish roots, because their interpretation was not entirely wrong. But adds: “Θεὸς ἦν ὁ Λόγος”, “The Word is God”.

John knows something that Philo did not know and could not know. The apostle’s knowledge of the Word was personal and direct, not simply speculative like Philo’s.

And the Word became flesh and dwelt among us, and we beheld His glory, the glory as of the only begotten of the Father, full of grace and truth.” (John 1:14 –  NKJV)

The Jewish commentators had altrady spoken of the manifestations of God through what or who they called “Memra”, in Aramaic or “Davar” in Hebrew. When the New Testament (as well as Philo) speaks of a logos of God, revealed to mankind in the person of Jesus, it gives a universal message that has a meaning both for the Jewish people and for the Gentiles, since a common Greek term becomes the perfect means to express a deeply Hebrew idea.

The apostles themselves, through the guidance of the Holy Spirit, were the first to deliver the message of the Gospel to the non-Jewish. They did so, speaking of the wonders of God in the only universal language of their time: Greek.

The God of Moses was remembered in Israel as the one who set the people free from the slavery in Egypt. But to the Gentiles He was now proclaimed as the Almighty God, Creator of all things and above all the Father of the Lord Jesus Christ, whom He had sent to save mankind – those who received Him in their hearts as Lord and Savior.

The Hebrew heritage of our faith is quite intriguing. But we cannot simply stop at the contemplation of the old covenant. The apostles moved on. They promoted the use of a language which made their message universally understood: being accessible is far more important than the purity so cherished even then by certain Jewish circles. Not the words themselves are sacred, but the message they deliver.

HaShem, il Nome, יהוה, is not sacred in itself, but Holy is the God that we address by that name. If יהוה cannot even be pronounced, the idea which it recalls is too distant from the Gospel, Kyrios, Lors, becomes no less sacred if Holy is the God we are calling upon.

If יהוה had freed Israel from Egypt and given the Law to the people, now Godi s the Father of our Lord and Savior, Jesus Christ.

In the light of what has been said so far, I am sure the student of the Bible will agree on how important it is to seriously study the New  Testament Koinè Greek language in oder to better understand “the faith which was once for all delivered to the saints.” (Jude v.3)