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Dario della stirpe dei Medi

di Giuseppe Guarino

Dario della stirpe dei Medi, il re citato dal libro biblico di Daniele non sembra avere riscontri extrabiblici. E’ esistito davvero? 

E’ di solito citato come una delle incongruenze storiche di Danieleo. Varie sono le spiegazioni date dai sostenitori della composizione del libro nell’età maccabaica. Bernini scrive commentando la frase di Daniele: “Baldassar, re dei Caldei, fu ucciso e Dario il Medo ricevette il regno all’età di sessantadue anni.” nel seguente modo: “storicamente non fu un re della Media, ma Ciro, re di Persia, che nel 539 a.C. entrò trionfatore in Babilonia”, Giuseppe Bernini, Daniele, pag. 194-195.

È vero che Ciro entrò trionfatore, ma questo dopo che il suo esercito con a capo il futuro “governatore” della Babilonia gli aveva spianato la strada. Lo stesso Bernini, infatti, afferma che “secondo gli storiografi greci Senofonte ed Erodoto, Babilonia fu presa durante la notte, quasi inavvertitamente, mentre in essa si stava banchettando in festa. Probabilmente il racconto si ispira a questi ricordi.” op.cit. pag.194.

L’idea che il racconto di Daniele possa essere l’autentico resoconto di un testimone oculare non è nemmeno contemplato come una possibilità.

Visto che ci interessa avere un’idea delle opposizioni di chi rifiuta l’attendibilità storica di Daniele, continuo citando il commento dello stesso autore a Daniele 9:1, che nella traduzione Nuova Riveduta legge così: “Nell’anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu fatto re del regno dei Caldei”.

La traduzione di Bernini è la seguente: “L’anno primo di Dario, figlio di Serse, della stirpe dei Medi, che regnò sul regno dei Caldei”. Spiega la sua scelta ad utilizzare la lettura “regnò” anziché “che fu fatto re”, favorendo il TM (testo masoretico) che la supporta, a sfavore della seconda che, però informa il lettore, si trova comunque in molti manoscritti. Questo il suo commento: “L’anno primo di Dario, figlio di Serse: È il Serse dei traduttori greci detti i Settanta, l’Assuero della traduzione di Teodozione e della Volgata latina. Ma costui (486-465 a.C.) non è padre, bensì il figlio di Dario I (522-486) e tutt’e due sono persiani, non medi. Inesattezza dovuta alla piuttosto confusa conoscenza di questo periodo storico da parte dell’autore che viveva in un’epoca molto posteriore.”, op.cit. pag. 247.

L’affermazione è forte, sicura; sembra avere alle spalle un fondamento inattaccabile. Tempo addietro un professionista mi disse che non ha importanza cosa si dice, ma il modo in cui lo si dice, perché è fondamentale dimostrare sicurezza e convinzione, visto che la gente ricorderà più quello che il fatto che si sia detta o meno una cosa corretta.

Mi viene in mente questa “filosofia di vita” – purtroppo efficacissima – perché affermazioni come quella che abbiamo appena considerato sui supposti errori di Daniele vengono proposte con grande naturalezza, ostentando sicurezza, ma non vengano altrettanto efficacemente dimostrate. È facile affermare una qualsiasi cosa, ma tutt’altro paio di maniche è dimostrarla.

Non è possibile che la conoscenza confusa sia quella degli storici che non hanno elementi tali da potere confermare le dirette e semplici affermazioni di un testimone oculare, l’autore del libro di Daniele?

È ridicolo pensare che Daniele parli di Dario il re di Persia vissuto molti anni dopo, confondendolo con il conquistatore di Babilonia. L’autore ignoto del II secolo che si immagina così confuso, doveva poi essere talmente a digiuno delle Sacre Scritture ebraiche da non sapere che Dario, il re Persiano, era uno dei successori di Ciro e ne fa addirittura un suo predecessore? Non ci vuole uno storico, anche il lettore più distratto potrebbe non accorgersene dai resoconti di Esdra e Neemia. Vedi ad esempio Esdra 6:14, “E gli anziani dei Giudei poterono continuare i lavori e far avanzare la costruzione, aiutati dalle parole ispirate dal profeta Aggeo, e di Zaccaria figlio di Iddo. Così finirono i loro lavori di costruzione secondo il comandamento del Dio d’Israele, e secondo gli ordini di Ciro, di Dario e di Artaserse, re di Persia.” Gli era anche sfuggita la semplice affermazione di Neemia 12:22 che chiama il Dario re dell’impero persiano, appunto “il Persiano”.

Da quale cilindro avrebbe tirato fuori l’ignoto autore di Daniele questo Dario della stirpe dei Medi, visto che non se ne parla proprio da nessun altra parte? La cosa più singolare è che in alcuni momenti, pur di collocare il libro nel II secondo secolo, si innalza il suo supposto ignoto autore al livello di un grande mistificatore, intento a prendere ogni precauzione per potere spacciare la sua opera per autentica; ma all’occorrenza lo si butta giù fino al punto da crederlo capace di commettere ridicole ingenuità, quasi sull’orlo della stupidità. Tutto purché si possa a tutti i costi dimostrare che Daniele non può essere stato scritto nel VI secolo a.C.

Mettiamo da parte le spiegazioni che mirano a screditare Daniele, svuotandolo della sua autenticità di contenuti storici, le forzature, in quanto spiegazioni inconsistenti, prodotte con l’unico scopo, non di interpretare i fatti, bensì di dimostrare ad ogni costo un’idea preconcetta. Chiedo scusa se il mio tono può sembrare aspro – ma non mi pare che all’autore biblico sia stato riservato un trattamento migliore!

Vediamo cosa succede se mettiamo da parte la polemica e, cancellando persino il ricordo di certe affermazioni tanto gratuite, cerchiamo di vedere cosa ci dice Daniele, libro storico – oltre che Parola di Dio – su questa altrimenti sconosciuta figura: Dario il Medo.

 

Intanto elenchiamo i brani di Daniele dove lo troviamo menzionato.

 

  • In quella stessa notte Belshatsar, re dei Caldei, fu ucciso; e Dario, il Medo, ricevette il regno all’età di sessantadue anni.” (Daniele 5:30-31)

 

  • Piacque a Dario di stabilire sul regno centoventi satrapi, i quali fossero preposti su tutto il regno” (Daniele 6:1)

 

  • Ora, o re, promulga il decreto e firma il documento, in modo che non possa essere cambiato in conformità alla legge dei Medi e dei Persiani, che è irrevocabile. Il re Dario quindi firmò il documento e il decreto.” (Daniele 6:8-9)

 

  • Allora il re Dario scrisse a tutti i popoli, nazioni e lingue che abitavano su tutta la terra: «La vostra pace sia grande! Io decreto che in tutto il dominio del mio regno si tremi e si tema davanti al Dio di Daniele, perché egli è il Dio vivente, che sussiste in eterno. Il suo regno non sarà mai distrutto e il suo dominio non avrà mai fine.” (Daniele 6:25-26)

 

  • Così questo Daniele prosperò durante il regno di Dario e durante il regno di Ciro, il Persiano.” (Daniele 6:28)

 

  • Nell’anno primo di Dario, figlio di Assuero, della stirpe dei Medi, che fu costituito re sul regno dei Caldei.” (Daniele 9:1)

 

  • Nel primo anno di Dario, il Medo, io stesso mi tenni presso di lui per sostenerlo e difenderlo.” (Daniele 11:1)

 

Riassumendo quello che ci viene detto di questo Dario: Viene costituito sul regno dei Caldei all’età di 62 anni, alla caduta del regno babilonese. È figlio di Assuero. È della stirpe dei Medi.

Fra quello che ci è tramandato di lui, sappiamo che divise il suo regno fra 120 “satrapi” e che aveva potere di firmare decreti e promulgare editti. Era assoggettato alle leggi dei medi e dei persiani.

Sono queste le informazioni che la Bibbia ci conserva su questo personaggio. Sembra che la storia profana non faccia di lui menzione. Sembra. Ma non è certo. Il fatto comunque che il suo nome non sia conosciuto da altre fonti non è prova definitiva che la Bibbia dipinga un personaggio in realtà non esistito. Essendo un re sottoposto all’autorità di Ciro è possibile che si abbia di lui un tale silenzio. I documenti sul periodo storico che segnò il passaggio dall’impero babilonese a quello persiano non ci danno un quadro talmente completo da potere affermare con certezza che ogni personaggio che non venga nominato non sia esistito. A dimostrazione di una tale possibilità, Robert D. Wilson, ad esempio afferma: “vi sono molti re di Babilonia menzionati nei monumenti assiri dei cui regni non abbiamo alcuna notizia di sorta”, Studies in the book of Daniel, pagina 136.

Il Cilindro di Ciro è un prezioso documento storico che celebra la conquista di Babilonia da parte di Ciro il persiano. È scritto in accadico e risale al VI secolo a.C. È stato riportato alla luce nel 1879. Oggi è esposto nel British Museum di Londra.

Per quanto riguarda la presenza di Dario Medo nei reperti archeologici giunti da quel periodo, Wilson propone la propria opinione, un’opinione che merita di essere presa in seria considerazione visto che è basata su un esame accurato degli originali dei documenti disponibili (ricordo che Wilson conosceva circa 46 lingue). Sembra che i documenti archeologici più importanti sulla conquista Persiana di Babilonia nominino un individuo, un certo Gobryas, il quale:

 

  • Viene nominato “pihat” di Babilonia. La parola “pihat” potremmo oggi tradurla “governatore” ma non c’è da scandalizzarsi, in armonia con le consuetudini del tempo, se un autore ebreo del VI secolo traducesse il termine semplicemente come “re”.

 

  • Dal Cilindro di Ciro sembra che durante la lotta per la conquista di Babilonia, un figlio del re (il Beltshasar biblico?) venne ucciso. L’esercito persiano era capitanato da quel Gobryas che avrebbe poi assunto il comando di quella parte dell’impero persiano. Ciò in perfetta armonia con Daniele 5:30-31.

 

  • È in età avanzata durante il regno di Ciro, come proverebbero delle affermazioni dello storico Senofonte sui suoi figli, un maschio caduto in guerra contro i Babilonesi e una femmina in età da marito.

 

  • Gobryas era già governatore di Gutium, che includeva Ecbatana, capitale del regno di Media e si estendeva, con ogni probabilità, fino alla Siria, comprendendo anche l’Arabia. Essendo a capo anche della provincia di Babilonia, il suo regno doveva essere grande a sufficienza da spiegare la necessità di nominare di 120 “satrapi” per motivi amministrativi e di ordine pubblico. Nulla di più naturale che ad Ecbatana (“Ahmatha” nella Nuova Diodati) venisse rinvenuto un editto promulgato dall’imperatore persiano Ciro (Esdra 6:1-3 e seguenti).

 

Per quanto riguarda l’assenza totale di assonanza fra il nome Dario e Gobryas, questo non è un vero ostacolo. Un nome può essere la traduzione dell’altro da una lingua ad un’altra senza che vi sia nessuna somiglianza. William in inglese è tradotto Guglielmo in italiano. Inoltre nell’antichità un re conosciuto nella sua patria con un nome, diventava re di un’altra terra con un altro nome. Tiglath-Pileser IV re di Assiria era anche re di Babilonia con il nome di Pul.

Ci rendiamo conto benissimo che il Dario Medo di cui parla la Bibbia ha davvero molto in comune con questo Gobryas più volte nominato nelle principali prove archeologiche del periodo. Quella di Wilson è una proposta e tale rimane, ma solo perché non abbiamo sufficienti documenti del periodo per potere essere più certi di molti dettagli.

Di sicuro, però, il Dario di Daniele non ha così tante cose in comune con il Dario re di Persia dal 521 al 486 a.C.

Per non annoiare ulteriormente il lettore propongo uno schema dal quale si evince quanto dico.

 

GOBRYAS DARIO MEDO DARIO I
 

Figlio di Assuero (o Serse)

 

 

Padre di Serse

Probabilmente della stirpe dei Medi Della stirpe dei Medi Persiano
 

“pihat” di Babilonia

 

“Re” di Babilonia

 

Re dei Medi e dei Persiani

 

Succede a Nabonedo

539 a.C.

 

Succede a Nabone-do 539 a.C.

 

Regna dopo Cam-bise II, figlio di Ciro II – 521 a.C.

 

È  in età avanzata

 

È in età avanzata

 

 

 

Inizia a regnare a circa 20 anni

I due personaggi di Dario Medo e Dario il re di Persia non hanno niente in comune oltre il nome! Per forzare le loro teorie, chi li identifica deve immaginare che Daniele confonda il figlio di Dario Persiano e ne faccia il padre nelle sue narrazioni e che lo chiami Medo perché per lui è la stessa cosa che Persiano. Lo fa regnare prima o contemporaneamente a Ciro II, che in realtà regnò prima di Dario il Persiano. Supporre errori tanto grossolani è almeno una forzatura. Per non parlare degli altri dati, che non coincidono nemmeno.

Molto interessante è l’affermazione di Daniele che ci informa che Dario Medo divenne re di Babilonia a 62 anni, comunicando al lettore un dettaglio del quale solo un testimone oculare potrebbe essere al corrente. Se non in questo modo, non è possibile spiegare da quale fonte l’autore di Daniele attinga un’informazione tanto precisa e la proponga con tanta sicurezza.

Nome a parte, moltissimo in comune hanno il Gobryas della storia ed il Dario di Daniele. Wilson propone in aggiunta e, secondo me, ad ulteriore sostegno della propria tesi, un’altra possibilità. Secondo lo storico Senofonte, la figlia di Gobryas sposò Istaspe, padre di Dario il Persiano. Il nome Dario non compare fra i re persiani fino al figlio di Istaspe. È possibile che egli abbia assunto il nome del nonno materno, il Dario Medo della Bibbia? Ciò sarebbe anche plausibile se, con l’assunzione di questo nome, egli volesse legittimare la sua sovranità sui territori della Media. Era infatti una prassi dei re dell’antichità legittimare il proprio diritto a regnare su un popolo sia tramite matrimoni che con l’assunzione di un nome.

I dati storici extrabiblici non sono sufficienti per potere provare in modo convincente chi sia il Dario di Daniele?  Forse; ma questo non può essere una pecca del testo biblico, che parla di questa figura con l’accuratezza e serenità con la quale ne parlerebbe qualsiasi testimone oculare, bensì della limitatezza delle documentazioni extrabibliche. Le conclusioni raggiunte contro l’attendibilità storica di Daniele non sono, per lo stesso motivo, in alcun modo convincenti. Accusare la Bibbia di errori ed inesattezze sulla scorta di prove tanto inconsistenti è almeno irresponsabile se si crede che questa sia veramente la Parola di Dio.

 




Esdra e il ritorno dall’esilio

di Giuseppe Guarino

Il libro di Esdra racconta del ritorno dall’esilio babilonese, possibile grazie all’emergere della potenza persiana, molto più tollerante delle identità nazionali rispetto a quella babilonese.

Siamo alla fine della catastrofe.

I profeti avevano parlato per anni. Il popolo di Israele non aveva ascoltato e creduto ai loro moniti. Come un fiume in piena, la potenza assira travolse il regno di Israele nel 722 a.C. distruggendolo, deportandone il popolo in massa e trapiantandovi la propria gente.

Il regno di Giuda riuscì a sopravvivere, solo per crollare meno di due secoli dopo per mano del re babilonese Nebucadnesar nel 586 a.C.

Ma, come avevano già predetto i profeti, un giorno Yahweh si sarebbe ricordato del suo popolo. Caduta la potenza babilonese per mano di quella emergente persiana, il popolo di Dio potè tornare alla propria terra. Prima per ripristinare il tempio di Gerusalemme ed il suo culto. E’ il tema del libro di Esdra. In un secondo momento ai Giudei viene anche concesso di tornare ad edificare la città e quindi ritrovare l’identità nazionale oltre che quella religiosa con la riedificazione delle mura di Gerusalemme. E’ la storia narrata nel libro di Neemia.

Tale è l’evidente collegamento tra le due narrazioni, che nel canone ebraico vengono contati come un solo libro. Non sarebbe fuori luogo considerarli insieme.

Il tema della nostra discussione saranno le informazioni storiche rinvenute in questo libro. Lo tenga presente il lettore, perché non dedicheremo molta attenzione ad altri aspetti di Esdra.

Un approfondimento che potrebbe interessare sia gli studiosi della Bibbia che chi ama la storia antica in genere.

L’antichità egiziana risulta molto più affascinante di quella mesopotamica ai non addetti ai lavori, questo è un dato di fatto. Ciò è evidentemente dovuto alla pittoresca scrittura in geroglifici, davvero molto suggestiva, ed alle maestose piramidi e monumenti che stupiscono ed affascinano anche l’uomo contemporaneo.

Ma la storia dell’antico oriente non è meno affascinante di quella egiziana. Anzi. Mentre l’Egitto, vista la sua posizione geografica, era perfettamente delineato e geograficamente isolato dagli altri popoli, l’antico oriente conobbe secoli di fermento, nascita e crollo di imperi, nascita e declino di culture e lingue. Vi furono già in età remote, intensi scambi culturali ed efficientissime reti commerciali.

Il momento storico fermato nel libro di Esdra è di particolare importanza nella storia della fede del popolo di Israele. Non credo sia del tutto errato supporre che il giudaismo come lo conosciamo noi attraverso il Nuovo Testamento, affondi le sue radici proprio nel drammatico evento della deportazione a Babilonia e la successiva liberazione durante il regno dei persiani.

Esdra comincia la sua narrazione con un riferimento temporale, come ogni libro che tratti eventi storici.

L’uso pressoché universale del nostro calendario Gregoriano ci fa perdere di vista quanti pochi siano gli anni della nostra civiltà visti nella prospettiva dell’intera storia dell’umanità. Se consideriamo in realtà che una tale uniformità nella datazione non ha compiuto nemmeno i cento anni e che la civiltà degli egiziani, lasciando da parte il periodo predinastico, conta circa tremila anni di storia, ci rendiamo conto di quanto sia ancora piccolo e relativo il nostro contributo alla storia del pianeta. In tale prospettiva sarà istruttivo ricordare anche che l’impronta semita in Mesopotamia ha coperto un periodo di tutto rispetto quale sono i duemila anni che vanno dal grande Sargon di Akkad fino alla caduta dell’inetto re babilonese Nabonedo. Imperi durati ben più della nostra età moderna, riescono appena a conquistare qualche pagina dei libri di storia studiati oggi a scuola. Chissà se anche per noi il tempo non ci riserverà una sorte simile. La civiltà di Ebla, ad esempio, ebbe un apice che durò circa duecento anni (2500-2300 a.C.), nei quali fu un importante centro commerciale e culturale. Vale la pena ricordarlo, è merito di una spedizione italiana l’avere riportato alla luce i resti di questa antichissima civiltà. L’impero di Mitanni  durò anch’esso oltre duecento anni e fu una potenza internazionale.

Questa premessa per chiarire che una datazione non è degna di meno rispetto, solo perché oggi non siamo capaci di riferirla esattamente al nostro calendario.

Esdra apre il suo libro così: “Nel primo anno di Ciro, re di Persia

Abbiamo qui un esempio classico della datazione utilizzata nei grandi imperi, dove il calendario era riferito agli anni di regno del sovrano.

In Italia successe qualcosa di simile quando il regime fascista volle affiancare al calendario ufficiale il conteggio degli anni della sua salita al potere. Così il 1939 era anche l’anno diciannovesimo dell’era fascista, cominciata nel 1920.

Continuiamo a leggere i primi versi di Esdra: “Nel primo anno di Ciro, re di Persia, affinché si adempisse la parola del SIGNORE pronunziata per bocca di Geremia, il SIGNORE destò lo spirito di Ciro, re di Persia, il quale a voce e per iscritto fece proclamare per tutto il suo regno questo editto: “Così dice Ciro, re di Persia: “Il SIGNORE, Dio dei cieli, mi ha dato tutti i regni della terra, ed egli mi ha comandato di costruirgli una casa a Gerusalemme, che si trova in Giuda. Chiunque tra voi è del suo popolo, il suo Dio sia con lui, salga a Gerusalemme, che si trova in Giuda, e costruisca la casa del SIGNORE, Dio d’Israele, del Dio che è a Gerusalemme”. Esdra 1:1-3.

Qualche tempo prima, una profezia di Geremia aveva previsto che la deportazione del popolo sarebbe durata settant’anni: “Tutto questo paese sarà ridotto in una solitudine e in una desolazione, e queste nazioni serviranno il re di Babilonia per settant’anni. Ma quando saranno compiuti i settant’anni, io punirò il re di Babilonia e quella nazione”, Geremia 25: 11-12.

Leggiamo così nel libro di Daniele: Il terzo anno del regno di Ioiachim re di Giuda, Nabucodonosor, re di Babilonia, marciò contro Gerusalemme e l’assediò. Il Signore gli diede nelle mani Ioiachim, re di Giuda, e una parte degli arredi della casa di Dio. Nabucodonosor portò gli arredi nel paese di Scinear, nella casa del suo dio, e li mise nella casa del tesoro del suo dio”. Daniele 1:1-2.

Il terzo anno del regno del re di Giuda Ioiachim corrisponde all’anno 605 a.C. del nostro calendario.

Oltre a parte degli arredi del tempio, il re babilonese portò via, come racconta in dettaglio lo stesso libro di Daniele, dei giovani fra i più promettenti del popolo di Giuda per istruirli ed incorporarli alla cultura e struttura statale babilonese. Il paese di Scinear altro non è che la Mesopotamia, un termine quest’ultimo che verrà coniato molto più tardi dell’epoca che stiamo considerando, dai greci.

I 70 anni previsti da Geremia si conclusero proprio con l’editto di Ciro che è riportato nelle prime righe di Esdra. L’anno è il 536 a.C. del nostro calendario.

A conferma di quanto già sappiamo da altre fonti, apprendiamo che l’editto del re Ciro venne pubblicato a voce e per iscritto.

Siamo abituati ad immaginare che la scrittura sia una prerogativa dell’età moderna in cui viviamo. Storicamente sappiamo che non è così. Ad esempio, è un fatto storicamente accertato che la burocrazia della terza dinastia di Ur – 2100 a.C. – era davvero molto articolata e prevedeva che persino la vendita di una pecora avvenisse per iscritto. Fra i ritrovamenti negli scavi di Ebla che ho già citato, spiccano centinaia di testi.

Nulla di più normale che un re promulgasse i propri editti per iscritto. Per citare un esempio noto a tutti e di particolare prestigio, richiamo alla memoria del lettore il famoso Codice di Hammurabi. Ma si tenga presente che non è nemmeno il più antico in nostro possesso.

In un contesto dove l’importanza del documento scritto è così radicata, non sono per nulla fuori luogo, anzi assumono una particolare rilevanza, i riferimenti alla Legge di Mosè in Esdra 3: 2. Di nuovo al verso 4 dello stesso capitolo, l’autore sottolinea l’adesione del popolo a quanto aveva scritto Mosè.

Nella terminologia del libro di Esdra, nella descrizione dell’editto di Ciro, troviamo una caratteristica determinante e discriminante della Bibbia rispetto ad altre fonti storiche antiche.

Rimanendo ferma la natura storica di alcuni libri dell’Antico Testamento, è ovvio che essi sono soprattutto degli scritti religiosi. La veridicità e l’attendibilità degli eventi non è in discussione, ma la prospettiva e la chiave di lettura degli eventi ha Dio come protagonista. Abbiamo letto infatti che “affinché si adempisse la parola del SIGNORE pronunziata per bocca di Geremia, il SIGNORE destò lo spirito di Ciro, re di Persia”. Esdra 1:1.

E’ mia opinione che questo modo di intendere gli eventi non intacchi l’attendibilità storica del libro. Mentre chi attacca l’affidabilità della Bibbia come documento storico sembra ritenerlo un fattore determinante che porterebbe gli autori sacri a deformare l’evento storico per metterlo al servizio del significato religioso.

Ma non è necessariamente così. Faccio un esempio molto concreto.

Se diciamo: “Giuseppe ha trovato un lavoro”, descriviamo un evento. Ma se volessimo sottolineare l’aspetto religioso, diremmo: “Il Signore benedice Giuseppe con un lavoro”. O ancora meglio: “Il Signore mosse il cuore di un datore di lavoro e Giuseppe venne benedetto con un lavoro”.

La differenza di prospettiva non turba necessariamente l’attendibilità della narrazione.

E, infatti, sono innumerevoli gli esempi dove la Bibbia ha avuto ragione contro i sostenitori di documenti storici d’origine profana, quando questi contraddicevano o sembravano contraddire o tacevano su certe informazioni che si trovavano nelle narrazioni bibliche.

Parlando di ciò che conosco meglio, il libro del profeta Daniele dimostra una stupefacente esattezza storica in molti dettagli. Dove la storia profana discordava con questo libro biblico, i critici trovavano terreno fertile per seminare le loro critiche. Il tempo e nuove scoperte hanno dimostrato l’esattezza del resoconto sacro.

Per un riferimento più autorevole sull’attendibilità storica della Bibbia, consiglio il libro di David Rohl “Il Testamento Perduto”, disponibile in italiano.

Rincuorato dall’editto di Ciro, con grande entusiasmo, il popolo comincia il suo lavoro di ricostruzione. Ma i problemi non avrebbero tardato ad arrivare.

Esdra 4:1-3: “Quando i nemici di Giuda e di Beniamino vennero a sapere che i reduci dall’esilio costruivano un tempio al Signore, Dio d’Israele, si avvicinarono a Zorobabele e ai capi famiglia e dissero loro: “Noi vogliamo costruire con voi, perché, come voi, noi cerchiamo il vostro Dio, e gli offriamo sacrifici dal tempo di Esar-Addon, re d’Assiria, che ci ha fatti venire in questo paese“. Ma Zorobabele, Iesua, e gli altri capi famiglia d’Israele risposero loro: “Non è compito vostro costruire insieme a noi una casa al nostro Dio; noi la costruiremo da soli al SIGNORE, Dio d’Israele, come Ciro, re di Persia, ci ha ordinato”.”

In grassetto nel testo appena considerato un dettaglio che vale la pena approfondire. Il tempio si trovava in Gerusalemme.

Gerusalemme era la capitale del regno di Giuda. Esso era costituito da 2 delle dodici tribù, Giuda e Beniamino, come viene detto sopra anche nel brano appena letto.

Le altre 10 tribù, alla morte di Salomone e a seguito delle lotte dinastiche che ne erano conseguite, avevano costituito a nord il regno di Israele.

Il regno del nord venne distrutto dall’impero assiro nel 722 a.C. Gli assiri avevano una politica molto feroce nei confronti dei popoli vinti. Ne deportavano il popolo in massa e al suo posto trapiantavano la loro gente. A questo fa riferimento il testo quando dice: “…dal tempo di Esar-Addon, re d’Assiria, che ci ha fatti venire in questo paese.”

Stiamo assistendo qui all’inizio di una ostilità fra Giudei e Samaritani che troveremo ancora viva e vegeta nel Nuovo Testamento.

Probabilmente gli abitanti del nord non erano nemmeno monoteisti e avevano semplicemente aggiunto il culto di Yahweh a quello dei loro dei.

Gli abitanti di Samaria, come risposta al diniego dei giudei, decidono di ostacolare il lavoro dei loro vicini scrivendo al re persiano Artaserse, successore di Ciro.

Esdra 4:7: “Poi, al tempo di Artaserse, Bislam, Mitredat, Tabeel e gli altri loro colleghi scrissero ad Artaserse, re di Persia. La lettera era scritta in caratteri aramaici e redatta in aramaico.”

Quest’ultima interessantissima precisazione relativa ad un alfabeto congeniale alla lingua aramaica, arricchisce ulteriormente la precisione storica di Esdra.

L’aramaico era una lingua universale, ormai affermatasi da tempo. Porzioni degli stessi libri di Esdra e Neemia sono stati scritti in questa lingua.

L’aramaico aveva ormai soppiantato l’accadico nella corrispondenza ufficiale ed internazionale. E, mentre la lingua accadica era stata dipendente dalla scrittura in caratteri cuneiformi ereditata dal sumero, l’aramaico veniva scritto con un alfabeto; un alfabeto che sarebbe passato all’ebraico. E’ questo il genitore dell’alfabeto che troviamo nelle Bibbie ebraiche e che è tutt’ora in uso in Israele.

All’interno della lettera che gli abitanti di Samaria scrivono al re persiano leggiamo: Esdra 4:15, “Si facciano delle ricerche nel libro delle memorie dei tuoi padri e, nel libro delle memorie, troverai e apprenderai che questa è una città ribelle, portatrice di sventure a re e a province, e che fin dai tempi antichi ci sono state rivolte. Per queste ragioni la città è stata distrutta.”

Ovviamente ci si riferisce al comportamento ribelle dei re di Giuda che culminò nell’intervento di Nebucadnesar nel 586 a.C., il quale distrusse la città e deportò il popolo in Babilonia.

La nascita di una memoria e ricerca storica comparve in oriente relativamente presto. All’inizio era legata intimamente alla lingua e tradizione sumera, che sopravvisse, nella cultura accadica che la soppiantò, proprio grazie alla scrittura cuneiforme.

Che i re raccogliessero gli eventi storici del loro popolo in degli archivi possiamo prenderne nota, senza eccessiva meraviglia.

E più avanti in Esdra, 6:1-3, leggiamo qualcosa di simile rilevanza storica:

“Allora il re Dario ordinò che si facessero delle ricerche negli archivi (o casa dei rotoli), dove erano conservati i tesori a Babilonia. Nel castello di Ameta, situato nella provincia di Media, si trovò un rotolo, nel quale stava scritto così: Memoria. – Il primo anno del re Ciro, il re Ciro ha pubblicato questo editto, concernente la casa di Dio a Gerusalemme: La casa sia ricostruita…”

Archivi e biblioteche non sono una novità. Quelli rinvenuti ad Ebla sono circa duemila anni più antichi del periodo storico che stiamo considerando.

Sono convinto personalmente che grazie alle incisioni su tavoletta, siamo in possesso di documenti antichissimi, ma chissà quanti altri scritti erano conservati su materiali meno resistenti all’azione devastante dei secoli.

Chissà quale patrimonio di informazioni possederemmo oggi se tali documenti fossero tutti sopravvissuti. Invece, dobbiamo accontentarci delle molliche che non ha divorato il percorso inesorabile del tempo.

Esdra parla di una “provincia di Media.”

La divisione in province era naturale in un impero di tali dimensioni. Queste province erano chiamate Satrapie. Fu il re Dario (521 – 486 a.C.) citato proprio all’inizio di questo capitolo a dividere l’impero in 20 Satrapie.

La Media, però, era più che una semplice provincia.

Il libro di Daniele narra del periodo neobabilonese, del suo declino e dell’arrivo della potenza persiana. Leggiamo in Daniele 8:3-4, “Alzai gli occhi, guardai, ed ecco in piedi davanti al fiume, un montone che aveva due corna; erano alte, ma un corno era più alto dell’altro; il più alto era cresciuto dopo. Vidi il montone che cozzava a occidente, a settentrione e a mezzogiorno. Nessun animale poteva resistergli e non c’era nessuno che potesse liberare dal suo potere; esso faceva quello che voleva e diventò grande.” E più in là l’interpretazione di cosa rappresentava questo simbolismo, Daniele 8:20: “Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia.”

La simbologia del libro di Daniele è di una precisione incredibile.

Fu la coalizione fra i Medi ed il re babilonese Nabopolassar a determinare la disfatta del comune nemico assiro. Ebbero così inizio l’impero neobabilonese ad Ovest, dalla Mesopotamia alla costa siro-fenicia e quello Medo ad Est.

L’antica provincia dell’Elam era parte dell’impero dei Medi. E’ da qui che sorgerà l’impero dei persiani. Ad un certo, infatti, punto l’elemento persiano prevale su quello dei medi. Utilizzando le parole del profeta: “un montone che aveva due corna; erano alte, ma un corno era più alto dell’altro; il più alto era cresciuto dopo”.

La politica espansionistica persiana trovò il declino dell’impero babilonese a spianarle la strada verso l’occidente. L’ingresso di Ciro in babilonia fu accolto come una liberazione dal popolo stanco dell’inettitudine e disinteresse dei suoi regnanti. L’organizzazione statale persiana, molto illuminata a dire il vero, incorporò la struttura statale babilonese. Infatti, Daniele, funzionario dello stato babilonese, rimase in carica anche durante la dominazione persiana.

La cartina mostra la grandezza dell’impero persiano che incorpora l’antico impero di Media e quello babilonese. Si estende fino all’Egitto, in Asia Minore, fino alla Grecia.

Il lavoro iniziato con grande passione dai giudei tornati a casa, la ricostruzione del loro tempio, fu completato il 3 del mese di Adar, l’ultimo del calendario religioso ebraico, nel sesto anno del regno di Dario, corrispondente al nostro 515 a.C. Esdra 6:15. Erano trascorsi 25 anni dall’editto di Ciro.

La prima Pasqua fu celebrata, secondo le previsioni della Legge mosaica, il quattordicesimo giorno del mese seguente, Nisan, il primo del calendario religioso ebraico. Esdra 6:19.

Il flagello della deportazione era ormai passato. Ma il tempo della ricostruzione era appena cominciato. Dopo l’opera di ricostruzione dell’identità religiosa di Giuda, era giunto anche il momento per la ricostruzione politica.

Avrà inizio alla corte del re persiano Artaserse.

 




Baldassarre e l’attendibilità storica della Bibbia

di Giuseppe Guarino

Baldassarre, re babilonese citato più volte nel libro biblico di Daniele, è un personaggio la cui provata esistenza ha dimostrato ulteriormente l’attendibilità storica della Bibbia.

Vediamo cosa ci dice di lui Daniele.

  • In Daniele 5:1, 9; 8:1 è chiamato “re”.
  • In Daniele 5:30 è chiamato “re dei Caldei”.
  • In Daniele 7:1 è il “re di Babilonia”.
  • In base a Daniele 8:1, dove la visione è preceduta da una premessa “Nel terzo anno di regno del re Belshatsar”, sappiamo che regnò almeno 3 anni.
  • Daniele 5:2 chiama Nebukadnetsar padre di Belshatsar. Per giusta conseguenza, Daniele 5:22 definisce Belshatsar figlio di Nebukadnetsar.
  • È l’ultimo re di Babilonia. Nella notte stessa in cui avvenne il famoso banchetto, ci dice Daniele “Belshatsar, re dei Caldei, fu ucciso”, concludendo la dinastia caldea di Babilonia.

Girolamo scrive nel principio del suo commento a Daniele 5: “Bisogna chiarire che questi – Belshatsar – non era il figlio di Nebucadnesar, come i lettori di solito immaginano; ma secondo Beroso, che scrisse la storia dei Caldei, e anche secondo Giuseppe Flavio, che segue Beroso, dopo i 43 anni di regno di Nebucadnesar, suo figlio chiamato Evilmerodach gli successe al trono… Giuseppe Flavio narra che dopo la morte di Evilmerodach, suo figlio Neriglissar succedette sul trono di suo padre; dopo il quale in seguito pervenne il figlio Labosordach. Alla sua morte, suo figlio Belshazzar ottenne il regno, ed è di lui che le Scritture adesso fanno menzione. Dopo che egli venne ucciso da Dario, re dei Medi, che era zio da parte di madre di Ciro, re dei Persiani, l’impero dei Caldei fu distrutto da Ciro il persiano”.

Sebbene Girolamo sia attento a scegliere fonti autorevoli, incorre in qualche errore, come vedremo più avanti in questa discussione. La sua ricostruzione , però, è davvero molto vicina alla realtà dei fatti.

Leggiamo adesso noi stessi dai testi di Giuseppe Flavio. Nelle sue “Antichità dei Giudei”, decimo libro, scrive: “Ma ora, dopo la morte di Nebuchadnezzar, Evil-merodach, suo figlio, succedette nel regno. […] Quando Evil-Merodach morì, dopo un regno di 18 anni, Neglissar suo figlio prese il potere, e lo tenne per 40 anni, quindi morì; e dopo di lui la successione del regno pervenne a suo figlio Labosordacus, il quale rimase al potere per soli 9 mesi. E quando egli morì, esso pervenne a Baltasar, che dai Babilonesi era chiamato Nabonedo. Contro di lui fecero guerra Ciro, il re di Persia e Dario, re di Media. […] perché accadde durante il regno di Baltasar che Babilonia venne presa, quando aveva regnato 17 anni. E questa fu la fine della discendenza di Nebuchadnezzar come la storia ci informa.”

La storia, come la conosciamo oggi, ci informa della successione dei re dell’impero babilonese come segue:

  • Nabopolassar, che ridarà splendore a Babilonia e fonderà l’impero neo-babilonese
  • Nabucodonosor II, re per 43 anni
  • Awil-Marduk, ovvero Evilmerodach, suo figlio, che regnò un paio di anni
  • Nergal-usur, ovvero Neriglissar, che durò al potere 4 anni
  • Labashi-Marduk che regnerà pochi mesi
  • Nabu-na’id, ovvero Nabonedo

La confusione nei nomi è naturale nella storia antica. Anzi, devo dire che risultano abbastanza identificabili nelle varie fonti che ho citato, rispetto ad altri esempi che ci arrivano dall’antichità.

Sia Giuseppe Flavio che Girolamo sono ovviamente influenzati dalla Bibbia nel considerare Beltsasar l’ultimo re di Babilonia. Giuseppe Flavio non ritrovando nelle sue fonti un altro nominativo come ultimo re, semplicemente suppone che il Beltsasar biblico corrisponda al babilonese Nabonedo. Che egli intenda i due essere il medesimo personaggio, lo attesta che Nabonedo, ultimo re di Babilonia regnò effettivamente i 17 anni citati da Giuseppe Flavio, dal 556 al 539 a. C. Si tratta comunque di due persone diverse, come è oggi risaputo.

Una chiarificazione di questa problematica ci è stata proposta in tempi relativamente recenti. Come ho detto forse fino a mettere alla prova la pazienza del lettore, l’esattezza di Daniele nei dettagli che propone, così come la sua noncuranza affinché le sue affermazioni siano riscontrabili è tipica di chi è testimone in prima persona di certi eventi. Se il libro fosse realmente stato scritto nel II secolo a.C., l’ignoto autore, per assicurarsi una sicura accettazione del suo libro, avrebbe dovuto curarsi di attingere a tematiche così come a personaggi noti ai suoi lettori.

Nel cosiddetto Cilindro di Nabonedo, qui in alto, vengono celebrate delle opere del-l’ultimo re ba-bilonese.

È proprio grazie alla menzione fatta in esso di Beltsasar che egli ci diviene noto anche grazie a fonti extrabibliche.

Questa straordinaria scoperta archeologica, con una migliore conoscenza degli ultimi anni di regno babilonese, ha confermato la narrazione biblica.

Per motivi non del tutto chiari Nabonedo trascorse molti anni lontano dal suo regno. Sebbene egli provasse a legittimare il suo regno, il suo comportamento causò un forte scontento fra i babilonesi, tanto che i persiani vennero accolti quasi come dei liberatori, degli esecutori del volere del dio nazionale Marduk, infastidito dalla condotta dei regnanti babilonesi.

“Se i primi anni di regno furono dedicati ad un rafforzamento interno e ai restauri templari, poi Nabonedo si trasferì in effetti in Arabia per alcuni anni … lasciando il governo di Babilonia al figlio Bel-shar-usur (il Baldassarre della Bibbia)”, Storia Universale, Vol. 3, Le civiltà mesopotamiche, RCS 2004, pag. 639.

Non è la storia a confermare la Bibbia, né la Bibbia a confermare la storia. La Bibbia non è un libro di storia, bensì la Parola di Dio. Ma riuscire a vedere l’Antico Testamento anche come un’attendibile fonte storica, arricchisce il valore culturale dei libri sacri di cristiani ed ebrei. Personalmente credo che il naturale rifiuto di alcuni per le nostre Sacre Scritture, origini dalla “paura” che riconoscerne il valore dal punto di vista storico e letterario, conduca al passo seguente: doverne accettare o almeno considerare seriamente il valore come Parola di Dio. È questo che rende la Bibbia scomoda e fastidiosa?

Ma continuiamo nella nostra analisi della testimonianza storica di Daniele su Beltsasar. Abbiamo letto che Daniele lo chiama “figlio” del grande Nebucadnesar e, per giusta conseguenza, definisse quest’ultimo suo padre. Ebbene queste affermazioni si possono intendere in due modi. Si può facilmente dimostrare con la Scrittura, che i termini “padre” e “figlio” a volte si intendono in senso ampio, di certo non familiare con la nostra mentalità e lingua. Nel commento al libro ho già proposto questa ipotesi. Consideriamo un esempio soltanto: Matteo 1:1 che legge: “Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abraamo”. Noi oggi diremmo: “discendente di Davide, discendente di Abramo”. Possiamo aggiungere che non era nemmeno necessario che vi fossero dei vincoli di sangue per giustificare l’affermazione di Daniele, visto che Beltsasar era “successore” diremmo noi di Nebucatnesar nel regno di Babilonia e tanto poteva bastare per giustificare le parole del profeta.

Wilson propone un’interessante alternativa. Beltsasar “… poteva essere figlio biologico di Nebucatnesar e figliastro di Nabonedo, in quanto quest’ultimo aveva sposato la madre di Beltsasar dopo la morte di Nebucadtnetsar. Era costume dei re subentrati sposare le mogli dei propri precedessori. […] Questo spiegherebbe anche perché Beroso, secondo quanto riferito da Giuseppe Flavio, chiama Nabonedo babilonese, mentre Beltsasar è chiamato da Daniele caldeo”. Robert Dick Wilson, Studies in the book of Daniel, pag. 119.

Questa è solo un’ipotesi, ma si armonizza con il bisogno di Nabonedo di legittimare la sua presenza sul trono di Babilonia.

“Nabonedo, che deve il potere ad un colpo di mano militare, deve legittimare la sua intronizzazione superando il duplice inconveniente di essere un usurpatore, e di essere estraneo all’ambiente babilonese e in particolare di essere privo dell’appoggio del clero di Marduk. Un’iscrizione di Nabonedo riassume la sua strategia ideologica per superare queste difficoltà iniziali […] “Io – conclude Nabonedo – sono il vero legittimo erede e continuatore di Nabucodonosor e di Neriglissar…io ho continuato e concluso l’opera di restauro dei templi, degli arredi sacri e dei culti”, Le civiltà mesopotamiche, pag. 638.

Le nostre conoscenze sul periodo storico così vividamente descritto da Daniele non ci consentono di fare luce su molti dettagli, ma è già a dir poco sorprendente come, ad oggi, una migliore conoscenza della storia da fonti extrabibliche, abbia sempre confermato l’attendibilità della Sacra Scrittura come documento storico.

Anche la tragica fine di quest’ultimo re babilonese, a conferma di quanto dice la Bibbia su di lui, Daniele 5:30-31, è narrata nel cosiddetto Cilindro di Ciro, altro importante reperto archeologico, in cima a questa pagina, che narra proprio la presa di Babilonia da parte di Gobryas, capo dell’esercito di Ciro, e l’uccisione del figlio del re Nabonedo.

 




Nabucodonosor

NABUCODONOSOR di Giuseppe Guarino

Nabucodonosor fu il grande re babilonese autore della distruzione del primo tempio e della città di Gerusalemme nel 586 a.C.

Immagine tratta da bookeasy.giuntiscuola.it

Nabucodonosor II fu figlio di Nabopolassar, il primo re del periodo neo-babilonese, colui che pose fine alla dominazione assira, dando inizio all’egemonia di Babilonia nella quasi totalità dell’odierno Medio-Oriente del VI secolo a.C. E’ il famoso Nabucco di Verdi, l’autore della deportazione del popolo di Giuda, dell’esilio babilonese, evento, nella memoria storica del popolo di Israele, per importanza secondo soltanto alla schiavitù egizia ed all’esodo.

La Bibbia lo nomina in più parti e neanche con toni del tutto di condanna. E’ un re la cui grandezza non sfugge neppure ai profeti ed ai resoconti biblici delle sue gesta.

Era certamente un re pagano: la storia lo ricorda particolarmente devoto a Marduk, divinità principale del pantheon babilonese. Per arricchire il tempio del suo dio, Nebucadnesar (altro modo di scrivere il nome del re babilonese) spogliò i templi e le città dei suoi nemici. Lo stesso tempio di Gerusalemme venne da lui depredato delle sue ricchezze e queste offerte a Marduk. L’Antico Testamento  ricorda con grande amarezza questa tragedia per la vita religiosa del popolo ebraico.

Egli abbellì e portò Babilonia ad una gloria quale non era mai stata prima e che non fu mai più in seguito. La porta di Ishtar, oggi ricostruita ed ammirabile in tutta la sua maestà e bellezza, lo aveva visto sfilare al ritorno delle sue battaglie, vittorioso, carico di bottino da consegnare al suo dio ed alla sua città. Lungo la Via della Processione, sotto gli occhi ammirati del suo popolo osannante, sfilava il suo esercito con lui a capo. La processione si arrestava proprio davanti al tempio di Marduk, dove offriva in dono i tesori depredati ai suoi nemici.

La Babilonia dei suoi tempi era una città maestosa e possiamo solo immaginare il senso di onnipotenza che doveva pervadere Nebucadnesar quando con lo sguardo, dai balconi del suo palazzo, dominava tanto splendore, bellezza e potenza: ammirava i giardini pensili, che sarebbero rimasti famosi nei secoli a venire come una delle opere più belle della storia dell’avventura umana; percorreva con lo sguardo la via della processione, che tagliava la città in due, dalla porta di Ishtar fino al tempio di Marduk; i palazzi perfettamente allineati e le vie trafficate da un popolo in grande fermento culturale e commerciale.

Percorrendo il suo palazzo, grande e ricco delle più belle espressioni artistiche del suo tempo, provenienti da ogni parte del suo impero, interrompeva la sua passeggiata davanti la biblioteca di palazzo, dove innumerevoli testi raccoglievano la memoria storica del suo popolo fino dai tempi prima del diluvio. Migliaia di testi che conosceva e sui quali era stato istruito, parlavano delle glorie passate di grandi re, di Hammurabi e delle sue leggi, di Gilgamesh, di Sargon e di tanti altri, della nascita delle grandi città, Assur, Ninive, Eridu, Uruk, Accad e della loro gloria.

Camminando lento giungeva alle sue stanze, al suo letto, dove nessuno lo attorniava o lo riveriva, solo, con il suo balcone e la vista sulla sua grandiosa città, opera dei suoi avi, di suo padre e sua.

A volte la pace, per un condottiero di tante battaglie, può portare più ansie e pensieri della più ardita spedizione di guerra, ed una notte in particolare ci narra il libro del profeta Daniele (capitolo 2), il re fece un sogno angosciante, un sogno che l’avrebbe tormentato anche da sveglio.

La Sacra Scrittura narra che nessuno dei suoi fidati “magi”, savi, di corte fu capace di interpretare o ricordare i contenuti di quel sogno al re, tranne Daniele, ebreo di nobili origini deportato ed educato nella corte babilonese per volere dello stesso Nebucadnesar.

Il libro di Daniele, con i suoi coloriti simbolismi, gli riconosce una grandezza ed una regalità senza pari, rappresentandolo come il capo d’oro del famoso colosso dai piedi di argilla. Il giovane profeta disse il sogno al re e ne diede l’interpretazione: Le paure di Nabucodonosor erano fondate, il suo regno non sarebbe durato per sempre!

I sogni e le paure del re di Babilonia non erano prive di significato e il più grande regno del mondo di allora rimase solo un anno nelle mani del suo diretto discendente. Il potere passò presto in mano ad altri e rovinosamente, in capo a  pochi anni ancora, Babilonia venne a perdere la sua grandezza prima e a cadere poi, rovinosamente, nel 539 a.C., meno di 70 anni dopo l’ascesa al trono di Nebucadnesar, per mano del grande re persiano Ciro, come il giovane ebreo aveva profetizzato.

 

Il video mostra una ricostruzione 3D dell’antica Babilonia




I RE MAGI: chi erano?

I RE MAGI: chi erano? di Giuseppe Guarino

I magi li incontriamo leggendo le prime pagine del vangelo di Matteo. Queste figure sono da sempre parte dell’immaginario collettivo. Chi erano veramente?

Nel tradizionale arricchimento di dettagli proprio della tradizione cattolica, è stato aggiunto molto a quello che è il semplice resoconto biblico. Nella narrazioni tradizionali natalizie, i magi divengono i “re” magi e sono di solito considerati tre, tanti quanti sono i doni che portano al “re dei Giudei”. Nelle classiche rappresentazioni della natività sono vicini alla mangiatoia dove Gesù viene riposto subito dopo la sua nascita, mentre in realtà è verosimile leggendo il vangelo che questi giunsero soltanto qualche tempo dopo. Ad ognuno di loro la tradizione attribuisce un nome: Melchiorre, Baldassarre e Gaspare.

Per cercare la verità storica, o, almeno, per formulare una teoria plausibile su chi fossero realmente questi individui, dobbiamo, però, attenerci più strettamente al dato biblico.

Matteo li chiama “magi”. Nel greco originale del libro “μάγοι” (nel nostro alfabeto “magoi”) plurale di “μάγος” (magos). Si specifica soltanto che costoro venivano dall’oriente, ma intuiamo che costoro dovevano essere dei personaggi piuttosto importanti visto che viaggiavano con un seguito notevole, tanto che il loro ingresso nella città di Gerusalemme, sebbene questa fosse regolarmente visitata da forestieri, riuscì a provocare tanto trambusto da attirare l’attenzione dello stesso re Erode.

Ma come si spiega che costoro avessero avuto notizia della nascita di un “re dei Giudei”? E chi erano veramente?

A queste domande cercheremo di dare una risposta nelle pagine che seguono.

Matteo ha una espressione, sua caratteristica, che non rinveniamo negli altri libri del Nuovo Testamento, “il regno dei cieli”, che ricorre ben 31 volte, in vari punti: 3:2, 4:17, 4:23, 5:3, 5:10, 5:19, 10:7, ecc …

Questa non può che essere stata sviluppata da un concetto che troviamo espresso nel libro biblico del profeta Daniele, scritto, secondo la tradizione classica ebraico-cristiana, dall’omonimo eroe della cattività babilonese nel VI secolo a.C.

“Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno, che non sarà mai distrutto e che non cadrà sotto il dominio d’un altro popolo. Spezzerà e annienterà tutti quei regni, ma esso durerà per sempre”. (Daniele 2:44)

Non è, quindi, una coincidenza da sottovalutare il fatto che proprio nel libro di Daniele, e proprio al capitolo due, troviamo anche la menzione di una certa categoria di savi di corte babilonesi, definiti appunto “magi”.

“Il re fece chiamare i magi, gli incantatori, gli indovini e i Caldei perché gli spiegassero i suoi sogni. Essi vennero e si presentarono al re”. (Daniele 2:2 – Nuova Riveduta). La Nuova Diodati traduce “maghi”, ma il vocabolo originale è lo stesso.

Il libro di Matteo ci è arrivato in greco soltanto (se mai un originale ebraico di questo vangelo è mai esistito) e sebbene appaia verosimile che il suo autore abbia attinto a delle fonti scritte in lingua ebraica, non possiamo essere sicuri quale fosse la parola che corrisponde al corrispettivo vocabolo greco che egli utilizza.

In questo particolare frangente risulta molto utile consultare l’antica traduzione greca dell’Antico Testamento detta dei LXX (Settanta), nota anche col nome di Septuaginta. Che quest’ultima fosse conosciuta dall’autore di Matteo non solo è difficile da mettere in discussione, ma gliene viene fatta addirittura una colpa, in un certo senso, quando, per citare un esempio, questi riprende la lezione di quella traduzione per informare in lettore che nella nascita da una vergine si avverava la profezia messianica di Isaia 7:14 – vedi Matteo 1:23.

Leggendo la traduzione greca di Daniele 2:2, il termine tradotto “magi” o “maghi” in italiano, corrisponde, come in Matteo, alla parola greca μάγος.

Siamo andati oltre la coincidenza.

Dobbiamo chiarire che non sappiamo cosa implicasse esattamente il termine qui tradotto con l’italiano “magi”, né conosciamo i compiti, i ruoli o le competenze delle altre figure la cui presenza nella corte babilonese è segnalata nel libro di Daniele, e chiamate, a seconda della traduzione, astrologi, incantatori, indovini, caldei, ecc …

Sappiamo che costoro ricoprivano una posizione di rilievo nella corte babilonese. Erano depositari della tradizione, della scrittura e della vastissima cultura di quella antica e prestigiosa civiltà. Erano dei personaggi importanti sia dal punto di vista politico, per la loro influenza sul re e sulle sue decisioni, che intellettuale.

Il profeta Daniele era stato deportato ancora giovanissimo dalla Giudea alla corte babilonese nel 606 a.C. – Daniele 1. Qui eccelse subito per le sue straordinarie doti – Daniele 2.

Daniele ricoprì delle cariche molto importanti nell’apparato amministrativo statale babilonese prima e persiano poi. Nabucodonosor lo definisce capo dei saggi di Babilonia, Daniele 4:9.

In Matteo leggiamo: “Gesù era nato in Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode . Dei magi  d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo».”

Ma è verosimile che già in tempi così remoti si possedessero conoscenze scientifiche sufficienti per potere osservare o prevedere fenomeni astronomici? E come mai dalla comparsa di una stella, i magi dedussero che un re era nato in Giudea?

I sumeri vissero in città stato dell’antica Mesopotamia giungendo all’apice della loro civiltà fra il 3500 ed il 2000 a.C. Per quanto ne sappiamo furono loro ad inventare la scrittura, l’algebra e la geometria. Osservando il cielo, essi furono capaci di individuare i pianeti del sistema solare, eccezion fatta per Urano e Plutone, scoperti oltre cinque millenni dopo! Le loro osservazioni astronomiche li portarono, inoltre, a suddividere l’anno in 12 mesi di 30 giorni, elaborando un calendario lunare. Periodicamente, più o meno come facciamo noi oggi aggiungendo un giorno ogni quattro anni, essi aggiungevano un tredicesimo mese per far coincidere il calendario lunare con l’anno solare.

Furono sempre i sumeri che divisero il giorno in 24 ore –  in verità in due metà di 12 ore l’una. E siccome si basavano su un sistema di misura sessagesimale (come noi ci basiamo su un sistema decimale) suddivisero le ore in 60 minuti ed i minuti in 60 secondi.

Il popolo e la lingua dei sumeri andarono pian piano ad essere soppiantati a causa dell’infiltrazione nella bassa Mesopotamia di popoli d’origine semita. Sargon di Accad creò il primo impero di cui vi sia una traccia storica e dal quale discenderanno le potenze assire e babilonesi. Gli scribi del periodo accadico (2350-2200 a.C.) studiavano la lingua e i testi dei sumeri per meglio imparare a scrivere la loro. Centri di studio sorgevano nelle città di Mari ed Ebla, dove si formavano le classi intellettuali del tempo. Gli scavi archeologici condotti ad Ebla dall’università di Firenze, hanno riportato alla luce un tesoro di testi antichi.

La matematica era molto importante. Durante la III dinastia di Ur (2120-2000 a.C.) un codice di leggi affermava la sovranità dello stato, mentre la burocrazia era così fitta che persino una transazione così semplice come l’acquisto di una pecora richiedeva un contratto scritto. L’aritmetica era avanzata al punto che lo stato riusciva ad approntare le previsioni sui raccolti in base alle aree che destinava alle culture. Si riusciva così a stabilire in anticipo quali e quanti prodotti sarebbero stati disponibili negli anni a venire. L’apparato amministrativo statale riusciva a raccogliere le informazioni necessarie affinché si potessero inviare emissari in altre nazioni dove commercializzare i prodotti in eccedenza e procurarsi quelli mancanti.

magi

Sul sito del British Museum www.mesopotamia.co.uk, dal quale è tratta la foto qui sopra, sono disponibili degli importanti reperti archeologici. Qui sono pubblicate le foto ed i testi delle tavolette di Enuma Anu Enlil, che ci informano circa le conoscenze raccolte dai babilonesi durante secoli di paziente osservazione dei fenomeni astronomici. Una di queste tavolette, quella di Venere di Ammisaduqua, risale addirittura al XVII secolo a.C.

Altri documenti ci informano con certezza che nel II secolo a.C. questi astronomi orientali erano già arrivati alla convinzione che i pianeti girassero intorno al sole – Copernico arrivò alla stessa conclusione due millenni dopo! – e che le fasi lunari influenzassero le maree.

Potrei continuare, ma oggi su internet informazioni del tipo che sto elencando io sono facilmente reperibili.  Mi basta aver fatto comprendere al lettore che la scienza astronomica del tempo era sufficiente a rendere verosimile la narrazione del vangelo di Matteo.

Sebbene non sappiamo quali fossero le competenze specifiche dei “magi”, possiamo benissimo supporre che fossero, come le altre figure presenti alla corte babilonese, dediti alla conoscenza ed allo studio, uomini di scienza e di cultura, e che il loro titolo presupponesse un rango ed uno status sociale di un certo rilievo. E non vi sono elementi per dubitare che, come dice l’evangelista, questi fossero degli osservatori degli astri.

Se supponiamo che i magi della narrazione di Matteo sono i discendenti dei magi presenti alla corte babilonese, allora è molto probabile che le loro credenze sull’apparizione di un futuro re dei Giudei potessero essere dovute all’influenza della persona di Daniele, che proprio fra quei sapienti aveva goduto di particolare credito. Considerato poi che gli “astronomi” orientali avevano sufficienti conoscenze per prevedere con un certo anticipo eventi quali il passaggio di una cometa o altri fenomeni, come le eclissi, ad esempio, possiamo ipotizzare che, sapendo delle profezie messianiche di Daniele, spinti dalla loro cultura, avrebbero cercato di collegare la nascita del re Messia giudaico ad un fenomeno celeste straordinario.

Sarebbe sorprendente, anzi addirittura inspiegabile, che dei saggi orientali avessero percorso tanti chilometri nella certezza che un re fosse nato in una modesta nazione sul Mediterraneo, che lo cercassero addirittura per portargli dei doni tanto preziosi, e, infine, che fossero così sicuri della sua identità da riconoscerlo persino nel figlio di un falegname che dimorava in una modesta cittadina quale era Betlemme, se l’attesa di questo re Messia non fosse stata una credenza radicata nella loro cultura.

Quello di Matteo è un fatto storico che, a mio avviso, non si può spiegare in nessun altro modo soddisfacente – allo stato delle nostre conoscenze bibliche ma anche storiche – se non ricollegandolo proprio alla permanenza ed all’influenza di Daniele in Babilonia.

Un ultimo dettaglio: anche i magi, come era accaduto al profeta Daniele, ricevettero una rivelazione divina in sogno, Matteo 2:12.

Troppe coincidenze. È perciò almeno verosimile che la presenza dei magi nel Nuovo Testamento sia un’ulteriore possibile prova della realtà storica della persona di Daniele, come la Bibbia ce lo descrive, e dell’attendibilità delle sue profezie. Si deve inoltre notare l’attendibilità della Sacra Scrittura anche come documento storico, capace di tramandare fedelmente per oltre due millenni, delle informazioni che la storia ha riportato alla luce solo in epoca relativamente recente, grazie alle scoperte archeologiche del XIX e XX secolo.

P.S.

Nella mia discussione so di essermi mosso, in alcuni punti, all’interno di un campo che non è prettamente mio. Per questo ho pensato di chiedere l’opinione di un esperto in materia.      Ho perciò consultato un astronomo professionista, mio amico, attualmente impegnato in campo universitario ed osservazioni astronomiche a tempo pieno. La sua risposta è stata davvero incoraggiante e la sua mail si concludeva così: “La cosa più ragionevole è che questi magi siano stati degli “scienziati” dell’epoca (facevano scienza con le conoscenze e tecnologie che avevano ma, per esempio, alcuni astronomi dei millenni scorsi erano in grado di calcolare le date delle eclissi) e che abbiano collegato un evento astronomico insolito ad una profezia.

Se la profezia era di origine ebraica, e così sembra, e questi magi venivano da un paese diverso, è lecito chiedersi come mai abbiano cercato un Messia o un re in Giudea.

L’interpretazione che tu prospetti, cioè che l’influenza di Daniele presso i babilonesi abbia lasciato questa traccia, è molto interessante e verosimile”.

 

I miei due libri su Daniele. Un commentario verso per verso con un’ampia introduzione storico-linguistica e un testo biblico annotato seguito da una serie di articoli sulle profezie di Daniele e la sua attendibilità storico-letteraria. Clicca sulle copertine per saperne di più o comprare il libro su Amazon


La corrispondenza di Amarna

LA CORRISPONDENZA DI AMARNA di Giuseppe Guarino

E’ paradossale che Akhenaton sia passato alla storia come il Faraone eretico per via del suo monoteismo che rompeva con i tradizionali culti egiziani. Ma si sa, ogni rivoluzione culturale drastica, che rompa col passato è di per se eretica. E ogni tentativo di sovvertire l’ordine costituito, persino per la più nobile delle cause o il più alto degli ideali, è malvisto. Specie se va ad urtare gli interessi di chi anche grazie al sentimento religioso occupa posizioni di rilievo e potere. La lotta del faraone per la sua religione divenne più importante e significativa per i suoi risvolti politici e per il danno che arrecava al clero.

Akhenaton ovvero Amenhotep IV, figlio di Amenhotep III, regnò, secondo la datazione tradizionale, tra il 1350 ed il 1334 a.C. Il suo nuovo nome ossequiava il suo dio Aton, il disco solare, oggetto del suo culto monoteistico, così come la sua più grande opera, la città che egli volle e fece costruire, Akhetaton. Nel luogo dove questa sorgeva, chiamato oggi El Amarna, circa 3000 anni dopo la sua gloria, nell’anno 1887, venne rinvenuto l’archivio della corrispondenza di Amenhotep III e di suo figlio.

Ci troviamo davanti ad una preziosa testimonianza dei tempi di questi re egiziani, ma anche dei loro regni vassalli e vicini. Infatti nelle lettere di Amarna, rinveniamo la corrispondenza fra i re Assiri, Babilonesi, cananei. 400 tavolette circa, oggi sparse per il mondo, divise fra Berlino, Londra ed Oxford. Eppure con l’orgoglio di potere dire che nelle mie ricerche in rete, le traduzioni di questi testi in inglese, cosa singolare, avviene dall’italiano e non viceversa. Le lettere di Amarna in italiano sono edite da Mario Liverani, Paideia, 1998, in 2 volumi dal titolo appunto di “Le lettere di el-amarna.”

La lingua utilizzata in questa corrispondenza è l’accadico, un dialetto babilonese, in uso come lingua diplomatica del tempo, come oggi lo sono l’inglese o il francese. La scrittura, come si vede dalla riproduzione fotografica qui sotto di una delle tavolette, EA161, è in caratteri cuneiformi.

Per curiosità ed anche per introdurre la nostra discussione leggiamo qualche brano di queste lettere.

Il re della dinastia cassita di Babilonia, Kadashman Enlil I scrive al faraone Amenhotep III: “Kadashman Enlil di Babilonia ad Amenhotep d’Egitto…Come è possibile che avendoti scritto per domandarti la mano di tua figlia, fratello mio, tu mi abbia scritto utilizzando un tale linguaggio, dicendo che non me l’avresti concessa visto che dai tempi più remoti nessuna figlia del re d’Egitto è stata mai data in sposa?” – EA3.

Il re babilonese chiama il faraone suo fratello ed appare piuttosto contrariato dal diniego e dalla spiegazione data. Il fatto è che i re egizi, consci del proprio potere e tradizione erano riluttanti a riconoscere altri sovrani al proprio livello. Ed era comprensibile se teniamo conto che erano a capo di un regno che esisteva da oltre 1500 anni. Un primato che nessun altro re poteva vantare. Anzi, che forse nessun’altro può vantare in assoluto!

Nonostante ciò, il re assiro Ashur-Uballit, non si sente molto a disagio a chiamarlo: “grande re, re d’Egitto, mio fratello”. EA16.  Del resto la potenza assira era destinata a prendere presto il posto di maggior rilievo in medio oriente, almeno fino a quando la rinascita neo-babilonese non l’avrebbe tolta di mezzo.

Purtroppo il periodo di regno in cui visse Akhenaton non fu particolarmente tranquillo proprio nella regione siro-palestinese e la debolezza di questo sovrano, forse troppo preoccupato a servire il suo dio sole, non servì alla causa dell’Egitto. Egli infatti gestì almeno maldestramente i conflitti della regione.

Ma qui l’esame della corrispondenza diventa controverso.

Infatti, se da una parte accettiamo la datazione tradizionale del regno di Akhenaton, leggeremo la corrispondenza con certi presupposti. Le lettere spavalde a volte, politicamente ossequianti altre volte di Labaya o Labayu, altro non sarebbero che la corrispondenza di un re non meglio idenficato, del quale non si riesce nemmeno ad evincere bene di cosa o chi fosse re. Egli scrisse a Faraone utilizzando un linguaggio molto formale e riverente, che vale la pena riportare: “Al re, mio signore e mio dio e sole, così parla Labayu, il tuo servo, la polvere sotto i tuoi piedi. Ai piedi del re, mio signore e mio dio e sole, sette volte sette mi prostro” – EA 253. Eppure quanti guai gli creò e quanta polvere gli sollevò da sotto i piedi fino a sotto il naso questo re per il quale altri re vassalli ebbero a scrivere al Faraone, lamentandosi, chiedendo il suo intervento e giudizio.

E questo Labaya crea problemi fino ai giorni nostri. Infatti, se la traduzione del suo nome è “leone di Yahweh” crea più guai da morto che da vivo, almeno alle datazioni storiche tradizionali, dell’antico egitto e dell’antico regno di Israele.

Yahweh è la pronuncia più probabile del tetragramma YHWH che troviamo nell’Antico Testamento. E’ il nome rivelato a Mosè da Dio stesso. Ma, secondo la datazione tradizionale, questo sarebbe successo durante il regno del Faraone Ramesse II. Questi, sempre nella datazione tradizionale, regnò fra il 1279 ed il 1212 a.C.: circa 100 anni dopo la corrispondenza di Amarna! Com’era possibile che Yahweh fosse conosciuto ed adorato in Palestina già quasi 150 prima che il popolo di Israele vi si insediasse?

Confesso di essere un po’ partigiano delle conclusioni della New Chronology, cioè Nuova Cronologia, di David Rohl, visto che a quesiti di questo genere egli trova delle risposte che considero, da studioso del testo biblico, almeno interessanti, certamente degne di nota e punto d’inizio per un approfondimento ed una nuova prospettiva per teorie date forse per conclusive e che, invece, forse varrebbe la pena rimettere in discussione.

Come il faraone Akhenaton, Rohl è oggi l’eretico della situazione: con le sue teorie sconvolge il sistema storico di datazione tradizionale. Eppure è solo una questione di tempo, perché al monoteismo si converta mezzo mondo ed Akhenaton da folle visionario, finisca per diventare eroe e precursore della fede nel Dio unico dei discendenti di Abramo. E forse anche per Rohl, il tempo soltanto dirà se è un folle visionario o se ha realmente intuito e osservato quanto ad altri è sfuggito, per trascuratezza o per comodità – visto che è più facile uniformarsi piuttosto che proporre dottrine e teorie contro corrente.

Diciamo subito comunque che la revisione della datazione operata da Rohl non è radicale. Sostanzialmente sposta di circa 250-300 in avanti la datazione tradizionale. Per la New Chronology, per portare un esempio concreto, Ramesse II avrebbe regnato fra il 943 ed l’877 a.C. , contro il 1279-1212 a.C. della datazione tradizionale.

E’ suggestiva la maniera in cui Rohl demolisce uno dei capisaldi della datazione tradizionale quando dimostra infondata l’identificazione del faraone biblico Sisac o Scishak, l’unico chiamato per nome nella Bibbia, con lo storico Sheshonq. Legge così il testo biblico di I Re 14:25-26: “L’anno quinto del regno di Roboamo, Scishak, re d’Egitto, salì contro Gerusalemme, e portò via i tesori della casa dell’Eterno e i tesori della casa del re; portò via ogni cosa; prese pure tutti gli scudi d’oro che Salomone avea fatti.”

Egli, con valide argomentazioni, sostiene che lo Scishak biblico altri non era che proprio Ramesse II.  Adduce conclusioni linguistiche e prove archeologiche a supporto. E, ad avviso di chi scrive, prove molto convincenti e sensate. Certo fanno un po’ paura e sono scomode a chi per anni ha insegnato e scritto il contrario: è comprensibile.

Inutile per me fare da pappagallo e riportare fatti che non ho né competenza di linguista o di archeologo sufficienti per fare mie e proporre con convinzione a chi legge. Quindi rimando il lettore serio ed interessato al libro di David Rohl – disponibile in italiano! – Il Testamento Perduto, Newton & Compton Editori.

Ribaltando il comune giudizio degli storici sull’attendibilità della narrazione biblica dell’esodo, la New Chronology pone lo stesso nell’anno 1447 a.C., durante il regno del faraone Dudimose. Eh, si, capisco, guardare il Principe d’Egitto non sarà più la stessa cosa nemmeno per me e mi sento in imbarazzo a dovere spiegare la cosa a mio figlio!

Conseguentemente, la nuova datazione per il regno di Akhenaton diventa fra il 1023 ed 1007 a.C.

Continuiamo questo domino storico…

Se la datazione biblica dell’esodo è attendibile e la narrazione seguente lo è altrettanto, Akhenaton sarebbe così contemporaneo di Saul, il primo re della monarchia di Israele.

Torniamo all’inizio dei nostri dubbi. E se il Labaya, il leone di Yahweh, altri non fosse che il biblico Saul ?

Ma è possibile? Perché il Saul biblico dovrebbe diventare Labaya nella corrispondenza di Amarna?

Saul in realtà è un nome con un significato ben preciso: “richiesto”. E non è difficile ipotizzare, come il biblico Pietro o Cefa era in realtà l’uomo di nome Simone, o Paolo in realtà si chiamasse Saulo, Marco Giovanni, Matteo era in realtà Levi, lo stesso Giacobbe viene ricordato come Israele,  che il nome biblico di Saul, passato alla storia con questo nome come il re “richiesto” dal popolo di Israele, si riferisse all’altrimenti noto come Labaya.

A sostegno di questa identificazione, Rohl sostiene la perfetta concordanza fra gli eventi riportati nella corrispondenza di Amarna che riguardano Labaya e quelli del Saul biblico di I Samuele.

Del resto, nel testo delle tavolette vengono anche riconosciuti alcuni degli altri protagonisti dei primi passi della monarchia israelita: Davide, Iesse, suo padre, Mutbaal, figlio di Saul, Ioab, generale di Davide.

Identificazione ovviamente da una parte presa in considerazione con entusiasmo, come lo scrivente, anche da chi ha insufficiente possibilità di giudicare la veridicità di certe affermazioni, ma prende molto sul serio le teorie che confermano l’attendibilità storica della Sacra Scrittura.

Dall’altra parte, le stesse innovative, eppure tanto conservative, conclusioni,  sono altrettanto ovviamente contestate da chi ha paura di rivedere i testi di storia “ortodossi” scritti fino ad oggi ed è pronto a difendere se stesso e le proprie credenziali, basate su studi e datazioni tradizionali.

Forse il nostro nuovo eretico, David Rohl, finirà un giorno per affiancare il faraone eretico e diventare solo un affascinante precursore di credenze ormai affermate, e le sue teorie, come il monoteismo di Akhenaton, parte della nuova ortodossia.

Questo il libro di David Rohl in lingua italiana, reperibile in libreria o online.

La sinossi che segue inquadra gli eventi biblici perfettamente con le datazioni proposte da David Rohl, la sua New Chronology.

 




VANGELO DI GIOVANNI 1:1-14. TRADUZIONE E NOTE.

VANGELO DI GIOVANNI 1:1-14. TRADUZIONE E NOTE di Giuseppe Guarino

Cominciamo la traduzione di questo vangelo con un inno cristologico che per millenni ha suscitato grandi entusiasmi e grandi polemiche. La Chiesa ha da sempre compreso la Divinità di Cristo, ed essa è chiaramente visibile qui, insieme al meraviglioso ruolo di Creatore, Signore, Salvatore, perfetto rivelatore del Padre e della Sua volontà. Le varie eresie sono deviazioni temporanee e limitate di una fedele lettura che ha caratterizzato studenti della Parola e lettori, teologi e semplici credenti.

DIO SI RIVELA TRAMITE LA SUA PAROLA

Capitolo 1

1In principio era il Logos,[1]

il Logos era presso Dio

ed il Logos era Dio. 2

Egli era in principio presso Dio:3

tutto è venuto all’esistenza per mezzo di lui,

e senza di lui nulla esisterebbe di ciò che invece è.[2]

4In lui era la vita

e la vita era la luce degli uomini.

5La luce splende nelle tenebre,

ma le tenebre non l’hanno ricevuta.

TESTIMONIANZA DI GIOVANNI BATTISTA

6Venne un uomo mandato da Dio, il suo nome era Giovanni. 7Egli venne come testimone, affinché testimoniasse della luce, perché tutti credessero per mezzo di lui.

8Egli non era la luce, ma testimone della luce.

DIO SI RIVELA AL MONDO, A OGNI UOMO

9La luce vera, quella che illumina ogni uomo venuto al mondo, era.

10Egli era nel mondo,

il mondo è stato fatto per mezzo di lui,

MA IL MONDO NON LO HA CONOSCIUTO

e il mondo non lo ha conosciuto.

DIO SI E’ RIVELATO AL SUO POPOLO

11È andato alla sua gente,

IL SUO POPOLO NON LO HA RICEVUTO

ma i suoi non l’hanno ricevuto.

DIO ESTENDE IL SUO INVITO AD OGNI UOMO

12A quanti, però, l’hanno ricevuto,[3] Egli ha dato loro l’autorità di diventare figli di Dio: a quelli cioè che credono nel suo nome, 13i quali non da sangue, né per volontà di carne, né per volontà d’uomo, ma sono nati da Dio.

DIO SI MANIFESTA VISIBILMENTE IN GESU’

14E il Logos si è fatto carne[4] ed ha dimorato fra noi. E noi[5] abbiamo visto la sua gloria, gloria come dell’Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

__________________________

NOTE

[1] Essendo questa una versione annotata e di studio, mi permetto di ritenere il vocabolo Logos in originale. Esso ha un significato più ampio dei termini di solito utilizzati per tradurlo, cioè Parola o Verbo, quest’ultimo termine essendo palesemente dipendente dalla versione latina di Giovanni. Logos è sia Ragione che Parola, così come il Figlio di Dio è sia Parola di Dio sia Dio stesso col Padre. Le polemiche antitrinitarie finiscono quando Giovanni 1.1 è ben compreso. Il Logos è Dio, ma è distinto dal Padre.

[2] Troviamo qui uno stupendo esempio del parallelismo ebraico, dove, come spesso accade per alcuni detti di Gesù, l’affermazione di un fatto viene seguita dalla negazione del fatto contrario.

[3] Dal verso 10 assistiamo ad un meraviglioso crescendo. L’uomo ha i mezzi per riconoscere l’esistenza di Dio, ma non lo riconosce. Dio si è poi manifestato ai suoi, al suo popolo, Israele; ma anche questi non lo hanno riconosciuto. E quindi adesso l’invito è universale, riguarda ogni uomo, v.12, tutti coloro che vogliono ricevere il Figlio di Dio, credendo in Lui, loro, generati nello spirito da Dio, diventano figli di Dio, entrano il quel rapporto speciale di Figliolanza con Dio per mezzo dell’adozione in Gesù Cristo.

[4] La forza dell’affermazione di Giovanni è necessaria contro coloro che negano la reale incarnazione, umanità, del Figlio di Dio. Nelle sue epistole e anche in altri punti del suo Vangelo questa importante verità è ribadita.

[5] Qui si fa avanti l’apostolo Giovanni, testimone oculare della persona e maestà di Gesù Cristo! Egli non era un profeta, un semplice uomo, bensì l’Unigenito Figlio di Dio.

Giovanni capitoli da 1 a 4: schema

Giovanni capitoli da 1 a 4: schema e discussione di Giuseppe Guarino

Questo semplice schema potrebbe risultare molto utile anche durante una semplice lettura del quarto vangelo. Ci mostra infatti come proprio in questi quattro capitoli si chiarisca l’universalità del messaggio cristiano, saltando il preambolo della predicazione del vangelo del regno ai giudei, caratteristico dei sinottici.

Giovanni capitoli 1 – 4
 Il vangelo: messaggio universale 

 

Capitolo 1      

1-5. Dio crea e si rivela tramite la sua Parola

6-8. Testimonianza di Giovanni Battista

9-10. Dio si rivela ad ogni uomo

11. al suo popolo (Israele)

12-13. a chiunque lo voglia accettare

14-18. Dio si è rivelato in Gesù, Parola di Dio fatta uomo

19-34. Testimonianza di Giovanni Battista

35-51. I discepoli di Gesù

Capitolo 2      

1-11. Le nozze di Cana

12. Gesù si ritira a Cafarnao

13-22. Gesù purifica il tempio di Gerusalemme

23-25. molti credono in lui

Capitolo 3      

1-21. Gesù discute con Nicodemo sul regno di Dio ed afferma l’universalità della sua missione

22-36. Terza menzione della testimonianza del Battista

Capitolo 4      

1-42. Gesù è riconosciuto come Messia dai Samaritani

43-45. Gesù è creduto in Galilea

46-54. Il figlio dell’ufficiale regio viene guarito

 

Breve commento

La purificazione del tempio giudaico sembra l’evento che inaugura il ministero pubblico di Gesù nel quarto vangelo.

Perché?

Nel quarto vangelo inoltre Gesù non predica il Vangelo del Regno, come nei sinottici. Il graduale transitare dalla realtà ebraica della fede nel Dio unico di Abramo e della sua discendenza alla sua universalità è subito introdotto in Giovanni, è già un fatto. Come vedremo dal quinto capitolo in avanti, lo scontro con il clero giudaico è immediato ed è basato su cavilli della Legge mosaica come veniva interpretata da farisei e dai “giudei”.

Il verso chiave è 1:11: “Egli venne in casa sua, ma i suoi non l’hanno ricevuto. Ma a quanti lo hanno ricevuto, egli ha dato l’autorità di essere figli di Dio”.

All’universalità del messaggio viene anche posta enfasi sull’universalità della missione del Messia, Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo!

In Giovanni Gesù e i suoi non vanno in giro a predicare il vangelo del regno di Dio, chiamando il popolo a ravvedimento.

Il primo miracolo  – segno – avviene in un matrimonio. Il vino è finito, a descrivere che in Israele ormai manca l’autenticità del rapporto con Dio e toccherà al Figlio di Dio supplire a questa mancanza, tramutando l’acqua in vino. Già altrove, nei sinottici, Gesù parlò di vino nuovo in otri nuove, per descrivere come la sua Parola sarebbe stata ricevuta da altri che non fossero i credenti “tradizionali”.

Il logico prosieguo è la purificazione del tempio di Gerusalemme, Gesù indignato che entra nella casa del suo Padre e mostra il suo sdegno che prorompe in vera e propria violenza. Subito la sua testimonianza ai giudei: distruggete questo tempio, ed io lo riedificherò in tre giorni. Stavano per cambiare tante cose, nella realtà vera e spirituale dell’era del Messia, Dio si era manifestato fisicamente in Cristo. La profondità dell’affermazione di Gesù verrà compresa soltanto dopo, anche dai suoi stessi discepoli – ma Giovanni lo spiega subito al suo lettore: il rifiuto di accettare il Messia risulterà nella sua uccisione, ma Dio lo resusciterà e trasformerà la sconfitta in una vittoria definitiva. Si avvera così Genesi 3:15 e Gesù vincerà definitivamente sulla morte, portando la vita eterna ad ogni uomo che alzerà lo sguardo verso di lui, come per il serpente di Mosè, figura profetica del Messia che sarebbe venuto un giorno (Giovanni 3:14-15).

La purificazione del tempio nei sinottici avviene alla fine del ministero di Gesù, dopo che egli ed i suoi discepoli hanno predicato il vangelo del regno ed invitato il popolo a ravvedersi. Questo periodo di transizione non è visto qui. Da subito l’esclusivismo giudaico è accantonato a favore all’universalismo ed inclusivismo del messaggio cristiano.

La cronologia che per noi è tanto fondamentale, passa in secondo piano quando l’intento teologico è il centro di tutto.

Segue il discorso con Nicodemo, che avviene di notte. Un capo giudaico ha paura di interrogare Gesù apertamente e si trova spiazzato quando il Signore gli espone Verità così profonde. Attenzione: nulla di nuovo! Si tratta soltanto di promesse messianiche, viste dai profeti, che adesso stanno per divenire realtà.

A Nicodemo ed al lettore del vangelo, viene presentata la meravigliosa universalità del messaggio cristiano: “chiunque … crede”.

Gesù si sposta dalla Giudea (capitolo 3) verso la Galilea. Passa per la Samaria, e i samaritani si convertono. Arriva in Galilea, ed anche qui credono in lui. Il messaggio del vangelo raggiunge i popoli, più aperti dei giudei alla Verità.

Addirittura Gesù trova una grande fede in un ufficiale regio, del quale guarisce il figlio a distanza. Questa porzione del vangelo non si chiude a caso con questo dettaglio, simbolico della fede che avrebbe guarito i molti lontani da Israele, che non avevano visto personalmente Gesù.

“Beati coloro che non vedendo crederanno” (Giovanni 20:29b) dirà Gesù a Tommaso!

 

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Giudei e Gentili

GIUDEI E GENTILI di Giuseppe Guarino

Il Nuovo Testamento distingue fra Giudei e Gentili, ma con l’unico scopo di far sì che gli uni e gli altri si sentano parte della Chiesa. Non più due popoli, ma uno solo. Promuove cioè il fatto che i Giudei riescano ad accettare i Gentili come parte del popolo di Dio e che quest’ultimi non si sentano in un qualche senso inferiori ai credenti di origine Giudaica.