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Giovanni 3:16

Giovanni 3:16

La potenzialità del greco originale della frase, letta anche alla luce del forte pragmatismo ebraico.

di Giuseppe Guarino

Le sfaccettature intraducibili di una lingua sono fra le motivazioni principali che ti spingono a studiarla e che rendono, in un certo senso, divertente farlo.

In inglese amo l’uso dello slang. In una conversazione informale piuttosto che dire “it is all right for me”, preferisco senz’altro “I am cool with that”.

Il greco biblico è un fenomeno diverso. Ovviamente. Per certi aspetti più complesso, dal punto di vista squisitamente linguistico. Ma ciò lo rende solo più affascinante. Più dell’ebraico biblico che è standardizzato dai millenni che l’hanno fissato nella forma che troviamo nel Tanakh – così chiamano gli ebrei l’Antico Testamento.

Il greco biblico è spesso chiamato koinè. Si tratta, però, della versione di quest’ultimo in uso nel 250 a.C. ad Alessandria d’Egitto, quando vennero per la prima volta tradotti i cinque libri di Mosè.

Questo greco venne ripreso, ampliato e adattato al testo biblico dai traduttori degli altri libri dell’Antico Testamento e divenne persino la lingua di alcuni testi ebraici – come ad esempio il libro dei Maccabei.

In questo contesto sarebbe fuori luogo descrivere “cosa” è accaduto in pratica, ricorrendo a vari esempi. Ci basterà stabilire il perché e tutto sarà ovvio.

Gli autori del Nuovo Testamento sono tutti di prima lingua ebraica. Scrivono si storie ed eventi occorsi in un contesto ebraico. Riportano discorsi e dialoghi che hanno avuto luogo in lingua ebraica (o aramaica).

Il loro greco non può essere puro, non può non risentirne.

È un male?

No!

È un bene!

La ricchezza del greco biblico, nel quale è stato scritto il Nuovo Testamento, raccoglie la profonda solennità dell’ebraico per renderla universale: apre letteralmente la porta della salvezza ai non Giudei!

Giovanni 3:16 è la più universale delle affermazioni che troviamo nella Bibbia.

La riporto: “Perché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna”.

Non ho imparato il greco se non proprio per il piacere di leggere il Nuovo Testamento in originale. Utilizzando lo stesso metodo che avevo fatto mio anni prima con l’inglese, ho lavorato ai vocaboli e alle frasi fino a quando sono stato capace di leggere e capire senza dover necessariamente ricorrere ad alcuna traduzione dei termini che incontravo. Insomma, leggevo il greco in greco – come dico io spesso.

Leggendo Giovanni 3:16 mi sono accorto di comprenderlo in maniera leggermente diversa da come viene comunemente tradotto in italiano. Non proprio in maniera “diversa” però; forse potrei dire: più ricca e completa. Ciò spesso accade quando una lingua offre delle sfumature che non sono traducibili, dei significati più ampi di un vocabolo, che l’autore usa per poter dire più cose con una sola frase; dicendone una, in questo modo, non ne esclude l’altra.

Visto che ritengo che la conoscenza del greco sia un dono di Dio – perché non so nemmeno io come sono riuscito in questa piccola impresa, se non per la sua grazia. E visto che per me scrivere è la maniera più congeniale per esprimermi, ho deciso di mettere per iscritto e comunicare la meravigliosa profondità di significato di questo brano della Scrittura.

Non vi spaventate adesso se riporto il testo greco di Giovanni 3:16. Lo translittererò nel nostro alfabeto per poter permettere al lettore di leggerlo agevolmente – se non conosce il greco o l’ha studiato a scuola. Tradurrò inoltre parola per parola.

 

οὕτω γὰρ ἡγάπησεν ὁ Θεὸς τὸν κόσμον
uto gar egapesen o teos ton cosmon
così perché ha amato Dio il mondo
ὥστε τὸν υἱὸν αὐτοῦ τὸν μονογενῆ ἔδωκεν
oste ton uion autu  ton monoghene Edochen
che il Figlio suo l’Unigenito ha dato
ἵνα πᾶς ὁ πιστεύων εἰς αὐτὸν μὴ ἀπόληται
ina pas o pisteuon eis auton me apoletai
affinché chiunque crede in lui non perisca
ἀλλ᾿ ἔχῃ ζωὴν αἰώνιον
all’ eche zoen aionion
ma abbia vita eterna

 

Secondo me se non si apprezza la Bibbia è perché non la si conosce davvero.

A dire il vero, vi è un altro motivo che ho riscontrato che spinge la gente a volerla mettere da parte: non essere disposti ad accettare la sua autorità spirituale.

Dando per scontato che le Scritture non sono opera di uomini letterati o filosofi. Considerata inoltre la semplicità che caratterizza il linguaggio, la profondità di significato dei contenuti è davvero ancora più significativa.

Su Giovanni 3:16, come su molti altri versi della Bibbia, si potrebbe scrivere un libro intero!

Se dovessi tradurre questo brano in maniera letterale, lo tradurrei come lo rinveniamo praticamente in tutte le sue versioni. Ma se devo trasmettere l’interezza della percezione che ne ho quando lo leggo in greco, proporrei anche le seguenti alternative.

Perché è così che Dio ha mostrato al mondo di amarlo: ha dato suo Figlio, l’Unigenito, affinché tutti coloro che credono in lui non periscano ma abbiano vita eterna.

ovvero

Perché è in questo modo che Dio ha amato il mondo: ha dato il suo Unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca ma abbia la vita eterna.

Voi chiederete: ma che cambia con la versione “tradizionale” del verso?

Nella Bibbia l’amore è un’azione. Lo è già dalla Genesi, dai Dieci Comandamenti, da quell’ “ama il prossimo tuo come te stesso” che troviamo nella Legge di Mosè espresso in una lingua che ne tramanda tutto il potenziale dinamismo e la forza che incide su chi ama e chi è amato, fino al punto che i due sono come fossero uno: io vedo me stesso nell’altro, non un altro, e mi comporto di conseguenza!

Imbevuti come siamo oggi di un sentimentalismo, che ereditiamo probabilmente proprio dai greci, corriamo il rischio di non percepire tutta la praticità e l’azione che richiede la Parola di dio quando ci parla di Amore o ci invita ad amare.

Mariti, amate le vostre mogli (Efesini 5:25) è un comandamento.

Ma non si dice forse: “nun se comanda o core”? Ovvero, “al cuor non si comanda”? E, allora, com’è possibile comandare l’amore e come può un uomo “costringersi” ad amare.

Il fatto è che la Scrittura qui non dice: “bruciate di passione per le vostre mogli”, come è tentato di capire chi si approccia all’amore come mero sentimento. Fu per questo che tempo fa una persona ebbe a chiedere perplessa: “Come si può imporre l’amore”?

L’amore inteso come squilibrio chimico, non lo puoi indurre. Ma quello non è amore vero. Ed è per questo che finisce: è infatti solo la sensazione di benessere che ricaviamo dalla presenza o la mancanza che sentiamo per l’assenza di una persona. Si tratta di amore “sensuale” e dipende dal piacere personale che ne ricaviamo.

La Scrittura parla di un altro tipo di amore. Un amore che è azione e che è dare.

Infatti Efesini 5:25 continua così,

Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la chiesa e ha dato sé stesso per lei.

Quando Gesù dice,

Ama il prossimo tuo come te stesso

non si riferisce alla tenerezza astratta indotta dalle immagini che scorrono in tv o su facebook. Ma alla quotidianità! Gesù ci invita a trattare gli altri come noi vorremmo essere trattati dagli altri. Altrove infatti Gesù spiegò il concetto con altre parole,

Tutte le cose dunque che voi volete che gli uomini vi facciano, fatele anche voi a loro (Matteo 7:12)

Quindi l’amore non è un sentimento, o forse dovrei dire, non è un sentimento soltanto, ma è fare, fare bene, trattare il prossimo come fossimo noi stessi, trattarlo come vorremmo che ci trattasse.

Guardate la forza delle parole di Giovanni, altrove, nella sua prima epistola

“Da questo abbiamo conosciuto l’amore: egli ha dato la sua vita per noi; anche noi dobbiamo dare la nostra vita per i fratelli.  Ma se qualcuno possiede dei beni di questo mondo e vede suo fratello nel bisogno e non ha pietà di lui, come potrebbe l’amore di Dio essere in lui? Figlioli, non amiamo a parole né con la lingua, ma con i fatti e in verità”. (1 Giovanni 3:16-18)

L’Amore vero, l’Amore che viene da Dio e che Dio ci insegna, non è un’emozione da contemplare e di cui gioire finché dura, è azione, energia, agire.

Torniamo quindi a Giovanni 3:16. Leggendo questo brano in lingua originale – più che nella traduzione – percepisco tutta l’enfasi del testo sul “come”, sul “modo in cui” Dio ci ama.

Ciò è importante. Forse addirittura fondamentale. Perché, tutti sono d’accordo che Dio sia amore e che ci ama. Ma sempre meno persone comprendono che ci ha amato dando Suo Figlio Gesù Cristo, per la nostra salvezza.

Scrive infatti lo stesso Giovanni altrove.

In questo si è manifestato per noi l’amore di Dio: che Dio ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, affinché, per mezzo di lui, vivessimo. (1 Giovanni 4:9)

L’umanità di oggi è come quel figlio capriccioso o indolente al quale i genitori hanno dato e danno tutto, ma che trova sempre il modo per lamentarsi,

– perché non ha la moglie che desidera

– perché non ha marito

– perché non si guadagna abbastanza al lavoro

– perché la nostra erba è sempre meno verde di quella del nostro vicino

In realtà in questa vita ci sarà sempre qualcosa che non avremo e un motivo per il quale lamentarci.

Ma se non saremo grati a Dio per il meraviglioso dono di Suo Figlio, come speriamo di potere apprezzare tutti gli altri suoi doni o persino di riconoscerli come tali – il lavoro, la salute, la fede, ecc.

Giovanni 3:16 non ci dice soltanto “quanto” Dio ci ama, bensì come in concreto ci ha amato. Ci invita, inoltre, qualora non lo avessimo ancora fatto, ad accettare questo amore, credendo. Come ci mette anche in guardia dalle conseguenze per chi tale amore lo disprezza:

Infatti Dio non ha mandato suo Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è giudicato; chi non crede è già giudicato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio.  (Giovanni 3:17-18)

 

 




Capire l’Apocalisse – Parte 3

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

PARTE 3

Le Settanta Settimane di Daniele

Ho scritto più volte sulle Settanta settimane, la meravigliosa profezia che troviamo nel capitolo 9 del libro del profeta Daniele. Non si tratta di un brano di facile lettura, ma la sua comprensione sarà molto importante per la maniera in cui stiamo procedendo nell’analisi del libro dell’Apocalisse. Si dimostrerà un tassello prezioso del quadro che stiamo provando ad illustrare.

Innanzi tutto diciamo che l’oggetto di questa profezia è un periodo di 490 anni e che il soggetto è il popolo di Israele e il Messia promesso.

Il collegamento con il libro dell’Apocalisse è evidente nel fatto che “…l’ultima settimana che vi sarà alla fine del mondo intero”, cioè gli ultimi sette anni di questa profezia sono proprio quelli narrati nel libro dell’Apocalisse. La citazione che ho ripreso qui sopra è tratta dal testo di un autore cristiano che visse fra il 170 ed 236 d.C., Ippolito, il quale ha commentato il libro di Daniele. Egli ha anche scritto un libro intitolato “Su Cristo e l’Anticristo”. Ciò per dire che l’interpretazione messianica di queste Scritture è propria della Chiesa già dagli albori.

Andiamo a vedere in dettaglio la profezia di Daniele e colleghiamola al libro dell’Apocalisse.

La profezia delle cosiddette Settanta Settimane è celebrata come una delle più stupende prove dell’ispirazione della Scrittura da alcuni, sottoposta ad ogni tipo di attacco per trovare una spiegazione alternativa all’intervento soprannaturale dello Spirito Santo da altri. Essa è particolarmente importante per noi cristiani. Infatti è una delle più straordinarie predizioni dell’Antico Testamento che ci conferma che Gesù è veramente il Messia promesso.

Il testo dalla Nuova Diodati:

“9:24 Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo. 9:25 Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane; essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi. 9:26 Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui. E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni. 9:27 Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore»”. (Daniele 9:24-27)

Perché utilizzo la versione Nuova Diodati anziché la Nuova Riveduta? Se leggete quest’ultima versione, la scelta di tradurre “un unto” piuttosto che “il Messia”, come fanno Diodati e la Nuova Diodati, è forse tecnicamente corretta, ma mette fuori strada il lettore comune, non facendogli percepire che ci troviamo davanti ad una profezia messianica. Ciò facendo la Nuova Riveduta non rende giustizia al senso del testo biblico, schiaccia l’occhio ad una certa visione liberale del testo biblico e di questo brano in particolare e, quindi, rinnega un’interpretazione che ha riguardato la Chiesa dall’apostolo Giovanni in avanti.

Esaminiamo la profezia frase per frase, sebbene non scenderemo in dettagli non necessari ai nostri scopi.

Settanta settimane sono stabilite

La parola ebraica originale qui tradotta con “settimane” indica in realtà un “gruppo di sette” in senso generico, come nella nostra lingua una “diecina” indica un raggruppamento di dieci, o “dozzina” un raggruppamento di dodici elementi. Basta dare un’occhiata ad altre parti dell’Antico Testamento per avere la certezza che in questo brano “settanta settimane” significa “settanta volte un gruppo di sette anni”, in parole povere 490 anni. (Vedi Levitico 25:8 e Genesi 29:26-28).

per il tuo popolo e per la tua santa città

Il soggetto della profezia è il popolo di Dio, Israele e la città di Gerusalemme. Gli errori di molti nell’interpretazione di questo brano vengono dal fatto che tralasciano questo dettaglio e riferiscono gli eventi predetti ad altri che non siano Israele e Gerusalemme.

per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo.

È ovvio che il punto finale della profezia sia l’avvento del regno di Dio promesso nelle Scritture ebraiche. È il punto di arrivo anche per le altre profezie contenute in Daniele, al capitolo 2 e 7.

Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane;

La profezia cita qui un evento storico ben preciso, inequivocabilmente richiamato nella stessa Scrittura, nei primi capitoli del libro di Neemia. Fu infatti il re persiano Artaserse che permise la ricostruzione della città di Gerusalemme. Siamo intorno all’anno 445 a.C. Sessantanove settimane di anni separano quindi gli ordini impartiti da Artaserse fino alla comparsa del Messia, il Principe. Sessantanove settimane (69×7=483) equivalgono a 483 anni.

Non facciamoci prendere dalla tentazione di perderci in calcoli in questa sede totalmente ininfluenti. Computando 483 anni dal 445 a.C., giungiamo comunque nella terza decade del primo secolo d.C. Senza affaticarci troppo nel cercare un adempimento matematico all’interno del nostro calendario (Gregoriano) possiamo dire che l’avverarsi della profezia in Cristo Gesù è comunque certa. Infatti è sotto gli occhi di tutti che nel periodo individuato dalla profezia, non vi è stato nessun altro individuo al quale sia stato con altrettanto consenso attribuito il titolo di Messia – o Cristo, che è la traduzione in greco del termine ebraico – come è avvenuto per Gesù di Nazaret.

È meraviglioso contemplare con quanta precisione le Scritture abbiano previsto l’arrivo del Messia!

essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi.

La città di Gerusalemme venne ricostruita con grande difficoltà. Era stata distrutta dal re babilonese Nabucodonosor nel 586 a.C. Il re persiano Ciro che aveva in seguito invaso e conquistato la Babilonia, aveva promulgato un editto con il quale aveva permesso il rientro in patria ai popoli deportati dalla furia babilonese. Fra questi anche il popolo ebraico. Ma fu l’editto di Artaserse, che ho già citato, a consentire ad Israele di riedificare la città. È ancora nel libro di Neemia che apprendiamo delle difficoltà che Israele dovette affrontare per ricostruire la propria capitale e riappropriarsi della propria identità di nazione.

Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui.

Poco tempo dopo l’inizio del suo ministero, circa tre anni e mezzo dopo il suo battesimo, Gesù dichiara apertamente di essere il Messia, entrando in Gerusalemme con tutti gli onori regali ed avverando brani specifici delle Scritture come chiaro segno messianico per gli uomini del suo tempo. Il risultato è la sua reiezione. Nessuno infatti difenderà la sua causa davanti alle autorità ebraiche e romane. L’arresto di Gesù fu illegale, illegale il suo processo e, sebbene nessuna sua colpa fosse dimostrabile, venne condannato a morte e la sentenza venne eseguita con grandissima premura.

Anche questa parte della profezia delle Settanta Settimane si è già adempiuta alla lettera!

E si può essere adempiuta solo in Gesù, in quanto, come è storicamente risaputo, in quel periodo non è nota l’ingiusta condanna a morte di alcun altro riconosciuto come Messia.

E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni

Ancora un altro adempimento straordinario.

Un solo evento storico può infatti riferirsi a questa profezia: la distruzione della città e del tempio ad opera dell’esercito romano condotto dal futuro imperatore Tito nel 70 d.C.

Il tempio e la città di Gerusalemme sono stati distrutti solo due volte nella storia dello stato di Israele: nel 586 a.C., come abbiamo detto, e nel 70 d.C. Chi cerca di spiegare in altro modo le parole di questa profezia lo fa quasi, mi azzarderei a dire, per disperazione, per paura di dover ammettere la natura soprannaturale della Parola di Dio e per conseguenza la sua autorità spirituale. La distruzione di Gerusalemme si è verificata proprio dopo l’uccisione e la reiezione del Messia, come predice l’angelo a Daniele quasi cinquecento anni prima che ciò accada.

Sono da anni un appassionato studioso di storia antica. Da piccolo ero letteralmente innamorato della matematica, a tal punto che ne studiavo dei libri per conto mio e facevo esercizi di algebra la domenica pomeriggio per passare il tempo. Da un punto di vista squisitamente storico e matematico, io sostengo – aspetto di essere smentito – che la probabilità che altri eventi storici, dei quali tra l’altro si sarebbe persa la memoria, possano soddisfare tutti i dettagli di questa profezia già avveratisi perfettamente con gli eventi sopra descritti che confermano che Gesù è il Messia, è teoricamente e praticamente uguale a ZERO.

Da questo punto in avanti, la profezia descrive eventi che sono anche per noi futuri e che avranno luogo poco prima del ritorno del Signore Gesù, da lui stesso promesso ai credenti.

Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore.

Adesso domando la totale attenzione del lettore.

Dal testo capiamo che un certo individuo stipulerà un patto con il popolo di Israele. Chi è? “Egli” va inteso come il “capo che verrà” citato al verso precedente, quando è detto che il suo popolo, i romani, avrebbero distrutto città e tempio di Gerusalemme.

Egli è il primo cavaliere dell’Apocalisse. La sua ascesa segnerà l’inizio degli ultimi sette anni visti profeticamente da Daniele.

Guardai e vidi un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; e gli fu data una corona, ed egli venne fuori da vincitore, e per vincere” (Apocalisse 6:2).

A metà dei sette anni questo individuo farà cessare il sacrificio offerto in base al culto ebraico nel tempio di Gerusalemme e profanerà personalmente il tempio finché non verrà distrutto.

Quindi arriverà la giustizia eterna, si avvereranno visione e profezia, e il tempio di Gerusalemme, mediante l’unzione del luogo santissimo, verrà consacrato durante il regno del Messia, il Cristo vittorioso che distruggerà personalmente questo nemico del suo popolo che ha osato profanare il tempio di Dio e perseguitare il suo popolo.

Questa profezia riguarda il popolo di Israele e la città di Gerusalemme. Abbiamo letto al verso 24 la premessa: “Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città”.

La profezia non riguarda la Chiesa. Questo spiega il lungo silenzio ed è per questo che gli ultimi sette anni riguardano la straordinaria persecuzione finale contro Israele, che avrà luogo immediatamente prima la manifestazione del Messia che ancora oggi Israele attende.

In questa prospettiva sono davvero meravigliose le parole dello studioso ebreo Pincas Lapide che riporto spesso quando parlo di profezie bibliche.

“… dato che nessun ebreo sa chi sia il Messia venturo, mentre voi credete di conoscere con sicurezza la sua identità, io non potrò opporre alla vostra certezza un ‘no’, ma soltanto un modesto punto interrogativo. Sono dunque disposto ad attendere che venga colui che deve venire, e se questi fosse Gesù di Nazaret ritengo che nemmeno un ebreo che creda in Dio avrebbe la benché minima obiezione da muovere”. Pinchas Lapide e Jurgen Moltmann, Monoteismo ebraico – dottrina trinitaria cristiana, Queriniana, p.71”.

 




The New Testament in Chronological Order

THE NEW TESTAMENT  in Chronological Order

by Giuseppe Guarino

The following is the Introduction to the above version of the New Testament which has the 27 books arranged in chronological order.

We all know that the books in our Bibles are not arranged in any particular order. In particular, no discernable criteria can be distinctly identified in the way the New Testament books are presented.

Originally, the apostolic writings must have circulated  independentely. Every church must have had the letters addressed to them by the apostles. They must have had copies of letters addressed to other churches, too.

Paul himself promoted this habit among the churches.

And when this epistle is read among you, cause that it be read also in the church of the Laodiceans; and that ye likewise read the epistle from Laodicea” (Colossians 4:16).

The epistles to the Thessalonians are the earliest written by Paul. It is noteworthy to read there,

Now we beseech you, brethren, by the coming of our Lord Jesus Christ, and by our gathering together unto him, That ye be not soon shaken in mind, or be troubled, neither by spirit, nor by word, nor by letter as from us, as that the day of Christ is at hand.” (20Thessalonians 2:1-2)

Some one must have tried to write a letter or letters and make believe they were written by Paul.

Now concerning the coming of our Lord Jesus Christ and our being gathered together to him, we ask you, brothers, not to be quickly shaken in mind or alarmed, either by a spirit or a spoken word, or a letter seeming to be from us” (2 Thessalonians 2:1-2)

It looks like a negative thing. It is. But not entirely. In fact, for this reason the Church must have soon felt the importance to develop a critical spirit in order to identify the authentic and discard the spurious.

See with what large letters I am writing to you with my own hand” (Galatians 6:11).

The matter with the Galatians was so important that Paul himself wrote this letter, so that there could be no doubt about the authorship of its content.

We understand that Paul must have dictated other epistles instead of personally write them. In fact he made sure to put his personal seal to confirm his authorsip. See  1 Corinthians 16:21, Colossians 4:18, 2 Thessalonians 3:17, Philemon v.19.

Going back to our main theme, chronology, we must say that Mark and Luke must have been written very early. Though many still believe that Matthew was the first of the Gospels to be written. Many also believe the original version of this book was in Hebrew and that only later a Greek version appeared on the scene to complete the narrative of the other two gospels already mentioned. The three would be called Synoptics, because of the clear resemblances among them.

The other “books” came later.

Imitating the Canon of the Old Testament was inevitable. The Church had to have, like Israel, their own Scriptures to state and proclaim the Truth of the Gospel. It was natural for the Church to choose among the many writings produced in the first century and retain the authentic. It was very soon clear that the main characteristic of the Old Testament was true for the apostolic writings too, they are the inspired Word of God.

… even as our beloved brother Paul also according to the wisdom given unto him hath written unto you; as also in all his epistles, speaking in them of these things; in which are some things hard to be understood, which they that are unlearned and unstable wrest, as they do also the other scriptures, unto their own destruction.” (2 Peter 3:15-16)

Peter lists Paul’s epistles among the Scriptures!

I believe the apostles had a clear understanding of how to make sure the Truth could be preserved and handed down to future generations.

Yea, I think it meet, as long as I am in this tabernacle, to stir you up by putting you in remembrance; Knowing that shortly I must put off this my tabernacle, even as our Lord Jesus Christ hath shewed me. Moreover I will endeavour that ye may be able after my decease to have these things always in remembrance.” (1lPeter 13-15).

The apostles took their ministry very seriously – they even paid their faithfulness to Jesus’ mandate with their lives, sealing their witness by their blood. They made sure their report would not be lost or corrupted by false witness, when they would go. Evidence of their love for Truth and wise conduct is in your hands every time you read the New Testament.

The early Church identified twenty-seven books as inspired.

In this edition of the New Testament, we plan to present the books arranged in a chronological order.

Though no exact criteria can be seen in the way the books are usually arranged, we believe it is as good as any other and it is by no means binding.

For the Old Testament, Christians and Jews adopt two different ways of collecting the books. The writings are the same, but arranged with a totally different logic. The Jewish canon has Law, Prophets and Writings[1]. The Christian canon has the Law, historical and poetical writings, and the prophets, major and minor.

Basically, somehow the same logic of the Christian Old Testament was imitated when arranging the books of the New.

The Gospels come first. They are followed by the Acts of the Apostles. Then we find the epistles of Paul and the so called general epistles by James, Peter, Jude and John. The book of Revelation closes the Christian canon and is the last book of the Bible.

Can we try to put these same books in a chronological order?

This will be very profitable for the epistles of Paul, even for exegetical purposes. So, this is where we start to look for the chronology of the books of the New Testament. Since, the book of the Acts of the Apostles and the details found in the epistles themselves give us a reliable starting point to determine when was written what.

This is the most probable order of composition of Paul’s epistles.

During the Second Missionary Journey -Acts 16:1-18:22
1 Thessalonians  52  AD from Corinth
2 Thessalonians
During the Third Missionary Journey – Acts 18:23
1 Corinthians Spring 57 AD from Ephesus
2 Corinthians Autumn 57 AD. from Macedonia
Galatians Autumn 58 AD from Macedonia
Romans 58 AD from Corinth
During Paul’s emprisonment in Rome – Acts 28:11-31
Philippians
Ephesians
Colossians
Philemon
During the imprisonment or the possible liberation
1 Timothy
Titus
2 Timothy

 

Of course, since the books of the New Testament were not dated, we cannot be dogmatic on our arrangement. What I propose here is a possible reconstruction.

My work is inspired by the ideas expressed by J. B. Lightfoot in his commentaries on the Greek text of Galatians and Colossians in particular.[2]

I also took into consideration internal evidence, using as best as I could my personal acquaintance with the New Testament. Of course, I took into consideration the writings of the so called Fathers of the Church and Eusebius’ Ecclesiastical History in particular. Modern authors were considered too, but, I am even sorry to say, I cannot agree with a liberal view and approach to the New Testament, or the date of its composition given by certain scholars.

Whatever some may say, like the liberal scholar John A. T. Robinson had to admit in his “Redating the New Testament”, no book of the New Testament could have been written later than 70 AD. This statement, to my knowledge, is the most probable ever made on considering the dates of composition of the New Testament books.

Concerning the Gospels of Mark and Matthew, I have been strongly influenced by the amazing work of Jean Carmignac, The Birth of the Synoptic Gospels. He is absolutely right in seeing how dependable the Synoptic were from the Hebrew language. I do not agree totally with all his conclusions, but the strong semitic element agrees with placing the composition of the Gospels at a very early stage of Christianity.

I wrote a book on cave 7’s Greek manuscripts at Qumran. 7Q5 is a fragment that Josè O’ Challagan first identified as the few lines surviving of a copy of the Gospel of Mark. Many other scholars followed in O’ Challagan’s footsteps. Thiede, Montevecchi, just to name two. If 7Q5 is really a copy of Mark, this means this Gospel cannot have been written later than 50 AD, which is the latest possible dating given by scholars for this fragment. For sure, historically speaking, it could have never been copied later than 68 AD, because by that time the site was abandoned because of the Romans attacks that led to the distruction of the temple and the city of Jerusalem in 70 AD.

2 Corinthians 8:18 [3] identifies Luke as “the brother, whose praise is in the gospel throughout all the churches.” (KJV)

This passage can also be translated “the brother, whose praise is because of the Gospel throughout all the churches.” Some versions prefer not to be so literal and render the Greek as follows: “With Titus we are also sending one of the Lord’s followers who is well known in every church for spreading the good news.” (CEV) This is not a translation but an interpretation. Another version: “the brother who is famous among all the churches for his preaching of the gospel.” (ESV).

The literal version is the correct one. Luke was never famous for the preaching of the Gospel. Nowhere in the New Testament we read of any specific ministry he had. He is said to have accompanied Paul in his journeys. On the contrary, Luke’s Gospel, written Gospel, was very famous among the Gentiles, to whom it was clearly addressed. The reason why some translations render this passage in a non-literal way is to avoid the possible understanding of an early date of Luke, usually dated by critics much later than the Christian tradition always affirmed. Also, another objection is connected to the possibility of such an early use of the word “gospel” to describe a written account of the life and ministry of Jesus. Well, this could as well just be evidence of an early accepted way of using this term.

In short, critics cannot determine interpretation or translation of a passage to suit their theories. But, theories must be formed giving the Bible the credibility it diserves. And the New Testament here says openly that the Gospel of Luke was already written and known among Christians.

The New Testament as we know it is the result of a close scrutiny of the early Church, which, it is true, was made of local, independent churches. But, at the same time, they were all well connected and able to carry out the task of preserving the Truth, isolating and rejecting the lies. Only the Church of the first centuries was in a position to successfully adopt as Canonical the authentic, inspired books of the new covenant and reject the spurious.

The statement we find at the end of our Bibles, somehow can be extended to the Scriptures in general:

I warn everyone who hears the words of the prophecy of this book: if anyone adds to them, God will add to him the plagues described in this book, and if anyone takes away from the words of the book of this prophecy, God will take away his share in the tree of life and in the holy city, which are described in this book.” (Revelation 22:18-19).

For this edition of the New Testament we chose the King James Version, probably the most elegant and reliable version of the Bible in English ever printed. It is literal, which is very important. It was not influenced by this or that current of thought. I believe this is vital.

I understand the English of this Bible is not modern and some parts of it may be a little difficult to understand, obscure for today’s English speaking people. But it is worth the while to try to dive into it and enjoy a literary masterpiece, because that’s what it is. Eventhough I am not a native speaker, I love the English language and this version is an unsurpassed masterpiece.

I am sure God will bless the reading of His Word to those who approach it with a sincere heart, aware of its nature and purpose.

“…And we also thank God constantly for this, that when you received the word of God, which you heard from us, you accepted it not as the word of men but as what it really is, the word of God, which is at work in you believers” (1 Thessalonians 2:13).

 

NOTES

________________________________

[1] Infinity is reprinting the JPS Old Testament following the Jewish Canon.

[2] Both recently reprinted by Infinity.

[3] The original Greek text of this passage says: “τὸν ἀδελφὸν οὗ ὁ ἔπαινος ἐν τῷ εὐαγγελίῳ διὰ πασῶν τῶν ἐκκλησιῶν”.

Capire l’Apocalisse – Parte 2

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

PARTE 2

Ho chiuso la prima parte di questo studio affermando che per aver chiaro cosa dice l’Apocalisse bisogna aver chiaro cosa dicono i profeti dell’Antico Testamento e in particolare il libro di Daniele.

Perché proprio il libro di Daniele?

“Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14).

La visione del profeta qui è del Messia trionfante che regna per sempre. Gesù riferisce questo brano biblico al suo ritorno in gloria.

“Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli” (Matteo 24:29-31)

Gesù dice apertamente che ciò accadrà “dopo la tribolazione di quei giorni”.

Torniamo in Daniele. Qui la visione viene interpretata da un angelo, che dice:

“La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, sorgerà un altro re, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:23-27).

Apprendiamo quindi che vi sarà un periodo che precederà l’avvento del Messia che vedrà l’exploit di un “regno” al capo del quale vi sarà un individuo che perseguiterà i santi. Questo ultimo periodo della storia dell’umanità durerà: “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo.”

In italiano non abbiamo il duale. In altre lingue si e fra queste l’originale ebraico di Daniele. Quindi “un tempo” equivale ad un anno, “dei tempi”, sono due anni e “la metà di un tempo” sono sei mesi. Questo tempo di sofferenza che precederà il ritorno del Cristo sarà quindi di tre anni e mezzo.

Abbiamo qui una chiave di lettura molto importante per capire il “quando” degli eventi descritti nell’Apocalisse. Infatti, tutte le cose terribili che vengono lì descritte, accadono in un periodo ben preciso, descritto con terminologie diverse e in più punti dell’ultimo libro delle nostre Bibbie.

“Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dov’è nutrita per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontana dalla presenza del serpente” (Apocalisse 12:14).

La donna del capitolo 12 di Apocalisse è Israele. (Alcuni dicono sia la chiesa, ma non è adesso pertinente. Ne parleremo più avanti). La donna viene perseguitata come è scritto in Daniele 7, per un periodo che è lo stesso: “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”. Ma questa espressione copre davvero un periodo di tre anni e mezzo come abbiamo supposto interpretando Daniele?

Sembra che l’autore dell’Apocalisse immagini che qualche dubbio sarebbe nato nei fruitori del suo testo, per la maggior parte non ebrei. Per questo troviamo diversi modi di indicare questo lasso di tempo, e ciò toglie ogni dubbio.

“… ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte, e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi” (Apocalisse 11:2).

“E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi” (Apocalisse 13:5)

Quarantadue mesi sono proprio tre anni e mezzo: 12 + 12 + 12 + 6.

E se non fossimo ancora convinti.

“Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni”: 360 + 360 + 360 + 180 = 1260. Come vediamo qui i giorni dell’anno vengono arrotondati o comunque il tempo del ministero di questi due testimoni sarà di poco inferiore ai tre anni e mezzo del nostro calendario, che corrispondono a 1278 se non vi sono in mezzo anni bisestili.

Vediamo come meravigliosamente la Scrittura interpreta la Scrittura?

Ora cerchiamo di applicare ciò che abbiamo imparato raffrontando Daniele, Matteo 24:29-31 e Apocalisse.

Poco prima del ritorno di Cristo vi sarà un regno: “diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà” (Daniele 7:23).

Egli agirà contro il popolo di Dio: “Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:25-26)

Egli agirà per tre anni e mezzo. Alla fine di quel periodo, il Figlio dell’uomo con i santi riceveranno il regno.

“ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo” […] al quale “furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14).

Gesù conferma che ciò parla della sua venuta alla fine dei tempi, quando tornerà per regnare.

“Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli” (Matteo 24:30-31).

Alle sue parole fanno eco quelle dell’Apocalisse.

“Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen” (Apocalisse 1:7).

Vediamo che meravigliosa armonia nella Scrittura? Per costruire una solida esegesi, per capire un testo, dobbiamo prima trovare i punti fermi, i pilastri, sui quali poggiare il resto della nostra comprensione del testo.

Quindi, un periodo di tre anni e mezzo vedrà un regno perseguitare i santi, ma alla fine il Cristo che ritorna lo distruggerà e, proprio con i suoi santi comincerà a regnare.

 

— continua

 




7Q5 il Vangelo di Marco a Qumran?

7Q5

Il Vangelo di Marco  a Qumran?

di Giuseppe Guarino

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misure effettive: cm 3,9 x 2,7

Il frammento di papiro qui sopra è il famosissimo 7Q5. Questa sigla sta ad indicare che questo è il manoscritto catalogato con il numero 5 e che è stato rinvenuto nella grotta di Qumran identificata con il numero 7. Proviene da un rotolo, scritto soltanto da una parte. L’altezza massima del frammento è di cm. 3,9. La larghezza massima cm. 2,7.

Nel 1972 l’eminente studioso José O’ Callaghan, ha identificato il testo greco contenuto in questo frammento come un brano del vangelo di Marco. Esattamente Marco 6:52-53.

Come sappiamo quella dei manoscritti nelle grotte di Qumran, avvenuta nel 1947, è senz’altro una delle più clamorose scoperte del XX secolo. L’importanza di questi testi è archeologica, storica ma soprattutto, in quanto interessa sia la comunità ebraica che quella cristiana, anche religiosa. Essi erano infatti i libri appartenuti ad una comunità religiosa ebraica esistita nei pressi del Mar Morto.

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La foto ritrae alcune grotte di Qumran

A Qumran furono riportati alla luce manoscritti rimasti intatti, nascosti prima della distruzione della comunità, avvenuta con l’invasione romana del 68 d.C. Tra gli altri sono stati rinvenuti rotoli ebraici dell’Antico Testamento di grandissima importanza che hanno fornito prove manoscritte di oltre mille anni più antiche di quelle fino ad allora disponibili. Non posso fare a meno di citare un meraviglioso dettaglio di questa scoperta. “Appena gli studiosi ebbero avuto l’opportunità di studiare il grande rotolo di Isaia proveniente dalla caverna 1 (1QIsa, copiato approssimativamente nell’anno 100 a.C.) e confrontarlo con il testo Masoretico, essi furono impressionati dai risultati. Nonostante il rotolo di Isaia fosse circa mille anni più antico della versione masoretica di Isaia, i due erano virtualmente identici ad eccezione di qualche dettaglio minore che raramente andava ad alterare il significato del testo… I risultati ottenuti dagli studi comparativi di questo tipo sono stati ripetuti per molti altri testi biblici rinvenuti a Qumran. La grande maggioranza dei nuovi rotoli appartengono alla stessa tradizione del testo Masoretico. Essi sono, comunque, più antichi di secoli e dimostrano così in maniera molto convincente quanto siano stati attenti gli scribi ebrei nel trasmettere quel testo negli anni.[1]

Personalmente ho studiato libri che affermavano con decisione che non vi erano tracce di testi del Nuovo Testamento fra i rotoli di Qumran. E così quindi credevo. Questo fino a quando mi sono imbattuto nell’avvincente resoconto degli studi di Carsten Peter Thiede che hanno confermato l’identificazione di 7Q5 come parte di un rotolo contenente il vangelo di Marco.

Tale identificazione era stata originariamente proposta da Josè O’Callaghan, il quale, nella stessa grotta n.7, identificò in alcuni frammenti porzioni dei libri del Nuovo Testamento: Atti, Romani, I Timoteo, Giacomo e 2 Pietro.

Ovviamente, ma non per motivi connessi alla papirologia, bensì ai preconcetti della critica che sostiene le datazioni tarde di diversi libri del Nuovo Testamento e dei vangeli, tale identificazione trova una certa resistenza del mondo degli studiosi.[2]

Thiede data 7Q5 intorno all’anno 50 d.C.

Alcuni non riescono ad essere così ottimisti circa l’antichità dei vangeli come noi li conosciamo; non quanto le testimonianze tradizionali della Chiesa. E’ ovvio che l’esistenza del vangelo in un periodo tanto antico, imporrebbe la revisione di certi capisaldi di una certa critica biblica. Cosa senz’altro scomoda. In tal senso, vale la pena citare lo studioso Ferdinand Rohrhirsch che considera la voce degli oppositori dell’attribuzione marciana, fra i quali il famoso Kurt Aland, come frutto più del pregiudizio che dell’osservazione scientifica.

“…l’ipotesi di O’ Callagan risulta ancora in piedi, mentre tutte le confutazioni fin qui tentate si sono dimostrate inconsistenti o scorrette.”[3]

Le varianti testuali di questo piccolo frammento sono tipiche dei papiri e sembrano confermare la sua antichità.

Marco 6:53.  La traduzione Nuova Riveduta: “Passati all’altra riva, vennero a Gennesaret e scesero a terra.”

Il testo originale: “Καὶ διαπεράσαντες ἦλθον ἐπὶ τὴν γῆν Γεννησαρὲτ καὶ προσωρμίσθησαν.”

Una peculiarità del frammento è il cambio della lettera iniziale nella parola “διαπεράσαντες” che diventa “τιαπεράσαντες”. Una variazione che supporta l’antichità del rotolo, visto che variazioni di questo genere sono state rinvenute in iscrizioni nella Gerusalemme del periodo di Erode.

Sorprendente è inoltre un’altra variante, l’omissione della precisazione “επὶ τὴν γην”, “verso la terra” individuata grazie alla sticometria, cioè al calcolo delle lettere che dovevano esservi sul manoscritto completo. Anche qui potremmo essere in presenza di un ulteriore indizio dell’antichità del manoscritto. Infatti tale precisazione “verso la terra di Gennesaret” sembrerebbe essersi resa necessaria solo dopo la distruzione romana del 70 d.C. visto che la città di Gennesaret non esisteva più ed era rimasto soltanto un lago con lo stesso nome.

Un’ulteriore prova dell’antichità di questo manoscritto è che si tratta di un rotolo, un papiro scritto soltanto da una parte, in recto, quindi, e senza verso. Thiede è certo che i libri del Nuovo Testamento furono originariamente scritti come rotoli e solo in un secondo tempo copiati in forma di codice, come sono giunti a noi nelle prove manoscritte che oggi possediamo.

Il testo in lingua greca è meglio visibile nel negativo qui sotto. Accanto trascrivo le lettere rinvenute nel frammento.

Le moderne tecniche hanno ulteriormente contribuito a riconoscere 7Q5 come un frammento di un rotolo contenente in origine il vangelo di Marco.

La Polizia scientifica israeliana interpellata da Thiede, è riuscita a provare con la sua tecnologia l’identità di una delle lettere controverse del manoscritto, la ni di Gennesaret. 

L’utilizzo dei computer ha permesso di indagare la letteratura greca disponibile alla ricerca delle 20 lettere che rinveniamo in questo frammento, ma senza altro risultato.

Il professor Dou, eminente matematico, ha così potuto concludere che le probabilità che questa sequenza di lettere possa rinvenirsi in un altro scritto è una su novecentomila milioni.

Il testo interessato è, come abbiamo già detto, Marco 6:52-53. Leggiamolo in italiano, dalla Nuova Riveduta: “perché non avevano capito il fatto dei pani, anzi il loro cuore era indurito. Passati all’altra riva, vennero a Gennesaret e scesero a terra.”

Ciò che è rilevante è l’accostamento delle due narrazioni. La prima che parla di Gesù che cammina sull’acqua e la seconda che ha luogo a Gennesaret. Ciò ad ulteriore sostegno dell’identificazione marciana.

Concludendo, allo stato attuale degli studi su 7Q5, possiamo affermare con tutta onestà di trovarci davanti alla prova manoscritta più antica disponibile del vangelo di Marco, risalente a circa l’anno 50 d.C. e di sicuro non più recente del 68 d.C.

NOTE

[1] James C. VanderKam, The Dead Sea Scrolls Today, pag. 126.

[2] La datazione dei libri del Nuovo Testamento è argomento di acceso dibattito fra gli studiosi. La tendenza è certamente contro le datazioni cosiddette tradizionali, che sostengono l’autorità apostolica dei libri del Nuovo Testamento e quindi la loro composizione nel periodo apostolico.

E’ famosa la scuola di pensiero che sosteneva che il vangelo di Giovanni fosse un prodotto del II secolo, per via della complessità della dottrina di questo scritto che non si riteneva possibile come prodotto della chiesa del I secolo. La scoperta di un papiro, il P52, datato di solito nel 125 d.C., ha confutato definitivamente, con prove oggettive, l’erroneità di tale teoria. Ed oggi l’idea tradizionale sulla composizione di questo vangelo sembra l’unica sostenibile in maniera efficace.

Sembra che se le teorie di O’Callaghan si rivelassero corrette, così come anche il lavoro di altri studiosi che si battono per una revisione della datazione di certi manoscritti del Nuovo Testamento, che loro sostengono essere molto più antichi di quanto creduto, le teorie tradizionali sulle date di composizione dei libri del Nuovo Testamento diventerebbero difficilmente attaccabili.

[3] Ferdinand Rohrhirsch è professore dell’università di Eichstatt. La citazione è tratta dal libro: Marco e il suo Vangelo, Atti del Convegno internazionale di Studi “Il vangelo di Marco”, Venezia, 30-31 maggio 1995, a cura di Lucio Cilia, pag. 121.

 

L’argomento è ampliato nel mio libro

7Q5  IL VANGELO A QUMRAN? di Giuseppe Guarino

E se fra i rotoli del Mar Morto vi fossero stati anche manoscritti del Nuovo Testamento? Qual è la testimonianza di Qumran sull’antichità degli scritti neotestamentari? Un affascinante viaggio fra antichi reperti archeologici e possibili identificazioni (proposte da José O’ Callaghan, Orsolina Montevecchi e Karsten Thiede) che confermano l’antichità ed attendibilità del Nuovo Testamento.

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Capire l’Apocalisse

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Ravvedetevi e credete all’evangelo” (Marco 1:15)

Altri libri sulle profezie bibliche

Il ritorno di Gesù: Ecco Egli viene con le nuvole ed ogni occhio lo vedrà (Apocalisse 1:7) di [Giuseppe Guarino]

 

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

Copyright © 2022 Giuseppe Guarino

Prefazione

Il vocabolo Apocalisse è una assimilazione in italiano della parola originale greca con cui inizia e che dà il titolo all’ultimo libro della Bibbia: αποκαλυψις. In realtà la sua traduzione sarebbe “Rivelazione”.

Non si tratta di un fenomeno isolato nel Nuovo Testamento. La parola Battista (βαπτιστὴς) riferita a Giovanni, battesimo (βάπτισμα) o battezzare (βαπτίζω), non sono l’esatta traduzione dei termini originali che sono molto descrittivi della modalità, l’immersione, e caratteristica principale proprio del battesimo.

Due parole importantissime che non sono state tradotte ma trasposte nella nostra lingua sono Messia, che viene dall’ebraico (משׁיח), e Cristo, che deriva dal greco (Χριστος). Entrambi i vocaboli significano “unto”.

Apocalisse è un bel vocabolo, con un bel suono, e non solo nella nostra lingua. Questo avrà contribuito ad ampliarne i significati nella nostra lingua, rendendolo quasi sinonimo di catastrofi, piaghe, sconvolgimenti naturali, la fine del mondo, ecc. Il genere “apocalittico” è l’insieme della letteratura assimilabile per contenuti all’Apocalisse e ad altri libri profetici del Nuovo Testamento.

La traduzione di “αποκαλυψις” dicevamo, è “rivelazione”. Ed è infatti così che di solito le versioni traducono il primo verso del libro.

La rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha dato per mostrare ai suoi servi le cose che devono avvenire…

 Il termine “rivelazione” ha in questo brano esattamente lo stesso significato che ha in italiano. Inutile andare a caccia dell’etimologia della parola greca, in quanto essa è ben presente nel vocabolo biblico e nella sua traduzione italiana.

Mentre riflettevo su come spiegarlo, pensavo ad una frase: “si è rivelato per quello che è”. Si utilizza per qualcuno che non mostra la sua vera natura e poi invece la manifesta: qualcosa di nascosto viene rivelato, mostrato.

Così è l’Apocalisse, è la rivelazione di cose future che non sappiamo e, se Dio non ce le rivelasse in anticipo, rimarrebbero nascoste fino al loro verificarsi. Dio non ci fa sapere tutto – impazziremmo! Ciò che ci fa conoscere, lo rivela non per soddisfare la nostra curiosità, ma perché ci ama e non ci vuole all’oscuro e confusi.

Questo libro ha la pretesa di volervi far capire l’Apocalisse. Con l’aiuto di Dio, con pazienza e amore, viaggeremo all’interno della Scrittura con questo preciso scopo.

Non vorrei scandalizzare il lettore, ma devo dirgli che il metodo di interpretazione che presento qui lo adottai per la prima volta quando ero ancora un adolescente. Mi venne spontaneo leggendo i vari brani profetici della Bibbia. Allora leggevo solo la Bibbia, per il semplice fatto che non avevo altri libri.

Dopo quarant’anni trovo ancora questo modo di procedere semplice e valido, e prego Dio che possa essere di benedizione per quanti leggeranno questo mio studio.

Quando è stata scritta l’Apocalisse?

Vi sono state e vi sono le più disparate proposte in merito alla data di questo libro. Ma la data più probabile, a mio avviso, è il 95 d.C., intuibile in base ad una citazione in Apocalisse 17 e confermata da alcune antiche autorità della Chiesa. Segnalerò il brano nel commento.

Vi sono alcuni, però, che retrodatano il libro al 68, 69 d.C. Possibile. Anche perché viene fatta esplicita menzione del tempio di Gerusalemme che, come sappiamo, invece, fu distrutto nel 70 d.C. da Tito e dal suo esercito.

Entrambe le date vanno bene e non cambiano di sicuro la sostanza dell’autenticità del libro e autorità giovannea.

Il luogo in cui il profeta ha avuto la visione è stato Patmos, un’isoletta del mare Egeo – Apocalisse 1:9. Nella visione viene subito dato l’ordine di scrivere e di inviare quanto scritto a sette chiese dell’Asia minore.

L’autore si presenta come Giovanni. Non vi sono motivi per ritenere che non si tratti dell’Apostolo amato, come sembra confermare anche la tradizione cristiana più antica ed affidabile.

Giustino martire nella metà del II secolo, nel suo “Dialogo con Trifone giudeo”, attribuisce l’Apocalisse all’apostolo Giovanni: “D’altra parte anche da noi un uomo di nome Giovanni, uno degli apostoli del Cristo, in seguito ad una rivelazione da lui avuta ha profetizzato che coloro che credono nel nostro Cristo avrebbero trascorso mille anni in Gerusalemme, dopo di che ci sarà la resurrezione generale e, in una parola, eterna, indistintamente per tutti, e quindi il giudizio. Ne ha parlato anche il Signore nostro dicendo: “Non prenderanno moglie né marito, ma saranno uguali agli angeli essendo figli del Dio della resurrezione” Giustino martire, Il dialogo con Trifone e le due apologie, Infinity Books, p.122.

Ancora più significativa la testimonianza di Ireneo, vescovo di Lione (130-202 d.C.) il quale informa i suoi lettori che l’Apocalisse è stata composta verso la fine del regno di Domiziano (siamo quindi al 95 d.C. che ho proposto come data più probabile) e l’apostolo Giovanni ne è l’autore. La testimonianza di Ireneo è particolarmente rilevante in quanto aveva conosciuto di persona Policarpo, vescovo di Smirne, che aveva conosciuto l’apostolo Giovanni in persona.

Non ho utilizzato una sola versione della Bibbia in particolare. Cito la Nuova Diodati e la Nuova Riveduta indistintamente. Ogni versione ha pregi e difetti e, soprattutto, riesce utile nel momento della lettura o dello studio in base al metodo di traduzione adottato. La Nuova Diodati mi piace perché letterale. La Nuova Riveduta gode di particolare credito fra i fratelli e quindi la cito, sebbene spesso nel suo lanciarsi al di là della letteralità del testo, non sempre coglie nel segno, o meglio, non sempre opta per la scelta (un traduttore ne ha sempre diverse davanti) che più condivido.

Non ritengo utile o produttivo procedere ad una indagine critica del testo dell’Apocalisse per confermare quanto la tradizione cristiana ci tramanda, né ad una indagine approfondita del suo testo greco, sebbene ne sia tentato. Uscirei fuori tema. Metto da parte anche la tentazione di soffermarmi sulla meravigliosa e profonda cristologia di questo libro – perché ci vorrebbe un libro a parte.

Lo scopo di questo studio è indagare sul contenuto di Apocalisse e in questo ricevere le benedizioni promesse (Apocalisse 1:3) a chi legge, a chi ascolta e a chi serba in cuor suo le parole scritte in questo meraviglioso ultimo libro della Bibbia.

Voglio iniziare questo mio libro proprio citando per esteso la fine di Apocalisse, le ultime parole che sono echeggiate nelle sette chiese prime destinatarie di questo straordinario scritto, le parole che molto probabilmente riassumono il senso di tutto, come deve fare un epilogo degno di questo nome che mira a rimanere impresso nella mente del lettore e dell’ascoltatore.

6Poi mi disse: “Queste parole sono fedeli e veritiere; e il Signore, il Dio degli spiriti dei profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra poco”. 7“Ecco, sto per venire. Beato chi custodisce le parole della profezia di questo libro”.8Io, Giovanni, sono quello che ha udito e visto queste cose. E, dopo averle viste e udite, mi prostrai ai piedi dell’angelo che me le aveva mostrate, per adorarlo.9Ma egli mi disse: “Guàrdati dal farlo; io sono un servo come te e come i tuoi fratelli, i profeti, e come quelli che custodiscono le parole di questo libro. Adora Dio!”10Poi mi disse: “Non sigillare le parole della profezia di questo libro, perché il tempo è vicino.11Chi è ingiusto continui a praticare l’ingiustizia; chi è impuro continui a essere impuro; e chi è giusto continui a praticare la giustizia, e chi è santo si santifichi ancora”. 12“Ecco, sto per venire e con me avrò la ricompensa da dare a ciascuno secondo le sue opere. 13Io sono l’alfa e l’omega, il primo e l’ultimo, il principio e la fine. 14Beati quelli che lavano le loro vesti per aver diritto all’albero della vita e per entrare per le porte della città! 15Fuori i cani, gli stregoni, i fornicatori, gli omicidi, gli idolatri e chiunque ama e pratica la menzogna. 16Io, Gesù, ho mandato il mio angelo per attestarvi queste cose in seno alle chiese. Io sono la radice e la discendenza di Davide, la lucente stella del mattino”. 17Lo Spirito e la sposa dicono: “Vieni”. E chi ode, dica: “Vieni”. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda in dono dell’acqua della vita. 18Io lo dichiaro a chiunque ode le parole della profezia di questo libro: se qualcuno vi aggiunge qualcosa, Dio aggiungerà ai suoi mali i flagelli descritti in questo libro; 19se qualcuno toglie qualcosa dalle parole del libro di questa profezia, Dio gli toglierà la sua parte dell’albero della vita e della santa città che sono descritti in questo libro. 20Colui che attesta queste cose, dice: “Sì, vengo presto!” Amen! Vieni, Signore Gesù! 21La grazia del Signore Gesù sia con tutti”

(Apocalisse 22:6-21). 

 

Capitolo 1

La Scrittura interpreta la Scrittura

L’Apocalisse è il libro più difficile da comprendere che troviamo nel Nuovo Testamento. Mentre poi per gli altri libri della Scrittura abbiamo delle interpretazioni più o meno affermate, per questo non esiste in realtà un approccio univoco. Vi sono varie scuole di pensiero, ma nessuna è riuscita a guadagnarsi una misura di consenso tale da fare veramente scuola.

La interpretazione futuristica è fondamentalmente quella più comune a molte confessioni evangeliche, ma qui comincia e qui finisce spesso il punto in comune fra le diverse interpretazioni.

“Perché?” ci chiediamo. E ancora: “Questo fatto deve scandalizzarci?”.

Le profezie bibliche sono una buona porzione della Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Molte si sono adempiute nel Cristo, quando si fece uomo. Alcune erano state ben comprese dal clero giudaico.

Matteo 2:3-6: “Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta: “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele” “.

Molte altre profezie, però, non erano state comprese. Alcune addirittura non erano state nemmeno identificate come tali.

E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, (Gesù) spiegò loro (ai discepoli) in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Luca 24:27).

Essendo Gesù morto e risorto, secondo quanto era stato preannunciato dai profeti, essendone stato testimone, adesso consapevole, Pietro proclamò il Vangelo nel giorno della Pentecoste, basandosi proprio su quelle Scritture che non erano state capite ma che ora erano divenute per tutti comprensibili, in quanto avveratisi sotto gli occhi di tutto il popolo. Conosciamo tutti la meravigliosa esposizione di Pietro in Atti 2:14-41.

Ad esempio, non era stato compreso che il Cristo sarebbe morto e risorto. Ma adesso per Pietro era chiaro, Gesù stesso glielo aveva spiegato e lui ne era stato personalmente testimone:

“Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d’oggi tra di noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione.  Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni.” (Atti 2:29-32).

Se cose così importanti non furono comprese dagli uomini di Dio fino alla loro meravigliosa realizzazione, perché preoccuparci se non tutto ci è chiaro in un libro così oggettivamente complesso come l’Apocalisse?

Sebbene comunque i dettagli, a mio avviso, non saranno compresi appieno fino a quei giorni terribili che vengono descritti nell’ultimo libro delle nostre Bibbie, io sono convinto che, per grandi linee, possiamo avere un’idea di ciò che lì si descrive e del messaggio fondamentale che vuole lasciare ad ogni credente.

La realtà dei fatti è che la nostra cultura ci influenza in maniera determinante. La nostra ossessione per la cronologia – che è evidente, in particolare in italiano, dai ricchi dettagli dei nostri verbi – il nostro bisogno di identificare ogni cosa riconducendola alla nostra esperienza personale e alla nostra quotidianità, limita una comprensione alternativa, che a volte è necessaria davanti a certi passaggi della Scrittura, e che deve essere alimentata dalla riverenza per i brani biblici, ognuno scrigno di meravigliosi significati.

Indubbiamente ogni passo della Scrittura ha una sua interpretazione univoca.

Ma la Bibbia è un libro speciale, spirituale.

Il giorno della Pentecoste Pietro annunciò il Vangelo con potenza e coloro che lo ascoltavano lo udirono ciascuno nella propria lingua. Solo la Parola di Dio può compiere questo miracolo. E non lo vediamo spesso compiere nelle nostre chiese quando l’uomo di Dio illustra la Scrittura ed è guidato dello Spirito Santo e ciascuno di noi che apriamo le nostre orecchie spirituali – e il cuore – riceviamo un messaggio personale, che ci riguarda in maniera unica: come se quella stessa Parola predicata parlasse ad ognuno nel linguaggio segreto del suo proprio cuore, per comunicargli ciò di cui ha bisogno.

Possiamo allo stesso modo leggere la Scrittura e capirne un senso spirituale; esserne benedetti, lasciare che parli al nostro cuore in maniera incomprensibile, anche se non siamo in grado di tradurre ciò che essa vuole dire nei termini di una spiegazione (interpretazione o applicazione che sia) razionale e riferita alla nostra quotidianità.

Ricordiamo sempre: troppa luce può finire per accecarci. Godiamo della giusta quantità di luce che Dio dà a ciascuno di noi per illuminarci – forse anche un po’ di più finirebbe solo per accecarci, confonderci e disorientarci.

Detto ciò, parliamo dell’interpretazione dell’Apocalisse.

Non credo di essere il solo ad aver capito che per aver chiaro cosa dice l’Apocalisse bisogna aver chiaro cosa dicono i profeti dell’Antico Testamento e in particolare il libro di Daniele.

 

Capitolo 2

Tre anni e mezzo

Perché proprio il libro di Daniele?

“Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; egli giunse fino al vegliardo e fu fatto avvicinare a lui; gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14).

Questa visione descrive il Messia trionfante che regna per sempre. Gesù riferisce questo brano biblico al suo ritorno in gloria.

“Subito dopo la tribolazione di quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più il suo splendore, le stelle cadranno dal cielo e le potenze dei cieli saranno scrollate. Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli” (Matteo 24:29-31).

Gesù dice apertamente che ciò accadrà “dopo la tribolazione di quei giorni”.

Torniamo in Daniele. Qui la visione viene interpretata da un angelo, che dice:

“La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, sorgerà un altro re, che sarà diverso dai precedenti e abbatterà tre re. Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:23-27).

Apprendiamo, quindi, che vi sarà un periodo che precederà l’avvento del Messia che vedrà l’exploit di un “regno” al capo del quale vi sarà un individuo che perseguiterà i santi, i credenti. Questo ultimo periodo della storia dell’umanità durerà: “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”.

In italiano non abbiamo il duale. In altre lingue si e fra queste l’originale ebraico/aramaico di Daniele. Quindi “un tempo” equivale ad un anno, “dei tempi”, sono due anni e “la metà di un tempo” sono sei mesi. Questo tempo di sofferenza che precederà il ritorno del Cristo sarà quindi di tre anni e mezzo.

Abbiamo qui una chiave di lettura molto importante per capire il “quando” degli eventi descritti nell’Apocalisse. Infatti, tutte le cose terribili che vengono lì descritte, accadono in un periodo ben preciso, descritto con terminologie diverse e in più punti del libro.

“Ma alla donna furono date le due ali della grande aquila affinché se ne volasse nel deserto, nel suo luogo, dov’è nutrita per un tempo, dei tempi e la metà di un tempo, lontana dalla presenza del serpente” (Apocalisse 12:14).

La donna del capitolo 12 di Apocalisse è Israele. (Alcuni dicono sia la Chiesa, ma è così. Ne parleremo più avanti). La donna viene perseguitata come è scritto in Daniele 7, per un periodo che è lo stesso: “un tempo, dei tempi e la metà di un tempo”. Ma questa espressione copre davvero un periodo di tre anni e mezzo come abbiamo supposto interpretando Daniele?

Sembra che l’autore dell’Apocalisse immagini che qualche dubbio sarebbe nato nei fruitori del suo testo, per la maggior parte non ebrei. Per questo troviamo diversi modi di indicare questo lasso di tempo, e ciò toglie ogni dubbio.

“… ma il cortile esterno del tempio, lascialo da parte, e non lo misurare, perché è stato dato alle nazioni, le quali calpesteranno la città santa per quarantadue mesi” (Apocalisse 11:2).

“E le fu dato potere di agire per quarantadue mesi” (Apocalisse 13:5).

Quarantadue mesi sono proprio tre anni e mezzo: 12 + 12 + 12 + 6.

E se non fossimo ancora convinti.

Io concederò ai miei due testimoni di profetizzare, ed essi profetizzeranno vestiti di sacco per milleduecentosessanta giorni”: 360 + 360 + 360 + 180 = 1260. Come vediamo qui i giorni dell’anno vengono arrotondati (come accade nell’ “anno commerciale”) o comunque il tempo del ministero di questi due testimoni sarà di poco inferiore ai tre anni e mezzo del nostro calendario, che corrispondono a 1278 giorni se non vi sono in mezzo anni bisestili.

Vediamo come meravigliosamente la Scrittura interpreta la Scrittura?

Ora cerchiamo di applicare ciò che abbiamo imparato raffrontando Daniele, Matteo 24:29-31 e Apocalisse.

Poco prima del ritorno di Cristo vi sarà un regno:

“diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà” (Daniele 7:23).

Esso agirà contro il popolo di Dio:

“Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre. Allora il regno, il potere e la grandezza dei regni che sono sotto tutti i cieli saranno dati al popolo dei santi dell’Altissimo; il suo regno è un regno eterno, e tutte le potenze lo serviranno e gli ubbidiranno” (Daniele 7:25-26). 

Esso agirà per tre anni e mezzo.

Alla fine di quel periodo, il Figlio dell’uomo con i santi riceveranno il regno.

“ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo” […] al quale “furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto” (Daniele 7:13-14).

Gesù conferma che ciò parla della sua venuta alla fine dei tempi, quando tornerà per regnare.

“Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria. E manderà i suoi angeli con gran suono di tromba per riunire i suoi eletti dai quattro venti, da un capo all’altro dei cieli” (Matteo 24:30-31). 

Alle sue parole fanno eco quelle dell’Apocalisse.

“Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà; lo vedranno anche quelli che lo trafissero, e tutte le tribù della terra faranno lamenti per lui. Sì, amen” (Apocalisse 1:7).

Vediamo che meravigliosa armonia nella Scrittura?

Per costruire una solida esegesi, per capire un testo biblico, dobbiamo prima trovare i punti fermi, i pilastri, nel contesto dell’intera Rivelazione, sui quali poggiare la nostra interpretazione.

Quindi, un periodo di tre anni e mezzo vedrà un regno perseguitare i santi, ma alla fine il Cristo che ritorna lo distruggerà e, proprio con i suoi santi, comincerà a regnare.

 

Capitolo 3

Le Settanta Settimane di Daniele

Ho scritto più volte sulle Settanta settimane, la meravigliosa profezia che troviamo al capitolo 9 del libro del profeta Daniele. Non si tratta di un brano di facile lettura, ma la sua comprensione sarà molto importante per la maniera in cui stiamo procedendo nell’analisi del libro dell’Apocalisse. Si dimostrerà un tassello prezioso del quadro che stiamo provando ad illustrare.

Innanzi tutto diciamo che l’oggetto di questa profezia è un periodo di 490 anni e che il soggetto è il popolo di Israele e la santa città, Gerusalemme:

“Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e la santa città” (Daniele 9:24).

Il collegamento con il libro dell’Apocalisse è evidente nel fatto che “…l’ultima settimana che vi sarà alla fine del mondo intero”, cioè gli ultimi sette anni di questa profezia sono proprio quelli narrati nel libro dell’Apocalisse. La citazione che ho ripreso qui sopra è tratta dal testo di un autore cristiano che visse fra il 170 e il 236 d.C., Ippolito, il quale ha commentato il libro di Daniele. Egli ha anche scritto un libro intitolato “Su Cristo e l’Anticristo”. Ciò per dire che l’interpretazione messianica di queste Scritture è propria della Chiesa già dagli albori.

Andiamo a vedere in dettaglio la profezia di Daniele e colleghiamola al libro dell’Apocalisse.

La profezia delle cosiddette Settanta Settimane è celebrata come una delle più stupende prove dell’ispirazione della Scrittura da alcuni, sottoposta ad ogni tipo di attacco per trovare una spiegazione alternativa all’intervento soprannaturale dello Spirito Santo da altri. Essa è particolarmente importante per noi cristiani. Infatti è una delle più straordinarie predizioni dell’Antico Testamento che ci conferma che Gesù è veramente il Messia promesso.

Il testo dalla Nuova Diodati:

24Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città, per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo.

25Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane; essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi.

26Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui. E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni. 27Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore»”. (Daniele 9:24-27)

Perché utilizzo la versione Nuova Diodati anziché la Nuova Riveduta? Se leggete quest’ultima versione, la scelta di tradurre “un unto” piuttosto che “il Messia”, come fanno Diodati e la Nuova Diodati, è forse tecnicamente corretta, ma mette fuori strada il lettore comune, non facendogli percepire che ci troviamo davanti ad una profezia messianica. Ciò facendo la Nuova Riveduta non rende giustizia al senso del testo biblico, schiaccia l’occhio ad una certa visione liberale di questo brano in particolare e, quindi, rinnega un’interpretazione che ha riguardato la Chiesa dall’apostolo Giovanni in avanti.

Esaminiamo la profezia frase per frase, sebbene non scenderemo in dettagli non necessari ai nostri scopi.

Settanta settimane sono stabilite

La parola ebraica originale qui tradotta con “settimane” indica in realtà un “gruppo di sette” in senso generico, come nella nostra lingua una “diecina” indica un raggruppamento di dieci, o “dozzina” un raggruppamento di dodici elementi. Basta dare un’occhiata ad altre parti dell’Antico Testamento per avere la certezza che in questo brano “settanta settimane” significa “settanta volte un gruppo di sette anni”, in parole povere 490 anni. (Vedi Levitico 25:8 e Genesi 29:26-28).

per il tuo popolo e per la tua santa città

Il soggetto della profezia è il popolo di Dio, Israele e la città di Gerusalemme. Gli errori di molti nell’interpretazione di questo brano vengono dal fatto che tralasciano questo dettaglio e riferiscono gli eventi predetti ad altri che non siano Israele e Gerusalemme.

per far cessare la trasgressione, per mettere fine al peccato, per espiare l’iniquità, per far venire una giustizia eterna, per sigillare visione e profezia e per ungere il luogo santissimo.

È ovvio che il punto finale della profezia sia l’avvento del regno di Dio promesso nelle Scritture ebraiche. È il punto di arrivo anche per le altre profezie contenute in Daniele, al capitolo 2 e 7.

Sappi perciò e intendi che da quando è uscito l’ordine di restaurare e ricostruire Gerusalemme fino al Messia, il principe, vi saranno sette settimane e altre sessantadue settimane;

La profezia cita qui un evento storico ben preciso, inequivocabilmente richiamato nella stessa Scrittura, nei primi capitoli del libro di Neemia. Fu infatti il re persiano Artaserse che permise la ricostruzione della città di Gerusalemme. Siamo intorno all’anno 445 a.C. Sessantanove settimane di anni separano quindi gli ordini impartiti da Artaserse fino alla comparsa del Messia, il Principe. Sessantanove settimane (69×7=483) equivalgono a 483 anni.

Non facciamoci prendere dalla tentazione di perderci in calcoli in questa sede totalmente ininfluenti. Computando 483 anni dal 445 a.C., giungiamo comunque nella terza decade del primo secolo d.C. Senza affaticarci troppo nel cercare un adempimento matematico all’interno del nostro calendario (Gregoriano) possiamo dire che l’avverarsi della profezia in Cristo Gesù è comunque certa. Infatti è sotto gli occhi di tutti che nel periodo individuato dalla profezia, non vi è stato nessun altro individuo al quale sia stato con altrettanto consenso attribuito il titolo di Messia – o Cristo, che è la traduzione in greco del termine ebraico – come è avvenuto per Gesù di Nazareth.

È meraviglioso contemplare con quanta precisione le Scritture abbiano previsto l’arrivo del Messia!

essa sarà nuovamente ricostruita con piazza e fossato, ma in tempi angosciosi.

La città di Gerusalemme venne ricostruita con grande difficoltà. Era stata distrutta dal re babilonese Nabucodonosor nel 586 a.C. Il re persiano Ciro che aveva in seguito invaso e conquistato la Babilonia, aveva promulgato un editto con il quale aveva permesso il rientro in patria ai popoli deportati dalla furia babilonese. Fra questi vi era anche il popolo ebraico. Ma fu, anni dopo, l’editto di Artaserse, che ho già citato, a consentire ad Israele di riedificare la città. È ancora nel libro di Neemia che apprendiamo delle difficoltà che Israele dovette affrontare per ricostruire la propria capitale e riappropriarsi della propria identità di nazione.

Dopo le sessantadue settimane il Messia sarà messo a morte e nessuno sarà per lui.

Poco tempo dopo l’inizio del suo ministero, circa tre anni dopo il suo battesimo, Gesù dichiara apertamente di essere il Messia, entrando in Gerusalemme con tutti gli onori regali ed avverando brani specifici delle Scritture come chiaro segno messianico per gli uomini del suo tempo. Il risultato è la sua reiezione. Nessuno infatti difenderà la sua causa davanti alle autorità ebraiche e romane. L’arresto di Gesù fu illegale, illegale il suo processo e, sebbene nessuna sua colpa fosse dimostrabile, venne condannato a morte e la sentenza venne eseguita con grandissima premura.

Anche questa parte della profezia delle Settanta Settimane si è già adempiuta alla lettera!

E si può essere adempiuta solo in Gesù, in quanto, come è storicamente risaputo, in quel periodo non è nota l’ingiusta condanna a morte di alcun altro “Messia”.

E il popolo di un capo che verrà distruggerà la città e il santuario; la sua fine verrà con un’inondazione, e fino al termine della guerra sono decretate devastazioni

Ancora un altro adempimento straordinario.

Un solo evento storico può infatti riferirsi a questa profezia: la distruzione della città e del tempio ad opera dell’esercito romano condotto dal futuro imperatore Tito nel 70 d.C.

Il tempio e la città di Gerusalemme sono stati distrutti solo due volte nella storia dello stato di Israele: nel 586 a.C., come abbiamo detto, e nel 70 d.C. Chi cerca di spiegare in altro modo le parole di questa profezia lo fa quasi, mi azzarderei a dire, per disperazione, per paura di dover ammettere la natura soprannaturale della Parola di Dio e per conseguenza la sua autorità spirituale. La distruzione di Gerusalemme si è verificata proprio dopo l’uccisione e la reiezione del Messia, come è stato anticipato a Daniele quasi cinquecento anni prima che ciò accadesse.

Sono da anni un appassionato studioso di storia antica. Inoltre da piccolo ero letteralmente innamorato della matematica, a tal punto che ne studiavo dei libri per conto mio e facevo esercizi di algebra la domenica pomeriggio per passare il tempo. Da un punto di vista squisitamente storico e matematico, io sostengo – aspetto di essere smentito – che la probabilità che altri eventi storici, dei quali tra l’altro si sarebbe persa la memoria, possano soddisfare tutti i dettagli di questa profezia, già avveratisi perfettamente con gli eventi sopra descritti che confermano che Gesù è il Messia, è teoricamente e praticamente uguale a ZERO.

Da questo punto in avanti, la profezia descrive eventi che sono anche per noi futuri e che avranno luogo poco prima del ritorno del Signore Gesù, da lui stesso promesso ai credenti.

Egli stipulerà pure un patto con molti per una settimana, ma nel mezzo della settimana farà cessare sacrificio e oblazione; e sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore, finché la totale distruzione, che è decretata, sarà riversata sul devastatore.

Adesso domando la totale attenzione del lettore.

Dal testo capiamo che un certo individuo stipulerà un patto con il popolo di Israele. Chi è? “Egli” va inteso come il “capo che verrà” citato al verso precedente, quando è detto che il suo popolo, i romani, avrebbero distrutto città e tempio di Gerusalemme.

Egli è il primo cavaliere dell’Apocalisse. La sua ascesa segnerà l’inizio degli ultimi sette anni visti profeticamente da Daniele.

“Guardai e vidi un cavallo bianco. Colui che lo cavalcava aveva un arco; e gli fu data una corona, ed egli venne fuori da vincitore, e per vincere” (Apocalisse 6:2).

A metà dei sette anni questo individuo farà cessare il sacrificio offerto in base al culto ebraico nel tempio di Gerusalemme e profanerà personalmente il tempio finché non verrà distrutto.

Quindi arriverà la giustizia eterna, si avvereranno visione e profezia, e il tempio di Gerusalemme, mediante l’unzione del luogo santissimo, verrà consacrato durante il regno del Messia, il Cristo vittorioso, che distruggerà personalmente questo nemico del suo popolo che ha osato profanare il tempio di Dio e perseguitare il suo popolo.

Questa profezia riguarda il popolo di Israele e la città di Gerusalemme. Abbiamo letto al verso 24 la premessa: “Settanta settimane sono stabilite per il tuo popolo e per la tua santa città”.

La profezia non riguarda la Chiesa. Questo spiega il lungo silenzio ed è per questo che gli ultimi sette anni riguardano la persecuzione finale contro Israele, che avrà luogo immediatamente prima della manifestazione del Messia che ancora oggi Israele attende.

In questa prospettiva sono davvero meravigliose le parole dello studioso ebreo Pincas Lapide che riporto spesso quando parlo di profezie bibliche.

“… dato che nessun ebreo sa chi sia il Messia venturo, mentre voi credete di conoscere con sicurezza la sua identità, io non potrò opporre alla vostra certezza un ‘no’, ma soltanto un modesto punto interrogativo. Sono dunque disposto ad attendere che venga colui che deve venire, e se questi fosse Gesù di Nazaret ritengo che nemmeno un ebreo che creda in Dio avrebbe la benché minima obiezione da muovere”. Pinchas Lapide e Jurgen Moltmann, Monoteismo ebraico – dottrina trinitaria cristiana, Queriniana, p.71”.

Capitolo 4

Le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno

Alla luce di quanto abbiamo detto è chiaro che l’Apocalisse tratta di eventi non ancora accaduti, è uno sguardo a ciò che anche per noi oggi – almeno mentre scrivo questo studio – è futuro.

Del resto non si sono avverate molte altre profezie bibliche dell’Antico Testamento e anche del Nuovo che concernono il ritorno di Cristo e gli eventi che lo precederanno.

L’Apocalisse possiede una chiave di lettura molto semplice. A Giovanni infatti, viene detto apertamente:

“Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito” (Apocalisse 1:19)

Questo schema è talmente semplice che è facilissimo dividere i contenuti del libro in tre parti.

Le cose che hai visto – la visione Capitolo 1
Le cose che sono – il  presente Capitoli 2 e 3
Le cose che devono avvenire in seguito – il futuro Capitoli da 4 a 22

La Nuovissima Versione della Bibbia, un’edizione cattolica, nella versione, per il libro dell’Apocalisse, di Angelo Lancellotti, traduce così: “Metti in iscritto le cose che vedrai, sia quelle riguardanti il presente, come quelle che accadranno dopo di esse”. Non è di certo una traduzione letterale, ma la riporto perché, sebbene questo traduttore sia per un approccio razionalistico al testo dell’Apocalisse, si trova costretto a dover tradurre ciò che il testo dice: le parole della profezia sono riservate ad un tempo futuro rispetto a quando Giovanni ha la sua visione a Patmos, nel 95-96 d.C.

Leggiamo insieme il primo capitolo dell’Apocalisse – “le cose che hai visto” citate per prime nell’ordine della visione avuta da Giovanni.

Non facciamoci intimidire dalla complessità del testo, ma gioiamo per ciò che capiamo, cercando di custodire quanto ci è oscuro per quando riusciremo a capire di più.

La Rivelazione di Gesù Cristo, che Dio gli ha dato per mostrare ai suoi servi le cose che devono accadere rapidamente e che egli ha fatto conoscere, mandandola per mezzo del suo angelo, al suo servo Giovanni, 2il quale ha testimoniato la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, e tutte le cose che ha visto.

La parola Rivelazione è la traduzione di quella greca, ᾿Αποκάλυψις (si legge Apocalipsis) che, traslitterata, ha dato origine al nome in italiano di questo libro che ci è più familiare, Apocalisse. In senso “apocalittico”, termine ormai divenuto tecnico per questo genere letterario, Rivelazione implica una visione e la sua interpretazione e possiamo ricollegarlo già alle parole del profeta Daniele: “c’è un Dio nel cielo che rivela i misteri” (Daniele 2:28).

Le parole che aprono Apocalisse vanno intese proprio in questo senso. Tipica del genere apocalittico è anche la presenza di un angelo che guida colui che ha la visione e spiega gli eventi che si susseguono.

Difficile pensare che il Giovanni qui menzionato non sia l’apostolo, come fanno alcuni. Quando tempo fa investigai la cosa, rimasi colpito dalle prove rintracciabili nella chiesa antica a conferma di tale attribuzione – alcune le ho citate.

 3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e serbano le cose che vi sono scritte, perché il tempo è vicino.

I testi nell’antichità venivano letti a voce alta – come oggi del resto accade in chiesa. E quindi, l’autore del libro estende la benedizione a chi legge, a chi ascolta, ma forse soprattutto a chi “serba” le parole di questa profezia. A chi, cioè, ne fa tesoro e vive nella maniera che impone conoscere certe profonde verità.

La frase “il tempo è vicino” è oggetto di controversia. Ma se ne equipariamo il senso all’espressione: “Vegliate dunque, perché non sapete né il giorno né l’ora” (Matteo 25:13) allora comprenderemo cosa implica nella pratica. Perché la Bibbia è un libro pratico, non un testo di filosofia con nozioni astratte.  Ogni cosa che leggiamo nella Bibbia ha come fine produrre un cambiamento. È l’idea che il ritorno di Cristo, la fine del mondo e il giudizio non siano “imminenti” che dà la falsa impressione che vi sia tempo per ravvedersi, che si può ancora vivere come si vuole – come se il giudizio invece non fosse alle porte per ogni uomo: è lontano un mero respiro. Al contrario, l’idea che il giudizio sia imminente, che cioè non sappiamo quando, anzi, che forse proprio quando meno ce l’aspettiamo il giudizio busserà alla nostra porta, ci stimolerà a vivere questa vita in ragione dell’eternità.

4Giovanni, alle sette chiese che sono nell’Asia: grazia a voi e pace da colui che è, che era e che ha da venire, e dai sette spiriti che sono davanti al suo trono, 5e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dai morti e il Principe dei re della terra. A lui, che ci ha amati, ci ha lavati dai nostri peccati nel suo sangue, 6e ci ha fatti re e sacerdoti per Dio e Padre suo, a lui sia la gloria e il dominio nei secoli dei secoli. Amen.

7Ecco, egli viene con le nuvole e ogni occhio lo vedrà, anche quelli che lo hanno trafitto; e tutte le tribù (gli abitanti) della terra faranno cordoglio per lui. Sì, amen.

I primi destinatari dell’Apocalisse furono sette chiese che si trovavano in Asia minore, l’odierna Turchia.

Se mi dovessi soffermare sulla profonda cristologia di questi brani, che ho esaminato altrove, ci perderemmo. Mi manterrò allo scopo primo di questo libro, cioè esaminare il dato escatologico dell’Apocalisse.

Il verso 7 è importantissimo. Il richiamo a Daniele 7 è evidente. Ma c’è di più. Guardiamo come il ritorno di Cristo fu previsto nell’Antico Testamento e preannunciato da Gesù stesso.

Matteo 26:63-63: “E il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro per il Dio vivente di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”. Gesù gli rispose: “Tu l’hai detto; anzi vi dico che da ora in poi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza, e venire sulle nuvole del cielo””. 

Zaccaria 12:8-10: “In quel giorno il SIGNORE proteggerà gli abitanti di Gerusalemme; colui che fra loro vacilla sarà, in quel giorno, come Davide; la casa di Davide sarà come Dio, come l’angelo del SIGNORE davanti a loro. In quel giorno, io avrò cura di distruggere tutte le nazioni che verranno contro Gerusalemme. “Spanderò sulla casa di Davide e sugli abitanti di Gerusalemme lo Spirito di grazia e di supplicazione; essi guarderanno a me, a colui che essi hanno trafitto, e ne faranno cordoglio come si fa cordoglio per un figlio unico, e lo piangeranno amaramente come si piange amaramente un primogenito”.

Daniele 7:13-14: “Io guardavo, nelle visioni notturne, ed ecco venire sulle nuvole del cielo uno simile a un figlio d’uomo; […] e gli furono dati dominio, gloria e regno, perché le genti di ogni popolo, nazione e lingua lo servissero. Il suo dominio è un dominio eterno che non passerà, e il suo regno è un regno che non sarà distrutto. 

Matteo 24:30: “Allora apparirà nel cielo il segno del Figlio dell’uomo; e allora tutte le tribù della terra faranno cordoglio e vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nuvole del cielo con gran potenza e gloria”. 

Studio le profezie bibliche da oltre quarant’anni, ma ogni volta rimango meravigliato dall’inuguagliabile armonia e autorità della Parola di Dio.

8«Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e la fine», dice il Signore «che è, che era e che ha da venire, l’Onnipotente».

9Io Giovanni, vostro fratello e compagno nell’afflizione, nel regno e nella costanza di Cristo Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos, a motivo della Parola di Dio e della testimonianza di Gesù Cristo. 10Mi trovai nello Spirito nel giorno del Signore e udii dietro a me una forte voce, come di una tromba, 11che diceva: «Io sono l’Alfa e l’Omega, il primo e l’ultimo, e ciò che tu vedi scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese che sono in Asia: ad Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea». 12Io mi voltai per vedere la voce che aveva parlato con me. E, come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro 13e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un Figlio d’uomo, vestito d’una veste lunga fino ai piedi e cinto d’una cintura d’oro al petto. 14Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come bianca lana, come neve, e i suoi occhi somigliavano ad una fiamma di fuoco. 15I suoi piedi erano simili a bronzo lucente, come se fossero stati arroventati in una fornace e la sua voce era come il fragore di molte acque. 16Egli aveva nella sua mano destra sette stelle e dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, acuta, e il suo aspetto era come il sole che risplende nella sua forza. 17Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli mise la sua mano destra su di me, dicendomi: «Non temere! Io sono il primo e l’ultimo, 18e il vivente; io fui morto, ma ecco sono vivente per i secoli dei secoli, amen; e ho le chiavi della morte e dell’Ades. 19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che stanno per accadere dopo queste, 20il mistero delle sette stelle che hai visto nella mia destra e quello dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri che hai visto sono le sette chiese».

Abbiamo così visto cosa accade nella prima divisione del libro, quando Giovanni scrive le cose che “ha visto”. Anche qui lo sguardo è sempre rivolto avanti, al ritorno di Cristo, tema dell’Apocalisse e speranza dei credenti.

Dice l’angelo a Giovanni, “La testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia” (Apocalisse 19:10) e la chiusa del libro: “Amen! Vieni, Signore Gesù!” (Apocalisse 22:20).

Capitolo 5

2 Tessalonicesi e la profanazione del tempio di Gerusalemme

Abbiamo visto che Daniele 7 parla di un regno che sorgerà poco prima del ritorno di Cristo – per Israele, poco prima dell’avvento del Messia. La durata della sua persecuzione contro i santi di Dio durerà tre anni e mezzo. Abbiamo visto che questi tre anni e mezzo altro non sono che la seconda parte dell’ultima settimana di anni di Daniele.

Abbiamo visto come tutto ciò combacia affiancando i testi di Daniele e dell’Apocalisse e trova riscontro nelle parole di Gesù.

Adesso incastoneremo quanto sappiamo con le parole di Paolo ai Tessalonicesi. Si tratta di un dettaglio importante, che va a rendere ancora più nitida l’immagine che stiamo cercando di rappresentare.

La premessa che fa l’apostolo è significativa.

“Noi dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, com’è giusto, perché la vostra fede cresce in modo eccellente, e l’amore di ciascuno di voi tutti per gli altri abbonda sempre di più;  4in modo che noi stessi ci gloriamo di voi nelle chiese di Dio, a motivo della vostra costanza e fede in tutte le vostre persecuzioni e nelle afflizioni che sopportate.  5Questa è una prova del giusto giudizio di Dio, perché siate riconosciuti degni del regno di Dio, per il quale anche soffrite.  6Poiché è giusto da parte di Dio rendere a quelli che vi affliggono, afflizione;  7e a voi che siete afflitti, riposo con noi, quando il Signore Gesù apparirà dal cielo con gli angeli della sua potenza, 8in un fuoco fiammeggiante, per far vendetta di coloro che non conoscono Dio, e di coloro che non ubbidiscono al vangelo del nostro Signore Gesù.  9Essi saranno puniti di eterna rovina, respinti dalla presenza del Signore e dalla gloria della sua potenza,  10quando verrà per essere in quel giorno glorificato nei suoi santi e ammirato in tutti quelli che hanno creduto, perché la nostra testimonianza in mezzo a voi è stata creduta.11Ed è anche a quel fine che preghiamo continuamente per voi, affinché il nostro Dio vi ritenga degni della vocazione e compia con potenza ogni vostro buon desiderio e l’opera della vostra fede, 12in modo che il nome del nostro Signore Gesù sia glorificato in voi, e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e Signore Gesù Cristo” (2 Tessalonicesi 1:2-13).

Al ritorno di Cristo l’umanità verrà giudicata e la nostra sofferenza verrà ripagata: è il motivo della nostra speranza. Il bene che ci sforziamo di fare, spesso in questo mondo non viene compreso, viene visto con sospetto o diventa addirittura solo un motivo per odiarci. Mai come in questo periodo la Chiesa è perseguitata. In Cina, nord Korea, nei paesi arabi, in alcuni paesi africani. Ma al ritorno di Cristo la situazione sarà ribaltata: chi opera il male sarà certamente punito e chi avrà fatto bene ed avrà obbedito al Vangelo entrerà nel riposo di Dio.

Questa premessa è fondamentale e dà senso a tutto questo argomento che stiamo trattando. Infatti, Dio non ci dice del futuro per fare di noi dei profeti, ma per confortarci, per assicurarci che un giorno verrà stabilita la vera giustizia. Abbiamo anche un monito da presentare ad un mondo lontano da Dio: ravvedetevi. Adesso fate ciò che volete e vi illudete di scampare al giudizio. E magari a quello umano scamperete. Ma non a quello divino. Questo monito non nasce da uno spirito di vendetta, ma dall’amore: chiunque si ravvede troverà infatti grazia presso Dio. Chi fa il male si ravveda finché è in tempo e cerchi Cristo per la propria salvezza!

Paolo continua a scrivere ai tessalonicesi.

“Ora, fratelli, circa la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui, vi preghiamo di non lasciarvi così presto sconvolgere la mente, né turbare sia da pretese ispirazioni, sia da discorsi, sia da qualche lettera data come nostra, come se il giorno del Signore fosse già presente” (2 Tessalonicesi 2:1-2).

Qualcuno aveva insinuato una qualche menzogna, magari scrivendo una lettera e spacciandola per opera di Paolo. Il tema è “la venuta del Signore nostro Gesù Cristo e il nostro incontro con lui” e adesso Paolo ripete ciò che aveva già in precedenza detto a questa chiesa quando si trovava fra loro, in persona. Le sue parole servono anche a noi, per completare ulteriormente il quadro che stiamo illustrando e per non incorrere in errori dovuti alla poca conoscenza o all’influenza di cattivi interpreti della Parola di Dio.

“Nessuno vi inganni in alcun modo; poiché quel giorno non verrà se prima non sia venuta l’apostasia e non sia stato manifestato l’uomo del peccato, il figlio della perdizione, l’avversario, colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto; fino al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio” (2 Tessalonicesi 2:3-4).

Non possiamo essere confusi. Non possiamo avere dubbi sul fatto che Cristo sia già tornato, come alcuni dicono! Vi saranno dei segni inequivocabili che precederanno il ritorno del Signore. Sono illustrati in Apocalisse dal capitolo 4 al 19, in Daniele 7 e 9. Qui ci viene confermato.

Prima di tutto verrà l’Apostasia. Cosa sia lo dice lo stesso Paolo.

“Ma lo Spirito dice esplicitamente che nei tempi futuri alcuni apostateranno dalla fede, dando retta a spiriti seduttori e a dottrine di demòni, sviati dall’ipocrisia di uomini bugiardi, segnati da un marchio nella propria coscienza”     (1 Timoteo 4:1-2).

Poi si manifesterà un individuo che Paolo descrive con termini forti:

uomo del peccato

figlio della perdizione

avversario

colui che s’innalza sopra tutto ciò che è chiamato Dio od oggetto di culto

al punto da porsi a sedere nel tempio di Dio, mostrando sé stesso e proclamandosi Dio

Teniamo ben presente che quando Paolo scrisse questa epistola il tempio di Gerusalemme non era ancora stato distrutto.

Nel lento progresso che stiamo facendo, credo sia giunto il momento di dare un nome ben preciso a questa figura.

Leggiamo così nella prima epistola di Giovanni:

 “Come avete udito, l’anticristo deve venire…” (1 Giovanni 2:18).

Nel testo greco originale la parola di Paolo in Tessalonicesi  tradotta “avversario” e “anticristo”, che è una traslitterazione del greco, hanno in comune l’indicazione della contrapposizione anti[1]. “Avversario” è un termine più generico, ma completa una descrizione piuttosto ampia che dà l’apostolo. “Anticristo” è invece più specifico e riguarda la contrapposizione al Cristo.

Di particolare interesse è una sua azione spregevole: si siederà egli stesso nel tempio di Dio dicendo di essere Dio, ciò al culmine della sua scellerata carriera.

Andiamo in Daniele e vediamo che nella descrizione di questo ultimo avversario troviamo parole che perfettamente coincidono e concorrono a completare la descrizione data da Paolo:

“pronunziava parole arroganti” (Daniele 7:8)

“Egli parlerà contro l’Altissimo, affliggerà i santi dell’Altissimo, e si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge; i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei tempi e la metà d’un tempo. Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre” (Daniele 7:25-26).

In Daniele 7 questo “re” viene distrutto per dare inizio al regno del Figlio dell’Uomo e dei santi – Daniele 7:13-14, 18, 22, 26-27.

Notiamo anche il collegamento con Daniele 9:27, “in mezzo alla settimana farà cessare sacrificio e offerta” con Daniele 7:25, “si proporrà di mutare i giorni festivi e la legge”. Questo riferimento riguarda il popolo di Israele e il suo culto a Dio.

Egli vorrà mutare l’essenza della fede ebraica e farà cessare il sacrificio e l’offerta previsti dal servizio nel tempio e ciò farà, nella sua follia, in quanto egli stesso si siederà nel tempio di Gerusalemme e proclamerà di essere Dio. In maniera figurata lo dice anche Daniele 9:27, che dopo aver detto che questo individuo “farà cessare sacrificio e offerta” aggiunge che il tempio sarà profanato: “sulle ali delle abominazioni verrà un devastatore”.

Ci rendiamo conto di quale meravigliosa armonia esista nel dato profetico rivelato nei vari libri della Bibbia?

Qualche legittima perplessità su questa interpretazione viene dal fatto che oggi non esiste più il tempio di Gerusalemme. Quando gli uomini di Dio dei tempi che ci hanno preceduto interpretavano la Scrittura così come la leggiamo, certi che la Bibbia non mente e che ciò che è scritto avverrà, non facendo dipendere la propria interpretazione dalla miopia che può condizionarci in base ai tempi nei quali viviamo. Oggi, che davanti ai nostri occhi le profezie bibliche sugli ultimi tempi cominciano ad avverarsi, per noi è molto più facile.

In Israele sono già in fase avanzata i piani per la costruzione del terzo tempio. Il 12 febbraio ho visualizzato questo video che descrive il nuovo tempio,

https://www.israelnationalnews.com/news/198621

Questo un sito italiano dove viene discusso lo stesso articolo in inglese (che presento perché più completo),

Procede la ricostruzione del Terzo Tempio in Israele

Continuiamo con l’epistola di Paolo, perché la sua esposizione è tutt’altro che conclusa. Anzi, comincia adesso la parte migliore.

Il male infatti non trionferà che per un tempo limitato. Per questo viene comunicato il tempo esatto del regno di terrore dell’Anticristo, tre anni e mezzo. Ed è bellissimo vedere il contrasto, che motiva i nostri sacrifici e la nostra resistenza alla persecuzione, quando leggiamo che “i santi dell’Altissimo riceveranno il regno e lo possederanno per sempre, eternamente” (Daniele 7:18).

Paolo specifica chiaramente che l’Anticristo verrà distrutto da Gesù stesso, al suo ritorno:

“il Signore Gesù (lo) distruggerà con il soffio della sua bocca, e annienterà con l’apparizione della sua venuta”      (2 Tessalonicesi 2:8).

Anche questo è in perfetta armonia con gli altri brani profetici della Scrittura che stiamo considerando.

“Io guardavo ancora, a motivo delle parole arroganti che il corno pronunziava; guardai fino a quando la bestia fu uccisa e il suo corpo distrutto, gettato nel fuoco per essere arso” (Daniele 7:11).

Apocalisse 19 descrive il ritorno di Cristo in maniera da ampliare la descrizione di 2 Tessalonicesi 2:8.

“Ma la bestia fu presa, e con lei fu preso il falso profeta che aveva fatto prodigi davanti a lei, con i quali aveva sedotto quelli che avevano preso il marchio della bestia e quelli che adoravano la sua immagine. Tutti e due furono gettati vivi nello stagno ardente di fuoco e di zolfo” (Apocalisse 19:20).

Sarà allora che i credenti entreranno davvero e completamente nel loro riposo, regnando con Cristo e vivendo, risuscitati dal Cristo al suo ritorno, per sempre con lui.

 

Capitolo 6

La bestia di Daniele e quella dell’Apocalisse.

In Daniele 7 il profeta vede quattro bestie, ma si sofferma in particolare sulla quarta. Egli la descrive, evitandoci il problema di dover comprendere il senso del simbolismo.

“Ed egli mi disse: “La quarta bestia è un quarto regno sulla terra, diverso da tutti i regni, che divorerà tutta la terra, la calpesterà e la frantumerà. Le dieci corna sono dieci re che sorgeranno da questo regno; e dopo quelli, sorgerà un altro re, che sarà diverso dai precedenti” (Daniele 7:23-24).

Questo regno è quello che precederà immediatamente il ritorno di Cristo, l’istaurarsi del regno del Messia.

“Poi si terrà il giudizio e gli sarà tolto il dominio; verrà distrutto e annientato per sempre” (Daniele 7:26).

Anche in Apocalisse si parla di una bestia (Apocalisse 13). E anche questa viene distrutta dal Cristo che ritorna (Apocalisse 19).

Se si parla dello stesso “regno” con a capo lo stesso individuo le due descrizioni, in Daniele e in Apocalisse, devono combaciare. Vediamo se è vero.

Amo il finale del capitolo 12 di Apocalisse, che, secondo me molto più correttamente, si trova all’inizio del capitolo 13 nelle versioni in inglese della Bibbia, dove non esiste il verso 18 del capitolo 12. Lo trovo molto significativo, forte, con un grande potere descrittivo.

Dopo tutto ciò che è successo fino a quel momento e la visione sconvolgente della donna perseguitata dal Dragone, Giovanni si ferma, in riva al mare. Il mare è il Mediterraneo[2]. Qui vede qualcosa di mostruoso.

Giovanni:

“mi fermai sulla sabbia del mare e vidi salire dal mare una bestia” (Apocalisse 12:8-13:1).

Daniele:

“Io guardavo nella mia visione, di notte, ed ecco, i quattro venti del cielo squassavano il Mar Mediterraneo e quattro bestie salivano dal mare, una diversa dall’altra” (Daniele 7:2).

Daniele vede quattro bestie che simboleggiano quattro regni:

– la prima simile a un leone

– la seconda simile a un orso

– la terza simile a un leopardo

– la quarta diversa dalle precedenti.

Giovanni ci dà un indizio inequivocabile con il quale ci conferma che la sua descrizione riguarda la quarta bestia di Daniele.

Egli infatti ci dice che la bestia che egli vede è simile a un leopardo, con i piedi da orso, e la bocca di un leone.

Guardate che attenzione nei dettagli.

Daniele Giovanni
Leone Orso Leopardo Bestia

Giovanni vede l’ascesa della quarta bestia di Daniele e per lui, come il profeta dell’Antico Testamento, si trova davanti a un evento futuro. Ma le tre bestie che l’anno preceduta si trovano nel passato, quindi deve voltarsi indietro per vederle e infatti le cita nell’ordine esattamente inverso: leopardo, orso e leone.

Giovanni ci sta dicendo apertamente, sebbene con linguaggio “apocalittico” che la bestia della quale lui vede l’ascesa è la quarta vista da Daniele e descritta in Daniele 7.

Gli altri dettagli delle due descrizioni coincidono e Apocalisse a dire il vero approfondisce con cose taciute da Daniele.

Anche questo è perfettamente in armonia con la progressività dell’esposizione profetica della Scrittura.

In Daniele 7 infatti, il profeta parla dei quattro regni. Questa visione fa eco a quella di Daniele 2, che arricchisce di nuovi dettagli. Daniele 8 e seguenti ampliano la profezia del secondo e terzo regno, l’orso e il leopardo. La Scrittura lascia ad Apocalisse il compito di proseguire ed ampliare quanto detto da Daniele sulla quarta bestia.

Troviamo altre conferme di ciò che diciamo – se fosse ancora necessario.

Daniele:

“una quarta bestia spaventosa, terribile … e aveva dieci corna” (Daniele 7:7).

Giovanni:

“vidi salire dal mare una bestia che aveva dieci corna” (Apocalisse 13:1)

Daniele:

“egli proferirà parole contro l’Altissimo” (Daniele 7:25)

Giovanni:

“E le fu data una bocca che proferiva grandi bestemmie… per bestemmiare contro Dio, per bestemmiare il suo nome, il suo tabernacolo…” (Apocalisse 13:5-6).

Daniele:

“Perseguiterà i santi dell’Altissimo” (Daniele 7:25).

Giovanni:

“Le fu dato di fare guerra ai santi” (Apocalisse 13:7).

Daniele:

“La quarta bestia sarà un quarto regno sulla terra, che sarà diverso da tutti gli altri regni e divorerà tutta la terra…” (Daniele 7:23).

Giovanni:

“le fu dato autorità sopra ogni tribù, lingua e nazione” (Apocalisse 13:7).

Daniele:

“i santi saranno dati nelle sue mani per un tempo, dei (due) tempi e la metà di un tempo”, cioè 3 anni e mezzo (Daniele 7:25).

Giovanni:

“e le fu data podestà di operare per quarantadue mesi” (Apocalisse 13:5)

Vediamo che meravigliosa armonia del dato profetico? Capiamo adesso perché l’Apocalisse non è difficile da capire, non se è giustamente inquadrata all’interno del quadro escatologico più ampio che ricaviamo mettendo a confronto la Scrittura con la Scrittura. Così la Scrittura interpreta la Scrittura e abbiamo la certezza delle cose che stiamo studiando.

Daniele:

“guardai finché la bestia fu uccisa, e il suo corpo distrutto e gettato nel fuoco per essere arso” (Daniele 7:11)

Giovanni:

“la bestia fu presa e con lei il falso profeta (suo diabolico alter ego “religioso”) … furono gettati vivi nello stagno di fuoco” (Apocalisse 19:20).

Il ritorno di Cristo sarà il momento della resa dei conti con questo mondo malvagio. Allora si che la giustizia abiterà sulla terra e ogni cosa sarà fatta nuova.

Queste parole devono suscitare paura a un mondo senza Dio, che pensa di farla franca, ma che deve essere messo in guardia che non sarà così e invitato a ravvedersi. E devono dar pace e forza a chi spera in Cristo, anche in questa vita ovviamente, ma soprattutto per quella vera che gusteremo al suo ritorno, mentre adesso, in mezzo a tribolazioni e paure, riusciamo a malapena ad assaggiare e pregustare.

Capitolo 7

Le cose che sono

Come abbiamo visto, a Giovanni viene detto di scrivere le “cose che sono” e “quelle che saranno”.

Come è evidente dallo stesso libro dell’Apocalisse, le “cose che sono” le troviamo ai capitoli 2 e 3.

Il preludio è già presente in Apocalisse 1:9-20.

“Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, ero nell’isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù. Fui rapito dallo Spirito nel giorno del Signore, e udii dietro a me una voce potente come il suono di una tromba, che diceva: “Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese: a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatiri, a Sardi, a Filadelfia e a Laodicea”. Io mi voltai per vedere chi mi stava parlando. Come mi fui voltato, vidi sette candelabri d’oro e, in mezzo ai sette candelabri, uno simile a un figlio d’uomo, vestito con una veste lunga fino ai piedi e cinto di una cintura d’oro all’altezza del petto. Il suo capo e i suoi capelli erano bianchi come lana candida, come neve; i suoi occhi erano come fiamma di fuoco; i suoi piedi erano simili a bronzo incandescente, arroventato in una fornace, e la sua voce era come il fragore di grandi acque. Nella sua mano destra teneva sette stelle; dalla sua bocca usciva una spada a due tagli, affilata, e il suo volto era come il sole quando risplende in tutta la sua forza. Quando lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli pose la sua mano destra su di me, dicendo: “Non temere, io sono il primo e l’ultimo, e il vivente. Ero morto, ma ecco sono vivo per i secoli dei secoli, e tengo le chiavi della morte e dell’Ades. Scrivi dunque le cose che hai viste, quelle che sono e quelle che devono avvenire in seguito, il mistero delle sette stelle che hai viste nella mia destra, e dei sette candelabri d’oro. Le sette stelle sono gli angeli delle sette chiese, e i sette candelabri sono le sette chiese”.

[1] Questo uso del greco è sopravvissuto anche nella nostra lingua, in parole come antitesi, antitetico, antibiotico, anticonformista, ecc.

[2] La versione della Nuova Riveduta: “e si fermò sulla riva del mare” è errata.

Come vediamo dalla cartina, queste sette chiese erano tutte abbastanza vicine. Si trovavano in quella zona del mondo allora chiamata Asia, detta anche Asia minore, corrispondente alla Turchia odierna.

E adesso torniamo al nostro discorso iniziale. Come capiamo? In quale modo “comprendiamo” cosa dice la Scrittura.

Se facciamo un’analisi storica di quello che riguarda queste chiese, vedremo che i dettagli si incastonano perfettamente con quanto detto nel libro biblico. Vi era un messaggio per loro, specifico, diretto. Un messaggio che è stato inviato e che non sappiamo quanto e per quanto sia stato recepito.

Ho letto dei commentari dove tutto viene attentamente valutato. La situazione geopolitica di ogni città, quella sociale. È inoltre interessante approfondire le specifiche problematiche di ognuna. Tutto molto interessante, ma fuori tema per il modo in cui stiamo conducendo questo studio. La maniera in cui stiamo cercando di capire l’Apocalisse è diversa.

Quello che impariamo dalle lettere alle sette chiese, trascende l’esegesi letterale e circostanziale, legata al momento storico che l’Apocalisse comunque cristallizza.

Intanto, perché proprio sette?

Il numero sette ricorre così tante volte nella Bibbia che ognuno che la legge, anche senza essere uno studioso, sa quanto sia importante. È un numero che associamo a completezza, perfezione. Giovanni nel suo vangelo lo utilizza molto e lo stesso avviene qui.

Leggendo le sette lettere alle sette chiese, abbiamo un quadro che dipinge quella che è la situazione della Chiesa nel suo cammino storico. In ogni periodo, varie chiese hanno affrontato varie problematiche, ognuna le sue, diverse dalle altre. Alcune sono perseguitate, altre stanno bene, persino troppo bene. Alcune si inorgogliscono. Altre si annacquano nella dottrina. Quindi, le sette lettere, se ci guardiamo intorno, parlano alla Chiesa di oggi come parlavano alla Chiesa di duemila anni fa.

Allo stesso tempo, come non è sfuggito a tanti commentatori, vediamo anche un tragitto storico: la nascita, la crescita, la maturità, le forti problematiche, la fedeltà e poi la rovina. Le sette chiese rappresentano il tragitto della Chiesa dalla sua nascita fino alla fine, fino al ritorno di Cristo. Il contrasto fra le ultime due chiese, una fedele, Filadelfia, e l’altra Laodicea, che il Signore vomiterà, ci sembra di raffigurare la parabola delle dieci vergini: cinque avvedute e pronte, cinque distratte e per questo lasciate indietro.

Perché la lezione delle sette chiese è importante?

Perché forse non vedremo mai gli eventi che saranno, cioè quelli descritti dal capitolo 4 in avanti, ma di sicuro ciò che troviamo ai capitoli 2 e 3 e che riguarda le chiese del primo secolo, e che in una certa misura, sebbene con particolari diversi, ha riguardato la Chiesa in ogni tempo, certamente riguarda la Chiesa oggi, e quindi anche noi.

Con in mente quanto ho detto al primo capitolo di questo libro, leggiamo questi due capitoli che ci riguardano così da vicino, che sono profetici e che sono attuali.

Interromperò il testo con delle mie veloci note.

“All’angelo della chiesa di Efeso scrivi: Queste cose dice colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d’oro: 2Io conosco le tue opere, la tua fatica, la tua costanza; so che non puoi sopportare i malvagi e hai messo alla prova quelli che si chiamano apostoli ma non lo sono e che li hai trovati bugiardi.  

Dio sa quello che accade, Gesù è al corrente di ciò che avviene nella Sua Chiesa. Ognuno di noi che perviene alla Verità si trova a dover scegliere, ad approfondire, capire e dover distinguere tra le tante falsità che ci circondano e la Verità delle Sacre Scritture.

Nei primi secoli, e qui il riferimento alla chiesa di Efeso è chiaro, la Chiesa venne chiamata a dover capire, discernere i veri apostoli dai falsi per non essere sedotti. In un certo modo questa sfida noi credenti ci troviamo anche oggi a doverla affrontare. Rispetto alla Chiesa primitiva noi abbiamo oggi la Bibbia, completa, alla quale con grande facilità possiamo avere accesso, che possiamo leggere, consultare, studiare. Non ci facciamo ingannare: capire la Bibbia non è difficile, semmai è difficile per il cuore dell’uomo accettare il Suo messaggio e sottomettersi alla Volontà di Dio.

Vi è chi legge la Bibbia e decide di cambiare alla luce del suo insegnamento. Vi è al contrario chi si sforza di farle dire ciò che più conviene, legge ciò che interessa e trascura ciò che non piace. Nella lettura e studio a cuor sincero, aperto, interviene lo Spirito Santo, che ci insegna. Lo Spirito comunica al nostro spirito le cose di Dio, in maniera spirituale. Il risultato? L’uomo nuovo, un pezzettino del regno di Dio sulla terra in testimonianza al mondo della realtà che un giorno sarà.

3So che hai costanza, hai sopportato molte cose per amor del mio nome e non ti sei stancato. 4Ma ho questo contro di te: che hai abbandonato il tuo primo amore. 5Ricorda dunque da dove sei caduto, ravvediti, e compi le opere di prima; altrimenti verrò presto da te e rimoverò il tuo candelabro dal suo posto, se non ti ravvedi.  

Quando abbiamo conosciuto la Verità eravamo zelanti. Io andavo in chiesa almeno tre volte la settimana. Poi con gli anni, molti si assuefanno, si abituano. Io ringrazio Dio per le molte vicissitudini che nella vita mi hanno insegnato a non dare per scontata la benedizione di avere un locale di culto e dei fratelli con i quali servire Dio. Non riesco a darlo per scontato neanche oggi e scontato non è per molti milioni di cristiani perseguitati nel mondo: non nel Colosseo del primo secolo, ma oggi, nel 2022.

“Ravvediti” è una frase molto forte, è più che un invito: è un avvertimento. Con la Verità non si scherza.

6Tuttavia hai questo, che detesti le opere dei Nicolaiti, che anch’io detesto. 7Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò da mangiare dell’albero della vita, che è nel paradiso di Dio.

Chi erano i Nicolaiti?

Ecco che la storicità delle lettere alle chiese si presenta e rimaniamo un po’ perplessi. Perché non abbiamo un’idea precisa di chi fossero costoro. Eppure il testo ci dice una cosa importante, fondamentale. Chiunque fossero i Nicolaiti, Dio ne detesta le opere. E allora impariamo che dobbiamo detestare ciò che Dio detesta. Per la chiesa di Efeso la sfida nella società in cui operava erano questi Nicolaiti. Oggi a dire il vero, abbiamo l’imbarazzo della scelta, tanto è aumentata la malvagità dell’uomo.

Dopo aver intimato di ravvedersi dal proprio errore e aver prospettato le conseguenze negative, viene detto ciò che di buono ha questa chiesa e la meravigliosa promessa che deve darle forza e speranza.

 8“All’angelo della chiesa di Smirne scrivi: Queste cose dice il primo e l’ultimo, che fu morto e tornò in vita: 9Io conosco la tua tribolazione, la tua povertà (tuttavia sei ricco) e le calunnie lanciate da quelli che dicono di essere Giudei e non lo sono, ma sono una sinagoga di Satana.10Non temere quello che avrai da soffrire; ecco, il diavolo sta per cacciare alcuni di voi in prigione, per mettervi alla prova, e avrete una tribolazione per dieci giorni. Sii fedele fino alla morte e io ti darò la corona della vita. 11Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. Chi vince non sarà colpito dalla morte seconda.

Strano notare una cosa vera comunque da sempre: la Chiesa che soffre, che è perseguitata, è quella più fedele. Ringraziamo Dio che in Italia la Chiesa non è più perseguitata, ma in molti luoghi del mondo essere cristiani non è facile. In Cina, nei paesi arabi, in molte parti dell’Africa, ecc. L’incoraggiamento ai credenti che soffrono è quello di perseverare. Il premio sarà “la corona della vita”: meravigliosa promessa che riguarda ognuno di noi, che ci motiva e ci dona speranza.

12“All’angelo della chiesa di Pergamo scrivi: Queste cose dice colui che ha la spada affilata a due tagli: 13Io so dove tu abiti, cioè là dov’è il trono di Satana; tuttavia tu rimani fedele al mio nome e non hai rinnegato la fede in me, neppure al tempo in cui Antipa, il mio fedele testimone, fu ucciso fra voi, là dove Satana abita. 14Ma ho qualcosa contro di te: hai alcuni che professano la dottrina di Balaam, il quale insegnava a Balac il modo di far cadere i figli d’Israele, inducendoli a mangiare carni sacrificate agli idoli e a fornicare. 15Così anche tu hai alcuni che professano similmente la dottrina dei Nicolaiti. 16Ravvediti dunque, altrimenti fra poco verrò da te e combatterò contro di loro con la spada della mia bocca. 17Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese. A chi vince io darò della manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non colui che lo riceve.  

La chiesa di Pergamo si trova in un posto dedicato al culto del nemico ed è stata scossa, colpita in maniera diretta, forte, da un evento cruento; nonostante questo non ha rinnegato la fede. Eppure al suo interno vi è compromesso, forse anche idolatria. Quindi anche per questa chiesa, ricompare l’avvertimento: ravvediti.

Non ci nascondiamo dietro un dito. Vi sono intere chiese dove il compromesso è di casa. La Chiesa Cattolica – so che non dovrei fare nomi, ma sono abituato a dire pane al pane, vino al vino – è caratterizzata da questo. Ma, sebbene in modo diverso, anche le chiese evangeliche, cui appartengo, dove raggiungono una certa tranquillità, si integrano bene nel tessuto sociale e vengono riconosciute, accade che il compromesso comincia a farsi strada.

Purtroppo spesso ciò è vero anche nella nostra realtà individuale di credenti.

18“All’angelo della chiesa di Tiatiri scrivi: Queste cose dice il Figlio di Dio, che ha gli occhi come fiamma di fuoco, e i piedi simili a bronzo incandescente: 19Io conosco le tue opere, il tuo amore, la tua fede, il tuo servizio, la tua costanza; so che le tue ultime opere sono più numerose delle prime.20Ma ho questo contro di te: che tu tolleri Iezabel, quella donna che si dice profetessa e insegna e induce i miei servi a commettere fornicazione, e a mangiare carni sacrificate agli idoli. 21Le ho dato tempo perché si ravvedesse, ma lei non vuol ravvedersi della sua fornicazione. 22Ecco, io la getto sopra un letto di dolore, e metto in una grande tribolazione coloro che commettono adulterio con lei, se non si ravvedono delle opere che ella compie. 23Metterò anche a morte i suoi figli; e tutte le chiese conosceranno che io sono colui che scruta le reni e i cuori, e darò a ciascuno di voi secondo le sue opere. 24Ma agli altri di voi, in Tiatiri, che non professate tale dottrina e non avete conosciuto le profondità di Satana (come le chiamano loro), io dico: Non vi impongo altro peso. 25Soltanto, quello che avete, tenetelo fermamente finché io venga. 26A chi vince e persevera nelle mie opere sino alla fine, darò potere sulle nazioni, 27ed egli le reggerà con una verga di ferro e le frantumerà come vasi d’argilla, 28come anch’io ho ricevuto potere dal Padre mio; e gli darò la stella del mattino. 29Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.

Anche in questa chiesa vi è il compromesso. Ma solo in parte, non ha intaccato tutto l’organismo.

Spesso alcuni fratelli in Cristo vengono giudicati in base alla chiesa di appartenenza. Non sempre è corretto. Vi sono vari motivi per i quali ci si può trovare a far parte di una chiesa dove alcuni praticano il compromesso, ma si rimane fedeli. Dio premierà la fedeltà e punirà chi non si ravvede, e a volte chi appartiene ad una categoria e chi all’altra siedono nello stesso locale di culto.

1“All’angelo della chiesa di Sardi scrivi: Queste cose dice colui che ha i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Io conosco le tue opere: tu hai fama di vivere ma sei morto. 2Sii vigilante e rafforza il resto che sta per morire; poiché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio. 3Ricòrdati dunque come hai ricevuto e ascoltato la parola, continua a serbarla e ravvediti. Perché, se non sarai vigilante, io verrò come un ladro, e tu non saprai a che ora verrò a sorprenderti. 4Tuttavia a Sardi ci sono alcuni che non hanno contaminato le loro vesti; essi cammineranno con me in bianche vesti, perché ne sono degni.  5Chi vince sarà dunque vestito di vesti bianche, e io non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma confesserò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli.6Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.  

La situazione nella chiesa di Sardi è drammatica. Lo è per la sua condizione, ma forse ancora di più per il fatto che la realtà è nascosta, non è evidente. Vi sono chiese che sembrano belle, che le vedi crescere e hanno una buona nomina. Eppure, la realtà è ben altra. Eppure, in questa triste situazione, alcuni sono fedeli. Capita che dei credenti si trovino all’interno di chiese dove rappresentano una minoranza fedele. Dio sa perché alcuni credenti sono chiamati ad un compito così arduo come è quello di servire Dio e portare avanti una testimonianza vera in mezzo a credenti che sono “morti”. Probabilmente sono una testimonianza di vita e un invito a ravvivare il corpo della chiesa prima che muoia totalmente. I credenti “morti” dovrebbero solo ricordare la Parola, come l’hanno ricevuta e tornare ad essa per vivere veramente ed essere pronti ad incontrare il Signore.

 7“All’angelo della chiesa di Filadelfia scrivi: Queste cose dice il Santo, il Veritiero, colui che ha la chiave di Davide, colui che apre e nessuno chiude, che chiude e nessuno apre:  8Io conosco le tue opere. Ecco, ti ho posto davanti una porta aperta, che nessuno può chiudere, perché, pur avendo poca forza, hai serbato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome. 9Ecco, ti do alcuni della sinagoga di Satana, i quali dicono di essere Giudei e non lo sono, ma mentono; ecco, io li farò venire a prostrarsi ai tuoi piedi per riconoscere che io ti ho amato.10Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra.11Io vengo presto; tieni fermamente quello che hai, perché nessuno ti tolga la tua corona.  12Chi vince io lo porrò come colonna nel tempio del mio Dio, ed egli non ne uscirà mai più; scriverò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, e della nuova Gerusalemme che scende dal cielo da presso il mio Dio, e il mio nuovo nome. 13Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese.  

Eccoci a Filadelfia, la città dell’amore fraterno, in base all’etimologia del suo nome. Sono convinto che in ogni chiesa dove viene fatto questo studio, si dirà con convinzione: siamo noi Filadelfia, la chiesa alla quale il Signore non ha nulla da rimproverare. Spero sia così per voi.

Io sono nato in una famiglia cattolica. Mi sono convertito a Cristo in una chiesa Battista – Independent Baptist. Sono cresciuto nella fede nelle ADI italiane. Poi sono diventato membro di una chiesa indipendente che nel 2010 è divenuta Church of God. Vivendo all’estero sono stato membro di una chiesa associata ad un ministero americano. Sono stato quindi parte di chiese che erano un po’ Efeso, un po’ Sardi … Persino un po’ Laodicea. Ogni volta sono convinto che Dio mi abbia messo lì con uno scopo ben preciso.

Bene per chi fa parte di Filadelfia. Ma la fedeltà è una questione individuale. Essere cristiani non è come prendere una malattia infettiva: non basta stare in mezzo a chi l’ha contratta e sperare di essere contagiati. Essere cristiani è una relazione personale fra noi e Dio, dovunque ci troviamo, dovendo dare conto di noi stessi, del nostro operato e mai di quello degli altri.

È nota la diatriba che riguarda il rapimento della Chiesa: “pre” o “post” tribolazione o grande tribolazione. Le parole: “Siccome hai osservato la mia esortazione alla costanza, anch’io ti preserverò dall’ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra” effettivamente sembrano lasciar intendere che la chiesa fedele, le cinque vergini avvedute di Matteo, verranno risparmiate dall’entrare nel periodo che vedrà i giudizi riversarsi su questo mondo. Nei miei libri non mi sono mai apertamente pronunciato a favore di questa o di quella tesi in proposito. Avrò anche da studioso il diritto di non essere certo né di una né dell’altra posizione ed essere aperto a qualsiasi ipotesi? La Parola non fa di noi dei profeti. Ci ammonisce, istruisce. Avere studiato per tanti anni, mi rende poco incline ai dogmi e di più alla prudenza. Se la Chiesa verrà rapita prima della tribolazione, ben venga. Se non verrà rapita, sarà pronta ad affrontarla. In ogni caso, qualunque sia la nostra posizione, Gesù ci ha ammonito: vegliate! E vegliare dobbiamo.

In ogni caso, per quanto fedele possa essere la chiesa nella quale serviamo, ognuno renderà conto della propria personale fedeltà.

Ad ogni modo, Filadelfia sembra sia la chiesa che è ben rappresentata dalla cinque vergini avvedute. 

14“All’angelo della chiesa di Laodicea scrivi: Queste cose dice l’Amen, il testimone fedele e veritiero, il principio della creazione di Dio: 15Io conosco le tue opere: tu non sei né freddo né fervente. Oh, fossi tu pur freddo o fervente! 16Così, perché sei tiepido e non sei né freddo né fervente io ti vomiterò dalla mia bocca. 17Tu dici: “Sono ricco, mi sono arricchito e non ho bisogno di niente!” Tu non sai, invece, che sei infelice fra tutti, miserabile, povero, cieco e nudo. 18Perciò io ti consiglio di comperare da me dell’oro purificato dal fuoco, per arricchirti; e delle vesti bianche per vestirti e perché non appaia la vergogna della tua nudità; e del collirio per ungerti gli occhi e vedere. 19Tutti quelli che amo, io li riprendo e li correggo; sii dunque zelante e ravvediti. 20Ecco, io sto alla porta e busso: se qualcuno ascolta la mia voce e apre la porta, io entrerò da lui e cenerò con lui ed egli con me. 21Chi vince lo farò sedere presso di me sul mio trono, come anch’io ho vinto e mi sono seduto con il Padre mio sul suo trono. 22Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese”.

La situazione della chiesa di Laodicea era – è! – davvero terribile.

Posso dire anche io qualcosa di terribile? Chissà quante chiese si credono di essere Filadelfia, ma sono in realtà Laodicea!

Purtroppo credo che Laodicea sia il modello di chiesa oggi più diffusa nel mondo occidentale, nelle aree del mondo dove prospera il cristianesimo tradizionale, vuoto, ritualista, che si trascina avanti senza convinzione adattandosi alla società che la circonda, piuttosto che adoperarsi per cambiarla – un individuo alla volta! Questa chiesa sonnacchiosa, al punto da diventare, dal punto di vista spirituale, cieca, povera, nuda, Gesù la vomiterà dalla sua bocca, perché non prende posizione né da una parte né dall’altra: è tiepida.

Naturale ricollegarla alle cinque vergini non avvedute della parabola di Matteo.

Queste le “cose che sono”. “Sono” da quasi duemila anni, durante i quali la Chiesa si è diffusa principalmente al di fuori dei confini di Israele. 

 

 




Capire l’Apocalisse – Parte 1

CAPIRE L’APOCALISSE

di Giuseppe Guarino

PARTE 1

L’apocalisse è il libro più difficile da comprendere che troviamo nel Nuovo Testamento. Mentre poi per gli altri libri della Scrittura abbiamo delle interpretazioni più o meno affermate, per questo libro non esiste in realtà un approccio univoco. Vi sono varie scuole di pensiero, ma nessuna è riuscita a guadagnarsi una misura di consenso tale da fare veramente scuola.

La interpretazione futuristica è fondamentalmente quella più comune a molte confessioni evangeliche, ma qui comincia e qui finisce spesso il punto in comune fra le diverse interpretazioni.

“Perché?” ci chiediamo. E ancora: “Questo fatto deve scandalizzarci?”.

Le profezie bibliche sono una buona porzione della Scrittura, nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Molte si sono adempiute nel Cristo, quando si fece uomo. Alcune erano state ben comprese dal clero giudaico.

Matteo 2:3-6: “ Udito questo, il re Erode fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui.  4.  Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere.  5.  Essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea; poiché così è stato scritto per mezzo del profeta:  6.  “E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un principe, che pascerà il mio popolo Israele” “.

Ma molte altre profezie non erano state comprese. Alcune addirittura non erano state nemmeno intese essere  tali.

E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, (Gesù) spiegò loro (ai discepoli) in tutte le Scritture le cose che lo riguardavano” (Luca 24:27).

A sua volta, essendo Gesù morto e risorto, secondo quanto era stato preannunciato dai profeti, essendo stato egli stesso testimone, adesso consapevole, Pietro proclamò nel giorno della Pentecoste il Vangelo, la buona notizia, basandosi proprio su quelle Scritture che non erano state capite ma che ora erano divenute per tutti comprensibili, in quanto avveratisi sotto gli occhi di tutto il popolo. Conosciamo tutti la meravigliosa esposizione di Pietro in Atti 2:14-41.

Ad esempio, non era stato compreso che il Cristo sarebbe morto e risorto. Ma adesso per Pietro era chiaro, Gesù stesso glielo aveva spiegato e lui ne era stato personalmente testimone: “Fratelli, si può ben dire liberamente riguardo al patriarca Davide, che egli morì e fu sepolto; e la sua tomba è ancora al giorno d’oggi tra di noi. Egli dunque, essendo profeta e sapendo che Dio gli aveva promesso con giuramento che sul suo trono avrebbe fatto sedere uno dei suoi discendenti, previde la risurrezione di Cristo e ne parlò dicendo che non sarebbe stato lasciato nel soggiorno dei morti, e che la sua carne non avrebbe subito la decomposizione.  Questo Gesù, Dio lo ha risuscitato; di ciò, noi tutti siamo testimoni.” (Atti 2:29-32).

Se cose così importanti non furono comprese dagli uomini di Dio fino alla loro meravigliosa realizzazione, perché preoccuparci se non tutto ci è chiaro in un libro così oggettivamente complesso come l’Apocalisse?

Sebbene comunque i dettagli, a mio avviso, non saranno compresi appieno fino a quei giorni terribili che vengono descritti nell’ultimo libro delle nostre Bibbie, io sono convinto che, per grandi linee, possiamo avere un’idea di ciò che descrive e del messaggio fondamentale che vuole lasciare ad ogni credente.

La realtà dei fatti è che la nostra cultura ci influenza in maniera determinante. La nostra ossessione per la cronologia – che è evidente, in particolare in italiano, dai ricchi dettagli dei nostri verbi – il nostro bisogno di identificare ogni cosa riconducendola alla nostra esperienza personale e alla nostra quotidianità, limita una comprensione alternativa, che a volte è necessaria davanti a certi brani della Scrittura, e che deve essere alimentata dalla riverenza per i brani biblici, ognuno scrigno di meravigliosi significati.

Indubbiamente ogni brano della Scrittura ha una sua interpretazione univoca.

Ma la Bibbia è un libro speciale, spirituale.

Il giorno della Pentecoste Pietro annunciò il Vangelo con potenza e coloro che lo ascoltavano lo udirono ciascuno nella propria lingua. Solo la Parola di Dio può compiere questo miracolo. E non lo vediamo spesso compiere nelle nostre chiese la domenica, quando l’uomo di Dio illustra la Scrittura ed è guidato dello Spirito Santo e ciascuno di noi che apriamo le nostre orecchie spirituali, sentiamo un messaggio personale, che ci riguarda in maniera unica: come se quella stessa Parola predicata parlasse ad ognuno nel linguaggio segreto del suo proprio cuore, per comunicare il messaggio di cui ha bisogno.

Possiamo allo stesso modo leggere la Scrittura e capirne un senso spirituale, esserne benedetti, lasciare che parli al nostro cuore in maniera incomprensibile, anche se non siamo in grado di tradurre ciò che essa vuole dire nei termini di una spiegazione (interpretazione o applicazione che sia) razionale e riferita alla nostra quotidianità.

Ricordiamo sempre: troppa luce può finire per accecarci. Godiamo della giusta quantità di luce che Dio dà a ciascuno di noi per illuminarci – forse anche un po’ di più finirebbe solo per accecarci, confonderci e disorientarci.

Detto ciò, parliamo dell’interpretazione dell’Apocalisse.

Non credo di essere il solo che comprende che per aver chiaro cosa dice l’Apocalisse bisogna aver chiaro cosa dicono i profeti dell’Antico Testamento e in particolare il libro di Daniele.

— continua.

 

Parte 2 in lavorazione




The Name of God in the English translations of the Old Testament

The Name of God in the English translations of the Old Testament by Giuseppe Guarino

The difficulties connected with the personal Name of God revealed to Moses (Exodus chapter 3) are as old as the need to translate the Old Testament in another language.

The oldest known version of the Hebrew Bible is the Greek translation, the Septuagint, LXX. This version – originally of the Pentateuch only – was sponsored in the third century BC by the Egyptian ruler Ptolemy Philadelphus to enrich the library of Alexandria. The name (meaning Seventy) derives from the legendary original number of translators engaged in this work.

There are controversial ideas as to which path the LXX took concerning the Name. Some argue that the translators preferred to keep the Tetragrammaton, God’s Name, in its original Hebrew form, and simply inserted it into the Greek text. Others argue that the original translation had Kyrios (ie “Lord”).

Whatever the initial choice of those translators was, the difficulty of transposing from the Hebrew into another language such a precious word as the Personal Name of God is evident.

What is the best choice?

Let’s look briefly at the Hebrew original.

When God appeared to Moses, he said to him,

“ ‘I am who I am.’ Then he said: ‘Thus you shall say to the children of Israel: ‘the I AM has sent me to you.’”

If God says in the first person that he is: “the I AM”, the others will have to turn to him calling him: “ י ה ו ה , the God of your fathers, the God of Abraham, the God of Isaac and the God of Jacob has sent me to you.”

הוהי is the way in which the name revealed to Moses is represented in the Hebrew alphabet. It identified the God who sent him to his people to deliver them from Egypt.

Hebrew is read from right to left. So if we want to transliterate the Hebrew letters in our alphabet, we will have:

י  ה  ו  ה

    H   W  H   Y

Hebrew is written from right to left. So, applying our common sense of writing, we have: YHWH.

The four Hebrew consonants could also be transliterated with the following letters: IHVH, JHWH, or JHVH.

The “y” must be preferred to the “j” and “i” because the “j” has lost the original sound of “long i” in favor of the Anglo-Saxon valence of “g” and the “i” expresses the sound of the Hebrew letter but not the consonant valence, which instead happens with the “y”.

The “v” renders the phonetic value of Hebrew better than the “w” does, though “w” is a more correct way to transliterate.

So, the transliteration JHVH is not exactly the correct one, but has become, indirectly, in the use of Jehovah, the most popular form of transliteration of the Name.

Depending on the various texts that are consulted, one can find a version or another of the transliteration. The simple truth is that, as it is sometimes the case when translating from one language into another, no one can be dogmatic and different transliterations, for different reasons can be considered equally effective alternatives.

The four letters that together make up the Name of God in the Old Testament are commonly referred to as the Tetragrammaton (from the Greek tetra grammaton, which means four letters).

In the Hebrew alphabet (we will say for simplicity) vowels are missing. It is made up of only 22 consonants. The discomfort that can follow is easily understood and the correct pronunciation of words is linked to the teaching of one generation to the next of the way a word must be read.

The 22 consonants of the sacred text were considered too holy to even evaluate the possibility to transliterate them into another alphabet. So, the Masoretes, Jewish scholars of the first centuries, added some symbols, which helped the pronunciation of words.

The was vocalized as follows:

יְהוָֹה

While in the vast majority of cases the symbols provided by the Masoretes would give the reader the necessary vowels to be added to the consonants in order to determine the pronunciation of the words, for the Tetragrammaton scholars speak of qere perpetuum, that is, of “permanent corrections, not shown in the margin but inserted in the text through an anomalous vocalization”[1].

This happened because when the Masoretes added their vocalization, the Orthodox Jews had long ceased to read the Tetragrammaton, preferring to pronounce in its place the word “Adonai”, corresponding to the English “Lord.” The vowels of Adonai were then those added to the consonants of the divine name for the vocalization.

In the 16th century, a German scribe who was transliterating the Bible into the Latin alphabet for the Pope simply interleaved the vowels with the consonants resulting in the reading  Iehovah.[2]

Later (in 1611) the King James Version of the Bible, introduced the reading Iehovah. This, with the evolution of the English language, became Jehovah by many still considered the pronunciation par excellence of the name of God. For sure, it is the most commonly known and used.

The affection that binds Anglo-American Christians to Jehovah has generated several attempts to systematically use it in biblical translations.

In 1901 the American Standard Version, used Jehovah in all the places where the Hebrew original of the Old Testament had the Tetragrammaton.

In the 1960s, Jehovah’s Witnesses produced their own translation of the Bible which introduced Jehovah into both the Old and New Testaments.

There have been versions of the Bible that have adopted various readings/transliterations, the most famous of which is probably Yahweh, that many scholars believe to be the correct way to pronounce the Name.

In Italy, my country, a translation of the early 1900’s, Riveduta Luzzi, came up with a peculiar solution. They translated the Name as “the Eternal” in a consistent way, throughout the Old Testament. I once thought this solution was totally crazy. But with a better knowledge of the original I have certainly changed my mind. The reasons are explained very well by Asher Intrater, in his book “Who ate lunch with Abraham?” Asher basically says – and he is a Jew and a Hebrew scholar – that  the three vowels e, o, a, added by the Masoretes for the reading of   הוהי are a verbal structure. The e (sh’va) indicates the future versal tense, the o (holom) the present and the a (patach) the past, giving the name YeHoVaH the meaning of “He will be, He is, He was,” in other words, the Eternal. I strongly suggest you get a copy of this great book. It is a masterpiece.

Today’s Italian version The New Diodati adopts this reading for the Old Testament occurrences of the Name.

“The Eternal” is a peculiar choice that seems to be exclusively and Italian phenomenon. The reason why I am calling this to the readers’ attention is that this use of the term “The Eternal” is not totally destitute of biblical foundation. I will say more later about this fascinating topic.

Anyway, the reading Jehovah and its variations, Yehovah or Yehowah, cannot be considered the right representation of the sound of the original Name, simply because the vowels inserted are those of a qere perpetuum that invite the reader to read out lout Adonai, Lord, when the Name of God is the the text.

We must be honest. Being often confronted with problems in translating from one language to another, I know: the translation of the Divine Name of Exodus 3 and following is a serious problem. Those who propose easy ways out do it only to please the public, but do not solve or even face the problem, they oversimplify the matter in order to achieve their own goals and follow their personal agenda.

What should we do when translating the Old Testament into another language?

We could just leave the original four Hebrew letters, as we find in some manuscripts of the ancient Greek version of the Septuagint. The problem, however, remains: how should we read it? Those who put the Name in the Hebrew alphabet in the LXX were – no question about it –  Jews and thinking of Jewish readers of the Sacred Text. Their purpose was not proselytism outside of the Jewish circles. Their text would be read by people who knew they should pronounce the Name Adonai.

No translation from one language to another, and this applies to 100% of the cases, will be able, in several points, to perfectly render all the nuances of one language into the language in which it is translated.

This is also the case with the Name revealed by God to Moses, as well as other names of God given in the Bible. For example, “Lord” is the way we translate the Hebrew אדני, Adonai. Yet, just like אלהים, Elohim, which we translate God, is a plural form. This is peculiar of the Hebrew language and can’t be rendered in English. Also “sky” and “water” just to name two other examples are plural in Hebrew, but translated in the singular in English – see Genesis 1:1.

The very idea of ​the “name,” of a person or a thing, in Hebrew is not the same as that which conveys the term “name” in our language.

Many, if not all, of those who call God Jehovah do so with the Western idea of ​​“name” in mind. That is why they are only incidentally bothered by the fact that Jehovah is not the real name of God, that it is not the way the Tetragrammaton was actually pronounced.

Although for us Gentiles, foreigners, is quite hard to swallow, הוהי is the exclusive patrimony of the original text of the Tanakh (the Old Testament), something that belongs to the Hebrew culture and language.

Most of the various attempts to recover in the translations the greatness of the biblical original of Exodus 3 and of the other references to the Tetragrammaton have merits, but they fail to convey the entirety of the meaning of the original to the reader who will not go to study firsthand the original languages ​​of the Hebrew Scriptures.

I may be quite unpopular to say this, when we use Jehovah, we cannot think of this as God’s Name. It is an English word created ex-novo to translate the Name and pronounce it in a way we can as we speak English. It is quite handy. Yet, we must be aware that it is as good as any other English word we can try to use to render the Name. I believe the same applies to Yahweh.

Personally, as a translator, I believe that if we use “Lord” or “LORD” we give credit to the choice made by the Jews themselves, who, out of respect for the holy Name of God, avoid its pronunciation – who are we Gentiles to judge them concerning this matter?

Using “Lord” we also follow the lesson of the first translation of Torah ever, the Septuagint, and we are perfectly aligned with the Greek New Testament use in quoting the Old Testament.

[1] Giovanni Deiana and Ambrogio Spreafico, Guide to the study of biblical Hebrew, Urbaniana University Press and British and Foreign Biblical Society, p. 20.

[2] Source, jewfaq.org/name.htm

 

This article is the Introduction to my new book, THE NAME OF GOD

Alessandro Magno e il libro di Daniele

Alessandro Magno e il libro biblico del profeta Daniele di Giuseppe Guarino

Qualunque sia l’approccio al libro biblico di Daniele, oggetto come pochi di controversie fra studiosi di varie fazioni, un solo dettaglio non è sfuggito a nessun commentatore: il fatto che il libro parli di Alessandro Magno. Lo fa in diversi punti e con descrizioni di sicuro interesse sia per lo studioso dei testi sacri sia per quello di documenti storici.

Nell’esame delle parole utilizzate da Daniele si rimane in bilico tra una possibile percezione del profetico nello storico e dello storico nel profetico. Vediamo perché.

Daniele visse fra la fine del settimo secolo a.C. e per quasi tutto il sesto secolo a.C. Ancora giovanissimo venne deportato in Babilonia in una delle scorrerie del re babilonese Nabucodonosor. Venne quindi inserito nell’apparato statale babilonese con un certo successo, che gli permise di continuare nelle importanti cariche ricoperte persino dopo la conquista persiana.

Secondo il testo biblico che tramanda le vicende di questo profeta, egli possedeva un dono simile a quello di un suo illustre predecessore, Giuseppe, quello cioè di poter interpretare i sogni. Un dono che si trovò molto presto a dover manifestare per il re babilonese.

Un sogno che turbò Nabucodonosor lo spinse a cercare chi lo potesse interpretare. Nessuno vi riusciva. Fu un giovane – probabilmente ancora adolescente – di stirpe ebraica ad ardire di stare alla presenza del re, dirgli cosa aveva sognato e darne l’interpretazione.

Nei suoi tormentati sogni notturni il re babilonese aveva visto una gigantesca figura umana, composta da diversi materiali. Daniele li elenca e interpreta al re il significato simbolico di ciò che vede.

Daniele 2:37, 38: “Tu, o re, sei il re dei re, a cui il Dio del cielo ha dato il regno, la potenza, la forza e la gloria; e ha messo nelle tue mani, tutti i luoghi in cui abitano gli uomini, le bestie della campagna e gli uccelli del cielo, e ti ha fatto dominare sopra tutti loro: la testa d’oro sei tu.

Il capo della statua in oro simboleggia Nabucodonosor e il suo regno.

Daniele 2:39:  “Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo”.

All’impero neobabilonese succederà sulla scena mondiale quello medo-persiano di Ciro. Il quale rimarrà per molto tempo a predominare la scena mondiale.

poi un terzo regno, di bronzo, che dominerà sulla terra”.

Ecco qui che compare il regno greco-macedone di Alessandro Magno. Subito colpisce la descrizione, davvero molto pertinente: “dominerà su tutta la terra”. Inarrestabile, il macedone riuscì a conquistare tutto il mondo allora conosciuto e  la leggenda dice che pianse perché non vi erano più terre da conquistare.

Daniele 2:40:  “poi vi sarà un quarto regno, forte come il ferro; poiché, come il ferro spezza e abbatte ogni cosa, così, pari al ferro che tutto frantuma, esso spezzerà ogni cosa”.

Daniele vede anche l’ascesa della potenza romana, riportando un dettaglio caratteristico di questo impero: la sua forza e inarrestabile avanzata.

Aver interpretato il sogno al re babilonese permetterà a Daniele, come fu per Giuseppe, di occupare presto un posto di tutto rilievo all’interno della corte.

Più avanti, nello stesso libro, sono descritte altre due visioni che completano la prima, arricchendola di dettagli che entusiasmano gli esegeti biblici, ma non meno gli storici.

Al capitolo 7 Daniele vede i medesimi quattro regni del sogno del re, ma stavolta nel simbolismo rappresentato da quattro diversi animali.

Il leone è Babilonia. L’impero persiano un orso. Il regno di Alessandro è visto come un leopardo.

Daniele 7:6: “Dopo questo, io guardavo e vidi un’altra bestia simile a un leopardo con quattro ali d’uccello sul dorso; aveva quattro teste e le fu dato il dominio”.

Sebbene con tipici connotati da vaticinio, la descrizione del regno di Alessandro e dei suoi successori è qui straordinariamente pertinente. Le ali d’uccello, infatti, descrivono la rapidità della inarrestabile conquista alessandrina: in soltanto dieci anni tutto il mondo era stato vinto. Le quattro teste il repentino smembrarsi dell’impero alla morte di Alessandro.

L’attenzione di questa seconda profezia di cui Daniele è ancora quasi passivamente depositario è, però, il quarto regno, quello di Roma. È invece nei capitoli che seguono, da 8 a 11 che il profeta si sofferma interamente sull’ascesa greca, dalla stessa figura di Alessandro, fino alle vicende delle monarchie elleniche che seguono, perché avranno un ruolo fondamentale per il destino di Israele, che si troverà proprio a metà strada fra due regni e le loro ambizioni, quelle dei tolomei e dei seleucidi.

In Daniele 8 leggiamo della nascita dell’impero greco-macedone. La stessa figura di Alessandro viene citata.

Daniele 8:5-7: “Mentre stavo considerando questo, ecco venire dall’occidente un capro, che percorreva tutta la terra senza toccare il suolo; questo capro aveva un grosso corno fra gli occhi. Il capro si avvicinò al montone dalle due corna, che avevo visto in piedi davanti al fiume, e gli si avventò addosso, con tutta la sua forza. Lo vidi avvicinarsi al montone, infierire contro di lui, colpirlo e spezzargli le due corna; il montone non ebbe la forza di resistergli e il capro lo gettò a terra e lo calpestò; non ci fu nessuno che potesse liberare il montone dal potere di quello.

Nella descrizione del profeta viene detto qualcosa di straordinario: una potenza occidentale, la prima della storia dell’umanità, compare sulla scena medio-orientale. Essa avanza su tutta la terra in modo tanto rapido che non tocca nemmeno il suolo. Quale modo più appropriato di descrivere la rapidità della conquista di Alessandro, che in appena dieci anni prese possesso di tutto il mondo conosciuto.

Il grosso corno, nell’antichità simbolo di potenza, è proprio Alessandro Magno. Egli riuscirà a prevalere sulla potenza medo-persiana qui vista come un montone, e lo farà in modo rapido e definitivo.

Circa l’identità di questi simboli profetici non abbiamo alcun dubbio. Poco più in là nello stesso libro, infatti, troviamo l’interpretazione che perfettamente combacia con il dato storico.

Daniel 8:20-21: “Il montone con due corna, che tu hai visto, rappresenta i re di Media e di Persia. Il capro irsuto è il re di Grecia; e il suo gran corno, fra i suoi occhi, è il primo re.

Da storico (dilettante) quale sono, mi sfugge il perché Daniele specifichi la presenza della componente dei Medi all’interno di un impero che certamente nella sua parte più eclatante vide senz’altro un deciso e netto prevalere dell’elemento persiano. Probabilmente, o la storia profana non ci permette di dare altrettanta rilevanza alla presenza dei Medi nell’impero o questa caratteristica viene esaltata per impedirci di confondere questo con qualsiasi altro regno che il lettore possa cercare di trovare nei simbolismi. Tale necessità è evidente nel fatto che qui venga dichiarata apertamente l’identità delle due potenze mondiali viste.

Giuseppe Flavio è uno storico giudeo vissuto a cavallo del primo millennio. Egli trasmette una lunga narrazione che getta ulteriore luce su alcuni dettagli, sul perché Alessandro risparmiò Gerusalemme, mentre dichiara indirettamente l’autenticità delle profezie di Daniele.

Antichità giudaiche, libro undicesimo: “E quando Alessandro ebbe preso Gaza, si affrettò verso Gerusalemme. […] Quando Alessandro fu in prossimità della città, il sommo sacerdote uscì in processione, con i sacerdoti e una moltitudine di cittadini. […] Essa raggiunse un luogo chiamato Safa, che, tradotto in greco (la lingua nella quale scrive lo storico, ndt) significa “prospetto”, perché da lì si ha una vista perfetta sia della città sia del tempio […] Quando Alessandro vide da lontano la moltitudine vestita di bianco, mentre i sacerdoti erano vestiti di lino, e il sommo sacerdote di porpora e scarlatto, con la sua mitra in testa che aveva la placca d’oro sulla quale era inciso il nome di Dio, egli si avvicinò e mostrò reverenza per quel nome e salutò il sommo sacerdote. E così fecero i giudei tutti insieme, con una sola voce, salutarono Alessandro […] Egli entrò nella città e quando salì nel tempio offrì dei sacrifici a Dio, secondo le direttive del sommo sacerdote, e trattò con onore sia il sommo sacerdote che gli altri sacerdoti. E quando gli venne mostrato il libro di Daniele, dove Daniele aveva dichiarato che uno dei greci avrebbe distrutto l’impero dei persiani, egli ritenne che si parlasse di lui”. Ho tradotto dall’opera The Works of Josephus, Complete and Unabridged, translated by William Whiston, A.M.

Purtroppo non solo la gloria di Alessandro, ma anche la sua altrettanto veloce caduta viene descritta in Daniele.

Daniele 8:8 Il capro si irrobustì ma, quando fu al culmine della sua potenza, il suo gran corno si spezzò; al suo posto spuntarono quattro grandi corna verso i quattro venti del cielo”.

Daniele 8:22 Le quattro corna, sorte al posto di quello spezzato, sono quattro regni che sorgeranno da questa nazione, ma non con la stessa sua potenza”.

Fu proprio così che accadde: al culmine della sua potenza e del suo successo, a trentatré anni, Alessandro morì, in Babilonia. Alcuni dicono per una febbre, altri sostengono per un complotto. Ad ogni modo, le parole di Daniele si avverarono alla lettera. Infatti non avendo eredi, furono i generali a spartirsi il grande impero, lasciandosi indietro, ovviamente, la magnificenza di quanto costruito da Alessandro. Ma, allo stesso tempo, continuando quell’opera da lui iniziata, l’ellenizzazione del mondo intero che ha determinato la cultura del mondo occidentale da allora fino ai nostri giorni.

 

 

Qui di seguito il libro che ho pubblicato anni fa su Daniele.

IL LIBRO DI DANIELE – Commentario  storico-profetico – di Giuseppe Guarino

Lo studio del libro del profeta Daniele è essenziale per una corretta comprensione delle profezie messianiche sia della prima venuta del Messia sia del suo ritorno. Il commentario raccoglie informazioni storiche che attestano l’affidabilità del testo biblico, prove patristiche dell’antichità dell’interpretazione dei brani messianici e collegamenti con le profezie del Nuovo Testamento.

libro: https://www.amazon.it/dp/B08735HDFR

ebook: www.amazon.com/dp/B086MNFXT5

 

 




Come leggere e studiare la Bibbia

Come leggere e studiare la Bibbia.

di Giuseppe Guarino

 

Leggere tutta la Sacra Scrittura

La Bibbia è stata scritta da vari autori in diversi momenti storici, località geografiche, e in tre lingue diverse: ebraico, aramaico e greco. Ma per chi la studia con cuore aperto, è chiaro che essa è un solo libro, con un solo intento e un solo messaggio. Alcuni l’hanno definita la lettera d’amore scritta da Dio all’uomo, e potremmo anche considerarla tale. Leggere quindi la Bibbia in tutta la sua interezza è fondamentale, per noi cristiani sarebbe poco produttivo leggerla soltanto in parte. I Vangeli e gli altri scritti apostolici sono fondamentali per conoscere la persona ed il pensiero di Gesù, la sua missione, il senso della sua incarnazione, ma nascono dalla fede che troviamo nell’Antico Testamento. Le Scritture ebraiche contengono tantissime profezie messianiche avveratesi in Gesù, nostro Signore e Salvatore: queste sono una potente testimonianza sulla sua persona e missione. Disse Gesù: “… se credeste a Mosè, credereste anche a me; poiché egli ha scritto di me” (Giovanni 5:46). “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento” (Matteo 5:17).

Leggere la Genesi è importante, così come i profeti, ma è leggendo Matteo, Marco, Luca e Giovanni e gli scritti Paolo, e persino l’Apocalisse, che apprendiamo il senso cristologico di molti brani dell’Antico Testamento e il messaggio cristocentrico di tutta la Scrittura. Impariamo inoltre che sebbene molte profezie sul Messia si siano avverate in Cristo, ve ne sono ancora molte che si avvereranno al suo ritorno, promesso ai suoi fedeli in molti brani del Nuovo Testamento.

L’assistenza dello Spirito Santo

Capisco che un approccio “razionale” allo studio della Bibbia sarebbe più in linea con i tempi che viviamo. Ma parliamo di un “libro” con un messaggio spirituale e avvicinarsi al suo studio senza tenerne conto sarebbe “irrazionale”. Del resto, onestamente, credo che se non si considerino le Scritture Parola di Dio non vale proprio la pena studiarle. Leggerle una volta, due, alcuni libri, per cultura si; ma studiarle senza riconoscerne l’autorità spirituale sarebbe masochismo puro.

Gesù ci ha detto che nello studio della Sua Parola non saremmo stati soli.

Guardate gli apostoli. Gesù li ha chiamati e poi non li ha semplicemente abbandonati a se stessi, non li ha mandati senza ammaestrarli in maniera personale. Per anni Gesù parlò pubblicamente al popolo, ma si intrattenne con i suoi discepoli per spiegare il senso dei suoi insegnamenti.

Vi sarebbe stato un momento in cui Gesù li avrebbe dovuti abbandonare. Promise quindi “un altro consolatore”, lo Spirito Santo, suo vero vicario, sostituto, che avrebbe assistito i credenti proprio come aveva fatto lui con gli apostoli.

Essendo la Bibbia un libro spirituale, abbiamo bisogno che lo Spirito di Dio e di Cristo, ravvivi il nostro spirito, apra i nostri occhi spirituali e ci faccia comprendere la Parola di Dio.

Sebbene sia sensato e produttivo leggere la Bibbia per trovarvi Dio, ha poco senso studiarla  se non si crede. Molti studiosi infatti arrivano ad assurde conclusioni o teorie proprio per il fatto che la esaminano senza quella fondamentale chiave di lettura che è la sua spiritualità, il fatto che essa parla soprattutto allo spirito, mentre apre il nostro intelletto alle comprensione delle cose di Dio. Se Mauro Biglino legge la Bibbia e non vi trova Dio ma gli extraterrestri è perché la durezza del suo cuore non gli permette di capire, il suo spirito è morto, soccombe al suo intelletto e alla seduzione di esaltare se stesso e la sua conoscenza personale. L’uomo spirituale, invece, legge la Bibbia e Dio gli dona pace e forza, serenità, gioia, lo guida nella quotidianità, lo conforta, lo assiste, lo sostiene… Perché la conoscenza biblica non è “gnosi” o semplicemente “cultura”. La Bibbia è la chiave che mediante la nostra fede e attraverso il ministero dello Spirito Santo che ci guida, ci spalanca le porte del cielo e ci permette di avere accesso alla presenza, in Cristo, del nostro meraviglioso Dio e Padre. È inoltre una road map che ci guida nel tortuoso cammino della vita. Perché la conoscenza biblica non è e non può essere fine a se stessa ma trova un senso ed un riscontro nella quotidianità del credente – 2 Timoteo 3:16-17.

 Esegesi,  ermeneutica e significato del testo biblico per il credente.

 “In filologia, l’esegesi (in greco antico: ἐξήγησις) è l’interpretazione critica di testi finalizzata alla comprensione del loro significato. Campi di applicazione possono essere, ad esempio, la legislazione (“esegesi giuridica”), la storia (“esegesi delle fonti storiche del Medioevo”), la letteratura (“esegesi manzoniana”) o la religione (“esegesi biblica”). In quest’ultimo caso, l’esegesi ha una forte affinità con l’ermeneutica, intesa come tecnica per la corretta esegesi dei testi sacri”. Fonte: Wikipedia alla voce “esegesi”.

La Bibbia dice quello che dice. Leggendola parla al nostro cuore. Leggerla ci cambia, in modi che a volte non riusciamo a spiegare, nemmeno a noi stessi, né tantomeno descrivere.

Vi è un’esegesi, una comprensione e interpretazione del testo biblico che viene dallo studio delle lingue originali e dal contesto storico, culturale, ecc., che indaga in maniera quasi “scientifica” per pervenire alla corretta e persino oggettiva comprensione di ciò che l’autore voleva dire in prima istanza. Ma la Bibbia non è un testo come altri e la ricchezza di significati è immensa, significati universali e personali. Dio parla ai cuori attraverso la Sua Parola in maniere meravigliose, ad un livello spirituale che conduce alla consapevolezza dell’amore di Dio e comunione con il Padre.

Il giorno della Pentecoste Pietro annunciò il Vangelo ripieno dello Spirito Santo e qualcosa di unico nella storia dell’umanità accadde: ognuno che ascoltava, essendo presente per la festa giudaica gente di ogni dove, udiva il vangelo nella sua propria lingua. Lo stesso miracolo non si ripete forse ogni volta che un uomo di  Dio annuncia la Parola guidato dallo Spirito Santo? A volte, la domenica, parli con le persone e ognuno è lì a dirti che le parole del sermone erano proprio per lui, una risposta a quello che accadeva nella sua vita. Eppure ognuno ha problemi diversi, domande diverse, preghiere diverse. Non dobbiamo quindi sottovalutare la potenza della Parola di Dio, così com’è, per iscritto così come quando è annunciata. Infatti, non è nel libro, nelle parole in se e per se che vi è potenza, ma è l’opera dello Spirito Santo nei nostri cuori. Vi sono studiosi che conoscono la Bibbia a memoria, ma il loro spirito è morto, non è sensibile alle parole dello Spirito Santo, accumulano semplicemente nozioni su nozioni, teorie, dottrine, ecc. Non è per questo che Dio ci ha dato la Sua Parola. Essere istruiti e dotti è meraviglioso – ho dedicato tutta la mia vita a questo, come attestano i tanti libri che ho scritto (circa 60) – ma non è per questo fine che dobbiamo studiare la Bibbia. Paolo a Timoteo lo spiega chiaramente: “… perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3:17)

Sempre più gente fa riferimento al testo originale, alle lingue ebraica, greca, e si riempie la bocca di termini forse più per impressionare che per spiegare la Parola di Dio al credente medio. È per questo che quasi trent’anni fa ho iniziato a studiare il greco biblico. E mi sono convinto di una cosa: un uomo o donna di Dio che aprono la Bibbia e la leggono con preghiera e con cuore aperto capiranno, ciberanno il loro spirito, non per essere un dottore e accumulare conoscenza su conoscenza, ma per essere sempre più in comunione con Dio e parlare con franchezza del Vangelo che li ha salvati

Premesso questo, bisogna aggiungere che se alla virtù aggiungiamo la conoscenza non facciamo bene, ma benissimo. Purché non perdiamo di vista il fatto che tutto ciò che studiamo ha un solo fine, pratico, quotidiano, nel nostro vissuto.

Da anni il motto dei miei studi è stato: “crescendo nella conoscenza di Dio” (Colossesi 4:10). In greco questa frase è ancora più forte perché utilizza un termine “ἐπίγνωσις” nel nostro alfabeto lo translitteriamo “epignosis”. Paolo qui oppone alla “gnosi” in senso stretto, il cuore del movimento gnostico del primo secolo, ma possiamo anche riferirlo alla conoscenza in senso generale, l’ “epignosi”, una conoscenza migliore, superiore potremmo dire, che ha come oggetto Dio.

Alcuni sembrano essere contrari o indifferenti all’istruzione, alla scolarizzazione, allo studio. Io la penso diversamente. La conoscenza che accumuliamo nella nostra vita dobbiamo semplicemente utilizzarla in modo diverso rispetto ai non credenti. Se il dotto che non crede in Dio ha nella sua conoscenza motivo di orgoglio e occasione di prevaricazione per chi sa meno, nel credente la conoscenza, anche quella appresa fra i banchi di scuola, deve essere vista come spunto per essere migliore, facendo poi confluire ciò che sappiamo in un più affinato metodo e capacità per lo studio della conoscenza migliore, quella di Dio. Ciò non per raggiungere posizioni e fregiarci di titoli – ben vengano, ma non solo il fine per chi è credente e sa – ma per renderci persone migliori, credenti più consapevoli e mettere al servizio del corpo di Cristo ciò che abbiamo appreso.

Chi snobba lo studio e la conoscenza fa un torto a chi fra i nostri migliori fratelli nella fede ci ha preceduto e ha lottato affinché tutti potessero avere libero accesso alle Sacre Scritture e avere l’istruzione necessaria per poterle leggere e comprendere. La comprensione della Bibbia passa per il nostro spirito, ma bisogna che venga adeguatamente affinata con lo studio per meglio comprendere cosa dicono le Scritture.

Studio serio e sistematico

Purtroppo a causa della nostra cultura, noi italiani spesso confondiamo la conoscenza con il titolo che la dovrebbe attestare (sebbene attesti solo il livello di istruzione) o la professione che esercitiamo. Può essere così, ma non deve per forza essere così. Molti infatti affermano che gli apostoli erano dei pescatori, dovendo ciò per forza di cose farci concludere che fossero degli ignoranti illetterati. Mentre tali non erano. Un ebreo del primo secolo cresceva all’ombra dell’istruzione della Sinagoga, che era un vero e proprio centro culturale. Lì si studiavano le Scritture, si discuteva, si veniva istruiti. Un ebreo parlava aramaico, ma anche l’ebraico, necessario per comprendere le Scritture. Chi poi viveva in zone come la Galilea era esposto a frequenti contatti con mercanti, viaggiatori e marinai e comprendere e saper parlare il greco era cosa comune, esso era infatti la lingua franca parlata in tutto il mondo di allora.

A prescindere dal livello culturale personale degli apostoli, Gesù li chiamò, ma non li mandò immediatamente. In quanto “rabbi”, maestro, li istruì personalmente. Il Signore infatti per tre anni e più ammaestrò personalmente i suoi discepoli sulle cose di Dio. Gli apostoli hanno avuto il migliore insegnante che si potesse sperare di avere e, quindi, la migliore istruzione possibile. Istruzione non convenzionale, specifica, ma che li rendeva atti al compito per il quale Dio li aveva scelti.

Quando Gesù ammaestrava alle folle, poi i discepoli in disparte lo interrogavano, approfondivano, volevano capire il senso più profondo delle parole del loro maestro. Per questa loro buona volontà Gesù li premiava: “a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli” (Matteo 13:11). La qualità più importante degli apostoli era il loro desiderio di voler sapere le cose di Dio e farlo con ogni umiltà e intelligenza: invece di riflettere, cercare di capire da se, piuttosto che pensare di poter fare da soli, andavano dal loro Maestro e approfondivano il senso delle sue parole, dei suoi insegnamenti.

Nel vangelo di Matteo in particolare possiamo vedere come Gesù prima chiama gli apostoli, essi lo seguono e lui comincia ad ammaestrarli. Lo fa in maniera graduale. Leggendo un padre della Chiesa mi rimase impressa una sua affermazione: “troppa luce acceca”. Bisogna esporsi gradualmente alla luce, perché altrimenti non saremo illuminati ma accecati. Ed è gradualmente che Gesù si rivela ai discepoli. Interroga Pietro quando già siamo al capitolo 16 di Matteo, dopo che molte cose erano accadute e Gesù aveva già insegnato molto, sia in pubblico, sia in privato.

Dopo che Pietro ha apertamente affermato che Gesù è il Messia promesso, il Cristo, Gesù fa una sconvolgente affermazione: “ordinò ai suoi discepoli di non dire a nessuno che egli era il Cristo” (Matteo 16:20). Aggiunge Matteo anche una preziosa precisazione: “Da allora Gesù cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molte cose da parte degli anziani, dei capi dei sacerdoti, degli scribi, ed essere ucciso, e risuscitare il terzo giorno” (Matteo 16:21).

Vedete come Gesù procede per gradi nell’istruzione dei suoi discepoli.

Consideriamo ad esempio il fatto che annuncia il suo ritorno in Matteo solo quando siamo al capitolo 24. Dopo la sua resurrezione gli conferisce il grande mandato, Matteo 28:19, insegna ancora loro le cose che riguardano il regno di Dio, Atti 1:3.

Come ogni corso di studio superiore che si rispetti, bisogna che vi sia una cerimonia di laurea e la discussione di una tesi. Lo stesso è accaduto agli apostoli nel giorno della Pentecoste, quando furono ripieni dello Spirito Santo e Pietro annunciò il Cristo in un discorso pubblico (la sua tesi di laurea) che annunciò pubblicamente il Vangelo (Atti 2) dimostrando ciò che diceva con ampie citazioni dall’Antico Testamento.

Studiare la Bibbia oggi

Oggi abbiamo a nostra disposizione una quantità di mezzi per studiare la Bibbia da fare paura. Vi sono percorsi classici: seminari, corsi di laurea. Vi sono vere e proprie facoltà di teologia. Noi evangelici siamo all’avanguardia in questo senso, sebbene la conoscenza della lingua inglese sia molto importante, quasi fondamentale se si vuole giungere a certi livelli accademici.

Ma anche lo studio personale è molto facilitato.

Youtube è un mezzo validissimo per approfondire le lingue originali, sia ebraico che greco.

Le App e i software da pc sono sussidi preziosissimi. Biblehub.com mette a disposizione versioni bibliche, traduzioni interlineari, ecc. E-sword è il software che uso personalmente. Mi permettere di accedere a molte versioni bibliche, incluse quelle originali, a commentari, dizionari biblici, ecc.

Oggi poi, anche grazie ad Amazon, è facile reperire qualsiasi testo che ci serva per approfondimento o studio.

Insomma, parafrasando un vecchio motto “chi vuol esser ignorante, ignorante sia” ma lo è senza valide giustificazioni.

 

Una cosa, però, mi colpisce e devo dirla. Nei miei molti anni di studio ho davvero letto molto. Ma non so se ho letto libri più belli e testi più emozionanti degli scritti dei padri della Chiesa. Si tratta degli scrittori cristiani dei primi secoli. Ed è una cosa singolare che i loro scritti siano così profondi e di cultura sebbene siano stati prodotti all’inizio del percorso della Chiesa. Invito chi voglia studiare il cristianesimo seriamente a reperire i loro testi. Parlo di Giustino, Clemente, Ippolito, Ireneo, l’epistola a Diogneto, il Didaché, ecc. Io stesso ho curato l’edizione e la pubblicazione di vari scritti di patristica. Questi primi cristiani ci hanno dato delle lezioni importantissime ed è anche grazie a loro che oggi il cristianesimo ha radici così solide. Con pochissimi mezzi a loro disposizione, ma con una grande fede e una profonda cultura messa al servizio della Chiesa, si sono prodigati per testimoniare – molti anche con il martirio – la Verità delle Scritture, che essi – che non hanno app e computer – citavano abbondantemente. Leggendo i loro scritti ci rendiamo conto della loro grande cultura e che i primi cristiani erano tutt’altro che ignoranti e muovevano i loro primi passi in un mondo fatto di persone certamente non ignoranti.

Oggi quindi, come non mai, poche scuse per essere testimoni ignoranti della nostra fede, e ogni opportunità per essere istruiti, preparati, testimoni di Cristo equipaggiati degli strumenti necessari, spirituali e intellettuali, per combattere il buon combattimento della vita cristiana.

 

Per chi volesse approfondire:

LA BIBBIA un’introduzione di Giuseppe Guarino

La Bibbia è più che un libro. Chi ha creduto sa che può cambiare le vite. Persone dedite all’ uso di droghe, all’alcol, al furto, persone che avvertivano un vuoto interiore incolmabile … la Bibbia ha cambiato le esistenze di milioni nel mondo, dando speranza e in questa vita e in quella futura. Coloro che si dedicano allo studio di queste pagine sacre con cuore sincero, sanno che Dio parla attraverso le sue righe: bisogna soltanto essere disposti ad ascoltare. L’uomo deve soltanto raccogliere la sfida di Dio: “…mettetemi alla prova in questo, dice l’Eterno degli eserciti; e vedrete s’io non v’apro le cateratte del cielo e non riverso su voi tanta benedizione che non vi sia più dove riporla.” (Malachia 3:10)

libro: www.amazon.it/dp/1514606070

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