di Giuseppe Guarino
La domanda che nasce spontanea dall’osservazione di millenni di religione e religiosità che ci hanno preceduto è: Perché Israele?
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Finalmente ho terminato di leggere “A Scientific Investigation of the Old Testament” scritto da Robert Dick Wilson all’alba del secolo scorso. Avevo cercato questo libro per tanto tempo, dopo averne letto delle citazioni su altri testi e di più ancora dopo avere apprezzato la competenza di Wilson leggendo i suoi due volumi sul libro di Daniele. Wilson è uno studioso eccezionale. Purtroppo, però, il suo lavoro è disponibile solo in lingua inglese.
Robert Dick Wilson poteva vantare delle credenziali davvero notevoli, forse ineguagliabili: conosceva circa 46 lingue e ciò gli aveva consentito un’invidiabile possibilità di accesso diretto a molte delle prove necessarie ai suoi studi. Il suo metodo serio e scientificamente accurato rende le sue conclusioni valide e ben motivate. Mentre altri testi riescono di più facile lettura ma sono più ricchi di postulati ed affermazioni lapidarie piuttosto che di prove, i libri di Wilson sono di difficile lettura perché si prende anche la briga di dimostrare tutto ciò che sostiene: questo però basta a motivare il tempo che richiede la lettura dei suoi studi.
Eppure il capitolo di “A Scientific Investigation” che più mi ha colpito è stato il più breve e quello apparentemente più elementare. Qui il Wilson uomo di scienza e di studio – linguista e storico – si incontra con l’uomo di fede, col credente, due aspetti che non solo riescono a convivere molto bene nella stessa persona, ma che addirittura danno vita a delle riflessioni davvero degne di nota.
La fede monoteista fece guadagnare l’epiteto di faraone eretico ad Akhenaton, altrimenti noto anche come Amenofi IV. A lui ho dedicato un articolo nella sezione storica del mio sito, perché fu davvero una figura affascinante. Delle conclusioni affrettate potrebbero spingere alcuni a pensare che egli fosse un precursore delle religioni del Dio unico che oggi predominano sul pianeta – se consideriamo ebrei, cristiani e musulmani insieme. Io non concordo. Il famoso faraone non cominciò qualcosa, bensì l’abbracciò. E nemmeno nella sua forma più pura, tanto la assimilò alla propria cultura egiziana. La più lucida fede di Abramo era più antica della sua espressione di monoteismo di almeno cinquecento anni.
L’archeologia è una scienza preziosa per la conoscenza storica, ma ha i suoi limiti. Il più evidente è che non può sperare di riuscire nell’opera di recupero dei resti di civiltà vissute in stato di nomadismo o seminomadismo, come il “clan” di Abramo, ad esempio, o quello dei madianiti, anche loro monoteisti – con i quali entrò in contatto Mosè durante il suo esilio. L’unica traccia storica dell’esistenza e del credo di questi popoli è la Bibbia, della quale spesso, a torto, non viene riconosciuta l’autorità di documento storico.
Nel 399 a.C. venne processato ad Atene il filosofo Socrate. L’accusa recitava: “Socrate è colpevole di non riconoscere come Dei quelli tradizionali della città, ma di introdurre divinità nuove”. Storica, n.26 dell’Aprile 2011. I greci mostravano un forte attaccamento alla loro religione tradizionale, come ebbe a constatare Paolo ad Atene e ad Efeso.
La domanda che nasce spontanea dall’osservazione di millenni di religione e religiosità che ci hanno preceduto è: Perché Israele?
Torniamo quindi all’inizio della nostra discussione. E’ questa, infatti, la domanda che Robert Dick Wilson si pone dopo un accurato e scientifico esame dell’Antico Testamento. E’ una domanda che da tempo mi pongo anche io. E’ la stessa domanda che divenne argomento di discussione quando un mio fratello in Cristo mi rese partecipe di questa sua stessa riflessione: non si può non guardare la storia e non percepire l’incredibile paradosso dell’esistenza stessa della religione ebraica.
Ci assicurano gli storici che in Mesopotamia, sulle rive dei grandi fiumi Tigri ed Eufrate, fiorì un sistema statale complesso già mille anni prima della nascita di Abramo. Vi erano avanzati sistemi di misura, di calcolo, una struttura amministrativa statale che attingeva a scuole internazionali dove venivano istruiti gli scribi, gli intellettuali del tempo. La cultura mesopotamica era molto complessa, almeno bilingue. L’antichità classica del mondo di allora e della letteratura sumerica serviva come indispensabile bagaglio culturale per chi studiava per inserirsi nell’amministrazione statale della civiltà accadica.
Cosa fastidiosissima, il mio personale stupore sui progressi culturali e scientifici – matematici ed amministrativi soprattutto – svanisce quando si considerano le ingenue credenze religiose di questi popoli.
Dall’altra parte del mondo conosciuto, bene o male nello stesso periodo, sulle sponde del fiume Nilo nacque la grande e suggestiva civiltà egiziana. La sua più visibile evidenza del progresso matematico ed architettonico raggiunto, le piramidi, sopravvivono ancora oggi, a millenni di distanza, lasciando a bocca aperta anche il tanto evoluto uomo moderno. Eppure le credenze religiose egiziane fanno, nella migliore delle ipotesi, sorridere! In questo campo anche loro non mostravano altrettanta eccellenza quanto in tutte le altre branche della scienza umana.
Anche il monoteismo di Akhenaton era lontanissimo dal monoteismo professato da Abraamo e si risolveva in una forma di adorazione del disco solare. Ciò si discostava dal credo pagano ed egiziano classico, soltanto nel numero delle divinità riverite, ma non nella forma primitiva di culto. Eppure lo stesso faraone possedeva in altri campi una tale straordinaria conoscenza e maturità scientifica da riuscire ad edificare una intera città, Akhetaton, ed allinearla perfettamente con delle costellazioni, segno di una sorprendente conoscenza astronomica e capacità di calcolo matematico.
Che dire dei greci? Le loro vette intellettuali non hanno rivali nella storia antica, sono ancora oggi oggetto di studio ed influenzano in maniera insospettabile ma profondamente radicata, la società in cui viviamo. Eppure le loro credenze religiose e il loro pantheon sono popolati da inverosimili divinità, capricciose, schiave delle loro passioni e desideri, che intervengono nelle vicende umane senza un significato vero e proprio, mossi da egoismo e da irrefrenabili vizi e deprecabili tendenze.
Filone giudeo visse nella città di Alessandria, il più grande centro culturale dei suoi tempi, fra il 20 a.C. ed il 50 d.C. Fu uomo dotto, istruito nella cultura greca che lo circondava in ogni dove, ma profondamente convinto e fiero della propria eredità e cultura ebraica. Riassumendo molto efficacemente la sua posizione intellettuale, esprimendosi con ponderata terminologia greca, scrisse: “Mosè ha raggiunto la sommità della filosofia”. Per Filone, le migliori e più lucide concezioni della filosofia greca su Dio ed il Suo rapporto con il mondo, sono indebitate con gli scritti di Mosè. E, mi si permetta di aggiungere che, per quanto ne sappiamo, potrebbe anche avere ragione!
Di nuovo, riflettendo su questi nuovi elementi, mi chiedo – e immagino si chieda ormai anche il lettore: Perché Israele?
Perché la forma più evoluta di religione di tutta la storia antica e forse dell’intera storia dell’umanità non ci è stata tramandata dalle grandi civiltà del passato che pure, per altri versi, così tanto hanno contribuito alla crescita della conoscenza e della tecnica dell’umanità, bensì da un piccolo popolo, altrimenti insignificante e storicamente trascurabile quale è Israele? Non fosse stato per la religione di Abraamo, il pastore nomade uscito fuori dalla terra di Ur per vagare nelle zone della odierna Palestina, non sapremmo altrimenti nulla.
Scrive Wilson: “La religione dell’Antico Testamento è essenzialmente interiore. E’ la religione della mente e del cuore, d’amore, di gioia, fede, speranza e salvezza tramite la grazia di Dio soltanto. Come spiegare questa religione? Deve essere nata per derivazione, evoluzione o rivelazione? I profeti dicono che essa venne da Dio. Nessun altra teoria sulla sua origine può dimostrare la sua unicità ed i suoi risultati, la sua superiorità e la sua influenza”. A Scientific Investigation of the Old Testament, p. 208.
È questa la spiegazione per la straordinaria unicità del fenomeno della fede nel Dio unico tramandata dall’ebraismo e dal cristianesimo?
Se vogliamo supporre che la nostra fede sia il risultato di una evoluzione del pensiero umano, come spiegare che essa provenga da un popolo di pastori nomadi, le cui conoscenze in tutti gli altri campi della scienza umana non giustificherebbero un tale eccezionale progresso nel solo campo religioso.
Se fosse un credo derivato da altre forme religiose, ciò non ne spiegherebbe l’assoluta ed indiscutibile unicità.
E se invece la fede della Bibbia fosse quello che pretende di essere: il risultato di una diretta e personale rivelazione di Dio all’uomo?
La Bibbia ci dice che Dio parlò ad Abraamo. Ci dice che si rivelò a Mosè. Ci dice che Dio parlò ai profeti.
In Ebrei 1:1-2, leggiamo: “Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio …”
Forse è questa la sfida di Dio all’uomo: invitare a riconoscerlo.
In questa prospettiva le parole dell’ebreo Giovanni rivolte in greco ad un mondo greco, acquistano un significato molto forte: “Nessuno ha mai visto Dio; l’unigenito Figlio, che è nel seno del Padre, è quello che l’ha fatto conoscere.”
In realtà la storia può suggerirci le domande, ma solo la fede può darci le risposte.
26 Aprile 2011.